BUSSI, Giovanni Andrea

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 15 (1972)

BUSSI, Giovanni Andrea

Massimo Miglio

Nacque a Vigevano il 14 luglio 1417 da famiglia di una certa importanza locale: il padre Antonio ricoprì diversi incarichi comunali. Si conoscono i nomi di tre suoi fratelli: Girolamo, Giacomo e Gerardo (questi due gli sopravvissero; cfr. V. Forcella, Iscrizioni... di Roma, IV, Roma 187, p. 1481 nn. 180-181).

Il cognome compare anche nella forma Bossi o de' Bussi (nei documenti papali varia in de Buxis,de Buxie o de Bussis);e spesso egli viene designato come "Vigevius" (variamente corrotto in Vigenius,Vegevenus,Vigerinus), indicativo del suo paese d'origine, mentre il nome era letto come Giovanni Antonio, finché una lettera di A. M. Querini a J. G. Schelborn non chiariva definitivamente il problema (N. Coleti, Epistolae Angeli Mariae Quirini, Venetiis 1756, pp. 646-648).

Dopo i primi studi - a Vigevano, com'è da credere - si recò nel 1435 a Parigi ("olim adolescens famatissimis in scholis parisiensibus agens, quo propter urbis celebritatem, et studiorum fervorem atque animi cultum capessendum concesseram": Querini, p. 156). Certa è la sua presenza a Mantova nel 1440 alla scuola di Vittorino da Feltre: una lettera del Filelfo a Sassolo da Prato del 27 settembre ci informa di una visita del B. a Milano, da dove riportava per Vittorino "Flaccum et Ciceronem" (Filelfo, c. 26); di Vittorino il B. lasciò un interessante elogio (Querini, pp. 186 ss.). Da questo periodo data l'amicizia con Teodoro Gaza dal quale, oltre alla conoscenza del greco, egli apprenderà una buona attenzione filologica. Si trasferì successivamente a Genova, dove nel 1449 teneva scuola nei giorni festivi, e dove il 30 maggio 1450 gli era concesso, con un contratto quinquennale, un salario annuo di 125 libbre (oltre quanto riceveva dai privati).

Ma già nel 1451 Niccolò V gli concedeva, il 16 luglio, lo "officium accolitatus". Nel 1452 il B. tornava a Genova, fermandosi lungo il cammino a Siena, per poter informare Giacomo Bracelli sul funzionamento di quella università. Con una lettera di presentazione del Bracelli all'Aurispa (il 13 maggio 1452) ritornava poi nuovamente a Roma. La corrispondenza fra il Bracelli e il B., che forniva notizie anche d'importanza politica, ma più spesso riguardanti il vario e fantastico mondo romano, ci è conservata solo per gli anni 1452-1453 (una di queste lettere [G. Balbi, L'epist. di Iacopo Bracelli, Genova 1969, n. 47, p. 101] è indirizzata "in domo reverendissimi domini cardinalis Aquilegiensis": ma in nessuna circostanza il B. ricorda un suo servizio presso il cardinale Ludovico Trevisano).

Il 1º nov. 1455 Callisto III concedeva al B. il canonicato di S. Ambrogio in Milano, con rendita annua di 24 fiorini (Reg.Vat. 440, f. 160rv), e il successivo 1º genn. 1456 l'officiumsecretariatus.

Lo stesso pontefice Callisto il 19 nov. 1455 aveva scritto (ibid., f. 161rv) al vescovo di Brescia di informarsi circa i meriti del B. e di concedergli, dopo averne ricevuto la professione nell'Ordine benedettino e il giuramento di fedeltà, l'abbazia di S. Giustina di Sezzadio presso Alessandria. Il B. è designato dal papa quale "familiaris noster" e "continuus commensalis", e dal documento risulta inoltre "decanus ecclesiae Sancte Marie in via Lata". La nomina non ebbe però effetto alcuno per la forte opposizione di Francesco Sforza, determinata dal fatto che l'abbazia di S. Giustina era costruita "in modum fortilitij" e - come si sa da un dispaccio molto più tardo di Gerardo dei Colli - dal fatto che in occasione della cessione di Vigevano allo Sforza "suo patre et suo fratelo... erano a la volta de Savoya" (Fossati, p. 241).

Iniziava allora un serrato tentativo da parte del B. per ottenere che la nomina papale andasse ad effetto. L'Aurispa sollecitava con una lettera il Filelfo (21 genn. 1456) per tentare di superare l'ostilità ducale; il Filelfo rispondeva direttamente al B. (12 febbraio: e già aveva risposto prima, secondo quanto afferma) informandolo di aver già intrapreso quell'affare presso il principe "firma et tota acie" (Epistolarum..., c. 91v); lo stesso giorno il Filelfo avvertiva il Gaza a Napoli (che dunque era intervenuto anche lui a favore del B.) di quanto aveva potuto fare, con tutta la cura possibile, per l'affare di S. Giustina, e aggiungeva di sperare per il futuro in un risultato più favorevole. Ancora con il Gaza, il 22 giugno, il Filelfo tornava sull'argomento: il suo intervento non aveva ancora ottenuto effetto, ma c'erano buone speranze.

