GIORGIO di Matteo da Zara

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 55 (2001)

GIORGIO di Matteo da Zara (Giorgio Dalmata, Giorgio Orsini, Giorgio da Sebenico, Juraj Matejev Dalmatinac)

Maria Grazia Ercolino

Nacque probabilmente a Zara in Dalmazia prima del 1420 (Chiappini di Sorio, 1973).

Il padre, Matteo, forse era un lapicida di origine dalmata impegnato nei lavori per la costruzione della cattedrale di Zara (Fosco, p. 12). Il cognome Orsini, comunemente assegnato a G. nel passato, in realtà fu adottato dal figlio Paolo molto tempo dopo la morte del padre (Galvani, p. 162).

Ignoto rimane il periodo della sua formazione artistica; tuttavia l'esame filologico e l'analisi stilistica delle sue opere lo collocano in ambito veneziano. È probabile che G. sia giunto in gioventù a Venezia forse in occasione di qualche fornitura di pietra d'Istria proveniente dalla cava in cui aveva appreso i primi rudimenti del mestiere. Il suo apprendistato si svolse presumibilmente presso una delle botteghe più importanti del tempo, quella di Giovanni e Bartolomeo Bono.

Le evidenti affinità rilevate tra alcune opere realizzate da questa bottega e i lavori documentati di G., hanno indotto a ritenere quasi concordemente che il rapporto di dipendenza si fosse trasformato nel tempo in collaborazione e che G., pur non comparendo nei documenti, fosse direttamente responsabile di parte dell'impostazione progettuale ed esecutiva dei lavori affidatigli (D'Elia, p. 213). Tra il 1435 e il 1440, partecipò probabilmente alla costruzione e al completamento dell'ala meridionale di palazzo ducale; in particolare, all'esecuzione di alcuni elementi scultorei della porta della Carta e alla costruzione dell'arco Foscari.

Una probabile conferma della presenza di G. a Venezia è data anche dalla lista degli appartenenti alla Confraternita della Scuola di S. Cristoforo alla Madonna dell'Orto (mariegola del 1377-1546), in cui due volte è citato un "Ser Zorzi di Mathio taiapietra" (Markham Schulz, p. 77).

Secondo parte della critica G. potrebbe essere identificato con lo "Schiavone che fece assai cose in Venegia" ricordato da Vasari (1568) tra gli allievi di F. Brunelleschi. Data la profonda conoscenza dell'arte toscana del primo Rinascimento che traspare in tutto il suo operato, non si può escludere un suo soggiorno, intorno al 1435, a Firenze (Gvozdanovic).

La prima notizia certa riguardante G. risale al giugno del 1441, quando venne nominato protomagister della cattedrale di Sebenico per sei anni, in sostituzione di Antonio di Paolo Dalle Masegne allontanato per incompetenza, e con l'obbligo di risiedere nella città e di non accettare altri incarichi senza il permesso dei procuratori della fabbrica; alla stipula del contratto G. risultava residente a Venezia e sposato con Elisabetta, figlia del mastro carpentiere veneziano Gregorio Del Monte (Frey, 1913, pp. 131 s., 166).

Il contratto attribuiva a G. la responsabilità dell'opera e la piena autorità sui lavoranti; non v'è dubbio pertanto che fosse stato chiamato sulla garanzia di una sicura reputazione. Al momento del suo arrivo, la fabbrica, avviata nel 1431, era stata realizzata in altezza fino alla cornice ogivale dei muri perimetrali (Puppi, p. 166). Il progetto elaborato da G. introdusse notevoli mutamenti nella pianta originaria - un semplice schema basilicale a tre navate - attraverso il complesso coordinamento del transetto e della crociera su cui si innesta la slanciata cupola ottagonale; le navate a loro volta furono ampliate in lunghezza e concluse da tre absidi semicircolari. Nel settembre del 1443 l'architetto portò a termine, come ricorda un'iscrizione sull'abside settentrionale, la costruzione delle absidi e, alla fine dell'anno seguente, il battistero. A questo periodo risalgono anche la decorazione scultorea dell'edificio, in particolare il fregio absidale esterno nel quale spiccano settantadue teste scolpite a tutto tondo, la volta del battistero, caratterizzata da raffinati bassorilievi con l'Eterno in gloria circondato da delicate figure di Angeli, e il fonte battesimale. Da tali opere risulta come G. conoscesse a fondo l'arte toscana del primo Quattrocento; per esempio i putti che sorreggono il cartiglio con l'iscrizione absidale richiamano quelli presenti nel rilievo donatelliano con l'Annunciazione nella chiesa di S. Croce a Firenze, così come i motivi sulla volta del battistero si avvicinano allo "stiacciato" donatelliano.

