AMENDOLA, Giovanni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 2 (1960)

AMENDOLA, Giovanni

Giampiero Carocci

Nacque a Napoli, da famiglia di Sarno, il 15 apr. 1882. Dopo un primo tirocinio giornalistico fatto, giovanissimo, sotto la guida di E. Arbib, l'A. prese le mosse da uno spiccato interesse speculativo, e precisamente dalla filosofia tedesca (alla cui conoscenza diretta contribuì un soggiorno a Lipsia nel 1906), soprattutto kantiana. Nel 1909-1911 visse a Firenze, legato a quell'ambiente culturale, come direttore della Biblioteca filosofica;pur non essendo laureato, nel 1913 tenne come libero docente un corso universitario a Pisa. Una parte della sua produzione filosofica e saggistica uscì sulle riviste fiorentine: Leonardo (1905-1906), La Voce (1908-1912), L'Anima,che nel 1911 fondò e diresse insieme con G. Papini. Ma collaborò anche ad altre riviste italiane e straniere, fra le quali la Revue du Nord (Roma, 1905-1907), Prose (Roma, dicembre 1906-gennaio 1908), Il Rinnovamento di Milano, che iniziò le pubblicazioni nel gennaio 1907, Cultura Contemporanea (1909-1913), del cui comitato di redazione fece parte, la Revue de Metaphysique et de Morale.

Nello stesso periodo pubblicò in volumi altri scritti di filosofia e dettò le prefazioni alle ristampe di alcuni classici.

La sua problematica filosofica si svolse intorno al tentativo di stabilire i fondamenti di una morale formale e autonoma, pur sforzandosi di superare il dualismo kantiano, fra ragione pratica e teorica, sottolineando il concetto di volontà che l'A. derivava da Maine de Biran. Il punto di arrivo della sua filosofia, formulato nel 1909 e approfondito nel biennio successivo, fu una forma di volontarismo etico, con l'identità posta fra la volontà e il bene.

L'A. fece parte di quel complesso moto di rinnovamento che caratterizzò la cultura italiana del primo quindicennio del secolo XX, e che si mosse sotto il segno dello spiritualismo e della reazione contro il positivismo. Anche l'A. unì alla battaglia culturale contro il positivismo una profonda avversione - corroborata dal suo liberismo meridionalistico - verso la democrazia giolittiana, cui rimproverava, oltre al protezionismo economico, il basso livello morale, verso il radicalismo, la massoneria e il socialismo, tutti considerati figli della ideologia positivistica. Egli vi contrapponeva la tradizione liberale della Destra storica, da Sella a S. Spaventa, il senso etico dello stato e della sua autorità, che egli derivava anche dalla migliore tradizione crispina. Sicché, precisandosi in lui l'interesse politico, l'A. militò idealmente nelle file conservatrici del partito liberale. Fu un rappresentante autorevole delle tendenze nazionalistiche che vagheggiavano un liberalismo più energico e moralmente più elevato di quello giolittiano; ma fu nettamente contrario al nazionalismo estremistico e illiberale, nonché a ogni forma di dannunzianesimo. Quando, dopo le elezioni generali del 1913, i nazionalisti veri e propri si staccarono da quelli liberali, l'A. collaborò ai suoi inizi al periodico L'Azione,che, diretto da Paolo Arcari e Alberto Caroncini, iniziò le pubblicazioni a Milano alla vigilia del congresso nazionalista del maggio 1914 e diventò l'organo dei gruppi nazionali liberali.

