CAPOBIANCO, Giorgio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 18 (1975)

CAPOBIANCO, Giorgio (Giovan Giorgio)

Lionello Puppi

La prima notizia sul C. risale al 21 ott. 1524, che lo vede testimone ad un atto rogato in Vicenza (Mantese); altro dato è del 17 dic. 1537, quando l'Aretino, indirizzandosi da Venezia a Fausto da Longiano, rammenta con tono di scherno tre "macchine" famose di un "Georgio Vincenzio" nel quale si riconosce trasparentemente il C.: è, dunque, probabile che questi, alle date, non fosse più giovanissimo talché se ne potrebbe fissar l'anno di nascita intorno al 1500. D'altra parte, la "matricola" della fraglia degli orefici di Vicenza registra due volte nel 1536 - il 31 marzo, in calce ad una modifica statutaria, e il 28 giugno - il nome di un "magister Georgius de Scledo", accanto a quello prestigioso di Valerio Belli; e, poiché sappiamo il C. non tanto vicentino ("Georgius Caputblancus vicentinus aurifex", lo certifica G. Barbarano, 1566, smentendo l'affermazione di una provenienza bresciana, del Cardano, 1551) e appartenente ad una famiglia di orefici (un "Zuanpiero Caobianco" risulta "sindico" della fraglia l'8 nov. 1542; numerosi altri appariranno in seguito), quanto originario di Schio, è probabile che si tratti del personaggio in questione. In ogni modo, l'attività del C. dovette svolgersi per tempo a Venezia dove, pochi anni dopo il ricordo epistolare dell'Aretino, il Viola (1546) torna a rammentare quello che altri (Marzari) descriverà come un "horologio dentro di un portatile annello, che haveva intagliati nella testa i dodici celesti segni, con una figurina fra mezo, che signate mostrava per numero l'hore del giorno et notte pulsanti" e una nave d'argento con le figurette dei marinai e dei nocchieri sulla tolda, "camminando tuttavia essa nave sopra di una tavola per artificio di ruote, et spanole occulte". Le fonti avvertono che l'anello era stato dal C. eseguito e donato a Guidobaldo II Della Rovere, mentre la nave semovente era stata offerta dalla Signoria veneta a Solimano il Magnifico: ma la frequenza, assai per tempo, dei rapporti del duca d'Urbino con Venezia e l'arco ampio del regno del sovrano turco, dal 1520 al 1566, non consentono di utilizzare le notizie ai fini di una sicura precisazione cronologica, talché vale solo il termine ante quem del 1537 fornito dall'Aretino. Neppure è possibile datare con certezza, sebbene sia stato indicato l'anno 1550 (F. Barbarano), l'oscuro episodio che, per star ad alcune fonti peraltro attendibili, vide il C. coinvolto in un omicidio, pesantemente incriminato e minacciato di gravi sanzioni penali che solo l'intervento sollecito ed energico, presso il governo della Serenissima, di Guidobaldo poté scongiurare senza però risparmiare all'artista, sembra, un provvedimento d'esilio. I rapporti del C. con la corte urbinate, del resto, dovevano essere altrettanto stretti che cordiali, ed è probabile che il legame fosse stato allacciato entro il vivacissimo circolo culturale di Giangiacomo Leonardi, residente del duca a Venezia. Resta il fatto che anche apprendiamo dalle fonti (Marzari), di un soggiorno, evidentemente in seguito all'allontamento da Venezia, in quel di Urbino - su cui sinora han taciuto le carte d'archivio del Fondo Della Rovere conservato all'Archivio di Stato di Firenze per dirigere uno spettacolo pirotecnico nel quale il C. "fece una cometa di fuochi artificiali che si estese per gran spazio in aria, con lampi, tuoni et moti diversi che diede a risguardanti non minor meraviglia che terrore". Nella stessa congiuntura, forse, il C. presentava alla duchessa una scacchiera d'argento così "minuta" che "in un sol picciolo guscio di ciriegio si rinchiudeva". È comunque, suggerita dalle fonti un'attività del personaggio, in qualità d'ingegnere, al servizio della Repubblica veneta, che sarà da riferire a epoca precedente l'esilio; in tal ruolo egli avrebbe messo a punto una sorta di grata in ferro assai funzionale ed efficace per dragare e liberar dai depositi di fango i canali veneziani. In realtà, la preparazione dello strumento, e la sua stessa eventuale realizzazione e applicazione, non comporta obbligatoriamente una presenza dell'inventore a livello esplicito ed ufficiale d'impiego: l'approntamento, e la presentazione di analoghe macchine, per quel che si può constatare, è assai frequente e dipende per lo più da private iniziative che non vincolano di necessità l'autorità (si veda, per eempio, alla Bibl. naz. Marciana di Venezia, il cod. It., cl. VII) 394, passim e, in part., c. 305).

