GALLI, Giovanni Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 51 (1998)

GALLI, Giovanni Antonio (detto lo Spadarino)

Rita Randolfi

, Giovanni Antonio Nacque a Roma, nella parrocchia di S. Lorenzo in Damaso, il 16 genn. 1585 da Salvatore e da sua moglie Brigida (Marsicola, 1979).

Al mestiere del padre, fabbricante di spade, si deve il soprannome di Spadarino, dato sia al G. sia al fratello maggiore, Giacomo, anch'egli pittore, ma soprattutto intagliatore e indoratore di soffitti, con cui in passato l'artista era stato confuso (Papi, 1986, pp. 20 s.).

Da una querela sporta il 2 febbr. 1603 dal G. contro due suoi colleghi pittori e un maestro di scherma sappiamo che già a quella data aveva abbandonato la dimora paterna nel rione Parione, per risiedere nel palazzo di S. Marco al servizio del cardinale Giovanni Dolfin, presso il quale rimase almeno fino al 1620, come ebbe a ripetere in un altro processo (Marsicola, 1979, pp. 46, 52). Il 28 luglio 1617 il G. ricevette un pagamento per gli affreschi, ricordati anche dal Mancini, nella sala Regia del Quirinale, eseguiti sotto la direzione di A. Tassi, suo primo maestro, che menziona l'allievo tra i suoi aiutanti in un processo del 1619 (Briganti, 1962, p. 36 n. 84).

Il Longhi (1943) riconobbe la mano del G. nei due ovali con il Ritrovamento di Mosè e Mosè e le madianite della parete destra della sala attualmente detta dei Corazzieri; il Briganti (1962) gli attribuì anche i quattro putti soprastanti e il Marsicola (1979) vi aggiunse la figura della Virtù a sinistra del Ritrovamento di Mosè (Giffi Ponzi, 1987, p. 71). In base ai confronti tra i putti che compaiono attorno a questi ovali e gli angeli presenti in alcuni dipinti di Gerrit van Honthorst (Gherardo delle Notti), la Giffi Ponzi (1987, p. 72) ipotizza un rapporto di bottega tra i due pittori. Tale somiglianza si riscontra anche tra la Dalila del Sansone e Dalila (Cleveland, Museum of art) di Gherardo e la S. Francesca Romana e l'angelo del G., nota in almeno quattro versioni, di cui una, appartenuta ai Barberini, finì nella collezione Almagià in palazzo Fiano, e da qui passò alla Banca nazionale del lavoro di Roma dove si trova ancor oggi (le altre sono conservate a: Genova, Palazzo Rosso; Perugia, S. Pietro, sagrestia; Londra, Collezione Morris: Nicolson, 1990, p. 109). Influssi dal pittore olandese sono ancora individuabili nel Brindisi in Olimpo (Firenze, Uffizi), dove tuttavia il G. dimostra anche di ispirarsi alla Manfrediana [B. Manfredi] methodus. Ancor oggi la critica discute la paternità all'uno o all'altro dei due artisti della Madonna col Bambino e santi nella chiesa di S. Pietro ad Albano (Rybko, 1990, pp. 47 s.; Papi, 1990).

Dovette essere Gherardo delle Notti a introdurre il G. nella cerchia dei Medici: a Firenze ricevette in data 17 sett. 1619 il pagamento di un quadro di grandi dimensioni, di cui è ignoto il soggetto, effettuato per tramite dei Ticci, banchieri dei Medici, e il 1° giugno 1620 il saldo per una Crocifissione, opere destinate alla cappella Guicciardini di S. Felicita (Corti, 1989, pp. 130-132). A quell'epoca il G. doveva aver già eseguito l'Angelo custode per la chiesa di S. Ruffo a Rieti, come testimonia il resoconto di una visita pastorale del 2 apr. 1620 (Mortari, 1957). Tra i maestri del G. il Longhi (1943, p. 28) annoverava anche C. Saraceni, sotto il cui influsso il pittore romano avrebbe dipinto Gesù tra i dottori oggi nel palazzo Reale di Napoli e il S. Antonio da Padova con il Bambino nella chiesa dei Ss. Cosma e Damiano in Roma. La conferma dell'attribuzione al G. di quest'ultimo dipinto è fornita anche dal ritrovamento dell'inedito inventario dei beni dell'artista, dove sono menzionate ben due tele con questo stesso soggetto, una delle quali è descritta con dimensioni identiche a quelle dell'opera che si conserva nella chiesa romana.

