BRANDOLINI, Gianconte

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 14 (1972)

BRANDOLINI, Gianconte

Gaspare De Caro

Nacque intorno al 1460, terzogenito maschio di Cecco, conte di Valmareno, e di Filippa Trissino. Insieme con i fratelli Guido ed Ettore ereditò i beni e i titoli paterni, ricevendo ufficialmente l'investitura comitale dalla Repubblica veneta il 24 dic. 1464. Nel marzo del 1476 fu autorizzato dal governo veneziano a prestare liberamente servizio militare fuori dello Stato: iniziava così una carriera prestigiosa, in tutto degna delle notevoli tradizioni guerriere della famiglia. Su questi inizi, tuttavia, non si hanno notizie precise, anche se pare probabile che il B. servisse per qualche tempo insieme con il fratello Guido nell'esercito del duca di Milano.

Nel 1482 il B. partecipò nell'esercito veneto alla guerra di Ferrara, combattendo dapprima contro gli Sforzeschi nel territorio di Brescia e poi contro i collegati a Ferrara. Cinque anni dopo, nella guerra contro Sigismondo d'Austria, combatté nel Trentino, prima agli ordini di Giulio da Varano, poi di Roberto da Sanseverino. Fu in questo episodio che per la prima volta diede un saggio probante delle sue qualità di condottiero.

Sconfitti i Veneziani sull'Adige, presso il castello di Petra, il 10 ag. 1487, il B. sostenne insieme al Sanseverino l'urto dei Tedeschi inseguitori, mentre il grosso delle milizie venete ripassava il fiume in fuga. Morto il Sanseverino, assunse il comando delle truppe superstiti, portandole in salvo a Serravalle: di qui, con il contributo dei fedeli valligiani della Valmareno, condusse un'instancabile guerriglia contro i Tirolesi che cercavano di consolidare il controllo dei principali nodi di comunicazione con i possessi meridionali di casa d'Austria, impedendo loro di trarre un effettivo vantaggio dalla vittoria in campo aperto ed infine contribuendo notevolmente a creare in sede militare quelle condizioni favorevoli per Venezia che dovevano poi portare alla pace stipulata, nel novembre del 1487, con l'arciduca Sigismondo.

Nel 1495, quando Venezia aderì alla lega degli Stati italiani contro Carlo VIII, il B. era imbarcato in qualità di uomo d'arme nella flotta veneta al comando di Antonio Grimani, incaricato di attaccare dal mare le città della costa adriatica pugliese occupate dai presidi francesi. A capo di un reparto di stradiotti, il B. prese parte ai principali episodi di questa campagna, distinguendosi particolarmente alla conquista di Monopoli, che fu messa a sacco.

Nel 1498 il B. partecipò alla campagna condotta nell'Appennino toscano contro i Fiorentini, ultimo tentativo veneziano per risolvere l'annosa e pesantissima guerra di Pisa. Dopo la stipulazione della pace con Firenze, nell'aprile del 1499, al comando di 160 cavalli fu inviato ad Udine, dove si temeva un'imminente offensiva dei Turchi: questi in effetti attaccarono in forze, di lì a poco, con circa settemila cavalli, ed il B. si distinse nelle operazioni di disturbo che impedirono ai nemici di allargare ulteriormente le infiltrazioni che li avevano portati ben dentro il territorio veneto, sino al Piave, e infine li costrinse alla ritirata.

Alla morte del fratello Guido, nel 1503, il B. ottenne dal Consiglio dei savi il comando di 60 degli 80 uomini d'arme di cui quello aveva avuto la condotta, mentre gli altri 20 venivano affidati al fratello Ettore e da questo ceduti al figlio Cecco. Nello stesso anno, morto nell'agosto papa Alessandro VI, Venezia tentava di trarre tutto il vantaggio possibile dalla rovina di casa Borgia, investendo le Romagne e tentando di assicurarsi nella regione le posizioni di forza alle quali da tempo aspirava, rinfocolando contro lo Stato ecclesiastico l'ostilità dei signori esautorati ed occupando militarmente alcune città. Il B. fu tra i principali condottieri veneti impegnati in questa campagna, partecipando alla conquista di Rimini ed all'assedio ed occupazione di Faenza e di altre terre.

Negli anni seguenti il B. fu con le sue truppe di guarnigione nel Friuli e nella Marca trevigiana, in quei brevi anni di pace nei quali si preparava la rovina del dominio veneziano di Terraferma. Cominciata nel febbraio del 1508 la guerra con gli Imperiali, il B. fu tra i principali collaboratori di Bartolomeo d'Alviano, al quale era affidato il comando dell'esercito veneto operante nel Friuli ed in Cadore.

Partecipò così a quel vero saggio di strategia che fu la manovra avvolgente dell'Alviano, che precluse agli Imperiali la via della ritirata verso la Germania prima di sferrare il suo attacco annientatore. Preposto insieme a Pandolfo Malatesta all'attacco della cavalleria veneta sul fianco del nemico, investito frontalmente dalle fanterie dell'Alviano, il B. ebbe un ruolo di primo piano nella vittoriosa battaglia di Pieve di Cadore. Prese quindi parte all'occupazione di Pordenone, di Gorizia e di Trieste e poi al trionfo che fu decretato ai vincitori in Venezia, dopo l'umiliante pace imposta a Massimiliano d'Asburgo.

