DIONISI, Giovan Jacopo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 40 (1991)

DIONISI, Giovan Jacopo (Gian Iacopo, Gian Giacomo)

Guido Fagioli Vercellone

Nacque postumo a Verona il 22 luglio 1724 (quasi tutte le fonti danno erroneamente 1734) dal marchese Giovan Iacopo, veronese, e da Origa Stucchi, di famiglia originaria di Mantova.

I Dionisi erano antichi in Verona, vantando una dubbia origine normanna: iscritti al Consiglio nobile nel 1422, ottennero dal Senato veneto il 26 febbr. 1711 il titolo marchionale per i primogeniti e la conferma di quello comitale per tutti i maschi.

Il D., compiuti i primi studi in patria, li continuò presso i gesuiti di Bologna nel collegio dei nobili. Rientrato a Verona e ordinato sacerdote, venne creato canonico della cattedrale da Benedetto XIV; in considerazione della sua eccellente preparazione, ben presto gli furono affidati, come conservatore, la biblioteca e l'insigne archivio di quel capitolo. La sua prima cura nelle nuove funzioni fu il riordino e la rilegatura dei preziosi manoscritti, che aveva trovato in notevole disordine: vi si dedicò con crescente passione, iniziando quella fervente attività di ricerca che farà di lui un valido studioso di diplomatica, d'epigrafia e di numismatica veronesi. Negli anni giovanili volle anche formarsi un piccolo museo personale, "raccolta d'erudite anticaglie" (tra cui un esemplare in bronzo "d'onesta missione e di cittadinanza" dato sotto il consolato di C. Bellico Natale e di V. Cornelio Scipione ai soldati della legione I adiutrice) e di storia naturale, che poi curiosamente finì a Parigi, avendolo egli venduto al conte M. Marioni, che lo cedette a Napoleone.

Gli studi compiuti nella Biblioteca capitolare condussero il D. a produrre una serie di pubblicazioni di storia e antiquaria veronese. La prima è una rivendicazione dei privilegi del capitolo, Sopra del fondamental privilegio a' canonici di Verona dal vescovo Ratoldo, l'anno 813, 24 giugno concesso, fatto da loro incidere sopra diun rame, e pubblicato in gran foglio. Vi si aggiunge uno spicilegio di documenti tratti dal capitolare archivio ed iscrizioni del museo Moscardi, Verona 1755, seguono Apologetiche riflessioni, ibid. 1755, in difesa dello stesso privilegio; Vetera Paralipomena Codicum Capituli Ver.sis aJo. Jacobo de Dionysiis in unum collecta, Veronae 1758; De duobus episcopis Aldone et RotingoVeronesi Ecclesiae assertis et vindicatis, dissertatio. Additur Veronensis agri topographia, eiusdem expositio, nonnullorumque documentorumCapituli Veronensis collectio, Veronae 1758. Observazioni sopra un'antica scultura ritrovatanel recinto della cattedrale di Verona, Verona 1767; Dell'origine e progressi della Zecca di Verona, ibid. 1773; Il ritmo dell'Anonimo Papiniano volgarizzato, commentato e difeso, ibid. 1773; Due lettere latine intorno alle monete battute in Verona da Ezzelino, ibid. 1779; Atti di s. Arcadio, Martire e Cittadino Veronese, ibid. 1779; Della città de' Precorni, trovata negli atti deiss.mm. Fermo e Rustico, Venezia 1783; Le operedi s. Zenone volgarizzate, Verona 1784, con lettera dedicatoria a Pio VI; Della Zecca di Verona e delle sue antiche monete, ibid. 1785 (che in verità gli valse una stroncatura feroce dal Giornale enciclopedico di Bologna, 9 marzo 1786, n. 35, pp. 69-71, cui egli volle replicare non senza ironia con la Pistola di fra' Giocondo dell'ordine de' Rovescianti di Latino tradotta in italiano da sr. Concerto Tromba gentiluomo Feltrino, Gardone di Val Trompia 1787), Vite deisanti martiri veronesi, Verona 1786.

