GRIMALDI, Giovan Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 59 (2002)

GRIMALDI, Giovan Francesco

Roberto Cannatà

, Nacque a Bologna, come riferiscono i suoi biografi e come conferma l'appellativo di bolognese con cui è designato in moltissimi documenti. L'anno di nascita secondo le fonti è il 1606 ma, in base all'atto di morte, potrebbe essere anticipato di un anno (Batorska, 1972, p. 145). Della sua formazione non si hanno notizie certe; ma si è ipotizzata un'influenza della scuola carraccesca. E, del resto, spesso si trovano tracce di tale cultura in tutta la sua opera. Poco più che ventenne affrontò il viaggio a Roma, che scelse come centro del suo operare artistico.

È lo stesso G. a fornire, in una lettera inviata al cardinale G.R. Mazzarino dell'8 luglio 1651, la data del suo arrivo a Roma, dichiarando di risiedervi da ventiquattro anni, quindi dal 1627 (Batorska, 1981, p. 15 n. 7; 1991, p. 69 n. 1). Dei primi anni romani non si sa quasi nulla e comunque viene da pensare a un probabile contatto, a parte che con le opere dei Carracci, di G.B. Viola e di F. Albani, anche con il Domenichino, Domenico Zampieri, e con la sua cerchia (Falaschi, p. 111 n. 3).

La prima data sicura risale al 15 luglio 1635 quando il G. risulta essere tra i membri dell'Accademia di S. Luca (Batorska, 1972, p. 145), a cui rimarrà legato per moltissimi anni. Il 28 genn. 1638 sposò Eleonora Aloisi (Falaschi, p. 117 n. 26), figlia del pittore bolognese Baldassarre (il Galanino), morto nello stesso anno e imparentato con i Carracci tramite la moglie (Frati, p. 150). Sempre nel 1638 dipinse la facciata del palazzo Poli in occasione dell'arrivo a Roma di Johann Anton principe di Eggenberg, inviato imperiale di Ferdinando III (Noack). Allo scorcio degli anni Trenta risalgono due interventi ad affresco nelle chiese di S. Maria dell'Anima e S. Maria della Vittoria.

Nella prima chiesa dipinse, nella cappella di S. Anna, alle pareti, l'Incontro di Gioacchino ed Anna e l'Angelo che appare a Gioacchino nel deserto e, sulla volta, la Gloria di Maria e s. Anna. La decorazione della cappella si deve a un lascito del protonotaio e segretario apostolico Johannes Savenier, morto l'8 febbr. 1638 (Buchowiecki). Le pitture, almeno nelle parti meglio conservate, lasciano intravedere un forte aggancio alla cultura bolognese con esiti a mezza strada tra il Domenichino e Albani. Nella cappella Gessi in S. Maria della Vittoria affrescò nella volta la Nascita di Gesù, il Battesimo e la Trasfigurazione e nell'intradosso dell'arco i santi Agostino e Ambrogio, che denotano uno stile anch'esso di precipua marca bolognese. Sono stati collocati tra il 1639, quando morì il cardinale Berlingiero Gessi, bolognese anche lui, fondatore della cappella, e il 1641, quando fu apposta una lapide commemorativa (Falaschi, p. 113 n. 7).

Per un anonimo biografo del G. la cappella fu tutta opera sua, compresa l'architettura; mentre la critica più recente ritiene di assegnare ad A. Algardi la progettazione insieme all'esecuzione con aiuti delle sculture, dell'altare e dei lavori marmorei (Montagu, 1985, pp. 70-72; 1999, p. 13). La collaborazione tra il G. e Algardi era destinata a continuare perché nel 1644 Cristoforo Segni li vorrà di nuovo insieme nell'allestimento dei funerali del marchese Ludovico Facchinetti, ambasciatore di Bologna presso la corte papale, morto nel gennaio 1644. Il progetto fu affidato ad Algardi e al G. fu commissionata l'esecuzione delle pitture, come riferisce Sebastiano Rolandi, segretario del cardinale Cesare Facchinetti, figlio del defunto, e come attestano alcuni disegni attribuibili ad Algardi (Johnston, p. 234).

