LAVAGNA, Giovan Giacomo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 64 (2005)

LAVAGNA, Giovan Giacomo

Girolamo de Miranda

Nacque probabilmente a Napoli nella prima metà del XVII secolo. La famiglia era forse legata a un ramo dei Ravaschieri che, originari di Genova, erano giunti nel Viceregno per incarichi militari e interessi economici, legandosi a filo doppio alla nobiltà del luogo. Sebbene la matrice aristocratica del L. fosse rinforzata dal ceppo materno, proveniente dal casato dei nobili di Saluzzo, la famiglia appartenne alla nobiltà minore e non ebbe un ruolo da protagonista nella storia delle élites più esclusive della società partenopea.

La formazione del L. fu letteraria e filosofico-scientifica, ma, secondo la consuetudine prevalente nella classe colta cittadina, egli fu indirizzato verso gli studi giuridici, in cui conseguì la laurea. È probabile che, sulla scia di altri esponenti dell'aristocrazia, dapprima in attrito con l'arcivescovo di Napoli Ascanio Filomarino (morto nel 1666), quindi in diffidente rapporto con il successore Innico Caracciolo, il L. abbia manifestato fedeltà al cardinale Carlo Carafa, in visita a Napoli nel dicembre 1667 in quanto assegnatario di una pensione sulla mensa vescovile. I nobili napoletani speravano che il prelato di passaggio portasse il giusto equilibrio tra il potere spagnolo, rappresentato dall'ambizioso e nostalgico viceré Pietro Antonio d'Aragona, e quello ecclesiastico, agli ordini di Roma, ma sovente indipendente da tutti. In Carafa intravedevano un baluardo e si auguravano una presenza duratura, ma non ottennero molto.

La prima raccolta a stampa di liriche del L., le Poesie, edita a Napoli agli inizi del 1671, fu dedicata proprio al cardinale Carafa, definito nell'incipit "Eroe Partenopeo, fregio, ed onore".

Il libro rivela un'ispirazione solida, forse perché già matura (qualche malanno, sottolineato nei versi, conferma un'età non più giovanissima); il poeta ha ammiratori (che lo omaggiano in calce al volume con i loro componimenti), autori ai quali fare riferimento e con i quali confrontarsi (il L. non celò la sua simpatia per il pensiero di B. Telesio e per la dottrina di T. Campanella, oltre che per T. Tasso). Prima della stampa, i testi ebbero circolazione manoscritta. I versi d'amore sono dedicati a dame diverse; la tipologia muliebre è rinverdita da una galleria di amanti che, classicamente belle o deformi e in situazioni bizzarre, non lascia ipotizzare concrete passioni e legami reali. In qualche misura sono singolarmente accentuate sia la dimensione sadica sottesa ad alcuni rapporti amorosi (Bella donna amante d'un cavaliere, che non l'amava, il quale mentre un giorno le inanellava con ferro i capelli le scottò la testa, p. 37) sia la natura quasi macabra delle ossessioni (Carlo Magno invaghito d'una donzella morta, p. 67), unita a interessi artistici, questi ultimi in verità ben comprensibili nella coeva Napoli barocca (Innamorato d'una statua di marmo, p. 55). La raccolta è costituita soprattutto da sonetti, ma non mancano madrigali, idilli, canzoni, odi, epicedi. Il tono sentenzioso delle liriche risente a tratti di una tradizione meridionale epigrammatica, ma le accensioni metaforiche, gli accenti patetici, così come la forte musicalità delle rime, sono temperati da una matrice stoica.

Le Poesie elogiano la nobiltà che aveva partecipato alla difesa di Cipro, assediata dai Turchi nel 1571 (Ite prore lunate, itene altere, p. 93; De l'impero ottomano, pp. 210-213), l'eroismo dei cavalieri amici (Al sign. Gio. Battista Marcello peritissimo nella scherma, per la sua irreparabile stoccata, p. 138), la virtù di un casato (Al signor Carlo Clerici. Alludesi all'aquila, et al compasso, insegna del suo casato, p. 130); fuori dal contesto d'amore, domina il moralismo filosofico del L. (Ad Achille, che incrudelisce contro il cadavero d'Ettore, p. 117; Carlo V rinuncia il reame, e si ritira fra religiosi, p. 126).

Il L. fu in contatto con l'Accademia degli Agitati al tempo del principato di Filippo Plantamura Filangieri. La sua pratica letteraria si intrecciò con la sperimentazione poetica di Giuseppe Battista - autore di liriche di corrispondenza, teorico, in una lettera al L., di una scrittura poetica che doveva essere "armonia fluida" - e, soltanto in seconda battuta, con quella in prosa di Lubrano (Al p. Giacomo Lubrano della Compagnia di Giesù, famoso predicatore, in Poesie, p. 112). Fu vicino ai progetti di Lorenzo Crasso, che immaginavano e illustravano nella penisola una prima repubblica delle lettere. Rapporto significativo, ma non esclusivo, fu quello con un altro seguace convinto del marinismo, il menzionato Canale, poi con Francesco Marini.

