GIASONE di Fere

Enciclopedia Italiana - I Appendice (1938)

GIASONE ('Ιάσων, Iason) di Fere

Piero Treves

Principe della dinastia tessalica che esercitava la signoria sulla città di Fere, congiunto (non sappiamo con certezza se figlio o genero) del tiranno Licofrone: personalità dominante di un decennio (380-370 a. C.) di storia greca. Poco di lui sappiamo, e non sempre si riesce a distinguere fra attuazione immediata e programma remoto, notizia fededegna di storiografi e mito pubblicistico di oratori politici. G., comunque, incarna ed esprime una delle tendenze meglio avvertibili del suo secolo, la tendenza all'individualismo autonomo e attivistico. Anche G., quali si fossero i suoi fini ultimi e non raggiunti per la morte repentina e immatura, istituì una tirannide: legale, tuttavia, almeno nell'esteriore osservanza delle norme costituzionali e nel consenso dei sudditi, e tradizionale, se G., movendo dal suo principato in Fere, giunse a dominare su Farsalo e a farsi eleggere tago di tutta la Tessaglia. L'occupazione di Farsalo, nel 374., fu permessa, o tollerata, da Sparta, la quale aveva rifiutato ogni appoggio militare, contro G., al rappresentante di Farsalo nella pubblica assemblea dei confederati lacedemoni, Polidamante. Sparta, forse, mirava a guadagnarsi, in tal modo, l'aiuto, o la benevola neutralità, di G., che era, in quegli anni, amico dei suoi nemici, Tebe e Atene. Il primo atto politico, a noi noto, di G. è, infatti, un atto per Sparta non amichevole, cioè l'appoggio a Neogene, perché si facesse, malgrado gli Spartani, tiranno di Oreo-Istiea nell'Eubea. E nel contempo, o poco dopo, G. intrattenne relazioni cordiali con Tebe, ebbe per moglie una donna di Tebe, chiamò Tebe sua figlia. Probabilmente accedette, nei primì anni della sua signoria, alla seconda confederazione ateniese, anche se, non molto più tardi, fu indotto a uscirne dal riaccostamento a Sparta: che però non gli impedì di venire ad Atene, il novembre 373, testimone a discarico nel processo intentato a Timoteo. Con lui, e allo stesso fine, venrie Alceta di Epiro, altro alleato di Atene, che, nel frattempo, aveva riconosciuto l'alta sovranità di G. Mentre nel cuore della penisola ellenica si preparava l'urto risolutivo fra Sparta e Tebe (onde la battaglia di Leuttra), G. attese a rassodare il suo dominio tessalico, fra il 374 e il 371, slargandone i confini e acquistandosi l'amicizia, oltre che della Perrebia e di altre genti circonvicine, anche di Aminta III. Questa alleanza doveva servire a G. per l'attuazione di un suo programma antiateniese: la Macedonia gli avrebbe fornito il legname per le costruzioni navali. Forte di un grosso esercito mercenario, G. curò, tuttavia, anche l'arruolamento indigeno, sollecitando la reinstaurazione di leve obbligatorie e sottoponendo i sudditi a tributo: nondimeno, il suo governo non parve oppressivo ed esoso. La sua valentia militare permise a G. d'intervenire dopo Leuttra come paciere fra le due rivali, ottenendo dai Tebani la concessione di una tregua ai loro nemici. G., peraltro, inchinava ad animosità antispartana, se, nel ritorno dalla Beozia, assalì e occupò, non lontano dalle Termopili, Iampoli ed Eraclea Trachinia, avamposto spartano. G. si era così assicurata libera comunicazione fra Grecia propria e Tessaglia, ed era all'apice del suo potere. Parata intimidatoria, più assai che non panellenica, doveva essere, nel pensiero di G., lo spiegamento completo delle sue forze terrestri in occasione dei giuochi Pitici, a Delfi, l'agosto-settembre 370. Per conciliarsi favore, andava divulgando la voce che avrebbe proclamato una "crociata" antipersiana, ricollegandosi così a un antico voto di Gorgia da Leontini, che G. aveva avuto maestro. Ad ogni modo, l'estate 370, durante lo svolgimento di una rivista militare, per motivi rimasti oscuri, probabilmente per dissensi domestici, G. fu assassinato: e con lui finì l'avventura del risorgimento tessalico.

Fonti: Oltre l'iscr. in Dittenberger, Syll., 3ª ed., 147 (che forse conserva tracce del nome di G.), cfr. Diodoro, XV, passim; e, specialmente, Senofonte, Elleniche, VI, massime il discorso di Polidamante a Sparta. Sul programma panellenico, Isocr., Phil., 119.

Bibl.: Oltre le opere generali di storia greca (spec. E. Meyer, Gesch. d. Altertums, V, passim; e K. J. Beloch, Griech. Gesch., 2ª ed., III, i, p. 164 segg.; III, ii, p. 80 segg.), cfr. G. Tropea, in Riv. stor. ant., III (1898), fasc. 2; V. Costanzi, Saggi di storia tessalica, in Ann. univ. tosc., XXVI-XXVII (1906), p. 103 segg.; B. Niese, in Hermes, XXXIX (1904), pp. 108-115; F. Stähelin, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., IX, coll. 771-778; U. Wilcken, in Hermes, LIX (1924), pp. 123-127; J. Hatzfeld, J. a-t-il été l'allié d'Athènes?, in Revue études anciennes, XXXVI (1934), p. 441 segg.; D. H. Westlake, Thessaly in the IV century b. C., Londra 1935, p. 68 segg.; A. Momigliano, Un momento di storia greca: la pace del 375 e il Plataico di Isocrate, in Athenaeum, n. s., XIV (1936), p. 3 segg. - Per il discorso di Polidamante e la figurazione di Giasone presso Senofonte, cfr. E. Vorren Lagen, De orationibus quae sunt in Xen. Hell., diss., Münster 1926, p. 75 segg.

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