Nonostante questi interventi, il papa (Reg. Vat. 451, ff. 54r-55r) era costretto, il 15 luglio 1457, a cassare la precedente decisione e a conferire l'abbazia a Giovanni da Fermo, cappellano di Francesco Sforza e monaco di S. Pietro di Burgolio in Alessandria; riservava però al B. dai redditi di S. Giustina una pensione annua a vita di centosedici fiorini, da versarsi per la festa di Pentecoste.

Nel 1458 il B. diveniva segretario del cardinale Niccolò da Cusa. In parte si risolvevano in tal modo i gravi problemi economici che lo avevano travagliato negli anni precedenti quando, sono sue parole, non aveva neppure tanto da potersi radere la barba e viveva facendo lo scrivano ("postulatorius libellio") nelle taverne e agli angoli delle strade (P. Cortesi, De cardinalatu, In Castro Cortesio 1510, c. 89, ma 111): e questa insistenza sulle misere condizioni economiche non sembra essere solo un topos, ma ricordo vivo di una condizione reale (v. anche ms. Vat. lat. 3350, f. 2v; e Querini, p. 226).

Ancora nel 1459 il problema di S. Giustina continuava ad angustiare il B. - a quanto risulta da una serie di lettere dello Sforza ai suoi oratori in Roma - per il mancato pagamento della pensione. In una comunicazione del 15 marzo 1459 a Sceva de Curte e Ottone Del Carretto, lo Sforza formulava sul B. un giudizio molto duro: "Parne che 'l habii un pocho de lettere; del resto ne pare briso et de non farne stima" (Meuthen, 1958, p. 164); secondo lo Sforza il B. non aveva mai voluto accettare la pensione; ed ora, passato al servizio del card. Niccolò da Cusa, "parne che 'l sii tanto più cresiuto in elatione quanto che 'l s'è appogiato ad maior" (ibid., p. 165). Lo stesso Cusano inviava una lettera al duca di Milano, a cui il B. ne faceva seguire una propria, vivace e priva di preoccupazioni diplomatiche, dove al lamento per l'abbazia in rovina aggiungeva l'amara consolazione di poter ringraziare Dio che, mentre "questi grogni uncti, avantasi de haverme tenuto trei anni, et tosto quatro, fori del mio benefitio", la loro persecuzione lo "ha condutto in magiore stato et migliore... che non haveria potuto may fare, aiutandomi" (Meuthen, 1964, pp. 96 s.). In risposta al Cusano lo Sforza il 16 marzo affermava che avrebbe convertito la pensione, appena possibile, in qualche altro beneficio, "nisi hic sua quadam opinione ne dicam insolentia interturbasset" (Meuthen, 1958, p. 168).Ma chiariva meglio il suo pensiero a Sceva de Curte, il 4 maggio, dichiarandosi contento che il Cusano avesse riconosciuto l'errore e l'insolenza del B., e quanto "al fatto de provederli de altri beneficii in loco de questa abbatia, dicemo che 'l ha bisogno de altra correctione che de darli beneficii, et così gli lo faremo vedere se 'l accadrà" (ibid., p. 176).Ma la lettera dello Sforza ed i colloqui di Sceva de Curte e Ottone Del Carretto non influirono nei rapporti tra il B. ed il cardinale, che continuarono sino alla morte di quest'ultimo (agosto 1464), e che per il B. stesso ebbero un'importanza determinante. Così nel 1460il B. accompagnava Niccolò da Cusa nel viaggio a Bressanone, ed è attestata la sua presenza a Levico.

Nel 1461 ottenne il vescovato di Acci, in Corsica, ed insieme gli veniva concesso, con due successive bolle papali (Reg. Vat. 4893 ff. 200r-202v; Reg. Lat. 587, ff. 212r-213v) del 20 genn. e del 4 nov. 1462, di continuare a godere della pensione annua dell'abbazia di S. Giustina, vista l'estrema povertà delle rendite legate al vescovato corso.

Le promesse fatte dallo Sforza non erano certo di quelle che si mantengono: ancora nel 1464 il B. si lamentava della pensione che non gli venivadata, ed Ottone Del Carretto, nel rispondere al duca "circa la instantia che continuamente fa lo R.do Domino Zovane Andrea da Viglevano per la pensione de l'abadia de Sezadio", notava che, se era vero che il B. aveva ottenuto il vescovato d'Acci - anche se ancora non era potuto entrarne in possesso -, questo d'altra parte "hè vescoato assay povero, et esso Messer Zovane Andrea vive pur assay poveramente" tranne quando l'aiutava il cardinale Cusano (Meuthen, 1958, pp. 300 s.). Era quindi rimasta vana la bolla papale che incaricava il vescovo di Modena G. Antonio Della Torre, quello di Ferrara Lorenzo Roverella e Giovanni de Cosarini avvocato di palazzo di richiedere il versamento della pensione al nuovo abate Giovanni da Fermo, prospettando, in caso contrario, la rimozione di quest'ultimo (Reg. Lat., 587, ff. 212r-213v).