Iniziatasi l'anno seguente la guerra della lega di Cambrai, il B., le cui truppe erano state tenute di riserva, non partecipò alla sfortunata giornata di Agnadello che segnava la clamorosa sconfitta dell'Alviano e la fine dell'espansione veneziana nella Terraferma; ebbe invece una parte di rilievo nella riorganizzazione delle forze veneziane agli ordini di Niccolò Orsini, conte di Pitigliano, prese parte alla difesa di Verona, alla ritirata su Mestre e quindi alla progressiva ripresa dell'offensiva, con la riconquista di Treviso, insorta contro gli Imperiali, e poi di Padova. Nel luglio otteneva dal doge Leonardo Loredan l'autorizzazione a portarsi al soccorso di Valmareno attaccata dagli Imperiali: conquistò Serravalle, dove i Tedeschi si erano rinchiusi, e che i suoi valligiani misero a sacco, e quindi proseguì nell'offensiva, strappando agli Imperiali Belluno e Feltre, in seguito perdute per un ritorno offensivo degli avversari, e poi riconquistate.

Un sintomo del contributo militare del B. era l'animosità dell'imperatore Massimiliano nei suoi riguardi, che si spingeva sino a dichiararlo ribelle dell'Impero (accusa priva di fondamento, poiché i Brandolini di Valmareno erano vassalli di Venezia), ed a promettere ad un suo congiunto del ramo romagnolo, Tiberto Brandolini, condottiero al servizio imperiale, il feudo di Valmareno, "subito che cavato dalle fauci dei nostri nemici ci pervenirà nelle nostre mani" (Brandolini d'Adda, p. 111): cosa che in realtà non accadde mai.

Nel giugno del 1510 il B. era tra i condottieri del provveditore veneziano Andrea Gritti all'assedio ed alla conquista di Vicenza; e nel luglio, al comando di 1.200 cavalli leggeri, era a Treviso per rastrellare le bande di Imperiali dispersi che infestavano la regione. Sul finire di quello stesso anno, realizzatasi l'alleanza di Venezia con Giulio II contro i Francesi ed il duca di Ferrara, il B. fu inviato all'assedio della Mirandola al comando di 1.200 cavalli e 600 fanti.

Nel corso di questa campagna ebbe un violento scontro per ragioni di prestigio con Giovanni Manfroni, altro condottiero veneto, e la cosa assunse tanta importanza che se ne occupò anche il Consiglio dei savi, dove fu anche proposto di esonerare il B. dal comando; ma a questo non mancavano relazioni a Venezia e l'episodio si risolse senza danni con una riappacificazione.

Dal febbraio al maggio del 1511 il B. combatté nel Polesine contro le truppe franco-ferraresi in una serie di scaramucce, sino a che la rinunzia di Giulio II a condurre sino in fondo l'offensiva contro Ferrara non obbligò i Veneti ad abbandonare il Polesine. Quindi fu impegnato nella difesa di Padova contro i Francesi dei La Palisse ed in una serie di scontri fortunati fronteggiò validamente i loro tentativi di sortita da Verona e da Legnago. Nel novembre, ripresa l'offensiva dei Veneziani contro gli Imperiali, fu inviato a Treviso e preposto insieme a Vitello Vitelli al comando della cavalleria nell'esercito del provveditore Gradenigo: la sua conoscenza dei luoghi ebbe un peso determinante nel buon successo delle operazioni, che riportarono i Veneziani a Cormons ed a Villa Vicentina.

Nel 1512 combatteva nuovamente contro i Francesi a Vicenza e a Brescia: quivi cadde prigioniero, ma fu assai presto liberato, in seguito al sanguinoso esito della battaglia di Ravenna ed alla conseguente ritirata dei Francesi dal Milanese.

Stipulata la pace con la Francia, Venezia, ormai estenuata, decideva di congedare gran parte delle proprie truppe: anche il B. fu licenziato, ma in riconoscimento dei suoi servigi gli fu concessa una provvisione mensile di 20 ducati. Tuttavia già l'anno dopo la Repubblica doveva fare nuovamente ricorso ai servigi del condottiero: nel febbraio del 1513 egli fu infatti incaricato di reclutare nei suoi feudi truppe sufficienti a scacciare da Feltre gli Imperiali, che se ne erano nuovamente impadroniti, ed il B. portò a termine vittoriosamente questa sua ultima impresa. Non se ne hanno più notizie dopo il 1514.

Aveva sposato nel 1479 Elena Gabrielli dei conti di San Polo, dalla quale ebbe soltanto una figlia, Filippa, che sposò il patrizio veneto Pietro Leone, nel 1526, ed in seconde nozze Vittorio Malipiero.

Fonti e Bibl.: M. Sanuto, Diarii, I-LVI, Venezia 1879-1901, ad Indices;A.Brandolini d'Adda, IBrandolini di Bagnacavallo, Venezia 1945, pp. 136 ss., 237.

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