MARTORANA, Gioacchino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 71 (2008)

MARTORANA, Gioacchino

Mariny Guttilla

– Figlio di Pietro e di Epifania Galasso, nacque a Palermo il 19 ag. 1736 e fu battezzato lo stesso giorno nella chiesa di S. Ippolito al Capo (Palermo, Arch. parrocchiale di S. Ippolito, Libro dei battesimi, 1735-36, atto n. 390). Dal padre, discreto pittore, apprese gli insegnamenti del mestiere, partecipando forse come aiutante alle sue imprese decorative. Ininfluenti appaiono, invece, i rapporti con l’ambiente artistico locale prima che, al compimento del diciottesimo anno d’età, il padre lo affidasse alla protezione del conterraneo G. Vasi, residente a Roma, di cui – secondo A. Gallo (p. 71), biografo del M. che utilizza le memorie dell’allievo O. Belluomo – era stato insegnante di disegno a Palermo. Nella decisione di partire presa dal M. può avere influito il consiglio del cognato, il pittore romano G. Fumagalli.

A Roma, il M. risiedette stabilmente presso la parrocchia di S. Giovanni in Aino a partire dal novembre del 1754. Tali notizie si ricavano dalla domanda per la concessione dello stato libero, presentata dal pittore (Guttilla, La falce, le stelle…, pp. 240 s.) in occasione delle nozze con la figlia di Vasi, Domenica, celebrate il 22 febbr. 1756 nella chiesa di S. Caterina della Rota (Roma, Arch. stor. del Vicariato, S. Caterina della Rota, Libro dei matrimoni, I, 1743-75, c. 57, n. 141).

Vengono così a cadere le tesi tramandate dalla letteratura artistica circa il discepolato del M. presso S. Conca, rientrato a Napoli nel 1752 (Gallo), l’ipotesi del precoce trasferimento a Roma (Siracusano, 1986, p. 326, n. 4), nonché le incertezze sul nome della prima moglie.

Grazie alla mediazione del suocero, incisore di fama, il M. fu introdotto alla scuola di M. Benefial (Fedele da San Biagio, p. 253; Gallo, pp. 69, 71, 73).

Risulta abbastanza singolare la scelta del maestro romano, «solitario» ricercatore di un linguaggio pittorico aderente alla verità, estromesso nel 1755 dall’Accademia di S. Luca, ma certamente in grado di fornire al giovane una terza via della pittura tra barocchismo e accademia. È probabile tuttavia che negli anni di formazione il M. cercasse altri referenti, come l’influente caposcuola P. Batoni, mediatore tra istanze tardobarocche e neoclassicismo, da cui di certo apprese le qualità ritrattistiche che sarebbero emerse nella produzione più tarda. Negli anni romani, il M. affinò il gusto per la sperimentazione che segnò le tappe evolutive della sua attività, da una fase caratterizzata da vigore e verità espressive a quella di gusto francesizzante e di matrice partenopea, oscillando spesso tra realismo, formule accademiche e pittoricismo.

Condotta sotto l’influenza di Benefial è la serie delle otto Storie di s. Benedetto inviate alla chiesa palermitana di S. Rosalia (delle quali sono rimasti solo gli episodi, ora conservati a Palermo, di Benedetto e Totila e Benedetto e l’ossesso presso il Museo diocesano e quelli di Benedetto distribuisce il tesoro e Comunione di s. Benedetto presso la Galleria regionale della Sicilia).

Lodati nell’ambiente artistico locale, i dipinti suscitarono l’ammirazione di colleghi come V. D’Anna (ibid., p. 71). Alla serie si aggiungerebbe, secondo G. Bertini (c. 323), una Deposizione che è piuttosto la composizione con Le Marie e s. Giovanni, dietro il crocifisso ligneo, riferita da Gallo (p. 78) e ora al Museo diocesano.