Nell'agosto 1912 l'A. si era dato al giornalismo militante, unendosi a E. De Marinis come corrispondente politico romano del Resto del Carlino.Erano i mesi dell'impresa libica. Dopo aver superato alcune perplessità iniziali, sostenne caldamente l'impresa fin dal giorno della dichiarazione di guerra alla Turchia. In questa guerra, come poi nella partecipazione alla guerra mondiale, vide soprattutto un modo per temprare il carattere morale del popoìo italiano. In occasione delle elezioni generali del 1913 combatté i socialisti e i radico-massoni e sostenne contro questi, in un collegio di Roma, il candidato nazionalista L. Federzoni. Ma il settore cui prestò maggiormente attenzione fu quello della politica estera, con particolare riguardo ai problemi balcanici, acutizzati dalle due guerre che si combatterono in quelle regioni, e del Mediterraneo orientale. Nei confronti del problema albanese egli sostenne sostanzialmente la politica del di San Giuliano, volta a mantenere l'indipendenza di quello stato, soprattutto in funzione antiserba e antigreca. Ma criticò quello che gli pareva l'eccessivo triplicismo del ministro degli Esteri e di Giolitti e le insufficienti garanzie che l'alleanza dava all'Italia. Fu in sostanza sempre - esplicitamente o tendenzialmente - ostile alla politica balcanica e adriatica del governo di Vienna. Caduto Giolitti, salutò con favore il ministero Salandra.

Dal giugno 1914 l'A. cessò la collaborazione al Resto del Carlino e, alla vigilia della guerra mondiale, entrò a far parte dell'ufficio romano del Corriere della Sera.Si affiancò al conterraneo Andrea Torre che lo dirigeva, lo sostituì poi alla direzione nel giugno del 1916 e collaborò al giornale fino a tutto il 1920. L'A., che era stato chiamato alle armi nel marzo del 1915, aveva dovuto lasciare definitivamente il fronte nel 1917, perché colpito da malaria. L'incontro fra l'A. e L. Albertini fu l'incontro, destinato a durare con fasi diverse fino alla morte del primo, fra due uomini profondamente congeniali. Durante gli anni della guerra l'atteggiamento dell'A. si confonde con quello del Corriere della Sera.Da un lato, l'A. combatté costantemente gli ex neutralisti e il pacifismo dei socialisti, da un altro lato, criticò a più riprese quella che giudicava la chiusura del governo nei confronti del parlamento e del paese, la diplomazia segreta di Sonnino, la sua sordità per le idealità nazionali, la sua intima serbofobia e l'espansionismo nel settore adriatico. La critica alla condotta della diplomazia di Sonnino si precisò dal luglio del 1917 e soprattutto dopo Caporetto. L'A. fu uno dei promotori del Comitato italiano per l'intesa fra i popoli oppressi dall'Austria, che portò, nell'aprile del 1918, al Patto di Roma. La polemica dell'A. contro Sonnino si manifestò con forza particolare, dopo la vittoria del Piave, nell'agosto successivo e più tardi, dopo qualche perplessità, coinvolse in un giudizio radicalmente negativo l'operato di Sonnino e di Orlando alla conferenza della pace.

La fine della guerra trovò l'A. in un atteggiamento politico assai diverso da quello tenuto negli anni precedenti il grande conflitto. Si era precisata l'avversione contro i nazionalisti, contro i cosiddetti antirinunciatari, contro la destra liberale e contro i ceti plutocratici. Il conservatore, che la polemica antisonniniana aveva contribuito ad avvicinare alle idealità democratiche bissolatiane, era adesso un seguace di F. S. Nitti. La fine della guerra segnò anche l'ingresso nella politica militante dell'A., che seguiva così la sua vocazione profonda di uomo nato per il comando e l'azione. Fu candidato alle elezioni generali del 1919 in quel di Salerno, nella regione natale della sua famiglia, e venne eletto col suffragio di quasi tutti gli elettori di G. Abignente, deputato del collegio di Mercato San Severino, morto durante la precedente legislatura. L'A. ottenne un analogo successo alle seguenti elezioni generali del 1921 e del 1924, malgrado la sempre maggiore ostilità del governo. Durante la campagna elettorale del 1921 egli contrappose la cosiddetta "Legione Amendola" alle violenze di parte governativa. La spregiudicatezza con la quale l'A. si comportava nel suo collegio, oltre ad inserirsi in certi aspetti tradizionali del costume politico meridionale e del suo collegio, trovava una giustificazione nella concretezza con cui egli seppe agire sul piano locale e crearsi la base elettorale nella piccola e media borghesia, presso quei ceti medi sui quali intendeva poggiare, anche sul piano nazionale, la sua azione politica.