L'incontro con Niccolò da Cusa fu evento che avrà culturalmente grande importanza per il B.: frequente è successivamente il ricordo del Cusano, che culminerà nel noto, per più aspetti, elogio del cardinale inserito nella prefazione alla stampa dell'Apuleio. Dal Cusano passeranno al B., oltre che la materiale conoscenza di tradizioni manoscritte sconosciute, una viva curiosità culturale e la immediata valutazione dell'importanza dell'invenzione della stampa ed insieme la coscienza della novità del mondo contemporaneo, "in cui vecchio e nuovo confluiscono e si combattono dolorosamente" (G. Falco, La polemica sul Medio Evo, Torino 1933, p. 13). Lo stesso Cusano fece del B. l'interlocutore di due dialoghi: con Bernardo di Kraiburg nel De possest (1460 c.), e con Pietro Balbo e Ferdinando Matim de Rorritz nella Directio speculantis seu de non aliud (gennaio 1462); un ms. del De possest appartenuto al Cusano fu rivisto e corretto dallo stesso B.: "correctum per episcopum Aciensem maximo labore, diebus duobus, quia librarius qui descripsit omnium est eiusmodi hominum mendosissimus et abiectissimus" (cfr. J. Marx, Verzeichnis der Handschriften-Sammlung des Hospital zu Cues bei Bernkastel a. Mosel, Trier 1905, p. 216).

Nel 1464 Pio II nominava il B. vicario generale "in spiritualibus et pontificalibus" della arcidiocesi di Genova, per l'impossibilità dell'arcivescovo Paolo Fregoso di anuninistrare la sua chiesa (Reg.Vat. 496, ff. 146v-147v). Il B. ne dava notizia a Francesco Sforza, chiedendogli una conferma (Meuthen, 1964, pp. 97 s.).

Il 23 luglio 1466 il B. fu trasferito alla diocesi di Aleria, sempre in Corsica, dove ebbe come vicario Manuele da Saliceto (G. Pistarino, Le carte del monastero di S. Venerio del Tino relative alla Corsica, Torino 1944, pp. 140, 143 ss., 155-178). Anche in questa circostanza incontrò l'opposizione dei signori di Milano, a cui Juan de Carvajal faceva scrivere dal vescovo di Ascoli Pietro de Valle, per "recomendare lo dicto misser... et favorire" (Fossati, p. 240). L'intervento del Carvajal era da Venezia, dove il B. aveva accompagnato il legato papale con cui rimarrà per tutto il 1466 e per alcuni mesi dell'anno successivo.

In questa occasione anche Gerardo de Colli, oratore milanese a Venezia, interveniva in favore del B., e faceva presente che in caso di concilio "pochi prelati si potesaro presentare a fare uno parlamento in pubblico come seria necessario" ed aggiungeva che, se era vero che il padre del B. era uomo "maligno et perfido", era altrettanto vero che "lui in verità he bono et iusto homo", e lo suggeriva come maestro per Ascanio Sforza (Fossati, p. 241).

L'intervento di Gerardo de Colli non era del tutto disinteressato: lo confessava egli stesso dichiarando che il B. gli aveva promesso di rinunziare in favore di un suo figlio a "una certa provixione omni anno sopra l'abadia da Sice de Alessandria" (Fossati, p. 242). Lo stesso B. scriveva, il 16 ott. 1464, sull'argomento a Bianca Maria e a Galeazzo Sforza, difendendo con forza i suoi diritti sull'episcopato di Aleria: "la translatione mia alla chiesa de Aleria, come spero in Dio, essendo facta per opera del spirito sancto, serà firma inançi dio et el mondo" (Meuthen, 1964, p. 98); ed anzi, in data 2 genn. 1467, chiedeva e voleva un colloquio "per questo presente mese" (ibid., p. 99).

Con il 1468 inizia il capitolo per noi più importante della vita del B., quello della sua collaborazione con i prototipografi romani Sweynheyni e Pannartz. In pochi anni, con un ritmo intenso "quasi in custodia carceris chartarii seclusum" (Querini, p. 159), pubblicava un corpus di classici vasto e accurato, molti dei quali stampati allora per la prima volta.

In editio princeps curò: le Epistolae di S. Girolamo (Audiffredi, pp. 12-14; Indice Generale degli Incunaboli [I.G.I.], 4733); Apuleio (Audiffredi, pp. 17-19; Gesamtkatalog der Wiegendrucke [G.K.W], 2301); Gellio (Audiffredi, pp. 19-20; I.G.I., 4186); i Commentarii di Giulio Cesare (Audiffredi, pp. 20-21; G.K.W., 5863); le Epistolae familiares di Cicerone (Audiffredi, pp. 29-30; G.K.W., 6802); le Decades di Livio (Audiffredi, pp. 25-28; I.G.I., 5769); la Geographia di Strabone (Audiffredi, pp. 28-29; Scaccia-Scarafoni, p. 235); la Pharsalia diLucano (Audiffredi, p. 30; Scaccia-Scarafoni, p. 235); gli Opera omnia di Virgilio (Audiffredi, pp. 22-24; Scaccia-Scarafoni, p. 234); le Epistolae ad Brutum di Cicerone (Audiffredi, p. 56; G.K.W., 6858); i Sermones et epistolae di Leone Magno (Audiffredi, pp. 47-48; I.G.I., 5722); la Catena aurea di s. Tommaso (Audiffredi, pp. 6566; Scaccia-Scarafoni, p. 236); le Epistolae di s. Cipriano (Audiffredi, pp. 72-73; G.K.W., 7883); le Orationes di Cicerone (Audiffredi, pp. 76-77; G.K.W., 6761); i Punica di Silio Italico (Audiffredi, pp. 74-75; Scaccia-Scarafoni, p. 238); gli Opera omnia di Ovidio (Audiffredi, pp. 77-79; I.G.I., 7042); la Postilla super totam Bibliam di Niccolò da Lira (Audiffredi, pp. 81-82, 93-96; I.G.I., 6818); l'Opera philosophica di Cicerone (Audiffredi, pp. 80-81; G.K.W., 6833).

