BOLOGNETTI, Giorgio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 11 (1969)

BOLOGNETTI, Giorgio

Gaspare De Caro

Figlio di Giovanni Battista e di Cassandra Del Cavaliere, nacque a Roma il 22 dic. 1595. Si addottorò in giurisprudenza nello Studio romano e intraprese la carriera della prelatura, ottenendo nel 1621 la carica di referendario delle due segnature. Lavorando nella segnatura di giustizia alle dipendenze del cardinale Maffeo Barberini, se ne guadagnò la stima e la protezione e, quando il Barberini fu eletto al pontificato con il nome di Urbano VIII, entrò a far parte del gruppo dei collaboratori che il papa, con l'intenzione di dirigere personalmente la politica della Chiesa, trasse dal numero dei suoi antichi dipendenti di Curia. Nei primi anni del pontificato esercitò varie importanti cariche amministrative: fu governatore di Fano, poi di Ascoli, quindi membro della Consulta. Nel concistoro del 23 sett. 1630 fu creato vescovo di Ascoli Satriano, dignità che preludeva al suo impiego nei ranghi della diplomazia pontificia. Infatti l'8 nov. del 1631 fu designato nunzio presso la corte granducale di Toscana, assumendo la carica nel periodo in cui il pontefice era impegnato nella realizzazione di una lega tra i principi italiani da lui stesso presieduta.

Dopo la trionfale marcia di Gustavo Adolfo attraverso la Germania erano andate crescendo alla corte pontificia le preoccupazioni per gli obiettivi futuri dell'inarrestabile svedese; si temeva che egli avrebbe portato la guerra in Italia e correva voce di un suo accordo con i Grigioni per passare liberamente attraverso quel territorio durante la primavera successiva; addirittura si paventava una discesa degli Svedesi sino a Roma, a rinnovare il sacco della città di un secolo prima, e lo stesso Gustavo Adolfo autorizzava simili timori proclamando la sua intenzione di occuparsi personalmente della riforma dei preti di Roma. A queste minacce Urbano VIII tentò di replicare organizzando la resistenza di tutti gli Stati italiani minacciati in un'alleanza che, contrariamente ad analoghe proposte contemporaneamente avanzate al papa dalla Francia e dalle potenze asburgiche, doveva essere esclusivamente difensiva e rivolta soltanto contro il re di Svezia.In questo progetto la corte granducale ebbe un ruolo di primo piano e per conseguenza il B. fu lungamente e quasi esclusivamente impegnato in esso finché rimase a Firenze. Si trattò dapprima di convincere Ferdinando II a rinunziare a quelle che erano le più forti e non ingiustificate riserve: si obiettava infatti da parte fiorentina, e in questo senso erano stati anche compiuti dei tentativi in passato dalla diplomazia toscana, che soltanto una lega permanente degli Stati italiani contro ogni possibile aggressione della penisola avrebbe avuto una effettiva efficacia e avrebbe distolto i sospetti che da parte delle varie potenze europee si sarebbero sollevati contro quella iniziativa a senso unico; tanto più che limitare il problema all'Italia, ignorando la situazione di Germania, dove si era maggiormente esercitata la violenza anticattolica di Gustavo Adolfo, non poteva esser visto volentieri dalla Spagna, cui spettava per i suoi domini italiani la parte del principale contraente dell'alleanza. E se da un lato si scontentava la Francia con una lega diretta contro l'alleato svedese, non si diminuivano, con i limiti imposti all'iniziativa, i sospetti spagnoli di simpatie francesi del pontefice. Queste e infinite altre obiezioni spettò al nunzio di superare, nonché allo zelo dell'ambasciatore toscano a Roma Francesco Niccolini. E la corte granducale, guadagnata al progetto, si impegnò anche ad ottenere un'adesione di massima da parte della Spagna; ma poi il disegno non ebbe seguito, dapprima per le esitazioni di Urbano VIII a prenderne egli stesso la pubblica iniziativa, cosa che gli sembrava lesiva della neutralità pontificia, poi per i contrasti insorti tra la S. Sede e la Repubblica di Venezia, e finalmente perché altre analoghe iniziative diplomatiche lo sostituirono, alle quali il B. rimase estraneo.

