CROSATO, Giovanni Battista

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 31 (1985)

CROSATO, Giovanni Battista

Francesca D'Arcais

Figlio di Giacomo, nacque a Venezia nel 1686.

Poche e scarse le notizie sulla sua attività giovanile, che si presume si sia svolta a Venezia. Nel 1729 (Fiocco, 1941, p. 19 doc. 53) dipinse affreschi e la pala d'altare per la sacrestia della chiesa veneziana di S. Maria dei servi, purtroppo distrutti. Nel 1733 fu per la prima volta a Torino, al servizio della corte sabauda: eseguì affreschi nella palazzina di Stupinigi, a villa della Regina, e lasciò qualche lavoro anche nel palazzo reale (Schede Vesme; Fiocco, 1941, p. 55). Dal 1736 al 1752 risulta iscritto alla fraglia dei pittori a Venezia (E. Favaro, L'arte dei pittori in Venezia ..., Firenze 1975, p. 159); nel 1738-39 eseguì altre pitture, anch'esse perdute, per S. Maria dei servi. Nel 1740 tornò a Torino, dove lavorò alla decorazione di alcune chiese, come la Consolata e la Immacolata, e anche della Visitazione di Pinerolo. Tra il 1742 e il 1744, con un breve intervallo, nel 1743, in cui ritornò a Venezia, fu occupato a Torino come scenografo (Viale Ferrero 1963). Nel 1743 si rappresentò al teatro Regio di Torino il Tito Manlio di N. Jommelli, alle cui scene il C. aveva lavorato insieme con G. F. Costa (ancora intorno al 1750 il C. lavorò per il teatro di Torino). Nel 1748 decorò a fresco la parrocchiale di Ponte di Brenta, alla periferia di Padova, con Storie di s. Marco e Storiebibliche. Nel 1749, a Torino, ricevette pagamenti per lavori eseguiti in occasione dei festeggiamenti del carnevale; nello stesso anno lavorò a Torino con G. Mengozzi Colonna; dello stesso periodo sono gli allestimenti per la Didoneabbandonata di D. Terradellas, e per la Siroe di G. Scarlatti e i bozzetti del sipario. Nel 1752 a Venezia, affrescò insieme con il quadraturista Pietro Visentini il salone da ballo di palazzo Pesaro. Nel 1755 si inaugurò la Via Crucis in S. Maria del Giglio, di cui due stazioni sono di sua mano; infine nel 1756 fu chiamato a far parte dell'Accademia veneziana.

Il C. morì a Venezia il 15 luglio 1758 (Fiocco, 1941), p. 57 doc. XIX).

Conosciuto prevalentemente come frescante, il C. ha nella cultura figurativa del 1 700 un ruolo considerevole, anche se del tutto personale e spesso antitetico alla moda decorativa tiepolesca. Il suo linguaggio si caratterizza sempre per una complessità culturale, ove certamente determinante è stato l'apporto del mondo cosmopolita della corte sabauda e la sua quasi costante collaborazione con quadraturisti e anche scenografi. Il linguaggio della sua pittura, in cui prevale sicuramente una forte componente rococò, nella pennellata frizzante, nella fattura rapida, a macchie, e nella composizione ove prevalgono figure piccole e nervose, si connota allo stesso tempo, quasi in contrasto singolare e del tutto personale, di un interesse verso una resa popolaresca nelle espressioni argute dei personaggi, e di una ricerca della realtà che traducono in scene spiritose le magniloquenze delle scene mitologiche, rivelando in ciò alcune affinità con il mondo del Crespi.

