GIOSIA o Iosia

Enciclopedia Italiana (1933)

GIOSIA o Iosia (ebr. Yo'shiyyāhū; i Settanta 'Ιωσίας; la Vulgata Josias)

Giuseppe Ricciotti

Uno degli ultimi re di Giuda, che fu figlio di Amon e nipote di Manasse regnò dal 639 al 608 a. C. Ucciso da congiurati suo padre Amon, egli salì al trono in età di 8 anni (II [IV] Re, XXII, 1). I primi anni del suo regno non appaiono contraddistinti da nessun atteggiamento particolare, probabilmente sia per l'immatura età del monarca, sia per la schiacciante preponderanza che il partito antijahvista, che aveva dominato nel lungo regno di Manasse e in quello di Amon, ancora esercitava. Ma ben presto il re si mise a capo della corrente jahvista, che doveva certamente contare fra il popolo non pochi rappresentanti fino allora impotenti o anche perseguitati: ciò avvenne - secondo II Cronache, XXXIV, 3 - fra l'8° e il 12° anno di regno; in quest'ultima data (627 a. C.) egli cominciò ad agire, purificando il regno dai culti idolatrici. È notevole che soltanto un anno dopo (626 a. C.; cfr. Geremia, I, 2; XXV, 3) iniziò la sua carriera pubblica anche il profeta Geremia (v.), ed egualmente ai tempi di G., è riportata la carriera del profeta Sofonia (v.; cfr. Sof., I, 1), ambedue d'accordo con gli scopi prefissisi dal re.

Verso lo stesso tempo, la minacciosa invasione degli Sciti, che aveva inondato l'Asia anteriore, passò anche per la Palestina mirando all'Egitto; ma nel regno di Giuda sembra ch'essa non recasse gravi danni. Passato il pericolo, il re riprese la sua opera di riforma jahvista, che precisamente nel 621 fu rafforzata da un fatto di straordinaria importanza: esso fu il ritrovamento del "Libro della Legge" avvenuto nel Tempio di Gerusalemme in occasione di collette per restauri (II [IV] Re, XXII, 3 segg.; v. deuteronomio; pentateuco). Sulla scorta e secondo le norme di quel libro il re, d'allora in poi, diresse le sue iniziative di riforma sociale-religiosa nel suo regno, e - secondo II Cron., XXXIV, 6 - anche in molta parte del distrutto regno d'Israele. La sua riforma, quantunque non riuscisse a estirpare tutto il male profondamente radicato nel popolo, produsse grandi effetti, sì da meritare nella stessa Bibbia lodi affatto singolari al suo iniziatore (II [IV] Re, XXIII, 25; Ecclesiastico, XLIX, 4 [Vulg., 5]).

La morte di G. avvenne per ferite ricevute nella battaglia di Megiddo (Mageddo), allorché si oppose al faraone Nechao che saliva dall'Egitto verso la Mesopotamia. Su questo punto una luce nuova è stata recata dalla cronaca cuneiforme di Nabopolassar, scoperta nel British Museum e pubblicata dal Gadd, la quale mostra che all'epoca della battaglia di Megiddo la capitale assira, Ninive, era già caduta (612 a. C.), che il faraone saliva per attaccare il nuovo impero babilonese, e non per cooperare alla caduta di quello assiro: che quindi G., dandogli battaglia, aveva fatto causa comune con gli antichi vassalli dell'Assiria, oramai liberi da essa e solo minacciati dal tardivo intervento egiziano.

Bibl.: Per la biografia di G., oltre ai commenti ai libri dei Re, valgono le varie storie dell'Antico Testamento (v. bibbia; ebrei); per la cronaca di Nabopolassar, C. J. Gadd, The fall of Niniveh. The newly discovered Babylonian Chronicle n. 21901 in the Brit. Mus., Londra 1923.