Pochissimo si conosce dell’attività romana del M., a eccezione della Madonna e i ss. Gaetano da Thiene e Giuseppe Calasanzio in S. Dorotea (Coccia; Rudolph, con proposta di datazione tra il 1751 e il 1756, da spostare dopo il 1754); ma è ragionevole supporre che nella bottega di Benefial, o presso Batoni, il M. prendesse parte insieme con l’entourage, e in assoluto anonimato, ai lavori condotti a Roma. Ed è probabile che, dopo cinque anni vissuti nella città, la notizia della malattia del padre lo cogliesse in un momento di riflessione tra le prospettive della «carriera romana», in cui però non avrebbe avuto la possibilità di emergere, e i «rischi» di un ritorno a Palermo in un ambito molto meno competitivo, soprattutto dopo la morte di G. Serenario. Fatto è che nell’autunno del 1759 il M. risulta «senza famiglia» a Palermo, dove aveva trovato il padre già morto (Gallo, p. 71).

Tornato a Roma vi risiedette solo il tempo necessario a preparare il trasferimento a Palermo. Qui avrebbe preso alloggio in via Vanella di Gazzara (Guttilla, La falce, le stelle…, p. 240) con la moglie e con il primogenito Ermenegildo nato a Roma tra gli anni 1756-58 (morirà a Palermo nel 1820) e avrebbe fatto battezzare, l’8 ag. 1760, il secondogenito Pietro e, nel maggio del 1763, il terzo figlio Francesco Paolo (Palermo, Arch. parrocchiale di S. Ippolito, Libro dei battesimi, 1759-60, atto n. 438, e 1762-63, atto n. 341).

Tra il 1763 e il 1764 il M. lavorò nel seminario arcivescovile di Monreale alla realizzazione di una Immacolata Concezione, del Trionfo della Religione nella volta della cappella – composizione giocata su contrasti luministici e mediazioni formali tra tardobarocchismo e gusto rocaille – e di un «quadrone a fresco nel refettorio» (Millunzi, p. 153; Sparacio, p. 6).

Per l’arcivescovo F. Testa eseguì la tela con il Sogno di Guglielmo II, da cui derivano l’incisione di S. Pomarede e il cartone utilizzato per l’arazzo, ora a palazzo arcivescovile (D’Amico - Civiletto). Lavorò anche per la nobiltà palermitana; nel 1764 ricevette una somma per affreschi nel palazzo Natoli, appena ristrutturato, in cui convivevano soggetti profani e sacri: le allegorie della Giustizia, della Carità, il Trionfo dell’amore e l’Assunzione di Maria (Zambito).

Contestualmente, fu impegnato in dipinti di carattere devozionale: nell’agosto del 1765 ricevette 8 onze per due pitture in S. Francesco Saverio, il Cuore di Gesù e il Cuore di Maria (Arch. di Stato di Palermo, Case ex gesuitiche, vol. 63, 1761-66, c. 259, 31 ag. 1765), e, nel dicembre, un acconto per la realizzazione di due quadri alla badia nuova, di cui restano i Ss. Quaranta martiri (Ibid., Monastero di S. Maria di Monte Oliveto, vol. 251, Apocario, 3 e 31 dic. 1765). Nel settembre del 1766 fu battezzato un altro figlio del M. (Giuliana Alajmo, p. 22). In quello stesso mese ricevette dal marchese Pietro Ugo delle Favare un pagamento (Arch. di Stato di Palermo, Notaio G. Fontana, vol. 15067, c. 213, 12 sett. 1766).

Dal 1768 al 1769 eseguì una serie di pitture per i crociferi: nel 1768 firmava e datava la grande pala della Trinità e vergini palermitane, considerata il suo capolavoro (Fedele da San Biagio, p. 253; Gallo, p. 76), in cui l’antico classicismo di tradizione conchiana confluisce e si fonde con il neoseicentismo bolognese. È probabile che uno dei canali per le commissioni fosse stato l’architetto G.V. Marvuglia, a Roma negli stessi anni del M., che nel 1759 aveva fornito i disegni dell’altare maggiore e che era allora uno dei principali esponenti del classicismo.

Buon disegnatore, il M. fu noto anche come ritrattista (ibid., p. 71): ritratti del Principe di Gravina (Palermo, palazzo Comitini) e di G.V. Marvuglia e un quasi preromantico Autoritratto (Palermo, Biblioteca comunale). Entrato nelle grazie del viceré G. Fogliani, lo raffigurò in un dipinto a olio (Palermo, palazzo dei Normanni), e su suo incarico inviò tra il 1770 e il 1774 a Castelnuovo Fogliani, nel Parmense, per l’oratorio della villa la tela con Santo vescovo in gloria (firmata) e forse anche un dipinto con l’Assunta (Ceschi Lavagetto). Frattanto, ormai senza rivali (morto nel 1769 anche D’Anna), si impose sulla scena palermitana e nell’entourage dell’aristocrazia dirigente. È probabile che a partire dall’ottavo decennio si sia giovato sempre più di frequente dell’amicizia di Marvuglia. Si spiegherebbero così gli incarichi decorativi nelle dimore edificate e ristrutturate dall’architetto. Forse proprio a causa dei ben retribuiti impegni, piuttosto che «per non guastarsi lo stile», avrebbe rifiutato la carica di direttore della scuola di mosaico (Gallo, p. 73).