Ivanoff (1951) ha riconosciuto, sulla traccia dello Zanetti, una Flagellazione del C. nell'oratorio del Crocifisso a Venezia: la tela mostra, tuttavia, caratteri secenteschi e certamente va datata ad un periodo molto giovanile, ma poco giova ad illuminare sulla formazione del Crosato. Data, la scarsità di notizie sulla prima attività del pittore, è difficile infatti stabilire quale sia stata la sua prima formazione, anche se alcuni ricorrenti elementi stilistici fanno pensare che le sue prime esperienze pittoriche siano avvenute nell'ambito di artisti rococò attivi a Venezia, come il Pellegrini e soprattutto l'Amigoni. D'altra parte altre singolari componenti, come certo espressionismo e l'arguzia dei volti dei personaggi unita ad un colore acceso, hanno fatto ipotizzare una conoscenza diretta della pittura bolognese, in particolare di quella del Crespi (Pallucchini, 1960, pp. 27 s.).

La Mattarolo (1971) ha ripreso questo concetto ipotizzando addirittura un soggiomo emiliano del C., che avrebbe così conosciuto anche la pittura del Canuti e certo decorativismo proprio del Cittadini: ad un momento quindi precedente il primo viaggio in Piemonte sarebbero da assegnare le allegorie femminili delle Quattro parti del mondo che si impostano con un taglio violento contro finte nicchie scure, nella settima saletta di palazzo Pesaro a Venezia.

L'opera più celebre tra quelle che il C. dipinse nella palazzina di Stupinigi (1733) è certamente il soffitto con il Sacrificio di Ifigenia nell'anticamera, opera di monumentale effetto, per gli scorci violenti dei gruppi ammassati in controluce ai bordi della composizione, mentre nel libero cielo chiaro volano amorini attorno a Venere.

L'affresco si caratterizza anche per una particolare sensibilità coloristica, nei timbri accesi di colore, ma anche per un singolare luminismo nei gruppi in controluce; inoltre assai spesso la magniloquenza della favola mitologica cede il passo ad un'arguzia espressiva specie nei personaggi secondari, carichi di un popolaresco realismo anche nelle vesti e negli atteggiamenti.

La complessità delle esperienze che stanno alla base di questa decorazione rivela certamente il debito del C. verso la pittura crespiana, che ricompare anche nelle Allegorie delle stagioni della sala degli Scudieri - figure cariche di una naturalezza vivace e cordiale - e nei gustosissimi gruppi che si affacciano da finte nicchie cariche d'ombra sulla volta dell'anticappella, in atteggiamenti e costumi del tutto anticonformisti. Nell'ovato centrale della sala degli Scudieri, invece, con Apollo uccide il pitone, che si apre nella complessa quadratura di Gerolamo Mengozzi Colonna, è piuttosto prevalente la componente rococò, nelle leggiadre eleganti figurette. L'aderenza alla moda rococò, anche nella sua connotazione più "francese", è del resto chiaramente avvertibile nella volta affrescata di villa della Regina, dove protagonisti sono Amorini e Putti che volano liberamente nel limpido cielo, e raffigurano le Quattro stagioni. Ancora putti e amorini sono nei paracamini e nelle porte dipinte nella camera da lavoro della regina in palazzo reale; mentre nelle diciotto Scene mitologiche riconosciute, al C. dalla Griseri (1961, pp. 54-59), che costituiscono lo zoccolo della camera verde dello stesso palazzo, è piuttosto la componente di un rococò veneziano quella che predomina. Al periodo dei suo ritorno a Venezia dovrebbe appartenere la decorazione di una saletta in villa Tomi a Mogliano Veneto, ove in una leggera ed elegante decorazione a finti stucchi sono due riquadri con episodi tratti dalla Gerusalemme liberata: le narrazioni sono rese con un linguaggio discorsivo non privo di elementi realistici.

Il secondo soggiorno piemontese del C. lo vede attivo anche in decorazioni per chiese: nella cupola - purtroppo ridipinta - della Consolata a Torino, collaborò con il quadraturista modenese Giambattista Alberoni, animando le pesanti finzioni architettoniche con una serie di Angioletti tra nuvole ed eleganti figure che si affacciano tra i pesanti cornicioni; certamente più freschi e frizzanti sono i personaggi dipinti in tre piccoli soffitti delle sacrestie della stessa chiesa e quelli del Trionfo della ss. Trinità in una delle volte della chiesa dell'Immacolata, ove la pennellata franta e veloce può addirittura far pensare al Guardi (Fiocco, 1941, p. 29). Analoga freschezza narrativa è del resto anche nelle pur compassate composizioni della chiesa della Visitazione a Pinerolo con Storie di s. Francesco di Sales.