Questo filone di opere (che avrebbe dovuto essere coronato dalla pubblicazione del Codice diplomatico della Chiesa veronese, cui lavorò per anni, rimasto invece manoscritto) dimostra una volontà di documentazione molto seria e rettamente applicata. Questi lavori del D. furono generalmente apprezzati: per l'epigrafia lo ricorderà Th. Mommsen (Corpus inscript. latin., V, p. 336, n. XXVII), mentre per la numismatica G.A. Zanetti inserì interamente nella sua Nuova raccolta delle Monete e Zecche d'Italia, Bologna 1785, le opere sulle monete veronesi; quanto all'erudizione ecclesiastica, Pio VI, passando per il Veneto di ritorno da Vienna nel maggio 1782, volle dimostrargli la sua stima, su sollecitazione del nunzio a Vienna G. Garampi, offrendogli un vescovado che il D. rifiutò per non lasciare Verona e la Biblioteca capitolare.

I primi segnali dell'interessamento del D. a Dante appaiono nel 1773: ne Il ritmo dell'Anonimo Papiniano si parla anche di Dante, e tutta l'opera è infarcita di citazioni dantesche. In effetti la corrispondenza del D. con Bartolo Perazzini, arciprete di Soave e noto studioso di Dante (che tanta parte poi avrà nella vita e nell'opera del D.), inizia proprio nel 1772; inoltre già esisteva a Verona un gruppo di studiosi che avevano intrapreso tentativi di critica sull'opera dantesca con criteri nuovi: oltre al Perazzini ne facevano parte l'ab. L. Salvi, C. Pompei, G. Torelli, B. Lorenzi, G. B. Mutinelli, G. Bandonio, D. Gottardo, F. Rosa Morando. Pure a Verona era uscita nel 1749 l'edizione della Divina Commedia curata dal p. P. Venturi, il cui commento, però, non era stato apprezzato da questo gruppo di studiosi, che lo giudicò "tra le vergogne letterarie". A mano a mano che il suo interesse per Dante andava aumentando, il D. strinse relazioni e corrispondenze con moltissimi studiosi specializzati in quel campo in tutta Italia, e cominciò a formarsi gli strumenti metodologici che lo metteranno in condizione di farsi conoscere a livello europeo. Mentre il Perazzini si occupava principalmente dei testi e dei codici, egli affinava gli strumenti per la miglior comprensione dei reconditi significati del testo dantesco: raccogliere ogni possibile dato o notizia sulla storia della vita e dei tempi di Dante, esaminare e vagliare a fondo le opere minori, documenti, iscrizioni, stemmi, topografie, ma anche "pergamene, papiri, codici, lapidi, bronzi, vetri, medaglie, sigilli, pitture, sculture e simili momimenti", con metodo analogo a quello usato dal Muratori negli Annali d'Italia (Aneddoto VI, Verona 1794): un immenso lavoro di erudizione, non fine a se stesso ma finalizzato alla critica dantesca, con una concentrazione di ricerche così minuziosa che talvolta sembrerà assumere forme quasi maniacali. Aveva sperato di riuscire a fondare un'accademia di studi danteschi, ma la morte del Torelli nel 1781 e quelle dei conti Betti e Pompei nel 1788 resero impossibile il progetto; di questo gli rimase un'idea che cercò per anni con tenacia di divulgare: sostituire le innumerevoli pubblicazioni di versi d'occasione, per nozze, monacazioni, ecc., con altrettante piccole monografle d'erudizione locale, oppure con pubblicazioni d'antichi inediti, si da rendere giovevole agli studi un'inutilissima e ormai vuota usanza (Aneddoto IV, Verona 1788). G. Carducci (Della varia fortuna di Dante, in Studi letterari, Bologna 1891 p. 218) lo definì "uno degli uomini più benemeriti degli studi danteschi, che fu, sullo scorcio del secolo passato, l'instauratore di una nuova critica sulle opere del poeta".