Già nell'edizione delle Epistolae di S. Girolamo (1468) il B. parla dell'aiuto di amici nella versione di brani da altre lingue (ebraico, punico, arabo, greco), nella correzione dei codici e nel ringiovanimento della lingua ("si nimis obsoleta, ad usum nostrum sermonemque redigerem": Querini, pp. 133 s.); e nella prefazione al secondo tomo aggiungeva di aver cercato di emendare "latina codicum, quotquot habere valui, diversitate, et omnium assidua versatione, frequentique repetitione, plurium amicorum consultatione" (ibid., p. 141). L'uso di più codici è confermato dalla prefazione del Gellio, per la cui stampa afferma ancora di aver confrontato diversi codici, anche frammentari. Altre volte, come nel caso del Livio, si basa su appunti delle lezioni di Vittorino da Feltre o come per il Plinio, di alcune lezioni di Lampugnino Birago. Così per le Epistolae di s. Girolamo collabora con lui il Gaza, su un testo precedentemente riordinato da Teodoro Lelli vescovo di Treviso, mentre Teodoro Gaza era intervenuto nella preparazione del Plinio e, insieme ad Andronico Callisto ed a Lampugnino Birago, nella edizione della versione di Strabone. Nelle edizioni di Lucano e Virgilio, invece, si varrà della collaborazione di Pomponio Leto (I. Carini, La "Difesa" di Pomponio Leto, Bergamo 1894 [in Nozze Cian-Sappa-Mandinet, pp. 20, 22]). Le dediche del B. al pontefice chiariscono che il suo non fu lavoro isolato, come prova anche la lettera scritta dal Filelfo il 17 maggio del 1470 che accomunava il Gaza nell'elogio "in emendandis plerisque latinis codicibus" e la produzione dei prototipografi romani non fu pertanto legata solo ai nomi del Cusano, del B. e del Gaza, ma fu il portato di tutto un ambiente culturale.

Spesso nascevano difficoltà nell'ottenere i codici da confrontare per raggiungere la versione più fedele: questo, sia per la rusticitas di alcuni che per l'avarizia o, più spesso, l'invidia; e spontanea e vera è l'accusa contro quanti amano più la carta che il sapere e, lasciata ben chiusa in casa la loro biblioteca, portano in giro con disinvoltura la loro ignoranza. Talvolta invece l'esemplare, pur concesso in visione, gli veniva lasciato per troppo poco tempo, come nel caso del Virgilio prestatogli da Pomponio Leto: "dedisti operam, ut ex manibus tuis antiquissimum Vergilii exemplar, maiusculis characteribus descriptum, vix carptim possim evolvere" (Querini, p. 197), e come era successo, quando il B. era ancora con Niccolò da Cusa, per l'Ortografia del Tortelli richiesta a Pietro Odi (Vat. lat. 3908, f 166rv).

Nel solo caso delle Institutiones di Quintiliano, il B. si è limitato a riproporre l'edizione precedente del Campano, avvertendo di ciò nella prefazione; a volte invece, costretto per la necessità dei tipografi a improvvisare un'edizione, ricorreva ai suoi antichi studi, come per l'edizione di Cipriano; ma, anche, in quindici giorni apprestava l'edizione di Silio Italico e di Calpurnio, e altrettanto frettolosamente ("nos ipsi satis arctati temporum angustiis, necessitati potius paruimus, quam nostro desiderio", Querini, p. 199), mentre preparava l'edizione delle Orationes di Cicerone, pubblicava Ovidio.

Ma era questa una precisa scelta del B.: tra la ricerca della non possibile perfezione filologica, e la rapida pubblicazione di un corpus completo di classici - come tra gli altri chiedeva il Filelfo -, egli sceglieva senz'altro questa seconda strada (Querini, pp. 109, 155, 244). Queste le ragioni: prima fra tutte la possibilità per ognuno di avere con poca spesa una biblioteca, di poter comprare quel testo, che si vendeva una volta ad una somma molto alta, ora con appena un quinto della stessa (quasi con il prezzo di una legatura): così che aumentava la possibilità di far conoscere autori che prima per ragioni economiche non trovavano diffusione.