L'A. era stato contrario alla riforma elettorale, con l'abbandono del collegio uninominale, del 1919. Vedeva la salvezza del paese nella compattezza e nella fedeltà alla sua tradizione del ceto politico liberale, opposto contro i due nuovi grandi partiti, il socialista e il popolare. Ma egli si rese conto con grande chiarezza che i liberali dovevano cercare l'appoggio dei popolari e, possibilmente, dei socialisti collaborazionisti. Questo fu in sostanza il significato del discorso che pronunciò alla Camera il 26 marzo 1920. Il discorso riscosse un grande successo e poche settimane dopo il neodeputato entrò a far parte, come sottosegretario alle Finanze, del secondo, brevissimo ministero Nitti (24 maggio-15 giugno 1920). Radicalmente ostile alle disordinate istanze rivoluzionarie agitate dai socialisti e ostile, sulla linea del Corriere della Sera,all'atteggiamento neutrale tenuto da Giolitti durante l'occupazione delle fabbriche nel settembre del 1920, l'A. fu anche ostile allo squadrismo fascista, che andò affermandosi dopo quella circostanza. Egli accomunò in una stessa avversione le istanze rivoluzionarie socialiste e il sovversivismo fascista, che considerava come nemici identici dello stato liberale e del regime parlamentare. Ma poiché, dopo l'occupaziòne delle fabbriche, la pressione del movimento operaio andò diminuendo e andò aumentando invece l'illegalismo fascista, l'A. concentrò sempre più contro quest'ultimo la sua ostilità. Per questo fu contrario, come Nitti, alle elezioni generali del maggio 1921, volute e fatte da Giolitti. Al programma giolittiano, che intendeva sfruttare l'illegalismo fascista in fase elettorale per decimare i deputati socialisti e popolari, l'A. contrappose più volte, per esempio nel discorso pronunciato alla Camera il 23 luglio 1921 e in quello di Sala Consilina del 1 Ott. 1922, il programma di far entrare nella legalità il fascismo, legandone i deputati, direttamente o indirettamente, al governo. Per questo, fino a dopo la discussione parlamentare della riforma elettorale Acerbo nel luglio 1923, anche l'A. fece sempre buona accoglienza alle dichiarazioni di legalitarismo che Mussolini andava alternando all'illegalismo e alla violenza.

Poiché queste restavano le caratteristiche determinanti del fascismo, l'A. andò precisando la sua opposizione e l'istanza di mantenere compatto il ceto politico liberale malgrado i suoi contrasti interni e il filofascismo della sua maggioranza. A questo obbiettivo mirò sostanzialmente Il Mondo.Il primo numero del quotidiano uscì il 26 genn. 1922, fondato dall'A., da G. Ciraolo e da A. Torre e finanziato, tramite quest'ultimo, dal conte Fr. Matarazzo. Allo stesso obbiettivo mirò soprattutto la fondazione, avvenuta nel giugno successivo ad opera di Nitti e dell'A. (che abbandonarono rispettivamente il gruppo parlamentare misto e quello della democrazia liberale), del Partito democratico italiano, che si diffuse soprattutto nel mezzogiorno. La fondazione del partito coincise con l'uscita del Torre dal Mondo;il giornale, diretto da A. Cianca (fino allora redattore capo con funzioni direttive), diventò l'organo dell'A., e, dalla fine di luglio, fu finanziato in massima parte dal comm. Filippo Pecoraino, un ricco siciliano proprietario di mulini e del quotidiano L'Ora di Palermo.