Che il cantiere della cattedrale fosse ben avviato si deduce dal fatto che, a partire dal marzo del 1444, G. accettò anche altri lavori. Prese infatti accordi con i rappresentanti di alcune famiglie nobili di Sebenico per l'edificazione di nove cappelle gentilizie, con i rispettivi altari, all'interno della stessa cattedrale (Frey, 1913, pp. 135 s.). Si impegnò con i frati del monastero di S. Francesco a Zara per la costruzione di tre cappelle, con ornati, da eseguire in tre anni per una somma di 285 ducati d'oro; come risulta dai pagamenti, tali lavori furono condotti a termine ma non ne resta traccia (Praga, 1928, pp. 20, 22-24). Inoltre, fu incaricato dalle suore benedettine di Spalato di costruire una cappella con la tomba di S. Rainerio, nel chiostro del loro monastero (Fosco, p. 13); di quest'opera, completata nel giugno del 1448, rimane solo il sepolcro, trasportato, in epoca successiva, nella chiesa parrocchiale di Castel Vitturi (Kaštel Lukšić).

Nel settembre del 1446, allo scadere del contratto con i canonici della cattedrale di Sebenico, la convenzione fu rinnovata per i successivi dieci anni; i nuovi patti prevedevano una maggiore libertà per G., al quale era concesso di lasciare la città per seguire altri lavori, di risiedere per due mesi l'anno a Venezia e, soprattutto, di aumentare il numero dei suoi collaboratori a spese della fabbrica. Da ciò si deduce come G. fosse anche un capace imprenditore, in grado di seguire più cantieri contemporaneamente. Un numero considerevole di documenti dimostra del resto come, parallelamente alla sua attività artistica, egli mantenesse sempre quella di importatore e fornitore di pietra d'Istria per conto delle principali fabbriche dell'area adriatica (Markham Schulz, pp. 87-91).

Nel gennaio del 1447 G. fornì a due suoi collaboratori, L. Pincino da Venezia e A. Butcich, il progetto per il sepolcro di Nicolò e Stefano Draganich da erigere nella chiesa di S. Francesco a Sebenico; il monumento fu condotto a termine e si trova attualmente nel cimitero di Pirovac, nei pressi della città. Nel giugno dell'anno successivo accettò dai procuratori della cattedrale di Spalato l'incarico di erigere, all'interno di questo edificio, la cappella di S. Anastasio, compreso l'altare, su modello del sacello antistante dedicato a S. Domnio costruito nel 1427 da Bonino da Milano.

Il contratto prevedeva il riutilizzo del materiale appartenente all'antica cappella con un impegno esecutivo di due anni e mezzo e un compenso di 306 ducati (Frey, 1913, pp. 141 s.). Una serie di ricerche, condotte nell'attuale cappella, ha messo in luce numerosi elementi lapidei quattrocenteschi nonché alcune lastre di pietra, appartenenti a un ciborio medievale, reimpiegate come gradini dell'altare; il che conferma come G. avesse rispettato con scrupolo le disposizioni dell'accordo.