Ma la commissione più importante che il G. riuscì a ottenere in questi anni è sicuramente la pala d'altare con il Martirio dei ss. Valeria e Marziale per S. Pietro, il cui ultimo pagamento risale al gennaio del 1633 (Pollak, 1928). Intorno a quest'opera, ritenuta finora l'unica databile con certezza, il Longhi (1943) aveva costruito il primo catalogo dell'artista, di cui facevano parte anche L'elemosina di s. Tommaso da Villanova (Ancona, Pinacoteca Podesti), la Carità di s. Omobono nell'omonima chiesa romana, l'Adultera (Verona, Museo civico), tutte opere ascrivibili alla produzione giovanile del pittore.

Per via stilistica è possibile riferire, se non proprio al G., almeno alla sua cerchia, l'inedito Gesù Bambino sorvegliato dagli angeli (Roma, Pio Istituto di S. Spirito in Sassia).

L'angelo di sinistra rivela stringenti affinità con quello che compare nel dipinto di Rieti e, quindi, con il Costantino del Battesimo di Colle Val d'Elsa (Papi, 1986, p. 22), e con l'angelo del Tobiolo e l'angelo già in collezione Jandolo a Roma (Busiri Vici, 1977). L'angelo di destra è invece assimilabile al profilo del s. Antonio del dipinto conservato nella chiesa dei Ss. Cosma e Damiano.

Dipinti del G., oggi non più rintracciabili, figuravano anche in collezioni private: un Bacco a mezzo busto è registrato nel 1635 nella raccolta del napoletano Gaspare Roomer (Giffi Ponzi, 1987, fig. p. 79); una Resurrezione e un S. Giovanni Battista nel deserto appartenevano a Vincenzo Giustiniani; una Morte di Adone era esposta nella collezione di Pierre Crozat (Longhi, 1943, n. 60). Inoltre nel fidecommesso Altieri del 1672 è menzionata una S. Cecilia e Due teste di cherubini sono comprese nell'inventario Sforza Cesarini (Busiri Vici, 1974). Recentemente il Drigo (1993; 1994) ha attribuito al G. un Davide appartenente alla Pinacoteca del Lloyd Adriatico a Trieste; mentre la Giffi Ponzi (1987, pp. 74 s.) ha aggiunto al catalogo dell'artista il Sacrificio di Isacco nella sagrestia della chiesa del Gesù a Roma per le affinità riscontrate con il Martirio dei ss. Valeria e Marziale.

Dal 1628 al 1652, anno della sua morte, il G. abitò in via Ripetta come riportano gli stati delle anime della parrocchia di S. Maria del Popolo. È forse da escludere la possibilità avanzata dal Busiri Vici (1977, p. 344), seguito dal Papi (1989, p. 379), di un viaggio partenopeo da parte del Galli.

Le due versioni della Maddalena in meditazione (Montepulciano, Pinacoteca civica; Baltimora, Walters Art Gallery) o ancora la Carità romana (Roma, Galleria Doria Pamphili) dimostrano una notevole somiglianza con dipinti di B. Caracciolo o F. Vitale.

Secondo il Papi (Un'apertura…, 1990) sarebbero invece da espungere dal catalogo del G. il Cristo e la samaritana nel Mead Art Museum dell'Amherst College, MA, e la Negazione di s. Pietro (Bologna, Pinacoteca nazionale), attribuito al G. dal Moir (1976).

Il 26 nov. 1638 il G. ricevette l'incarico di affrescare le attuali sale Manzoni e Garibaldi di palazzo Madama, terminate nel 1641. L'intermediario tra il G. e il committente M. Monanni, modesto pittore a servizio del cardinale Carlo de' Medici, fu probabilmente ancora una volta il Tassi, che lavorava nello stesso periodo in palazzo Madama. I rapporti tra i due furono infatti costanti. Il Tassi abitava in via del Corso, a poca distanza dal G., al quale procurò anche la commissione di sei tondi e un ovato per la galleria di Palazzo Pamphili, famiglia presso la quale egli aveva prestato servizio intorno al 1630. I Pamphili distrussero l'operato del G. poiché non ne rimasero soddisfatti, tuttavia lo pagarono regolarmente una prima volta nel 1647 e una seconda nell'agosto del 1653 (Giffi Ponzi, 1987, p. 77). Quest'ultimo saldo fu riscosso da Camilla, sorella del G., deceduto l'anno prima (Redig de Campos, 1970).