Quattro anni dopo l'esordio tipografico, le rime del L. ebbero una nuova diffusione con la stampa Delle poesie, accresciute, a Venezia (in due volumi, 1675-76, con un ritratto dell'autore). I temi mostrano notevole sintonia con quelli trattati da Crasso: la raccolta rivela il gusto relativamente moderato di un poeta che, pur di etichetta barocca, non credeva alle esasperazioni di alcune pagine della letteratura coeva. La chiave per comprendere questa sapiente prudenza è forse nell'atmosfera culturale impostasi all'epoca in città, grazie alle tornate dell'Accademia degli Investiganti, da cui era scaturita la promozione di una nuova sensibilità culturale. La querelle sul corpo come uno e vero principio della ricerca scientifica sarebbe stata oggetto nel 1681 di un celebre Parere di Leonardo Di Capua sull'incertezza della medicina.

Quasi contemporaneamente, nel 1676, uscì a Bologna Il corriero straordinario spedito da Parnaso al sig. N. N. dal signor Gio. Giacomo Lavagna.

Anche in questo caso l'opera era stata diffusa manoscritta: nell'avviso ai lettori della seconda edizione (Venezia 1681), lo stampatore G. Brigna fa riferimento all'esistenza di alcune copie circolate "senza saputa dell'autore". Il testo aveva suscitato un rilevante interesse. Sui frontespizi di entrambe le edizioni era il motto "Ex altercatione veritas": allo stoicismo esistenziale delle rime subentra la vis dialettica che ha l'obiettivo di raggiungere il fondamento delle cose.

Il corriero è diviso in due parti: nella prima è illustrata una vivace disputa tra medici tradizionali e moderni dinanzi alla maestà imparziale di Apollo. La divinità, dopo avere ascoltato l'intervento di Galeno e di altri, dopo avere udito le tante citazioni tratte dai testi di Aristotele, Cartesio, Gassendi, così come pure da quelli di Claudiano, Varrone, Dante e Francesco Patrizi, tutti alla fine bandisce dalla sua repubblica. Nella seconda è il L. stesso a entrare nell'agone per riscattare la dignità della medicina migliore, quella che sapeva cogliere gli aspetti essenziali delle pratiche antiche, ma che voleva pure aggiornarsi, senza temere da un canto i salassi, dall'altro i prodotti più inusuali della chimica. Notevoli sono, in conclusione, l'invito a ogni medico a non essere "precipitoso nelle cose dubie" (p. 193) e il richiamo a un'etica professionale come autentica carità verso i pazienti.

La morte colse il L. probabilmente nel 1679 a Napoli.

Di una serie di lavori a cui il L. avrebbe posto mano, non resta traccia: un terzo volume di liriche, un libro di lettere Apologetiche - sul modello della seconda parte de Il corriero -, opere intitolate Philosophia Pirronea, Aristotelismus triumphatus oltre ad alcune pagine che ripercorrevano la biografia e le idee campanelliane.

Fonti e Bibl.: G. Battista, Lettere, Venezia 1678, pp. 279 s.; Id., Opere, a cura di G. Rizzo, Galatina 1991, pp. 12, 30 s.; Memorie della nobilissima famiglia Ravaschiera discendente dagl'antichissimi conti di Lavagna, Pavia 1640; N. Toppi, Biblioteca napoletana, et apparato agli uomini illustri in lettere di Napoli e del Regno, Napoli 1678, p. 109; A. Oldoino, Athenaeum Ligusticum, Perusiae 1680, pp. 551 s.; A. Pagano, Un poeta lirico del Seicento, Napoli 1907; Id., Uno dei tanti lirici del Seicento, in Id., Saggi e profili di storia letteraria, Nicotera 1932, pp. 63-111; Marino e i marinisti, a cura di G. Getto, Torino 1962, pp. 461 s.; G. Galasso, Napoli nel Viceregno spagnolo dal 1648 al 1696, in Storia di Napoli, VI, Tra Austria e Spagna, 1, Napoli 1970, pp. 129 s.; C. Jannaco - M. Capucci, Il Seicento, Padova 1986, p. 357; Tre catastrofi. Eruzioni, rivolta e peste nella poesia del Seicento napoletano, a cura di G. Alfano - M. Barbato - A. Mazzucchi, Napoli 2000, pp. 26, 68, 158 s.

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