Da alcune lettere del Filelfo veniamo a sapere che ad altre opere si pensava per l'edizione, poi non attuata per ragioni a noi sconosciute, e forse anche per la crisi tipografica del 1474: così la Ciropedia di Senofonte nella versione dello stesso Filelfo, le "ethruscae Francisci Petrarchae deliciae" e le Vite di Plutarco in versione latina. Era inoltre quasi sicuramente prevista la stampa del De statua di L. B. Alberti, dedicato appunto al B., a cui l'Alberti aveva inviato precedentemente il De pictura e il De elementis picturae. Il B.accenna inoltre, nelle prefazioni del s. Girolamo e del Gellio (Querini, pp. 132, 232), ad una sua preparazione del testo di Ireneo di Lione, di cui si può vedere qualche traccia nel codice Ottobon. lat. 752 (vedi anche J. Ruysschaert, Le manuscrit "Romae descriptum" de l'édition érasmienne d'Irénée de Lyon, in Scrinium Erasmianum, I, Leiden 1969, p. 276).

Le reazioni a questa impresa editoriale furono immediate, e ci sono in parte riferite dal B. nel secondo tomo delle Epistolae di S. Girolamo; ma l'eco se ne trova anche nella prefazione di altre edizioni: così in occasione della pubblicazione del Gellio il B. precisa di aver solo indicato una via, e che il suo lavoro servirà almeno ad evitare in futuro le attuali difficoltà; ed altra volta ribatte che ha cercato, sì, "praesentium voluntatem, sed non minus utilitatem futurorum". Ed ancora, nella prefazione delle Epistolae ad Brutum:"silabor meus est nauseae viris delicatissimis et solis Arabicis mercibus dignis", si sappia allora che la sua edizione è "ad pauperum commoditatem" (Querini, p. 116).

Soprattutto violenta la reazione del Perotti (Mercati, Per la cronologia, pp. 88 s.), che accusava il B., senza farne il nome, di contaminare le edizioni con le sue prefazioni: "quid magis indignum quam arae cloacam iungere?", e che il B. ricorda nelle prefazioni al Gellio ed alle Epistolae di Cicerone (Querini, pp. 228, 115 s., 142). Sempre positivo rimase invece il giudizio del Filelfo che, primo, chiedeva un catalogo con i prezzi delle edizioni (suggerimento che dovette essere accolto, se copia appunto dell'elenco approntato su sua richiesta è, come si crede, quello pubblicato dallo Schedel: cfr. British Museum Catalogue, IV, London 1900, p. 45).

Ugualmente positivo sarà il giudizio di Paolo Cortesi che, se negava alla prosa del B. ogni valore, lodava invece la dottrina e l'opera continua nella preparazione delle edizioni (De hominibus doctis dialogus, Florentiae 1734, p. 36).

Alcune delle critiche erano invece costruttive, e l'edizione dei testi si viene così completando, di volta in volta, con l'aggiunta di una notizia sull'autore del testo edito, inserita nella prefazione, ed anche - nel caso del Plinio - con l'appendice di un lessico (Querini, pp. 245 s.). Vi furono anche richieste di un commento marginale: e note marginali furono effettivamente previste, ma non realizzabili - sembra - tecnicamente.

Tra gli antichi compagni della scuola di Vittorino da Feltre lo menzionano Sassolo da Prato, il Prendilacqua (che lo disse "in singulis disciplinis clarus") ed anche il Platina, che lo ricordò per la "diligentia et sollertia interpretandi poëtas, oratores et quodvis genus scriptorum" (B. Platina, De vita Victorini Feltrensis, in F. A. Vairani, Cremonensium Monumenta Romae extantia, Romae 1778, p. 25).

L'ultima edizione dal B. preparata per la stampa - s'era ormai interrotto il sodalizio dei due prototipografi e l'opera uscirà con il solo nome del Pannartz - fu l'Erodoto nella versione di Lorenzo Valla; ed al B. il Sabbadini attribuisce la breve biografia del Valla che segue nel codice vaticano. L'opera uscì il 20 apr. 1475, dopo la morte del B. ricordata dallo stesso Pannartz in fine del volume: "in quibus Andreas Aleriensis Episcopus olim / Extremam imposuit, nec sine laude, limam".

Tra il dicembre 1471 e il gennaio 1472 il B. aveva ricevuto altri incarichi da Sisto IV, di cui il Tranchedino informava il signore di Milano: gli era stata affidata la libreria papale ("el papa ha deputato esso vescovo sopra la soa libreria de palatio") e contemporaneamente era stato creato segretario ("novamente l'ha deputato suo secretario in compagnia de mesere Leonardo Griffo al loco de messer Leonardo Datho, secretario, quale è morto in questi dì" (Motta, p. 272) e referendario. A lui si rivolgeva ancora il Filelfo il 2 luglio 1474 per chiedere una nuova sistemazione in Curia "tu igitur vel officii vel humanitatis fuerit rem meam ita curare una cum integerrimo Episcopo collega tuo Leonardo Gripho apud Pontificem Maximum" (de Rosmini, III, pp. 364-365).