Nel 1770 realizzò pitture nel palazzo del principe Gravina di Comitini. Nella volta del salone, con il Trionfo del vero amore, firmato e datato (il bozzetto a olio è conservato nella Galleria regionale della Sicilia: Siracusano, 1986, p. 326, tav. LXXIX, 1-2), ebbe modo di dispiegare appieno una vena inventiva profana, legata ai fraseggi del rococò maturo, imperante alla corte napoletana e gradito all’aristocrazia locale che, lasciate le residenze dei feudi, si trasferiva stabilmente nelle dimore urbane. In tale contesto anche le personificazioni di categorie morali, come le Allegorie delle Virtù cardinali, si convertivano in eleganti soggetti mondani (Accascina, p. 352).

Contigui cronologicamente sono i dipinti (firmati) di palazzo Costantino, l’Allegoria dell’Abbondanza e Diana con Endimione (Gallo, p. 78; Accascina, p. 352; Siracusano, 1986, p. 327). Pure firmati sono gli affreschi di palazzo Paternò con la Gloria della famiglia Asmundo e Apollo incoronato da Minerva, dal gusto esuberante e fastoso (viene così a cadere la notizia riportata da Gallo, p. 71, secondo cui questo «fu il primo lavoro commessogli» dopo il ritorno a Palermo, accolta ancora da Sgadari di Lo Monaco, p. 82, che colloca le opere nel 1764, e da Accascina, p. 355: la contraddizione cronologica è evidenziata da Siracusano, 1986, p. 328 n. 41). Sono riconducibili al M. anche le fastose allegorie dipinte di palazzo Guggino-Bordonaro, culminanti nell’Allegoria dell’Amore coniugale (ibid., p. 326, figg. 90 s.), che sembrano rivelare già prodromi neoclassici, così come il profilo dei putti reggistemma raffigurati su finte architetture, dipinte da B. Cotardi in un salone di palazzo Benenati (Gallo, p. 70; Siracusano, 1986, p. 328 n. 39). Nell’elenco dei palazzi decorati dal M., Gallo cita anche quello del marchese di Santa Margherita (p. 71), e Accascina (p. 355) l’affresico della Sapienza a palazzo S. Croce-S. Elia.

Continuò nel frattempo a occuparsi di lavori a tema sacro per la committenza degli ordini religiosi. Nel dicembre del 1775 riceveva il pagamento per una pittura della Vergine nell’oratorio di S. Filippo Neri (Giudice). Nel 1777 sposò la diciannovenne Anna Maria Spinelli (Palermo, Arch. parrocchiale di S. Ippolito, Libro dei matrimoni, 1777-78, n. 5, 9 sett. 1777).

A partire dall’aprile di quell’anno e sino al settembre del 1778 sono datate le note di pagamento per un totale di 200 onze, relative all’esecuzione di sei dipinti nella chiesa del Real Albergo dei poveri (secondo Gallo, p. 77, da considerare «più opera» del figlio), di cui resta la pala d’altare con le Vergini palermitane e s. Mamiliano (Vitella); mentre per le pitture murali dietro l’altare con il Trionfo della croce il pagamento fu effettuato solo l’anno successivo, il 9 apr. 1779, pochi mesi prima della morte dell’artista (ibid.).

Ricadono stilisticamente nell’ottavo decennio le decorazioni a fresco «di diverse stanze e scala» del palazzo Branciforte dei principi di Butera, con il Trionfo di Apollo e il Trionfo di Diana nei saloni del piano nobile (Siracusano, 1986, figg. 97 s.).