Il D. affidò i progressi di questi suoi studi critici ad una serie di monografie (furono otto) che volle chiamate Aneddoti, e che pubblicò a Verona tra il 1785 e il 1806. Questa "Serie di aneddoti", dallo stile spesso non gradevole e a volte irritante, ha sovente uno spunto occasionale, solo per poi introdurre divagazioni erudite su problemi danteschi. Nell'Aneddoto IV propose di "prornuovere la ristampa non solo della Commedia, ma di tutte le opere (giacché tutte d'emenda hanno bisogno, e di lume); la quale sarà, se riesca bene, di sommo lustro alla patria", e poiché molti letterati fiorentini lo misero in guardia circa l'impossibilità di dare un'edizione soddisfacente delle opere dantesche senza conoscere i codici fiorentini, nella primavera del 1789 il D. partì per Firenze, conducendo con sé il Perazzini. Vi rimarrà da aprile a giugno "lavorando come un cane", e non vide neppure la città "avendo collazionato e parte copiato 200 manoscritti, con la più improba fatica del mondo" (Bibl. Capitolare di Verona, cod. DCCCLVI, lettera all'ab. C. Sibiliato a Padova, del 2 maggio 1790). Frutto immediato di questo viaggio fu l'Aneddoto V. Dei Codici fiorentini (Verona 1790), un ottimo lavoro critico, dovuto certo in gran parte al Perazzini, specialista dei codici e delle varianti dei testi.

Vi è il fondato sospetto che questi lavorasse per denaro al servizio del D.: nel 1789, al ritorno da Firenze, il D. annota "Altri denari al Sig. Arc. Perazzini a Soave la cui somma ammonta a più di 5.000 lire", ed a lui egli scrive "... purché nessuno sappia i nostri interessi" (Arch. di St. di Verona, Epistolario). Inoltre molte delle risposte del D. a dotti forestieri, particolarmente impegnative sui testi danteschi, recano spillate le minute di pugno del Perazzini (p. es. risposta a lettera 26 ott. 1786 del Pelli, in Il Propugnatore, 1883). Infine, risulta evidente nelle opere e. nella corrispondenza del D. posteriori alla morte del Perazzini (1800) un indebolimento delle argomentazioni ed una minore chiarezza, anche stilistica; è tuttavia possibile che ciò fosse dovuto alla tarda età, poiché tutte le fonti sono concordi su un forte indebolimento senile delle facoltà nel canonico: "... coll'avanzar dell'età si bamboleggia ..." (G. A. Moschini, 1806, p. 134). Ad ogni modo, pur concedendo al Perazzini una parte importante, che è precipuamente di correzione dei testi, resta al D. quella importantissima di interpretazione storico-critica e di decifrazione delle allegorie, che è forse la più originale ed innovatrice.

Gli studiosi fiorentini non furono molto soddisfatti delle conclusioni negative dell'Aneddoto V sui codici fiorentini, ed a loro campione si erse il preposto di S. Giovanni, M. Lastri, con un attacco molto violento (pubblicato nelle Novelle letterarie del 29 apr. 1791, coll. 259-267), in cui accusò il D - di faciloneria e di presunzione. Alle censure in gran parte ingiuste il D. rispose con il Dialogo apologetico di Clarice Antilastri [anti Lastri] gentildonna veronese... (Verona 1791), che ribatte con precisione alle accuse, ma che scatenerà una nuova e più grave "querelle", con il frate minore P. Lombardi, che aveva proprio nel 1791 iniziato la pubblicazione dell'edizione romana della Divina Commedia. In seguito, avendo saputo che il Bodoni ne preparava una nuova edizione, basata sul testo cominiano (Crusca) da lui disapprovato, gli scrisse, offrenddgli gratuitamente il "testo puro della Divina Commedia" e un adeguato commento. Il Bodoni accettò (lettera del 3 giugno 1794, in Bibl. cap. di Verona, cod. DCCCLVIII, Lettere) e il D. si gettò con foga nel lavoro, assistito dal fido Perazzini; vide cosi la luce La Divina Commedia di Dante Alighieri, Parma 1795, voll. 3, in folio (130 esemplari numerati, 25 dei quali in folio grande: l'edizione fu ripetuta nel 1796 in folio piccolo e in-, e nel 1806 a Brescia, presso N. Bettoni).

Base dell'edizione era il riprovato testo cominiano (volgata), raffrontato e corretto però col cod. di S. Croce e col cod. di fra' Stefano, di Firenze, una copia del quale fu trovata fra le carte lasciate dal D. alla Biblioteca capitolare. Pur segnando quest'edizione un progresso notevole sulle precedenti, tuttavia non fu ben accolta dagli studiosi, che avevano quasi unanimemente approvato quella recentissima dei Lombardi contro la quale il D. aveva lanciato acuminati strali polemici. In ogni caso le beghe del mondo letterario nocquero non poco al riconoscimento del suo valore di critico e di filologo, che fu riscoperto solo nella seconda metà del sec. XIX, e che è notevole, pur entro limiti ben precisi: "... l'enorme mole del materiale e delle questioni sollevate dall'analisi del Dionisi non supera quel limite in cui i dati eruditi e dottrinari divengono misura critica; tuttavia per serietà d'impostazione, per rilevanza e organicità dei problemi, essi hanno una funzione di rottura con l'approssimativa e spesso velleitaria esegesi tradizionale e costituiscono l'avvio all'analisi moderna" (L. Martinelli, Dante, Palermo 1973, pp. 151 ss.).