Alla fine del 1448 le condizioni economiche di G. avevano certamente raggiunto un notevole livello di agiatezza; in questo anno infatti costituì una società con il cognato Pietro Del Monte e con G. Nicolini per intraprendere il commercio di spezie e tessuti (ibid., p. 143). Tra la metà di novembre e il principio di dicembre dell'anno successivo perfezionò il contratto per la realizzazione, all'interno della cattedrale di Zara, della lapide sepolcrale dell'arcivescovo Lorenzo Venier, morto in quell'anno (Markham Schulz, p. 88); probabili frammenti di questa lapide sono stati rinvenuti, per quanto molto deteriorati, reimpiegati come lastre pavimentali nella chiesa zaratina di S. Grisogono. Nello stesso periodo si recò anche nell'isola di Pago per stipulare con la Comunità un accordo per l'edificazione di una nuova città destinata a sostituirsi a quella antica giudicata poco sicura. Tornato a Sebenico, incaricò il lapicida G. Strelich e il mastro V. Marcovich della realizzazione, su suo progetto, della cinta muraria e di una torre (Frey, 1913, p. 148).

All'inizio del 1450 il vescovo di Sebenico, Giorgio Sisgorić, prese accordi con G. per la costruzione della sacrestia accanto alla cattedrale secondo il modello in terracotta realizzato qualche tempo prima dall'architetto. Nella primavera dell'anno successivo tuttavia le spese sostenute furono ritenute eccessive e fu stipulata una nuova convenzione che prevedeva, entro il novembre del 1453, la fine dei lavori, nonché il pagamento a carico di G. del debito contratto per l'eccessivo acquisto di materiali. Sempre nel 1450, stando alle cronache anconitane di Lazzaro Bernabei (1497), G. giunse ad Ancona su invito dell'armatore e nobiluomo anconitano Dionisio Benincasa, che gli affidò il compito di progettare la facciata del palazzo di famiglia (Gianuizzi, p. 417). Durante la permanenza in questa città G. ricevette, con ogni probabilità, anche l'incarico di realizzare l'accesso principale e la scalea monumentale per la trecentesca chiesa di S. Maria Maggiore che da questo momento prese il titolo di S. Francesco delle Scale. Una serie di documenti attesta infatti come, a partire dal novembre del 1450 e per tutto l'anno seguente, G., tornato a Sebenico, abbia incaricato alcuni lapicidi attivi nelle cave di Brazzà di realizzare, su suoi disegni, una serie di sculture destinate alla decorazione del portale (Frey, 1913, pp. 151, 155).

Il portale dell'edificio, anche se in parte modificato da un successivo intervento, ha forme imponenti e richiama l'impianto architettonico della porta della Carta a Venezia; ripartito in un doppio ordine separato da una cornice riccamente scolpita, appare delimitato da due alti pilieri laterali ornati da statue di santi e conclusi da un complesso baldacchino semiesagonale con cuspidi gemmate.

Il 22 ott. 1451 il Consiglio degli anziani di Ancona accettò il progetto per l'esecuzione della facciata della loggia dei Mercanti che "magister Giorgio de Sibiniquo" aveva proposto di sua iniziativa attraverso la mediazione di Benincasa; G. raggiunse Ancona prima della fine dell'anno per sottoscrivere il contratto (Gianuizzi, pp. 413-415, 417 s.).

All'inizio dei lavori è assai probabile che, a causa dei numerosi impegni, l'architetto si sia avvalso della collaborazione del suo allievo Andrea Alessi, il quale, nell'aprile del 1452, si impegnava a eseguire numerosi elementi scultorei (architravi, bifore, basi e capitelli) e a rifinire quattro statue destinate presumibilmente alla facciata anconitana (Frey, 1913, pp. 153 s.). Pur leggermente alterato da successivi rifacimenti, l'edificio presenta una facciata con arcate al piano terra e una serie di bifore, oggi tamponate, a quello superiore; il persistente carattere gotico della partitura architettonica si unisce a nuovi spunti di ispirazione toscana riscontrabili soprattutto nelle statue raffiguranti quattro Virtù entro le nicchie del secondo ordine. Per tale motivo, parte della critica ha parlato di stile gotico rinascimentale misto, frutto di un'originale compenetrazione di architettura e scultura e sintesi di elementi tardogotici, soprattutto veneziani, e rinascimentali.