Tra gli affari minori che intervennero nelle relazioni tra Firenze e Roma durante i due anni di nunziatura toscana del B. fu la questione dell'esame e poi della condanna dell'opera galileiana. In realtà, quando nel 1632 fu deciso a Roma l'esame da parte del S. Uffizio del Dialogo dei massimi sistemi, nonostante il tentativo fatto dal granduca di evitare la cosa, il B. ricevette dal segretario di Stato Francesco Barberini l'indicazione di ignorare ufficialmente la decisione, e comunque di non "parlarne né molto né poco". Tuttavia il Barberini incaricava il nunzio di evitare la diffusione del libro fuori della Toscana; in Curia si era infatti avuta notizia che il Galilei meditava di spedirne parecchie copie fuori dello Stato: al B. spettava dunque di seguire queste eventuali spedizioni e di avvertirne le autorità ecclesiastiche degli Stati confinanti, affinché si potesse procedere tempestivamente al sequestro delle copie dell'opera incriminata senza aprire ufficialmente la questione a Firenze. E una volta deliberata la condanna del filosofo, il B. fu incaricato dal S. Uffizio, nell'agosto 1633, di notificare il provvedimento in Toscana, "perché se n'habbia notizia da ciaschuno e particolarmente da tutti i professori di filosofia e matematica, acciò, comprendendo essi la gravità dell'errore commesso dal medesimo Galilei, possino evitarlo, insieme con la pena che, cadendovi, sarebbero per ricevere" (G. Galilei, Le Opere, XV, p. 242).

Il B. fu trasferito alla nunziatura di Francia il 26 marzo 1634, in sostituzione del cardinale Alessandro Bichi. Soprattutto, dal punto di vista religioso, preoccupavano la S. Sede i rapporti di alleanza stabilitisi negli ultimi anni tra la Francia e le potenze protestanti, che avrebbero potuto provocare all'interno del paese una reviviscenza del movimento calvinista. Spettava al B., secondo le istruzioni, di ricordare a Luigi XIII ed ai suoi ministri "che la principal mira de gl'eretici è di sovvertir il regno e la monarchia, e che non può mai assicurarsi ch'alcuna promessa, ch'eglino facciano a pro' della religione, non habbi da esser rotta ogni volta che loro verrà buona occasione di farlo" (Recueil, p. 174). Proseguendo nelle premure che già aveva avuto per questi problemi il suo predecessore, il B. doveva tornare a chiedere al re l'espulsione degli eretici da Pinerolo e dalla diocesi di Saluzzo, e doveva ancora sollecitare l'intervento del re di Francia presso i Grigioni per ottenere la riammissione nella provincia di Rezia dei cappuccini, introdottivi nel 1624 dall'arciduca Leopoldo d'Austria e scacciatine tre anni dopo quando, con l'aiuto dell'esercito francese, i Grigioni si erano liberati dalla dominazione asburgica.

Altri affari importanti erano le relazioni con la Sorbona ed il problema di una censura più energica sulla stampa. Sul primo le istruzioni ricordavano al B. che "il collegio della Sorbona non solo è capo dell'Università di Parigi, ma è in certo modo oracolo di tutta la Francia" (Recueil, p. 176): quindi occorreva estrema cautela nell'avversarne le posizioni, evitare di discutere i privilegi e le tradizioni su cui fondava la propria autorità, cercarvi piuttosto confidenti e appoggi occulti e attraverso di loro condurre la lotta contro i gallicani e le loro "strane e perverse opinioni" (ibid.). Analogo atteggiamento si consigliava per i rapporti con il Parlamento di Parigi e quelli regionali. Quanto al secondo problema, "la licenza della stampa in Parigi et in tutta la Francia è ridotta a tal eccesso, che non vi è cos'abominevole ancora contro la persona del re e de' suoi ministri principali, che, senza tema d'alcuna pena, non si facci imprimere e compito del nunzio era di esercitare sul governo francese le più energiche pressioni perché fossero prese in proposito misure adeguate, giacché "la licenza di stampare nudrisce gli errori antichi e ne fa nascer di nuovi" (ibid., pp. 180 s.).