L'attività di esecutore d'apparati per feste, onoranze funebri e opere teatrali abbraccia un arco di tempo che va dal 1640, quando il G. dipinse paesaggi per una festa al Collegio romano, al 1671, quando egli partecipò all'addobbo per il trasporto dello stendardo di s. Filippo Benizzi (Fagiolo - Carandini, II, pp. 114 s., 273). Nel settembre 1645 il G. venne pagato per l'intervento nel salone di palazzo Peretti commissionato dal cardinale Francesco (Cappelletti, p. 42). Il G. e Algardi lavorarono in coppia anche nella costruzione e decorazione della villa a porta S. Pancrazio voluta da Innocenzo X e da suo nipote Camillo Pamphili.

Molto si è scritto circa i compiti svolti dai due artisti e attualmente si è riconfermato quanto asserito da Bellori, da Passeri e da Pascoli in contrasto con l'anonimo biografo bolognese, e cioè che il progettista fu Algardi, e il G. fu suo collaboratore e assistente (Benes, pp. 50 s.). Per le pitture il G. ricevette pagamenti dal 19 maggio 1646 ai primi del 1647 (Garms, pp. 204 s.). A lui spetterebbero le pitture ad affresco con Storie di Ercole nella sala est del pianterreno, di cui alcuni riquadri sono andati perduti (Batorska, 1975, pp. 40-42). Tutta la decorazione della sala, compresi gli stucchi ideati da Algardi, era volta a glorificare la famiglia Pamphili con riferimenti agli illustri committenti, con una probabile derivazione iconografica, più semplificata, dai medesimi temi del camerino Farnese. Nell'inventario del 6 sett. 1666 sono citati nella villa due dipinti del G., uno con paesaggio e una Venere, ora presso la Galleria Doria Pamphili, e l'altro con un ritratto di papa Innocenzo X, disperso (Garms, pp. 332, 342; Cappelletti, pp. 41 s.).

Nel giugno 1648 il G. ricevette un pagamento di 20 scudi per lavori svolti nella chiesa di S. Martino ai Monti (Sutherland, 1964, pp. 63-69), che sono da identificare con "li doi paesi che vengono in mezzo l'altare di S. Teresa", come si legge in un antico manoscritto con la descrizione della chiesa (Heidemann, 1964, p. 377).

I due dipinti raffigurano Elia che osserva la nuvola di pioggia ed Elia che attraversa il fiume Giordano (quest'ultimo quasi completamente consunto, ma il cui stato originario è possibile conoscere attraverso una copia tardoseicentesca custodita nella curia generalizia dei padri carmelitani). Essi fanno parte di un più vasto ciclo eseguito da Gaspar Dughet che attesta l'importanza ormai consolidatasi delle pitture di paesaggio anche nelle decorazioni delle chiese.