Ai due ministeri Facta del 1922 l'A. partecipò come ministro delle Colonie. In tale qualità, fronteggiò energicamente la ribellione in Tripolitania. Ma egli fu soprattutto, insieme a P. Taddei e G. Alessio, l'esponente della tendenza antifascista in seno al gabinetto: cercò di imbrigliare il fascismo legandolo al governo e fu nettamente ostile, insieme con il Taddei, alla marcia su Roma. Nei mesi successivi, dato l'attendismo e l'assenteismo di Nitti, l'A. diventò il capo dell'opposizione costituzionale, cui evitò di imprimere, anche durante la discussione parlamentare della riforma Acerbo, un carattere intransigente. Tuttavia la riforma Acerbo, che fu da lui criticata a fondo nel discorso pronunciato alla Camera il 12 luglio 1923, segnò una svolta, dalla quale non doveva più tornare indietro, nel senso che si radicalizzò la sua opposizione al partito dominante. L'adesione definitiva che, dopo l'incidente di Corfù, fecero al nuovo regime la maggioranza dell'alta borghesia e la monarchia diede all'A. la coscienza che il fascismo, contrariamente alle speranze ancora largamente diffuse nel paese, sarebbe durato a lungo. Ciò impresse alla sua opposizione un carattere amaro e pessimistico che, si manifestò poi, dopo il delitto Matteotti e dopo il 3 genn. 1925, nel suo tipico antifascismo, astensionista e, nello stesso tempo, intransigente.

Ormai i fascisti vedevano nell'A. uno dei loro massimi avversari. Lo dimostrano il "fermo"nella sua abitazione, cui fu sottoposto a Salerno il 15 dic. 1923 in occasione di una visita del re in quella città, e l'aggressione subita a Roma, in via Francesco Crispi, il 26 dello stesso mese, cui segui la "fascistizzazione"delle arnministrazioni locali nel Salernitano fino allora amendoliane.

Intanto l'A. andava elaborando un programma di democrazia radicale imperniato sul decentramento amministrativo e sulla creazione di una Corte costituzionale, che intendeva rivolgersi ai ceti medi, soprattutto meridionali, per offrire una soluzione al dilemma tra fascismo e comunismo. Partendo dalla constatazione che il fascismo era meno diffuso nel mezzogiorno che nelle regioni centrali e settentrionali della penisola, l'A. intendeva far argine, soprattutto con i ceti medi meridionali, ai due movimenti politici tipici delle altre regioni, al fascismo ed al comunismo. L'adesione agli ideali democratici fu ribadita a più riprese, dal discorso parlamentare del 12 luglio 1923 a quello elettorale di Napoli del 20 marzo 1924, e confermata dai legami che, soprattutto dopo il delitto Matteotti, l'A. contrasse con l'opposizione massonica. Parallelamente l'A. andò accentuando, fino al 3 genn. 1925, le critiche ai liberali fiancheggiatori, con particolare riguardo a quelli salandrini. Fin dai primi mesi del 1923 aveva anche combattuto la politica tributaria e doganale del fascismo.