In ogni modo, dovette venire al C. la reputazione cui forse è da riferire la chiamata a Milano da parte di Ferrante Gonzaga per assumere compiti di elevata responsabilità nei lavori per il Castello e per altre strutture difensive: una volta di più, in momento cronologico che la sfocata informazione delle fonti lascia indeterminato e che la mancanza di qualsiasi registrazione del C. negli elenchi (comunqe a partire dal 1564) del Liber creationum del Collegio degli agrimensori, ingegneri e architetti di Milano e nei repertori della Raccolta Ferrari all'Ambrosiana costringe ad affidare alla mera ipotesi. È noto di fatto che la revisione e l'ampliamento delle difese milanesi inizia nel 1546 e che conosce il massimo fervore nel 1558-1560, sebbene poi, a partir proprio dal 1560, la fabbrica del Castello conosca le più importanti azioni di riforma. Come che sia, la presenza lombarda del C. dovette tradursi pure nell'impegno più congeniale di orefice: il Marzari assicura d'aver personalmente veduto nel duomo una mirabile lampada, cesellata con le scene della vita, della passione, della morte e della resurrezione di Cristo, che, però, sorprendentemente P. Morigia (La nobiltà di Milano, Milano 1595) non registra. In verità, delle "opere meravigliose, et di stupendo magisterio" legate al nome del C., che i contemporanei proclamano "novo Prassitele", nulla ci è pervenuto: e dobbiam prendere atto che, pure dell'altarolo in cristallo, conservato intorno alla metà del Seicento nel palazzo Gualdo di Vicenza, non esiste più traccia, così come del meccanismo, donato al cardinal Sedunense, dell'orologio posto dentro a un candeliere onde, battendo le ore, accendeva le candele (Marzari) o della "figura che balla per la camera da se stessa" (Aretino).

Per giunta, qualche tentativo d'attribuzione, volto a sostanziar di possibili referenze concrete la figura tanto sfuggente dell'intagliatore, risulta fragile e vano. Sicuramente estranee al C. son le due medaglie celebrative di Guidobaldo II Della Rovere assegnate dal Morsolin: l'una, infatti, che A. Armand scheda nella allora collezione T. W. Greene di Winchester (Les médailleurs italiens..., I, Paris 1883, pp. 186 s.), fu coniata in onore del duca come "reaedificator Senogallie" nel 1555 circa ed è segnata "BC", talché spetta a Bartolomeo Campi; l'altra, appartenente alle raccolte del Kunsthistorisches Museum di Vienna (ibid., III, Paris 1887, p. 81)risulta firmata "G. B. Capo", cioè Giambattista Capocaccia. Nemmeno esistono prove (semmai, solo ragioni contrarie, d'ordine cronologico) che permettano di riconoscere nel C., in accordo con il Rumor, l'artefice del modello in argento, della città di Vicenza, votato dal civico Consiglio il 18 marzo 1577per impetrar la protezione della Madonna davanti alla minaccia della peste e realizzato l'anno successivo (ma "accresc[iuto]" intorno al 1584):con sicurezza, si può soltanto affermare che l'opera - fusa nel Seicento - fu eseguita "con il consiglio de molti eccellentissimi maestri de Venetia et di messer Andrea Palladio" da un orefice innominato e irriconoscibile al momento attuale delle nostre conoscenze.

L'ultima parte della vita fu trascorsa dal C. in Roma, dove sembra che si fosse trasferito insieme con un figlio - Iseppo - per assumer l'incarico di "regulatore" o "governatore" della "pontificia libreria" (Marzari, Gualdo): ma, come in ogni altra circostanza, constatiamo, in capo a un controllo degli schedari e dei repertori della Biblioteca Apostolica Vaticana, che ci manca il conforto dei documenti diretti, anche per quel che riguarda la morte che sarebbe avvenuta mentre il C. esercitava il nuovo ufficio, e dunque a Roma, nel 1570.