La pubblicazione della bodoniana segnò il culmine dell'attività letteraria del D.; dopo di allora videro la luce nel 1799 l'Aneddoto VII. Nuove indagini intorno al sepolcro di Dante Alighieri in Ravenna, l'Aneddoto VIII. Del focale di Dante ed altre materie consecutive (Verona 1806), uno dei suoi scritti meno felici. Infine, stanco di questioni dantesche, aveva voluto occuparsi di temi petrarcheschi con l'opera De' vicendevoli amori di messer Francesco Petrarca e della celebratissima donna Laura (Verona 1802), in cui attribuiva a Laura de Sade una figlia libertina: lo scritto sembrò di pessimo gusto e suscitò un coro di proteste, culminato nella pubblicazione di alcune lettere dell'ab. S. Bettinelli e di un articolo non meno critico dell'ab. P. Meneghelli sul Giornale di Padova. L'ultima opera invece, Preparazione istorica e critica della nuova edizione di Dante (Verona 1806, ma in realtà 1808), con lettera dedicatoria a P. Magenta prefetto del dipartimento dell'Adige, appare dignitosa, ma fu in gran parte dovuta alle cure e all'assistenza di S. Fontana, suo assiduo collaboratore dopo la morte del Perazzini.

Il D. morì a Verona il 14 apr. 1808.

Fu ascritto alla Società Colombaria di Firenze, all'Accademia degli Agiati di Rovereto, dei Rozzi di Siena, dei Rinvigoriti di Cento, e a quelle veronesi dei Filarmonici e degli Aletofili (nella sede della quale il 2 marzo 1778 tenne una lezione su "Due vescovi simultanei nella Chiesa di Verona al principio del secolo VI"). Ebbe carteggi prolungati con J. Andrès a Napoli, con l'arcade C. Bondi a Roma, con il Lanci, col Boricelli, coi cardinali G. Garampi e S. Borgia, col Tornieri a Vicenza, con C. Lucchesini a Lucca, col Manzi a Milano, col Gasparri a Treviso, col Florio a Udine, col Marini a Roma, col Toaldo a Padova e molti altri. Fu in amicizia letteraria col barone de Sperges, col duca di Sassonia-Weimar, col dott. Mathias Norbery di Gottinga, con Emestina di Brunswick.

L'Archivio di Stato di Verona ha acquistato nel 1979 dai marchesi Tacoli, credi degli estinti Dionisi Piomarta, l'archivio domestico di quella famiglia conservato nella villa di Ca' del lago di Cerca, escluso l'epistolario del D. che fu invece ceduto nel 1983. Tali documenti sono in corso di classificazione, per cui non è possibile per ora dare l'esatta collocazione di quelli usati. Si tratta di 19 buste di mss. e di sei buste di lettere dal 1741 al 1805. L'importante carteggio Dionisi-Perazzini consta di 136 lettere dal 1773 al 1800. Nell'Archivio della Biblioteca capitolare di Verona sono conservati i seguenti scritti del D.: cod. DCCXC: Memorie e atti della Chiesa veronese; cod. DCCCLIII: Memorie intorno ai santi veronesi; cod. DCCCLII: Memorie diverse sul Capitolo Canonicale Veronese; cod. DCCXCIX: Elenchus Dipl. et Priv. Cap. Veron.; cod. DCCCLIV, Memorie diverse per la storia di Verona; cod. DCCCLV: Diplomi e carte per la storia di Verona; cod. DCCCLVII: Memorie e studi per la storia di Verona; cod. DCCCL: Scritti di varia erudizione e Vetus mss. Codd. Index et elenchus; codd. DCCCLI, DCCCLVI, DCCCLVIII: Lettere; cod. DCCCLIX: Le opere di s. Zeno volgarizzate; cod. DCCCXLIX: Studi su Dante; codd. DCCCLX-CMIX: Postille a diverse opere a stampa sue e di altri autori.