Il delitto Matteotti indusse l'A., insieme con le altre opposizioni eccettuata la comunista, a ritirarsi dalla Camera e a dar vita al cosiddetto "Aventino",del quale fu l'animatore politico. Concepì l'Aventino come sede della legalità, contrapposta al governo e alla Camera, considerati illegali; e si oppose sia ai vari tentativi, caldeggiati da repubblicani e garibaldini della "Italia Libera",di insurrezione armata, sia ad alleare l'opposizione aventiniana a quella comunista. Il suo distacco dalla monarchia, effettuato dopo il 3 genn. 1925, non fu mai reciso. Nel periodo compreso fra il delitto Matteotti e le dichiarazioni di Mussolini del 3 genn. 1925 si sforzò di suscitare nel paese un vasto movimento di opinione contro il partito fascista e il governo, accusati di correità nella catena dei "delitti di Stato",di cui quello Matteotti era il più clamoroso. Le accuse si fecero particolarmente intense nella seconda metà di novembre e si conclusero (sembra non per iniziativa dell'A.) con la pubblicazione del memoriale di Cesare Rossi sul Mondo del 27 dic. 1924, quando da vari giorni si parlava di un nuovo "giro di vite" antiliberale del governo. Alcuni oppositori speravano che le rivelazioni del Rossi sui legami tra i delitti di Stato e il governo ne avrebbero provocata la caduta; invece la pubblicazione fece precipitare la situazione, sfociata nel discorso di Mussolini del 3 genn. 1925. Allora ingrossarono in seno all'Aventino le tendenze favorevoli al rientro nella Camera, sia quelle di sinistra dei massimalisti sia quelle di destra dei riformisti e dei demosociali. Nonostame l'opposizione dell'A., queste tendenze erano di fatto già vittoriose nel maggio del 1925. Esse finirono poi con lo sfasciare l'Aventino nel settembre-ottobre.

L'A. era stato avversario deciso del ministro Gentile e della sua riforma scolastica. Nell'aprile 1925 si fece iniziatore presso B. Croce, in risposta al manifesto Gentile, del manifesto degli intellettuali antifascisti, che fu pubblicato sul Mondo del 10 maggio. Criticò, pur dopo una prima adesione all'occupazione di Corfù, la condotta diplomatica di Mussolini nel corso dell'incidente e, soprattutto da allora, l'intera sua politica estera, contrapponendo alle simpatie filofasciste di molti governi esteri e ai buoni rapporti italo-sovietici gli ideali dell'Europa liberaldemocratica che sembrarono prendere consistenza a Locarno. Tutti questi aspetti dell'antifascismo dell'A. confluirono nella Unione democratica nazionale. Questa era un movimento che, formatosi in varie città intorno alle elezioni del 1924 e soprattutto dopo il delitto Matteotti ad opera di intellettuali antifascisti, di liberali, di riformisti, di demosociali dissidenti, venne poi influenzato e diretto dall'A, ed ebbe nel mezzogiorno la sua massima diffusione. L'Unione nazionale si costituì ufficialmente nel novembre del 1924 con un manifesto al paese. Ebbe la sua manifestazione più importante col primo, e unico, suo congresso, tenuto a Roma nel giugno del 1925. Relatori e principali oratori al congresso furono G. Alessio, M. Berlinguer, S. Caramella, D. Dall'Ara, G. Della Valle, G. Ferrero, C. Manes, E. Molé, N. Papafava, E. Presutti, M. Ruini, L. Salvatorelli, C. Sforza, S. Trentin, M. Vinciguerra, e lo stesso Amendola. Alcuni di questi, come Molé e Ruini, facevano parte dell'équipe del Mondo.

Intanto l'A. subiva una seconda aggressione a Roma, in via dei Serpenti, il 5 apr. 1925, poi un'altra ancora, ben più grave, il 25 luglio, sulla strada fra Montecatini e Pistoia. Ammalatosi in seguito alle percosse, si recò a due riprese in Francia. Sempre malandato in salute, rientrò in Italia dove, ai primi di dicembre, sciolse di fatto l'Unione nazionale. Alla fine dell'anno tornò a curarsi in Francia. La morte, provocata dai postumi dell'aggressione di Montecatini, lo colse in una clinica nei pressi di Cannes il 7apr. 1926.