A dispetto delle carenze e delle incertezze denunciate dell'informazione, la personalità del C. si presenta, nei tratti restituibili e attendibili, d'importante e suggestivo rilievo. Il polarizzarsi degli interessi e dell'attività nell'invenzione e nella costruzione di macchine ingegnose - cui naturalmente s'associa l'attenzione per l'idraulica e per l'ingegneria militare - scaturisce da una coscienza oggettiva del significato delle "artes mechanichae" profondamente diversa da quella tradizionale e appartiene ai fermenti suscitati, in seguito alla rivoluzione copernicana e alle grandi scoperte geografiche, dall'ampliamento dei confini del mondo conosciuto, terrestre e celeste, in corso dall'avvio del secolo XVI, e raccolti, a livelli teorici, per non dir d'altri, da un Biringuccio - con il suo De la pirotechnia, apparso a Venezia nel 1540 - o da un Agricola - con il De natura fossilium, apparso nel 1546e con il De re metallica, uscito nel 1556 -, ma captati e tradotti in impegno attivo dai tecnici e dagli artigiani superiori. La citazione e l'elogio del C., espresso per tempo da teorici quali il Cardano e il Baldi, son significativi e chiarificatori. Le sue invenzioni, quindi, non tanto spettano ad un gusto "licenzioso" e, in qualche misura, manieristico per la bizzarria e il meraviglioso quanto (e magari oscuramente) a un'intenzione che sottintende la consapevolezza che la realtà naturale può essere trasformata grazie alla conoscenza in un'applicazione, d'ordine progettuale ed esecutivo, nella costruzione di macchine.

Si tratta così di un atteggiamento ricco di stimoli eversivi rispetto alla tradizione codificata, anche per tutto quanto comportava di contestazione della nozione dell'indegnità delle arti meccaniche: talché ci si chiede quali possano essere stati i circoli frequentati, eventualmente a Vicenza e soprattutto a Venezia, dove anche si potrebbe pensare a un duro scontro di posizioni e a un conflitto di principî che lo scherno dell'Aretino (non per caso, espresso ad un esponente della "retorica" quale il Longiano) par rivelare e, forse, lo strano episodio dell'accusa di omicidio seguita dal decreto d'esilio sembra confermare. Resta a dire che non son stati accertati legami di parentela tra il C. e altri Capobianco documentati a Vicenza durante il Cinquecento, quali ad esempio Giampietro e Paolo, né con quell'"Alessandro Capo Bianco di Vicenza capo de Bombardieri a Crema" autore della fortunata Corona e palma militare di artiglieria (Crema 1598), il cui manoscritto conservasi nella Bibl. naz. Marciana, cod. Zanetti Ital. 85, cc. 13v-14r; (dove è conservata pure una sua "carta" della città di Crema: cod. Ital., cl. VI, 189, n. 13).

Fonti e Bibl.: Vicenza, Bibl. Bertoliana, mss. Gonzati, 22.6.8: Fraglia degli Orefici; Ibid., mss. Gonzati, 26.5.4.: L. Trissino, Artisti vicentini, c. 27; Ibid., G. Da Schio, Memorabili, lettera C, sub voce; P. Viola, De veteri novaque Roman. temporum ratione libellus, Venetiis 1546, p. 12v; G. Cardano, De subtilitate, Lugduni 1558, libri II e XVII; G. Barbarano, Vicetiae monum. et viri illustres…, Vicetiae 1566, p. 10v; Id., Promptuarium rerum…, II, Venetiis 1567, p. 53; G. Marzari, Della hist. vicentina, Venetia 1590, pp. 189 s.; P. Aretino, Il secondo libro de le lettere, Parigi 1609 (cfr. l'edizione F. Pertile-E. Camesasca, Lettere sull'arte di Pietro Aretino, I, Milano 1957, lettera LXIII, p. 103); B. Baldi, Di Herone Alessandrino degli automati overo machine semoventi Libri due tradotti..., Venetia 1601, p. 8; S. Castellini, Storia di Vicenza [1630], Vicenza 1822, XIV, pp. 42-44; G. Gualdo, 1650. Il Giardino di Chà Gualdo, a cura di L. Puppi, Firenze 1972, pp. 5 s., n. 1; F. Barbarano, Historia ecclesiastica di Vicenza [1650 circa], IV, Vicenza 1760, pp. 412 s.; Angiolgabriello di Santa Maria, Biblioteca e storia di quegli scrittori... di Vicenza, IV, Vicenza 1778, p. 122; G. Tiraboschi, Storia della letter. ital., XXIII, Venezia 1924, pp. 2116 s.; B. Morsolin, G. C., in Arte e storia, IX (1890), pp. 108-110; S. Rumor, Storia docum. del Santuario di Monte Berico, Vicenza 1911, pp. 350-352; G. Fasolo, Notizie di arte e di storia vicentina, in Arch. veneto, LXVIII (1938), pp. 292-294; G. G. Zorzi, Le chiese e i ponti di A. Palladio, Venezia 1966, pp. 154-156, docc. 1-9; F. Barbieri, La pianta prospettica di Vicenza del 1580, Vicenza 1973, p. 30; G. Mantese, Memorie storiche della Chiesa vicentina, IV, p. I, Vicenza 1974, p. 752; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, pp. 541 s.

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