In esse la lezione di Benefial sembra decisamente accantonata a favore di rinnovate adesioni a una pittura in cui cromie e note squillanti sono accostate a virtuosismi prospettici: scelte che riflettono i gusti della società, poco interessata a sperimentazioni formali, che predilige formule accademiche collaudate a una pittura visionaria o all’opposto realistica. Da qui il ricorso a un pieno barocchismo, seppure venato da caratteri «Luigi XV», in cui vigore costruttivo, sodezza plastica e accese cromie divengono canoni estetici, appropriati a conferire sussiego e maestosità, enfasi e retorica ai temi trattati, ma anche al ruolo sociale del committente (Guttilla, 2000, pp. 341 s.). Secondo quanto riferisce Gallo (pp. 71, 76), «gli ultimi due quadri ad olio furono da lui fatti in casa del marchese Geraci, ed essendo morto in questo lavoro, furono terminati dal figlio Ermenegildo», e per la stessa causa «forse» furono interrotte, e concluse dal figlio, le decorazioni, oggi distrutte, del palazzo.

Il M. morì a Palermo il 27 nov. 1779 (Gallo, pp. 74, 76: atto di morte in Giuliana Alajmo, p. 23).

Secondo Gallo (p. 71), per non recar «nocumento» ai figli, e in particolare a Ermenegildo, collaboratore e continuatore dell’opera paterna anche in provincia, il M. insegnò a pochi allievi, fra cui i figli del viceré Fogliani, O. Belluomo, F. Lo Valvo, A. e L. Lanzarotti.

Tra le opere del M. si ricorda ancora la correggesca Sacra Famiglia con angeli, di squisita fattura, citata (insieme con il bozzetto per un affresco della Gloria) nell’elenco delle opere della collezione Gallo donate nel 1874 dagli eredi e oggi nella Galleria regionale della Sicilia (inv. nn. 988 e 987: Salinas). Proveniente dalla chiesa del monastero di S. Giuliano, dove era collocato sull’altare di destra, è il pregevole dipinto, firmato e restaurato di Cristo mostra la croce (Palermo, Galleria regionale della Sicilia), citato da Gallo, insieme con una Assunta (non rintracciata) e con una tela dei Re magi, proveniente dalla omonima chiesa palermitana e ora al Museo diocesano (Gallo, p. 78). Sue opere sono anche in provincia: a Licata, nella chiesa di S. Angelo, una Pietà, firmata e datata 1772 (Aurigemma). Tra disegni e bozzetti vanno citati un disegno autografo di cornici (Palermo, Galleria regionale della Sicilia) e bozzetti per affreschi in palazzi palermitani; mentre disegni di un affresco con Gloria di santi e una figura femminile con brocca potrebbero essergli attribuiti (Sgadari di Lo Monaco, tavv. LXIII s.).