Nel novembre del 1648 il G. si recò in Francia, probabilmente segnalato al cardinale Mazzarino dall'abate Elpidio Benedetti (Laurain Portemer, 1973, pp. 156 s.). Durante la permanenza a Parigi realizzò numerose decorazioni nel palazzo Mazzarino, andate perdute, ma ricordate dall'artista insieme con altri interventi in una lettera inviata al cardinale da Roma l'8 luglio 1651 per sollecitare il saldo finale (ibid., pp. 158 s.). Rientrato a Roma agli inizi del 1651, mantenne i contatti con la corte francese sempre per il tramite di Benedetti che si servì della sua opera per gli apparati allestiti in occasione del funerale del cardinale nel 1661 e quello di Anna d'Austria nel 1667 (Fagiolo - Carandini, I, pp. 181-184, 225-227), per l'esecuzione dell'affresco con la Notte nella sua villa del Vascello, costruita fra il 1663-65 e andata distrutta a metà Ottocento (Falaschi, p. 114 n. 11) e per il progetto (ottobre 1660) inviato da Benedetti a Mazzarino per una scalinata a Trinità del Monti, voluta da Luigi XIV (Laurain Portemer, 1968, p. 292 n. 73). Oltre che con i Francesi, intrattenne discreti rapporti anche con gli Spagnoli, per esempio collaborando con pitture alla festa del febbraio 1662 per la nascita dell'infante don Carlos di Spagna e all'allestimento dell'apparato funebre per Filippo IV di Spagna nel dicembre 1665 (Fagiolo - Carandini, I, pp. 197, 214-218). Senza trascurare i rapporti con la corte papale presso cui il G. godette un'apprezzabile stima pur nell'avvicendarsi dei vari pontefici. Il 31 genn. 1656 venne rappresentata nel teatro Barberini, in onore della regina Cristina di Svezia, l'opera La vita humana ovvero Il trionfo della pietà, scritta da Giulio Rospigliosi, il futuro Clemente IX, e musicata da Matteo Marazzoli, con scenografie del G. che furono incise da G.B. Galestruzzi per corredare l'edizione del 1658 e grazie a cui è stato possibile rintracciare alcuni dei progetti grafici originali (Batorska, 1971, pp. 251-253; Fagiolo - Carandini, I, p. 158; Ficacci, pp. 84-87). L'attività di scenografo non era nuova per lui, in quanto ci resta una sua incisione riproducente una sua scena per l'epilogo della Sincerità trionfante ovvero L'erculeo ardire rappresentata a Roma nel 1638 nel palazzo dell'ambasciatore di Francia per celebrare la nascita del delfino, il futuro Luigi XIV (Rava, pp. 22, 28 n. 20). Sotto la direzione di Pietro da Cortona, lavorò nel palazzo del Quirinale nella galleria di Alessandro VII, ricevendo pagamenti dal 6 luglio 1656 al 27 luglio 1657, affrescando i due ovati raffiguranti Mosè ed il roveto ardente e Gli esploratori della Terra promessa (Wibiral, pp. 162 s.). La consistenza della somma ricevuta ha giustamente fatto supporre anche un intervento nella decorazione della galleria, come già aveva affermato il suo anonimo biografo bolognese (Falaschi, p. 114 n. 13; Trezzani, pp. 191-203). Nel 1657 risulta fra i membri della Congregazione dei Virtuosi al Pantheon (Noack, p. 40). Considerando che il 1° luglio 1656 il G. aveva nominato un suo sostituto per l'incarico di primo rettore per l'Accademia di S. Luca e che il 6 genn. 1658 declinò l'incarico di principe dell'Accademia, Batorska (1976, p. 169) ipotizza una sua assenza da Roma che dovette aver luogo in concomitanza con i lavori da eseguire per il cardinale Marcello Santacroce nel duomo di Tivoli.

A Roma i contatti con la famiglia Santacroce avevano già avuto inizio alla fine degli anni Trenta; nel 1639 il G. ricevette due pagamenti per servizi resi alla casa (Falaschi, p. 116 n. 18; Cappelletti, p. 41). Si era anche ipotizzato in quegli anni un intervento nel salone di palazzo Santacroce al servizio del cardinale Antonio, che è da datare invece dopo i lavori tiburtini (Frati, p. 151), probabilmente intorno al 1662 come appurato da Falaschi (p. 116 n. 18). Al 1655 risale l'esecuzione di un dipinto (datato) con S. Francesco in meditazione, eseguito per la chiesa di S. Maria in Publicolis sotto il patronato dei Santacroce. Nel duomo di Tivoli il G. ha lasciato testimonianza della sua arte nella cappella della Immacolata Concezione e nella sacrestia. Il lavoro nella cappella è ricordato dalle fonti ed è supportato da un disegno preparatorio per una parete ritrovato da Batorska (1976, pp. 169-171). Come si evince da due iscrizioni, la cappella, iniziata nel 1656 per voto pubblico fu terminata nel 1671 a spese del cardinale Marcello Santacroce, vescovo di Tivoli dal 1652. Vi sono affrescati, alle pareti, la Natività e la Fuga in Egitto; sulla cupola, il Paradiso; nei pennacchi, i Ss. Alessandro, Lorenzo, Romualdo e Giacinto; e nell'intradosso dell'arco, tondi con altri santi. Per la Fuga in Egitto, Batorska (1981, pp. 12-15) segnala una possibile derivazione da Ludovico Carracci, specie in relazione a una tela del G. con lo stesso soggetto a Gosford House (Scozia) e al riquadro con la Fuga in Egitto, più tardo, in S. Maria in Trivio facente parte di una serie comprendente altri sei riquadri con storie della Vergine. Nella sagrestia del duomo di Tivoli, costruita per il cardinale Santacroce dall'architetto G.B. De Rossi, terminata nel 1657 nelle strutture murarie e nel 1659 per quanto riguarda l'altare, il G. dipinse ad affresco la cupola con la Gloria di s. Lorenzo e sull'altare la Pietà.