Nel gennaio del 1454 G. ricevette dalla vedova Cognevich, una nobildonna di Sebenico, l'incarico di realizzare nella cattedrale una cappella dedicata alla S. Croce che fu terminata in breve tempo (Markham Schulz, p. 90). Il 1° giugno dello stesso anno, a causa della mancata consegna di una fornitura di pietra d'Istria destinata alla fabbrica di S. Francesco a Rimini, si recò a Fano dove incontrò Matteo de' Pasti per un chiarimento sulla questione (Grigioni, pp. 90 s.); è probabile che in seguito la consegna sia stata effettuata poiché, nel dicembre, un suo collaboratore che operava nelle cave di Brazzà reclamò la mancata corresponsione di 200 ducati per una partita di materiale inviato a Rimini (Praga, 1932, p. 529).

Nel dicembre del 1458 si recò nuovamente ad Ancona per definire una controversia con i frati minori di S. Francesco delle Scale relativa al pagamento di 600 ducati; tale somma gli fu infine corrisposta con l'impegno di portare a compimento l'opera. La necessità di seguire i lavori anconetani indusse l'artista, nel giugno del 1459, ad acquistare una casa nel rione di S. Maria del Mercato. L'anno seguente, sempre ad Ancona, presenziò alla stesura del contratto con i frati di S. Agostino e tre rappresentanti del Consiglio della città per eseguire il portale della loro chiesa, tuttora esistente ma sconsacrata.

I lavori prevedevano l'esecuzione di un ingresso monumentale largo quanto quello della chiesa di S. Francesco delle Scale e alto fino al rosone della facciata. L'artista si impegnava a terminare l'opera in tre anni e, oltre al compenso di 650 ducati, avrebbe usufruito, per tutto il periodo dell'appalto, di una casa di proprietà dei frati da adibire a laboratorio. Nonostante gli accordi stabiliti, quest'impresa, l'ultima in ordine di tempo realizzata da G. ad Ancona, rimase incompiuta, al punto che ancora nel 1493, ben oltre la sua data di morte, i frati agostiniani commissionavano ai due lapicidi Michele di Giovanni da Milano e Giovanni Veneziano il completamento della porta, secondo l'originario disegno del maestro dalmata (Gianuizzi, pp. 420-427, 432 s., 442).

Nei successivi quattro anni l'attività di G. si svolse prevalentemente in Dalmazia, dove, tra l'altro, ricoprì l'incarico, mantenuto fino alla morte, di ispettore di fiducia nelle cave per conto dei procuratori della cattedrale di Sebenico (Frey, 1913, pp. 158 s.). Nel luglio del 1464 si trasferì a Ragusa in qualità di "magister ingeniarus" con l'incarico di sovrintendere all'apparato difensivo della città e di proseguire le fabbriche rimaste incompiute dopo l'improvvisa partenza del fiorentino Michelozzo che aveva ricoperto la stessa carica nei tre anni precedenti; in particolare, fornì disegni per completare la costruzione della torre di Menze (ora torre Mincetta), seguì la costruzione della torre di S. Caterina e si occupò della ricostruzione del palazzo dei Rettori gravemente danneggiato da un'esplosione nel 1463. Su suo disegno furono probabilmente realizzati il portale e il portico al piano terra con arcate a tutto sesto al posto delle precedenti in forma ogivale (Dudan, pp. 245-248). Nel novembre del 1465, a causa del diffondersi della peste, abbandonò precipitosamente la città (Mc Neal Caplow, p. 114).

A un "maestro Giorgio Schiavo", impegnato a Gubbio in lavori per conto di Federico da Montefeltro, si fa riferimento, nel marzo del 1466, in una lettera di Battista Sforza, moglie di questo, alla Signoria di Siena (Franceschini). Alcuni studiosi hanno identificato G. con questo maestro formulando una serie di ipotesi circa la sua presenza nel Ducato; tuttavia, non esistono riscontri documentari che possano confermare tale ipotesi (Marchini, 1960, p. 78 e 1968, p. 222).