Morì a Roma il 4 febbr. 1475 e venne sepolto in S. Pietro in Vincoli. Il fratello Giacomo dettava l'epitaffio per la tomba e lo ricordava referendario, bibliotecario e segretario "qui fuit pietate, fide, litteris insignis, de patria, parentibus, amicis et omnibus benemeritus" (Forcella, p. 81 n. 180).

Con la sua morte andava dispersa anche la biblioteca, che doveva essere tra le più importanti del momento. Da due dispacci di Nicodemo Tranchedino e da una lettera delB. abbiamo notizia di contatti tra "ambaxiatori Zenoesi", e poi tra lo stesso Tranchedino ed il B., per la vendita della sua biblioteca, che già nel 1471-72era valutata quattromila ducati, ma che il Tranchedino era convinto sarebbe andata aumentando, visto il nuovo incarico di bibliotecario papale e "per lo credito ha cum questi librarij, per essere correttore dell'opera hanno a giectare in forma". Del resto, la sua competenza in questo campo era conosciuta, e il cardinale Pietro Riario, secondo le testimonianze del Perotti, gli aveva affidato l'incarico di mettere insieme una raccolta di manoscritti latini e greci (Mercati, Per la cronologia, p. 109). Non si hanno notizie su quale sia stata la destinazione finale della biblioteca, che sembra però essere stata smembrata; e finora non hanno fornito indicazioni sufficientemente valide i desideri del R. che chiedeva fosse sistemata a Vigevano o, in via subordinata, a Milano o Pavia, chiedendo come contropartita che il suo vescovato fosse cambiato "in uno de quelli... de Lombardia". Ma la conferma della dispersione della biblioteca del vescovo di Aleria sembra essere nella nota di possesso del codice F V 3 della Biblioteca comunale di Siena (Registro di Gregorio VII), in cui Francesco Todeschini Piccolomini afferma di aver comprato quel testo, insieme con altri manoscritti, dal fratello del B., erede ed esecutore testamentario (A. A. Strnad, Studia Piccolominea, in Enea Silvio Piccolomini,papa Pio II, Siena 1968 [ma 1969], pp. 344-47).

Alcuni dei codici appartenuti al B. fanno ora parte dei fondi della Biblioteca Vaticana: il Vat. lat. 1815 con lo scudo araldico del B. (pubblicato in J. Ruysschaert, Miniaturistes "Romains" sous Pie II,ibid., tav. 17, pp. 256, 264);il Vat. lat. 1958trascritto a Genova nel 1449, che contiene tra l'altro le Historiae di Tacito (Nogara, pp. 371 s.); il Vat. lat. 5219 miscellaneo, tutto di mano del B. tranne che nei ff. 73-99, 115-118 (A.Marucchi, p. 176), dove ai ff. 101-113v, con calligrafia minutissima, il B. aveva trascritto nel dicembre 1458 "raptim diebus XI" le Declamationes di Seneca che costituirono un testo ben più ampio rispetto ai fino allora conosciuti Excerpta (da questa copia il Poliziano faceva trascrivere l'attuale Riccardiano, 1179:"hactenus in vetusto codice invenisse scribit Aleriensis nescio quis episcopus"). Solo le note marginali, le correzioni e la sottoscrizione a f. 358v sono di mano del B. nel Vat. lat. 5991, sucui il B. nell'aprile del 1470condusse la revisione della Naturalis historia di Plinio a partire dal l. XVIII, mentre integralmente è nel cod. 1097 della Bibl. Angelica di Roma. Ancora la mano del B. nel Vat. lat. 11469con le commedie di Plauto (per cui cfr. J. Ruysschaert, Codices Vaticani Latini,11414-11709, Città del Vaticano 1969, p. 105). Nell'anno 1459 il B. aveva trascritto inoltre per il papa Pio II, la Historia Bohemica dello stesso Piccolomini, ed è l'attuale Chigi I, VII, 282 (vedi un mandato di pagamento conservato in Arch. Segr. Vat., Mandata Cameralia 836, f.10v). Alla Biblioteca Ambrosiana di Milano, cod. S 69, è il Diogene Laerzio, tradotto da Ambrogio Traversari, rivisto dal B. su invito di Pio II, e trascritto a Perugia il 9 dic. 1462da un manoscritto di Pietro Balbo (dall'esemplare del B. fu tratta una seconda copia, fedele anche nella sottoscrizione finale, che è ora lo Harleiano 1347;cfr. A Catalogue of the Harleian Manuscripts in the British Museum, II, London 1808, p. 11).

Infine a Montecassino, Bibl. della Badia, n. 649è il De generatione animalium nella versione di Teodoro Gaza con note del B. datata al 4 giugno 1474.