Al ritorno da Tivoli il G. intensificò l'attività di decoratore; e, oltre al salone del palazzo Santacroce, gli viene riferito in questo medesimo tempo l'intervento in palazzo Nuñez (Frati, p. 151; Guerrieri Borsoi, pp. 275-277; Batorska, 1995, pp. 45-50). In relazione ai diversi tempi di edificazione del palazzo, fatto costruire agli inizi degli anni Sessanta dal marchese Francesco a opera di G.B. De Rossi, si è ipotizzato un primo intervento in due sale al piano nobile che danno su via de' Condotti raffiguranti Storie di Cristo e di Pietro e un secondo intervento con aiuti, più tardo, nell'ottavo decennio, in altre cinque sale nella parte verso via Borgognona, con derivazioni specialmente nei tondi da Claude Lorrain, Annibale Carracci e Agostino Tassi (Batorska, 1995, pp. 51-60), con cui il G. avrebbe collaborato nel 1635 in palazzo Pamphili a piazza Navona (Id., 1991, pp. 67-69). Nel 1666 il G. fu eletto principe dell'Accademia di S. Luca. Un suo progetto per la costruzione di nuovi ambienti accanto alla chiesa dei Ss. Luca e Martina, per facilitare le riunioni degli artisti aderenti all'Accademia, fu approvato nell'ottobre del 1669 (Noehles, pp. 113 s. n. 279). La volta della sala delle riunioni doveva essere affrescata da numerosi accademici; mentre al G. toccava dipingere i pennacchi con prospettive e geroglifici, in base a un soggetto allegorico ideato da G.B. Passeri e a un progetto di insieme del G. stesso (ibid.). Durante il breve pontificato di Clemente IX (1667-69) deve datarsi il fregio con paesaggi fluviali e una marina nella seconda sala detta Rossa nell'appartamento papale del palazzo di Monte Cavallo (Trezzani, pp. 208-218). Anche negli anni Settanta sono concentrati alcuni importanti lavori per ville e palazzi. Innanzi tutto vanno ricordati il perduto lavoro del 1672 per il casino Chigi alle Quattro Fontane e la contemporanea, o quasi, affrescatura della sala detta della Primavera a villa Falconieri a Frascati dove il G. diede libero sfogo a una vena paesaggistica scenografica (Negro, pp. 87, 96-98). All'inizio dell'ottavo decennio il principe G.B. Borghese diede inizio ai lavori di rinnovamento del palazzo Borghese sotto la direzione di C. Rainaldi. Sul finire del 1672 il G., che aveva già dipinto per il Borghese nel 1664 il soffitto della chiesa di S. Lucia della Tinta, poco distante dal palazzo, fu chiamato a partecipare alla decorazione dell'ala del piano terreno verso Ripetta.

L'opera del G. è riassunta con precisione nella ricevuta corrispondente al saldo finale dei lavori da lui firmata il 9 apr. 1678: il primo acconto è del 23 dic. 1672 (Fumagalli, pp. 69, 83, 100 n. 186). Purtroppo il rinnovamento di questa parte del palazzo, avvenuto tra il 1767 e il 1775, ne ha modificato l'aspetto originario. L'intervento del G. è rintracciabile, nonostante le ridipinture, nell'impianto decorativo della stanza della Ringhiera e del corridoio, nonché della galleria e della cappella ornate di stucchi. Il paesaggio è protagonista nella decorazione della stanza della Ringhiera e ricorda soluzioni adottate nella sala della Primavera Falconieri; mentre per i paesaggi nelle pareti del corridoio, collocati entro una finta architettura, la soluzione è simile a quella usata nella galleria di palazzo Muti Papazzurri la cui datazione dovrebbe cadere intorno alla metà degli anni Settanta o poco oltre (Rudolph, pp. 132 s.). Oltre all'intervento diretto di pittore, il G. fornì i disegni per la decorazione della galleria, di cui era stato nominato architetto nel 1674 insieme con Rainaldi (Hibbard, pp. 9-20) e della cappella ovale, soprintendendo anche all'arredamento dell'appartamento (Fumagalli, p. 87).