Fonti e Bibl.: Bibl. capit. di Verona, cod. CCCV: C. Carinelli, Genealogie delle famiglie nobili veronesi, cc. 243-47; Novelle letterarie (Firenze), n. s., XVI (1785), coll. 741-44; XVII (1786), coll. 434 ss., 596-600, 619-23; XVIII (1787), coll. 116 s., 484 s., 543; Effemeridi letterarie di Roma, XX (1791), pp. 346 ss.; Memorie per servire alla storia letter. e civile, Venezia 1795, fasc. 62; G.A. Moschini, Della letter. venez. dal sec. XVIII fino a' nostri giorni, Venezia 1806, I, p. 134; IV, pp. 37-44; A. Cesari, Elogio lapidario di G. G. Dionisi, Verona 1809, in folio; L. Federici, Elogi istor. de' più illustri ecclesiastici veronesi, III, Verona 1818, pp. 217-34; B. Gamba, Galleria dei letterati ed artisti più illustri delle provincie venez. che fiorirono nel sec. XVIII, Venezia 1822-24, pp. n.n.; A. Lombardi, Storia della letter. ital. nel sec. XVIII, Venezia 1832, III, 6, pp. 261 s.; G. Dandolo, La caduta della Repubblica di Venezia e i suoi ultimi 50 anni, Venezia 1857, p. 126; Memorie funebri antiche e recenti raccolte dall'abate G. Sorgato, offerte per le stampe dell'abate G. s., IV, Padova 1863, pp. 188; F. Castagnedi, Don B. Perazzini arciprete di Soave, in Miscell. per le nozze Biadego-Benardinelli, Verona 1876; P. Sgulmero, Due lettere di E. C. Müller Reiske a G. J. D., Verona 1883; Id., Sette lettere inedite di G. Pelli a G. J. D., in Il Propugnatore, XVI (1883), I, pp. 281-317; A. Cesari, Elogi ital. e latini editi e inediti, raccolti, ordinati ed illustrati da G. Guidotti, Reggio Emilia 1898, pp. 136-139; G. Dandolo, Raccolta di lettere ined. per cura di A. Fiammazzo, II, Udine 1898, p. 126; G. Zacchetti, Il commento del Lombardi alla Divina Commedia e le polemiche dantesche con il D., Roma 1899; Id., La fama di Dante in Italia nel sec. XVIII, Roma 1900, passim; M. Zamboni, La critica dantesca a Verona nella seconda metà del sec. XVIII, Città di Castello 1901, pp. 23 ss.; G. L. Passerini, Dantisti e dantofili dei secc. XVIII e XIX, in Giorn. dantesco, VIII (1901), schede sciolte, 1-3; G. Gasperoni, Gli studi danteschi a Verona nella seconda metà del '700, con appendice di lettere inedite, in Dante a Verona, Verona 1921, p. 314; A. Sodini, Dantisti e dantofili: G. J. D., in L'Ape, LXVII (1921), 7, pp. 149-51; G. Bustico, S. Grosso, lavoro divisato ma non scritto sulle benemerenze di G. J. D., in La Romagna, XVII (1928), 4-5, p. 337; G. Natali, Il Settecento, Milano 1929, pp. 546 s.; C. Frati, Dizionario bio-bibliogr. dei bibliotecari e bibliofili ital., Firenze 1933, p. 204; G. Gasperoni, Settecento italiano, I, L'abate G. C. Amaduzzi, Padova 1941, pp. 125, 134, 256; M. Parenti, Aggiunte al Diz. biobibliogr. dei bibliotecari e bibliofili ital., Firenze 1952-60, II, pp. 35, 38; G. Gasperoni, S. Maffei e Verona settecentesca, Verona 1955, pp. 288-99, 322, 462, 467, 465 ss.; A. Vallone, La critica dantesca nel Settecento e altri saggi danteschi, Firenze 1961, pp. 54-58; A. Cosatti, La riscoperta di Dante da Vico al primo Risorgimento, Catalogo della mostra per il VII centenario di Dante, Roma 1967, nn. 23, 33, 35, 47-50, 65, 67, 77, 96, 100, 154 s., 197, 206; Enc. dant., II, pp. 462 s.

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