ACETO CATTANI, Giovanni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 1 (1960)

ACETO CATTANI, Giovanni

Francesco Brancato

Nacque a Nicosia nel 1778 da antica e nobile famiglia. Deputato al parlamento del 1812 nel braccio demaniale, quale giurato di Santa Lucia, seguendo il Balsamo e il Castelnuovo, fu uno dei più accesi sostenitori della riforma della costituzione in senso liberale, sul modello di quella inglese. Divenne perciò anche uno dei più caldi difensori degli interessi inglesi in Sicilia, nei quali vedeva la salvaguardia della libertà e dell'indipendenza dell'isola. E a queste idee si ispirò sempre nella sua attività politica, sia in seno al parlamento, decisamente opponendosi alla corrente conservatrice, contraria ad ogni riforma, e a quella democratica manifestante qualche simpatia per la rivoluzione di Francia, sia nel paese, dando vita, con Pompeo Inzenga e Giacinto Agnello, al "Club degli Amici della Costituzione e dell'Alleanza Britannica". Ma sostenne le sue maggiori battaglie dalle colonne di La Cronica di Sicilia (bisettimanale, pubblicato dal 2 sett. 1813 al 4 febbr. 1814), organo del Club, di cui ebbe affidata la direzione.

In polemica con L'Osservatore (bisettimanale uscito fra il settembre e l'ottobre 1813), sostenitore dei democratici capeggiati da E. Rossi (detti perciò anticronici in contrapposizione ai costituzionalisti detti a loro volta, dal titolo del loro giornale, cronici), l'A. mise in rilievo i pericoli per la libertà rappresentati dai principi della rivoluzione francese e accusò di antipatriottismo coloro che, mostrando, a suo dire, di non ben distinguere tra democrazia e demagogia, se ne facevano banditori in Sicilia (cfr. La Cronica di Sicilia del 7 o 14 ott. 1813). Con non minore violenza l'A. attaccò i conservatori, fino a suscitare forte risentimento in alcuni membri del parlamento e, in modo particolare, in G. Aprile, barone di Cimia, che chiese persino l'abolizione della libertà di stampa già concessa con la Costituzione del 1812. Più tardi lo stesso A. ebbe a riconoscere di avere adoperato un linguaggio tutt'altro che moderato e conciliante, determinando spesso scissioni e discordie. Gli si deve in ogni modo riconoscere il merito di avere, forse primo in Sicilia, intuito la funzione spettante alla pubblica stampa.

Ancora con questo spirito l'A. attese alla compilazione del bisettimanale Giornale Patriottico, con il quale, nei centonovantotto numeri usciti dal 19 nov. 1814 al 24 ag. 1816, protestò prima contro il minacciato accentramento politico e amministrativo e quindi contro l'abolizione della Costituzione del 1812. Allorché poi scoppiarono i moti del '20, l'A. ridiede vita al periodico con il titolo Giornale Patriottico di Sicilia, ch'ebbe vita dal 5 agosto al 23 settembre di quell'anno, polemizzando soprattutto con la stampa napoletana per le voci da quella diffuse intorno agli avvenimenti di Sicilia.

Durante quei moti, in esecuzione dell'ordinanza del 16 luglio 1820 del luogotenente generale del re, Diego Naselli, fu preposto con il marchese Micciché a uno dei quattro quartieri in cui fu divisa la città di Palermo, e precisamente al quartiere della Kalsa. Formatasi la Giunta sotto la presidenza del principe di Villafranca, ebbe da questa l'incarico di redigere il manifesto di risposta al proclama con il quale il principe vicario aveva cercato di ridurre all'obbedienza del re i Palermitani.

Ancora una volta in quel manifesto, che il Cortese pone "fra gli scritti più significativi della rivoluzione siciliana", l'A. ribadisce il diritto dell'isola all'autonomia e all'indipendenza tradizionale: la rivoluzione non era contro il monarca, ma contro la tirannia di Napoli rivolta a soffocare la libertà siciliana e, conseguentemente, contro gli errori, commessi dal governo costituzionale napoletano che, fin dai primi giorni di sua vita, s'era abusivamente arrogato il diritto di decidere delle sorti dello stato, dichiarando per di più sediziosa quella parte che non si fosse supinamente piegata alla sua volontà. Se v'erano stati disordini, erano pertanto da imputarsi al governo e non all'indole del popolo siciliano che, naturalmente pacifico, era subito rientrato nell' "ordine", dando "un esempio della più rara moderazione".