Oltre che pittore, scenografo, architetto, il G. fu anche incisore; e alcuni suoi rami si conservano a Roma presso la Calcografia nazionale (Petrucci, p. 69). In essi si nota una predilezione per la cultura carraccesca con riprese da Annibale, ma anche per Tiziano (Bellini, pp. 6-27). Numerosi suoi disegni, specialmente di paesaggio, si conservano a Firenze, Haarlem, Lipsia, Londra, Parigi, Vienna, Windsor e altrove (Chiarini, pp. 41-43).

Nel British Museum esiste una raccolta di suoi disegni per lo più di paesaggio, ma anche di progetti decorativi, messa insieme a Roma nel 1701 da don Vicente Victoria, di cui due più recentemente restituiti ad Algardi (Johnston, p. 234). Per scambi attributivi con Algardi e per collaborazioni nell'ambito di altri disegni si vedano le precisazioni di Johnston (pp. 75 s., 82 s. nn. 26-28). Nell'ambito della produzione paesistica su carta una vena facile, sciolta e leggera, talvolta ripetitiva, contraddistingue il G. dalle personalità che maggiore influenza ebbero su di lui (A. Carracci, Domenichino, Claude Lorrain e G. Dughet). Per quel che riguarda la pittura di cavalletto restano tuttora svariati dipinti, alcuni abbastanza pregevoli, seppur di dimensioni ridotte come i quattro rametti della Galleria Borghese, ricollegati da Della Pergola a un pagamento al G. per diverse pitture del 1678.

Il G. morì a settantaquattro anni il 28 nov. 1680, nello stesso giorno in cui erano esposti i corpi di padre Athanasius Kircher e di Bernini, rispettivamente nelle chiese del Gesù e di S. Maria Maggiore, come riporta Pascoli.

Secondo Pascoli, il G. era persona cordiale, amante della conversazione e "svisceratissimo per gli amici", legato in modo particolare ad Algardi, di cui fu testimone al momento della stesura del testamento nel 1654 (Montagu, 1999, p. 15).

Dal 1678 al 1683 anche il figlio Alessandro, nato il 13 giugno 1653 e morto il 1° ott. 1684 (Falaschi, p. 118 n. 27), lavorò per il principe G.B. Borghese e per la principessa Eleonora, dipingendo una tela e alcune di quelle figure in legno destinate al cosiddetto oratorio per cui è ricordata nei documenti la direzione del G. (Fumagalli, p. 96). Ad Alessandro spetta anche il disegno delle tombe Santacroce e dei ritratti dipinti inseriti nelle stesse. Erano ricordate altre sue opere nell'oratorio della Madonna di S. Marco e in S. Marta (Noack, p. 39). Si è anche pensato a una sua possibile collaborazione nell'esecuzione di figure in alcuni disegni e incisioni realizzati dal padre (Laux, p. 244).

Fonti e Bibl.: L. Pascoli, Vite…, Roma 1730, pp. 45-51; L. Frati, G.F. G. detto il Bolognese, in Varietà storico-artistiche, Città di Castello 1912, pp. 143-156; F. Noack, in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XVI, Leipzig 1922, pp. 40 s.; C.A. Petrucci, Catalogo della Calcografia nazionale, Roma 1953, p. 69; P. Della Pergola, I dipinti della Galleria Borghese, I, Roma 1955, pp. 48 s.; N. Wibiral, Contributi alle ricerche sul cortonismo in Roma. I pittori della galleria di Alessandro VII nel palazzo del Quirinale, in Bollettino d'arte, XLV (1960), pp. 137-140, 162 s.; H. Hibbard, Palazzo Borghese studies, II, The Galleria, in The Burlington Magazine, XCIV (1962), pp. 9-20; A. Nava Cellini, Il Borromini, l'Algardi e il G. per villa Pamphili, in Paragone, XIV (1963), 159, pp. 73 s.; A. Sutherland, The decoration of S. Martino ai Monti, I, in The Burlington Magazine, XCVI (1964), pp. 63-67, 69; J. Heidemann, The decoration of S. Martino ai Monti, ibid., pp. 377 s.; C.E. 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