Fonti e Bibl.: Oltre a quanto citato nel corso della voce si veda: Palermo, Biblioteca comunale, Mss., 3.QqD.5: Annali della Congregazione dell’Oratorio piccolo di Palermo (sec. XVIII), vol. II, cc. 323, 592; QqE.263: G. Bertini, Estratto da vari autori intorno alla storia letteraria della Sicilia (sec. XIX), cc. 323, 476; F. Testa, De vita et rebus gestis Guilelmi II, Siciliae regis, Monreale 1769, pp. 3, 5, e passim; Fedele da San Biagio, Dialoghi familiari sopra la pittura, Palermo 1788, pp. 251, 253; A. Gallo, Parte seconda delle notizie di pittori e mosaicisti siciliani ed esteri che operarono in Sicilia (sec. XIX), a cura di A. Mazzè, Palermo 2005, pp. 69-74, 76-78; G.R. Granata, Duecento sessanta giorni in Palermo nel 1861. Biografia e gabinetto storico-scientifico di A. Gallo, Palermo 1863, p. 59; G. Meli, Pinacoteca del Museo di Palermo. Dell’origine, del progresso e delle opere che contiene, Palermo 1873, pp. 27, 63; A. Salinas, Breve guida del Museo nazionale di Palermo (1875), in A. Gallo, Autobiografia, a cura di A. Mazzè, Palermo 2002, pp. 90, 97 s.; G. Millunzi, Storia del seminario arcivescovile di Monreale, Siena 1895, pp. 153 s.; M. Accascina, in Le pitture del palazzo Comitini: note sul Settecento palermitano, in Dedalo, XII (1933), pp. 348-357; R. Giudice, Francesco Ignazio Marabitti, scultore siciliano del XVIII secolo, Palermo 1937, pp. 64-66, 132-139; P. Sgadari di Lo Monaco, Pittori e scultori siciliani dal ’600 all’800, Palermo 1940, pp. 82-84, tavv. LXIII-LXV; N. Marsalone, Il cavalier Gaspare Serenario: pittore siciliano del Settecento, Palermo 1942, p. 82; G.B. Comandè, Preminenti caratteri della pittura in Palermo in età barocca e tardo-barocca, in La Giara, III (1954), giugno-luglio, pp. 11 s.; A. Giuliana Alajmo, Il rimorso del pittore e il suo capolavoro, in Giglio di roccia, XV (1961), pp. 23-25; A. Coccia, S. Dorotea vergine e martire, Roma 1965, p. 88; F. Sparacio, L’altare della cappella del seminario, in La Voce del Seminario (Palermo), XXXI (1975), pp. 6 s. n. 4; P. Ceschi Lavagetto, in L’arte a Parma dai Farnese ai Borboni (catal., Parma), Bologna 1979, pp. 86-88, figg. 63 s.; A. Mazzè, Memoria di G. M., in Dicembre palermitano, Palermo 1979, pp. 3-6; G. Salvo Barcellona, Il palazzo Comitini: sede dell’Amministrazione provinciale di Palermo, Palermo 1981, pp. 64-66, 70; S. Rudolph, La pittura del ’700 a Roma, Milano 1983, p. 786, tav. 455; D. Malignaggi, in XII Catalogo di opere d’arte restaurate 1978-1981, Palermo 1984, pp. 198-203, tavv. CX s.; C. Siracusano, La pittura del Settecento in Sicilia, Roma 1986, pp. 325-334; M.G. Aurigemma, in XIV Catalogo di opere d’arte restaurate (1981-1985), Palermo 1989, pp. 129-131, tav. LXXX; G. Bongiovanni, Settecento pittorico: sembiante barocco e ragione classica, in L’anno di Guglielmo (1189-1989), Palermo 1989, pp. 299-304, figg. 6-8, 10; C. Siracusano, La pittura in Sicilia, in La pittura in Italia. Il Settecento, II, Milano 1990, p. 787; M. Guttilla, in L. Sarullo, Diz. degli artisti siciliani, II, a cura di M.A. Spadaro, Palermo 1993, pp. 340-342; G. Barbera, in I Normanni popolo d’Europa, 1030-1200 (catal.), a cura di M. D’Onofrio, Venezia 1994, pp. 533 s.; M. Vitella, Il Real Albergo dei poveri di Palermo, Napoli 1999, pp. 80 s.; L. Di Giovanni, Le opere d’arte nelle chiese di Palermo, a cura di S. La Barbera, Palermo 2000, pp. 85, 93 s., 221; M. Guttilla, Pittura e incisione del Settecento, in Storia della Sicilia, X, Roma 2000, pp. 340-342; E. D’Amico - R. Civiletto, in Mirabile artificio. Pittura religiosa in Sicilia dal XV al XIX secolo, a cura di M. Guttilla, Palermo 2006, pp. 132-135; M. Guttilla, Terre e altari. Aspetti di arte religiosa in Sicilia dalla maniera al neoclassicismo, ibid., pp. 68-70; Id., La falce, le stelle e il serpente. Rappresentazioni pittoriche dell’Immacolata Concezione tra Seicento e Settecento, in La Sicilia e l’Immacolata. Non solo 150 anni, a cura di D. Ciccarelli - M.D. Valenza, Palermo 2006, pp. 239-242; Id., Gli studi pionieristici di Maria Accascina sulla pittura del Settecento. Sviluppi, conferme e qualche novità, in Storia, critica e tutela dell’arte nel Novecento. Un’esperienza siciliana a confronto con il dibattito nazionale, a cura di M.C. Di Natale, Palermo 2007, pp. 300-315, figg. 2 s., 5; M. di Piazza, Arte moderna di Sicilia nei musei europei e americani ..., tesi di laurea, a.a. 2006-2007, Univ. di Palermo; A. Zambito, Palazzo Natoli: vicende artistiche dal secolo XVIII al secolo XX, tesi di laurea, a.a. 2006-07, Univ. di Palermo, app. documentaria, ad annum; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, p. 185.

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