Nel 1466 G. si recò nuovamente a Pago per occuparsi dell'ampliamento e dell'ornamentazione scultorea del palazzo vescovile; inoltre ricevette il compito di realizzare la cappella di S. Nicola nella chiesa di S. Margherita e di erigere la facciata della chiesa di S. Maria. Quest'opera tuttavia non fu condotta a termine, poiché nelle disposizioni testamentarie della moglie (1486) veniva affidata ai suoi eredi (Markham Schulz, p. 92).

La mancanza di notizie certe riferibili a G. tra il febbraio del 1468 e il maggio del 1470, insieme con il documentato rallentarsi degli ultimi lavori anconetani, hanno condotto Gianuizzi (pp. 439 s.) a supporre che in questo periodo l'architetto sia stato impegnato, lontano dall'area dalmata, in un'impresa di notevole responsabilità, individuabile con l'inizio dei lavori per la costruzione della grande basilica di Loreto. A sostegno di tale ipotesi sono la somiglianza tra la pianta dell'edificio lauretano e quella della cattedrale di Sebenico, e il fatto che papa Paolo II, autore del breve con il quale nel 1469 si decidevano i lavori per la basilica, fosse originario di Venezia, città in cui G. era certamente noto; la presunta familiarità di G. con la corte romana potrebbe inoltre trovare conferma nell'incarico affidatogli, il 7 maggio 1470, dai procuratori della cattedrale di Sebenico, che lo inviarono in missione diplomatica a Roma per risolvere una delicata contesa riguardante alcune donazioni, raccolte dal defunto vescovo di Sebenico Urbano Vignaco a favore della cattedrale, rivendicate dalla Chiesa romana (Fosco, p. 17). L'improvvisa scomparsa di Paolo II, nel 1471, avrebbe poi compromesso la presenza di G. a Loreto.

Negli ultimi anni della sua vita G. continuò a seguire le sue attività tra le due sponde dell'Adriatico: risulta infatti proprietario di una grande imbarcazione (Galvani, p. 160) e, pochi mesi prima della morte, era a Palermo per acquistare una grossa partita di formaggi (Meli).

Morì, probabilmente a Sebenico, il 10 ott. 1473 (Markham Schulz, p. 92).

Dai documenti risulta che oltre a Paolo, vissuto amministrando i cospicui beni paterni, G. ebbe due figlie: Elena, sposata nel 1463 col pittore Juraj Ćulinović detto lo Schiavone, e Natalina, sposata con G.B. Buffalei (Frey, 1913, p. 158).

Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite… (1568), a cura di G. Milanesi, II, Firenze 1878, p. 385; F.A. Galvani, Il re d'armi di Sebenico, Venezia 1883, pp. 158-166; A. Fosco, La cattedrale di Sebenico e il suo architetto G. Orsini detto Dalmatico, Sebenico 1893; P. Gianuizzi, G. da Sebenico, architetto e scultore vissuto nel secolo XV, in Arch. stor. dell'arte, VII (1894), pp. 397-454; C. Grigioni, G. da Sebenico e la costruzione del tempio Malatestiano in Rimini, in Rassegna bibliografica dell'arte italiana, XIII (1910), pp. 89-91; D. Frey, Der Dom von Sebenico und sein Baumeister G. Orsini, in Jahrbuch des Kunsthistorischen Institutes der K.-K. zentral-Kommission für Denkmalpflege, VII (1913), pp. 1-169; H. Folnesics, Studien zur Entwicklungsgeschicte der Architektur und Plastik des XV Jarhunderts in Dalmatiens, ibid., VIII (1914), pp. 27-196; D. Frey, Renaissance Einflüsse bei G. da Sebenico, in Monatshefte für Kunstwissenschaft, IX (1916), pp. 39-45; A. Dudan, La Dalmazia nell'arte italiana, II, Milano 1921, pp. 209-249; G. Praga, Documenti inediti intorno all'attività di G. Orsini da Sebenico, in Rassegna marchigiana, VII (1928), pp. 20-24; Id., Documenti su G. da Sebenico, in Arch. stor. per la Dalmazia, CXXI (1932), pp. 522-531; C. Bima, G. da Sebenico, la sua cattedrale e l'attività in Dalmazia e in Italia, Milano 1954, pp. 46, 55-170, 179-207; F. Meli, Matteo Carnalivari e l'architettura del Quattro e del Cinquecento in Palermo, Roma 1958, p. 73; G. Franceschini, Figure del Rinascimento urbinate, Urbino 1959, pp. 84 s.; G. Marchini, Aggiunte al palazzo ducale di Urbino, in Bollettino d'arte, s. 4, XLV (1960), pp. 74, 76-78; M. D'Elia, Ricerche sull'attività di G. da Sebenico a Venezia, in Commentari, XIII (1962), pp. 213-218; G. Marchini, Per G. da Sebenico, ibid., XIX (1968), pp. 212-228; L. Puppi, Appunti su G. da Sebenico architetto, in Rivista dell'Istituto di archeologia e storia dell'arte, XVII (1970), pp. 154-180; H. Mc Neal Caplow, Michelozzo at Ragusa: new documents and revaluations, in Journal of the Society of architectural historians, XXXI (1972), pp. 109, 113 s.; I. Chiappini di Sorio, Proposte e precisazioni per G. da Sebenico, in Notizie da Palazzo Albani, II (1973), pp. 18-26; V. Gvozdanovic, The "Schiavone" in Vasari's vita of Brunelleschi, in Commentari, XXVII (1976), pp. 18-32; W. Arslan, L'architettura gotica civile in Dalmazia dal 1420 al 1520 ca., in Rivista dell'Istituto nazionale di archeologia e storia dell'arte, XXIII-XXIV (1976-77), pp. 327-340; Acts of the Symposium on Juraj Dalmatinac, Sibenik… 1975, in Radovi Instituta za Povijest Umjetnosti, III-VI (1979-82); A. Markham Schulz, G. da Sebenico and the workshop of Giovanni Bon, ibid., pp. 77-92; C. Fisković, Georges le Dalmate (Juraj Dalmatinac), architecte et sculpteur, in Interpretazioni veneziane. Studi di storia dell'arte in onore di Michelangelo Muraro, a cura di D. Rosand, Venezia 1984, pp. 121-131; J. Höfler, Die Kunst Dalmatiens: vom Mittelalter bis zur Renaissance, 800-1520, Graz 1989, pp. 197-215, 254-266; S. Kokole, Auf den Spuren des frühen fiorentiner Quattrocento in Dalmatiens: das toskanische Formengut bei G. da Sebenico bis 1450, in Wiener Jahrbuch für Kunstgeschichte, XXXII (1989), pp. 155-167; I. Chiappini di Sorio, G. da Sebenico, in Scultura nelle Marche, a cura di P. Zampetti, Firenze 1993, pp. 257-268; M. De Vidovich, Le antiche relazioni tra le due sponde adriatiche, in Rivista dalmatica, LXIV (1993), pp. 248-250; I. Petricioli, Gli scultori e i lapicidi attivi fra le due sponde nel '400 e nel '500, in Marche e Dalmazia tra umanesimo e barocco. Atti del Convegno internazionale di studio, Ancona-Osimo… 1988, a cura di S. Graciotti - M. Massa - G. Pirani, Reggio Emilia 1993, pp. 49-55; F. Mariano, G. di Matteo da Sebenico in Ancona, ibid., pp. 61-73; I. Fisković, Georgius Matthei Dalmaticus ad Ancona, ibid., pp. 85-100; Storia dell'architettura italiana. Il Quattrocento, a cura di F.P. Fiore, Milano 1998, pp. 26, 36, 476, 488, 541; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, pp. 84 s. (s.v. Giorgio da Sebenico); Diz. encicl. di architettura e urbanistica, II, p. 478; The Dictionary of art, XII, pp. 666-668.

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