GIASONE

Enciclopedia Italiana (1933)

GIASONE ('Ιάσων)

Alessandro Olivieri

Figlio di Esone (figlio a sua volta di Creteo e Tiro) e di Polifeme (forse Polimede), o Alcimede o Anfinome o Teognote o Roio, ecc., è noto principalmente come duce della spedizione degli Argonauti. Pindaro, nella Pitica quarta, espone parte della sua leggenda. Pelia, figlio di Posidone e di Tiro, quindi fratellastro di Esone, ha spodestato Esone, principe legittimo. Esone, temendo per suo figlio, lo fa passare per morto e di notte lo fa condurre presso Chirone. Le figlie del centauro lo allevano e Chirone gli dà il nome di Giasone. Intanto è stato a Pelia profetizzato che morirà per mano degli Eolidi illustri e avvertito che si guardasse bene dall'uomo dall'unico sandalo, cioè G., allorché avesse reclamato i diritti del padre. G. e Pelia vengono a un compromesso. L'usurpatore cederà il trono, ma G. prima compirà l'impresa di riportare il vello d'oro dalla Colchide. Ecco la ragione della spedizione degli Argonauti, a cui G. si accinge, favorito dagli dei.

Il nome 'Ιάσων "medico" ci rivela che in origine G. era un dio della salute; presto però egli perde ogni valore divino. Dalla narrazione pindarica risulta evidente una profonda inimicizia tra Pelia e G.; quindi è chiaro che Pelia incarica il nipote dell'impresa argonautica, perché spera che il suo avversario perisca. Tanto è vero, che durante quella spedizione Pelia costringe al suicidio i genitori di G. e ne sgozza il fratello Promaco. Ma sappiamo pure che G. prende parte ai giuochi funebri per Pelia e che Acasto, figlio di Pelia, prese parte alla spedizione degli Argonauti. Risultano dunque due diverse tradizioni, l'una che ammette una inimicizia continua fra Pelia e G., l'altra che l'esclude. Pelia incarica G. dell'impresa argonautica, ma ciò è voluto dalla divinità, perché da questa spedizione dipende la sua morte. Era, sdegnata che Pelia la trascuri e abbia ucciso la matrigna sul suo altare, e d'altro lato favorevole a G., che nel ritorno da una caccia l'aveva portata attraverso un fiume, nella quale avventura egli aveva perduto appunto un sandalo, ordisce la spedizione, perché questa porterà con sé l'arrivo dalla Colchide di Medea a Iolco, e Medea e le Peliadi uccideranno Pelia. Così sarà anche compiuta la profezia che turbava lo spirito di questo eroe. Alla conquista del vello d'oro G. non sarebbe pervenuto senza l'aiuto di Medea, figlia di Eeta, re della Colchide, innamorata di lui; essi pattuirono di sposarsi. Ella diede farmachi a G. per superare le prove, che Eeta gli avrebbe imposto. Tornato a Iolco con Medea, secondo la tradizione più antica vi rimase, secondo altra, successo nel regno di Pelia il figlio Acasto col proposito di vendicare il padre, G. fu costretto a esulare con Medea a Corinto. Qui si svolge la tradizione, che dà argomento alla Medea di Euripide, secondo la quale l'eroe disegna di ripudiare Medea per sposare Creusa o Glauce, la figlia del re Creonte. G. compare anche nel ciclo di Meleagro, poiché anche egli prende parte alla caccia del cinghiale calidonio.

Bibl.: Seeliger, in Roscher, Lexikon d. gr. und röm. Mythologie, II, i, pp. 63-88; Stähelin, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., IX, coll. 771-77; Schröder, Die Argonautensage u. Verswandtes, Posen 1899; E. Galli, Medea Corinzia, Napoli 1906; C. Robert, Die griech. Heldensage, III, i, Berlino 1921, p. 766 segg.