Si elencano di seguito i manoscritti conosciuti, interessanti il B. perché contengono le lettere di prefazione, delle edizioni a stampa da lui curate, avvertendo però che alcuni di questi codici sono copie delle stesse edizioni romane: il Gellio con la prefazione a Paolo II è nel Vat. Barber. lat.169(cfr. T. De Marinis, La Biblioteca napoletana dei re d'Aragona, Supplemento, I, Verona 1969, pp. 53-54); il Cipriano è a Lucca, Bibl. comun., 1728 (l'esemplare da cui trascrisse il B. è il Paris. lat., 1659, cfr. Sabbadini, Le scoperte, p. 122 n. 33); l'Erodoto nella versione di L. Valla è nel Regin. lat. 1947, copiato per incarico del B. nel 1473da Bernardo di Pietro da Basilea (altra copia è nel Vat. lat. 1797, ms. del XVI sec.); di Strabone esistono copie nell'Ottob. lat. 1447-1448, nell'Urbin. lat. 280, nel Vat. lat. 2049, copia integrale, anche nei notabilia e nella sottoscrizione, di quello di seguito indicato di Perugia, e a Perugia, Bibl. com., Fondo vecchio E 47, rivisto dal B. nel 1462(P. O. Kristeller, Iter Italicum, II, p. 55) il ms. contiene i libri dallo XI al XVII della versione di Gregorio Tifernate, ed è lo stesso che poi fu mandato dal B. in tipografia, come testimoniano le sbavature d'inchiostro, la divisione delle pagine, le correzioni entrate tutte nella stampa; lo Svetonio è nel Paris. lat. 5754, scritto nel 1470 secondo il catalogo, e con ogni probabilità copia della edizione romana dello stesso anno (per cui vedi Catalogus Codicum Manuscriptorum Biblioth. Regiae, III, 4, Parisiis 1744, p. 153).

Altri codici vaticani contengono invece opere dedicate al B.: nel Vat. lat. 3350 è la versione di Teodoro Gaza dell'opuscolo di Plutarco De familiaritate philosopho ineunda cum principe, per cui vedi Marucchi, p. 176 n. 1; il cod. Ottob. lat. 1424 contiene il De statua di L. A. Alberti con prefazione di dedica al B. (f. 31); ed il codice cassinate sopra ricordato contiene anche, con prefazione al vescovo di Aleria, la versione di T. Gaza del De historia animalium di Aristotele (Kristeller, I, p. 395).

Opere. Le prefazioni premesse dal B. alle edizioni e dedicate a Paolo II e a Sisto IV furono riedite non integralmente da A. M. Querini, Pauli II... Gesta vindicata et illustrata, Romae 1740, pp. 109 s., 115-17, 120 26, 132-36, 138-47, 150-52, 155-59, 162-67, 176 s., 181-90, 192-96, 199, 201 s. 207-11, 217 s., 222-34, 239-56; solo le prefazioni alle editiones principes pubblicò G. B. Pasquali, Bibliotecha Smithiana, Venetiis 1755, pp. 72-79, 80, 82-87, 92 s., 100-05, 111-13, 132 s.; ed infine ancora da B. Botfield, Praefationes et epistolae editionibus princibus auctorum veterum praepositae, Cantabrigiae 1861, pp. 48-102, 107 s., 115-31.

Del B. si conoscono anche - oltre le poche lettere al Bracelli (G. Balbi L'epistolario..., ad Indicem), e le due al Tranchedino per la preventivata vendita della biblioteca (Firenze, Bibl. Riccardiana, cod. 834, f. 23) - alcuni versi d'occasione: un Cenotaphium (Vat. lat. 5219, f. 62rv) per la morte del cardinale Prospero Colonna (24 marzo 1463, edito in S. Samek Ludovici, Sweynheim Pannartz e Giovanni Andrea Bussi, in Beiträge zur Inkunabelkunde, s. 3, IV [1969], pp. 167-168); versi in lode di Giorgio da Trebisonda e dei suoi Rethoricorum libri (Vat. lat. 1958, ff. 94v, 112v, 159), opera giovanile (il B. fu più tardi aspro nemico del Trapezunte). Sua opera sono anche, con ogni probabilità, i noti distici in lode dei tipografi che compaiono nel colophon delle edizioni di Sweynheym e Pannartz.