Ma "il maggiore e più importante affare che hoggi si maneggia in Francia et alle corti Cesarea e Catolica" era quello di un accordo tra le potenze cattoliche, dal quale "dipende il male et il bene della cristianità e della religione catolica in Germania" (Recueil, p. 191). E in questo, in realtà, fu sostanzialmente impegnato il B. durante la sua nunziatura a Parigi, rimanendo ai margini della sua attività tutte le altre questioni, oppure inserendosi in questa maggiore a variegare il quadro complesso dell'intenso lavorio diplomatico di quegli anni.

Al momento in cui il B. assunse effettivamente la nunziatura, nel luglio del 1634, tutti gli sforzi della diplomazia pontificia erano diretti a far accettare alle corti asburgiche ed a quella francese la proposta di un congresso di pace che avrebbe dovuto tenersi a Roma per quello che riguardava le potenze cattoliche, rinviando ad altra sede gli accordi con le potenze protestanti; di fronte alle ripulse spagnole a tenere il congresso a Roma (a Madrid si sospettava il papa di simpatie per i Francesi), si propose da parte pontificia una rosa di città neutrali come sede dell'incontro, fermo restando il principio di trattative separate con i protestanti. Ma la difficoltà reale alla realizzazione della proposta pontificia, del resto mai nettamente respinta dai contendenti e anzi favorevolmente accolta alla corte imperiale ed a quella di Parigi - con meno sincerità tuttavia in quest'ultima -, era la situazione politica generale che inclinava ormai ineluttabilmente all'intervento in guerra della Francia. Questo significato - come fu compreso bene alla corte di Roma, sebbene vi continuasse l'illusione di poter scongiurare il conflitto generale - ebbe nell'autunno del 1634 l'occupazione della Lorena da parte dei Francesi. Invano il B. protestò contro l'aggressione ad un paese cattolico: il risentimento di Luigi XIII e del cardinale di Richelieu contro Gastone d'Orléans e contro Carlo di Lorena rendevano tanto più difficile una riconciliazione ed una rinunzia all'occupazione della regione, così come il B. non si stancò di chiedere alla corte di Parigi. Ma dal punto di vista dell'alleanza tra Francesi e Svedesi soprattutto, tanto osteggiata dalla corte pontificia, l'episodio assumeva una indubbia gravità, poiché fiancheggiava anche dal punto di vista militare l'occupazione svedese dell'Alsazia. Alle rimostranze del B. il Richelieu replicava che le iniziative aggressive degli Asburgo minacciavano la Francia e che se Spagna e Impero avessero rinunziato ad esse, impegnandosi a rispettare la situazione francese in Italia e sul Reno, egli sarebbe addivenuto ad una pace generale, avrebbe rotto l'alleanza con i principi protestanti di Germania, con gli Olandesi e gli Svedesi, avrebbe restituito lo Stato a Carlo di Lorena. A queste proteste il nunzio non era in grado di replicare altrimenti che in nome dei superiori interessi della religione cattolica e prospettava l'idea di una crociata contro il Turco, l'anacronistica illusione di Urbano VIII, come coronamento di una pacificazione generale delle potenze cattoliche.

Ma quando la vittoria degli Imperiali e degli Spagnoli a Nördlingen sugli Svedesi e sui loro alleati tedeschi, salutata a Roma come un trionfo della religione, non ebbe palesemente altro effetto se non di accostare ancor più la Francia agli eretici (il 1º nov. 1634 questi consegnavano alla Francia l'Alsazia e la riva destra del Reno), vennero meno anche le ultime speranze, se non gli ultimi tentativi, della diplomazia pontificia: questa anzi dovette fronteggiare le rinnovate pressioni francesi per indurre Roma a rinunziare alla sua posizione di neutralità.