L'A. finì così, in sostanza, col fare il giuoco della Giunta, con la quale anche cooperò per infrenare le forze popolari. Dopo la convenzione di Termini, che vide i baroni, timorosi di rivolgimenti sociali, abbandonare il programma separatista e aderire al ritorno della dinastia borbonica, anche l'A. fu fatto segno alle ire delle masse, che in quella convenzione videro un vero e proprio tradimento. Dopo la reazione, inviso com'era al governo per il suo atteggiamento autonomista, fu sospettato di appartenere alla carboneria e di essere per di più gran maestro di una delle cinque vendite esistenti a Palermo: malgrado le sue proteste d'innocenza, gli fu imposto di allontanarsi dall'isola. Impossibilitato a partire per le precarie condizioni di salute, fu, dall'ottobre al dicembre 1822, "custodito" da guardie di polizia nella sua stessa abitazione, quindi chiuso nel forte di Castellammare di Palermo, finché il 17 ag. 1823 venne fatto partire su una nave regia che lo condusse in Francia. Si stabilì a Parigi, seguito dal figlio Giovanni Pietro.

In polemica col Botta prese ancora le difese della Costituzione siciliana del 1812 in un opuscolo pubblicato anonimo in francese: De la Sicile et de ses rapports avec l'Angleterre à l'époque de la Constitution de 1812 (Paris, Ponthieu et C.ie, 1827), in cui fece carico principalmente alla mancata promessa di aiuto dell'Inghilterra se il tentativo separatista siciliano naufragò nel nulla.

Dell'opuscolo furono fatte a Palermo due traduzioni nel 1848: una anonima e l'altra da Vincenzo (e non Ignazio, come scrive il Mira nella sua Bibliografia) Caruso, che vi pose anche delle annotazioni.

L'A. collaborò inoltre al giornale letterario bilingue L'Esule-L'Exilé, uscito dall'ottobre 1832 al principio del 1834.

Nel febbraio 1837 inutilmente invocò con una "supplica" diretta al governo borbonico di ritornare in patria. Corse voce, raccolta anche da qualche storico, che, essendo "travagliato in salute", avrebbe avuto "segreto ricovero" presso il fratello in Palermo (cfr. per es. A. Gallo).

Morì nel 1840.

A. Saitta (Filippo Buonarroti, I, Roma 1950, p. 188; II, ibid. 1951, p. 198) e A. Galante Garrone (Filippo Buonarroti e i rivoluzionari dell'Ottocento,Torino 1951, pp. 169, 192, 193, 471) ricordano un Aceto che, fra il marzo e il luglio del 1831, fece parte di una deputazione la quale, a nome della Società patriottica italiana, cercò invano di far rientrare le dimissioni del Buonarroti e del Mirri dal "Direttorio liberatore". È dubbia la identificabilità di tale Aceto con Giovanni A., stato sempre costituzionalista moderato, filoinglese e antigiacobino. L'identificazione sembra senz'altro esclusa dal Saitta; non così dal Galante Garrone, che (p. 362) attribuisce all'Aceto, autore della missione presso il Buonarroti, anche la qualità di collaboratore dell'Esule, come sicuramente era Giovanni Aceto. È pure dubbio che l'Aceto in contatto col Buonarroti sia da identificare con il figlio di Giovanni, Giovanni Pietro.

Fonti e Bibl.: Sull'A, non esiste uno studio complessivo ed organico. Esistono soltanto dei cenni, in tutti gli scritti, editi ed inediti, riguardanti avvenimenti del 1812-13 e del 1820 in Sicilia. Tra i principali, cfr. in Biblioteca comunale di Palermo, ms. Qq, F, 158-160, D. Scinà, Raccolta di notizie dei fatti del 1820; ibid. ms. Qq, D, 70, [Anonimo], Giornale dal 1 luglio al 25 nov. 1820; A. Gallo, Sugli scrittori moderni di storia di Sicilia, saggio critico, Palermo 1867, p. LI e nota; N. Cortese, La prima rivoluzione separatista siciliana, 1820-1821, Napoli 1951, passim. Per il testo della Risposta dei Palermitani, cfr. N. Palmieri, Saggio storico e politico sulla costituzione del Regno di Sicilia infino al 1816 con un'appendice sulla rivoluzione del 1820, Losanna 1847, pp. 355-359. Circa la sua azione giornalistica, cfr. N. D. Evola, La libertà di stampa in Sicilia (1812-1820-1848), in Il Giornalismo, Roma, n. 4 del 1940 e nn. 1 e 2 del 1941. Sulla sua attività a Parigi, si veda A. Vannucci, I martiri della libertà italiana dal 1794 al 1848, Firenze 1860, p. 356. Sull'origine della famiglia, si veda A. Mango di Casalgerardo, Nobiliario di Sicilia, I, Palermo 1912, pp. 36-37. Per la presunta attività carbonara dell'A, e le cause del suo esilio, si veda Arch. di Stato di Palermo, R. Segreteria di Stato presso il luogotenente generale del Re, Polizia, filza 15, doc. 758; rapporti vari nelle filze 21, 22 e 23; filza 28, doc. 933; filza 30, doc. 1093; filza 54, doc. 1513; filza 236, fasc. 24, doc. 933.

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