Tale episodio spiacevole non compromise la fama dell'artista, che in qualità di membro dell'Accademia di S. Luca, stimò nel 1645 il ritratto di S. Cacacio eseguito da C. de' Petri (Missirini, 1823). Dal 17 giugno 1647 al 3 luglio 1649 il G. fu pagato per aver realizzato i cartoni per i mosaici della cappella del coro in S. Pietro. La Reverenda Fabbrica licenziò il G. e N. Tornioli per aver dipinto le tessere già poste in loco senza comporre il mosaico (Pascoli, 1736). È probabile che i due fossero stati raccomandati da Virgilio Spada il quale, secondo il Cannatà (1988, p. 176), ricevette dal G., in segno di gratitudine, i Due cherubini ancor oggi esposti nella Galleria Spada. Il tema dei cherubini fu variamente replicato dal G. (Busiri Vici, 1974, pp. 24 s.) evidentemente a seguito del successo ottenuto. Due tele con questo soggetto si trovavano, del resto, ancora nello studio del pittore, come testimonia il suo inventario dei beni. Grazie alla presenza dei cherubini Busiri Vici (1975, pp. 10 s.) poteva riferire al G. le due versioni della Madonna con Gesù Bambino e s. Giovannino in collezioni private a Roma e il Compianto su Cristo morto (Longhi, 1959, fig. 9), menzionato sia nell'inventario del pittore che in quello della sorella.

Probabilmente il G. e il Tornioli continuarono a frequentarsi anche in seguito alla committenza petriana, come dimostra il confronto stilistico tra il Battesimo di Costantino (Colle Val d'Elsa, Museo civico) del primo e gli Astronomi (Roma, Galleria Spada) del secondo (Papi, 1992, pp. 359 s.). Secondo il Papi lo stesso modello fu utilizzato anche per il Narciso (Roma, Galleria nazionale di arte antica, Palazzo Barberini) che, quindi, apparterrebbe alla mano del Galli.

Tale ipotesi sviluppa in realtà un'idea del Brandi (Marsicola, 1979) e trova concorde anche la Giffi Ponzi (1987, pp. 74 s.) che, proprio in base ai confronti con questa tela, attribuisce al G. il S. Pietro Nolasco trasportato dagli angeli (Roma, Casa generalizia dei padri mercedari) precedentemente assegnato a Orazio Gentileschi e a B. Cavarozzi.

La questione sul Narciso è ancora ampiamente dibattuta. I recenti restauri deporrebbero a favore della paternità caravaggesca, e, del resto, non è stato ancora rintracciato un documento che contrasti con quello rinvenuto dal Bertolotti (1877) e ampiamente commentato dal Marini (1974) e dalla Vodret (1989; 1996), riguardo il trasporto del quadro da Savona. Il Papi (1992, p. 362), al contrario, continua a sostenere la paternità spadariniana dell'opera, e ascrive al G. anche la Vergine con il Bambino della Galleria Corsini di Roma, che gli inventari Corsini lasciano nell'anonimato (Alloisi, 1987).

Il G. morì a Roma il 17 ag. 1652. L'atto di morte è registrato nel libro dei morti della parrocchia di S. Maria del Popolo. Il testamento, rogato due giorni prima, nominava la sorella Camilla erede universale dei suoi beni. La lettura parallela dell'inventario dei beni del G., stilato il 2 ott. 1652, e di quello della sorella, del 2 ag. 1653, rivela dati interessanti.

Sorprende tra l'altro la presenza di quadri di natura morta e di paesaggio. Il Busiri Vici (1975; 1977) aveva già sottolineato la bravura del G. nell'ambientare i suoi personaggi in delicati sfondi paesistici: è il caso del S. Sebastiano della collezione Zeri o delle due versioni della Venere delle colombe, una a York, Museum and Art Gallery, e l'altra a Londra, Trafalgar Galleries (Llewellyn - Mc Corquodale, 1976). Inoltre nell'inventario dei beni della famiglia Bonaventura di Urbino compare un dipinto di paesaggio del G. (Dolci, 1775).

Alcuni brani del testamento e dell'inventario del G., supportati dal ritrovamento di altri documenti inediti, fanno pensare che avesse una folta schiera di allievi, con i quali si scontrerà anche Camilla per riappropriarsi dei quadri del fratello.

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