Invano negli ultimi mesi precedenti l'entrata in guerra della Francia Urbano VIII inviò a Parigi come nunzio straordinario, a fiancheggiare il B., Giulio Mazzarino. Da questo momento il nunzio ordinario non ebbe che un ruolo secondario rispetto al ben più abile negoziatore pontificio; ma neanche al Mazzarino riuscì di avvicinare di un solo passo la posizione di Luigi XIII e del cardinale di Richelieu all'idea di un congresso di pace con gli Asburgo. In effetti gli atti ostili del governo francese contro Spagnoli e Imperiali si andarono moltiplicando ad un ritmo chiarificatore per tutti, meno che per la Curia romana: del febbraio è la stipulazione di un nuovo trattato franco-olandese per la lotta contro gli Spagnoli nei Paesi Bassi, del marzo l'occupazione della Valtellina da parte del duca di Rolian, che taglia le comunicazioni tra la Lombardia spagnola ed il Tirolo, dell'aprile la convenzione i Compiègne con la Svezia. In questa situazione appaiono solo patetiche le proteste che il B. presentava al re di Francia, esprimendo la disapprovazione di Sua Santità di "tutte l'alliance con gli heretici" (Recueil, p. 593) e la richiesta di "ridurre in pristino le cose nella Valtellina et farne ritirare le sue armi" (ibid., p. 591).

E finalmente, il 19 maggio 1635, la Francia entrava in guerra, dando l'ultima sanzione al generale fallimento della politica di Urbano VIII. Ma non per questo il pontefice rinunziava ad essa ed il B., che rimase ancora quattro anni a Parigi dopo l'apertura del conflitto, continuò stancamente ed inutilmente a negoziare armistizi e a proporre accomodamenti nella prospettiva della pace che Urbano VIII non doveva vedere.

Il B. cessò dalla nunziatura di Parigi l'8 ag. 1639 e fece ritorno in Italia. Da allora rinunziò ad ogni attività diplomatica, per dedicarsi esclusivamente a quelle episcopali. Nel 1637 si era discusso a Roma il suo trasferimento dalla diocesi di Ascoli Satriano alla sede arcivescovile di Nazareth, con residenza a Barletta, ma poi la cosa non ebbe seguito, sebbene alcuni autori attribuiscano al B. quell'arcivescovato. Il 28 febbr. 1639 fu invece trasferito alla diocesi di Rieti, della quale prese effettivamente possesso al suo ritorno dalla Francia. Qui risiedette per circa un ventennio, impegnandosi nella riforma del clero, riunendo un sinodo nel 1647, del quale pubblicò gli atti, e restaurando il palazzo episcopale.

Il 5 maggio 1660 si trasferì definitivamente a Roma, rinunziando all'episcopato e impegnandosi in varie opere di assistenza e beneficenza. È ricordata in particolare la sua intensa attività in favore degli ospedali romani di S. Giovanni Calabita, di S. Maria della Consolazione e della SS. Trinità dei Pellegrini. Morì a Roma il 7 genn. 1686.

Fonti e Bibl.: Constitutiones synodales editaeet promulgatae indiocesana synodo Reatina, Romae 1647; G. Galilei, Le Opere, XIV-XX, Firenze 1904-1907, ad Indices; Recueil des instructionsgénérales aux noncesordinaires de France de 1624 à 1634, a cura di A. Leman, Lille-Paris 1920, pp. 162-203; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, I, Venezia 1717, col. 1216; VIII, ibid. 1721, coll. 136 s.; G. Cappelletti, Le chiese d'Italia, V, Venezia 1846, pp. 341-344; XIX, ibid. 1864, p. 148; P. Desanctis, Not. stor. sopra iltempio cattedrale e la serie dei vescovi di Rieti, Rieti 1887, p. 94; A. Leman, Urbain VIII et la rivalité de la France et de la Maisond'Autriche de 1631 à 1635, Lille-Paris 1920, passim; L. von Pastor, Storia dei papi, XIII, Roma 1931, passim; B. Katterbach, Referendarii utriusquesignaturae, in Studi e testi, Città del Vaticano 1931, pp. 265, 286; H. Biaudet, Les nonciatures apostoliques permanentes júsqu'en 1648, Helsingfors 1910, pp. 221, 224, 255; P. Gauchat, Hierarchia catholica mediiet recens. aevi, IV, Monasterii 1935, pp. 96, 254; G. Moroni, Diz.di erudiz. stor. eccles., XLIX, p. 279; LVII, p. 236.

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