Oltre agli scritti e alle collaborazioni a riviste, già citate, si ricordano: prefazione a J. Ruskin, Le fonti della ricchezza, Roma 1908; prefazione a M. De Molinos, Guida spirituale,Napoli 1908 (ripubblicata poi in Etica e Biografia,Milano 1915, pp. 97-120, e ristampato nella nuova edizione, con prefazione di M. Vinciguerra, Milano-Napoli 1953, pp. 110-125); Filosofia e psicologia nello studio dell'io, Extrait des Comptes rendus du VI Congrès international de Psycologie, Genève 1909; Catalogo della Biblioteca Filosofica in Firenze,Firenze 1510; prefazione a M. Buonarroti, Poesie,Lanciano 1911 (già pubblicata in La Voce,29 dic. 1910, poi ripubblicata in Etica e Biografia,Milano 1915, pp. 69-68, e ediz. cit. del 1953, pp. 89-98); La volontà è il bene - Etica e religione,Roma 1911 (poi in Etica e Biografia,cit. 1953, pp. 3-32); Gli scritti di Giovanni Vailati,in Nuova Antologia,Serie 5,n. 152, 1911, pp. 76-89; Maine de Biran, Firenze 1911 (poi in Etica e Biografia,cit., 1953, pp. 37-38); La Categoria,Bologna 1913 (poi in Etica e Biografia,cit., 1953, pp. 173-259); Etica e Biografia,Milano 1915 (poi nel vol. omonimo, cit., 1953, pp. 39-50); prefazione a M. Bersano-Begey, Vita e pensiero di Andrea Tovianski,Milano 1918; Il Patto di Roma (in collaborazione con G. A. Borghese, U. Ojetti, A. Torre e prefazione di F. Ruffini), Roma 1919; prefazione a G. Berkeley, Saggio di una nuova teoria della visione,Lanciano 1920; Una battaglia liberale,Torino 1924; La democrazia dopo il VI aprile MCMXXIV, Milano 1924 (vol. I di Res publica - Studi politici, economici e sociali diretti da G. Lazzeri); Per una nuova democrazia, Relazioni e discorsi al I congresso dell' Unione Nazionale,Roma 1925 (sono dell'A. l'introduzione al volume e un discorso); La Nuova Democrazia,Napoli 1951 (raccolta di discorsi e scritti politici); Etica e Biografia,Milano-Napoli 1953, cit. (raccolta di scritti filosofici e culturali); La democrazia italiana contro il fascismo 1922-1924,Milano-Napoli 1960 (raccolta di articoli pubblicati nel Mondo dal 20 luglio 1922 al 15 maggio 1924).

Bibl.: O. Papini, Amendola,in La Vraie Italie,a. I (février 1919), coll. 20-23; Generale Filareti (C. Alemagna], Eolo-Giano-Mercurio,Saggi politici,con prefazione di E. Ciccotti, Firenze 1922 (nel saggio Mercurio è adombrato l'A.); P. Gobetti, Cenni biografici,in G. Amendola, Una battaglia liberale,Torino 1924; G. Prezzolini, G. A., Roma 1925 (una parte già pubblicata nel Mondo,14 febbr. 1924); P. Gobetti, Amendola,in La Rivoluzione Liberale,31 maggio 1925 (ora in Antologia della Rivoluzione Liberale,a cura di N. Valeri, Torino 1948, pp. 503-510); A. Bobbio, Le riviste fiorentine del principio del secolo (1903-1916),Firenze 1936, pp. 13, 16, 18 s.,55, 80, 89, 94-98 e passim;O. Papini, Passato remoto 1885-1914,Firenze 1948, pp. 213-217; M. Vinciguerra, prefazione a G. Amendola, La Nuova Democrazia,Napoli 1951; F. Rizzo, L'Unione Nazionale e la Nuova Democrazia,in Nord e Sud,II (1955),pp. 96-119; G. Amendola, Il "Non Mollare" del '25,in Il Contemporaneo,29 Ott. 1955; F. Rizzo, G. A. e la crisi della democrazia,Roma 1956; G. Carocci, G. A. nella crisi dello Stato italiano. 1911-1925,Milano 1956;E. Kuhn Amendola, Vita con G. A. Epistolario 1903-1906,Firenze 1960 (con bibliografia).

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

CATEGORIE
TAG

Firenze

Torino

Bobbio

Roma