Fonti e Bibl.: F. Filelfo, Epistolarum familiarium libri XXXVII, Venetiis 1502, pp. 26v, 91v, 113rv, 129v, 221, 225, 229rv, 232, 238; E. Legrand, Cent-dix lettres grecques de F. Filelfe, Paris 1882, pp. 56, 78 s., 86 s.; Guarino Veronese, Epistolario, a cura di R. Sabbadini, III, Venezia 1919, p. 484; A. M. Quirini, Liber singularis de optimorum scriptorum quae ex prima typographia Romana germanorum artificum... prodierunt, Lindangiae 1761; Ph. Buonamici De claris pontificum epistolarum scriptoribus, Romae 1770, p. 177; G. B. Audiffredi, Catalogus historicus criticus romanarum editionum saec. XV, Romae 1783, passim;G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, I, 2, Brescia 1760, pp. 701-703; D. Giorgi, Vita Nicolai V, Romae 1742, pp. 187-89; C. de Rosmini, Idea dell'ottimo precettore nella vita e nella disciplina di Vittorino da Feltre..., I, Bassano 1801, pp. 420-27; III, ibid. 1808, pp. 36 s.; E. Müntz-P. Fabre, La bibliothèque du Vatican au XVe siècle, Paris 1887, pp. 125 n. 8, 127, 137-s., 136, 346; E. Motta, P. Castaldi,A. Planella,P. Ugleimer e il vescovo di Aleria, in Riv. stor. ital., I (1884), pp. 252-72; P. De Nolhac, La bibliothèque de Fulvio Orsini, Paris 1887, pp. 158, 200, 210, 228-30, 232, 391; Appunti e notizie, in Archivio storico lombardo, XIV (1887), p. 216; J. Schlecht, Sixtus IV. und die deutschen Drucker in Rom, in Festgabe zum elfhundertjährigen Jubiläum des Deutschen Camposanto in Rom, Freiburg i. Br. 1897, pp. 207-09; R. Sabbadini, Le edizioni quattrocentistiche della Storia Naturale di Plinio, in Studi ital. di filol. classica, VIII (1900), p. 443; Id., Le scoperte dei codici latini e greci ne' secoli XIVe XV, I, Firenze 1905, pp. 112 s., 122 s., 127 s., 168; II, ibid. 1914, p. 25; F. Fossati, Nuovi particolari su G. A. De' Bussi, in Viglevanum, I (1907), pp. 232-43; G. Mancini, Vita di L. B. Alberti, Firenze 1911, pp. 125, 220, 483; B. Nogara, Codices Vaticani latini, Romae 1912, pp. 371 s.; F. Gasparolo, Mem. stor. di Sezzè Alessandrino: l'abbadia di S. Giustina, Alessandria 1912, I, pp. 33, doc. XLI, 73, II, pp. 67, 73, 75; R. Sabbadini, Storia e critica dei testi latini, Catania 1914, p. 23 n. 3; E. Vansteenberghe, Le cardinal Nicolas de Cues, Paris 1920, pp. 23, 26, 29 s., 237, 266, 273 s., 436 ss., 457, 461, 465; G. Mercati, Per la cronologia della vita e degli scritti di N. Perotti, Roma 1925, pp. 64 n. 2, 82, 88 s., 109; H. Quentin, Essais de critique textuelle, Paris 1926, pp. 167-177; R. Klibansky, Ein Proklos-Fund und seine Bedeutung, in Sitzungsberichte der Heidelberger Akad. d. Wiss., XIX (1928-29), pp. 25 ss.; B. Katterbach, Referendarii utriusque signaturae a Martino V ad Clementem IX, Città del Vaticano 1931, p. 44; M. Honecker, Cusanus-Studien, in Sitzungsberichte der Heidelberger Akad. d. Wiss., XXVIII (1937-38), 2, pp. 66-76; G. Mercati, Opere minori, IV, Città del Vaticano 1937, pp. 525 s., 537; Id., Codici Latini Pico Grimani Pio, Città del Vaticano 1938, p. 290; O. Hartlich, G. A. dei B., der erste Bibliothekar der Vaticana, in Philolog.Wochenschrift, X-LIX (1939), pp. 327-36, 364-68, 395-99; C.Scaccia Scarafoni, Esemplari ancora superstiti in Italia delle più antiche edizioni di Sweynheym e Pannartz, in Studi e ricerche sulla storia della stampa nel '400, Milano 1942, pp. 227-241; W. Nicolay, Der Secretär des Kardinals Nicolaus von Cues: J. A. de B., und die ersten Drucker in Rom, in Das Antiquariat, IX (1953), pp. 175 ss.; R. Haubst, Studien zu Nikolaus von Kues und Johannes Wenck aus Handschriften der Vatikanischen Bibliothek, in Beiträge zur Geschichte der Philosophie und Theologie des Mittelalters, 38, 1, Münster in Westf. 1955, pp. 27-29; B. L. Ullmann, Manuscripts of Nicholas of Cues, in Studies in Italian Renaiss., Roma 1955, pp. 360-361; E. Meuthen, Die letzten Jahre des Nikolaus von Kues, Köln 1958, ad Indicem; V. R. Giustiniani, Traduzioni latine delle vite di Plutarco nel '400, in Rinascimento, s. 2, I (1961), pp. 5, 13, 15; E. Meuthen, Briefe des Aleriensis an die Sforza, in Römische Quartalschrift, LIX (1964), pp. 88-99; S. Samek Ludovici, La introduzione della stampa in Italia. Sweynheym,Pannartz,B. e Nicolò Cusano, in Italia grafica, XIX (1964), pp. 9-35; Id., L'epifania della stampa, in La introduzione della stampa in Italia e Milano, Milano 1965, pp. 9-13 e passim;E. Cerulli, G.A. B. vescovo di Aleria, in Almanacco dei bibliotecari italiani, XV (1966), pp. 13-20; A. Marucchi, Note sul manoscritto [Vat. lat. 5994] di cui si è servito G. A. B. per l'ediz. di Plinio del 1470, in Inst. de rech. et d'hist. des textes. Bulletin, XV (1967-68), pp. 175-182; V. Scholderer, The Petitio of Sweinheym and Pannartz to Sixtus IV, in Fifty Essays in XV-and XVI-Century Bibliography, Amsterdam 1969, pp. 72 s.; J. Ruysschaert, Sixte IV fondateur de la Bibliothèque Vaticane (15 juin 1475), in Arch. histor. pontificiae, VII (1969), pp. 513-524.

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