Al ritorno, avvenuto verso il 1743, a Venezia dove egli è documentato quasi ogni anno (Fiocco, 1941), il C. in una serie di affreschi, scalati nello spazio di poco più di un decennio, diffuse nel Veneto una tipologia decorativa certamente non ignara delle mode occidentali e di grande modernità e attualità, anche se di tenore dei tutto diverso da quella tiepolesca: una profusione di motivi leggeri e aggraziati, come ad esempio finti stucchi, rivestono le stanze con un linguaggio più simile al barocchetto piemontese che al gusto veneto; nelle composizioni figurali le figure piccole e nervose sono trattate con pennellate frizzanti e a macchie di colore. Nella stanza dei paesaggi in palazzo Pisani a Stra, entro una sorta di finta tappezzeria e una decorazione a finti stucchi, l'affresco del soffitto mostra tuttavia un momento di avvicinamento al mondo tiepolesco, e nella tipologia della composizione del comparto centrale e nelle fisionomie dei personaggi. Nella decorazione della parrocchia di Ponte di Brenta invece, datata 1748, ove sono ancora ben leggibili solo alcuni monocromi con Storie di s. Marco, i personaggiappaiono eleganti nel vibrare dei colore cinerino, e nelle dieci Storie bibliche, a monocromo chiaro su un fondo d'oro, la veloce pennellata ha effetti di aggraziato rococò. Per analogie stilistiche parrebbe di poter datare a questo momento anche la serie dei monocromi con Storie dell'Iliade dipinti nella villa Algarotti a Mestre, ove l'austerità del tema diviene pretesto per una felice ed elegante decorazione che trasforma le storie in una sorta di preziosi cammei.

La più superba prova decorativa del C. a Venezia è tuttavia quella del salone da ballo di palazzo Rezzonico (1752) ove collaborò con il quadraturista Pietro Visconti. L'effetto è di una grandiosità scenografica, non priva tuttavia di una certa fredda eleganza: le pareti sono scompartite da finte colonne di marmi di diversi colori, tra i quali finti quadri a monocromo con Scene mitologiche costituiscono una delle più eleganti e raffinate realizzazioni del C. nel Veneto, per la leggerezza del tocco e le vibrazioni delle ombre e delle luci; la volta è una complessa finta architettura di color cinerino, ove le membrature sono alleggerite da finti stucchi e si aprono agli angoli in nicchie, superbo sfondo per finte statue dipinte dal C. con un'eleganza quasi accademica; al centro si apre un occhio di cielo ove è raffigurato il Carro di Fetonte e ai lati in controluce Le parti del mondo, a colori caldi che staccano sul tono freddo dell'insieme.

Di questi anni dovrebbe essere anche il soffitto di palazzo Da Mosto (Chiappini di Sorio, 1975) in cui le decorazioni figurali di inseriscono nel consueto gioco di finti stucchi.

Se è veramente databile dopo la prova di palazzo Rezzonico la decorazione della villa Marcello di Levada - certamente precedente il 1755 - con la raffigurazione dell'Olimpo sul soffitto e alle pareti quattro Storie di Alessandro, essa è una significativa prova di quella capacità del C. di tradurre in termini di narratività popolare, quasi dissacratoria, o almeno di un brio fortemente critico e spiritoso, il mondo dei mito e della storia antica: infatti colpiscono di questi affreschi, in cui le tinte si accendono di caldi bagliori, le espressioni pungenti dei protagonisti e l'arguzia quasi caricaturale dei personaggi secondari.

Interessante anche l'attività di scenografo che il C. svolse a Torino: lasciò per il teatro Regio due bozzetti per il sipario (Torino, Galleria Sabauda e Museo civico: Viale Ferrero, 1980) databili al tardo periodo della sua attività piemontese, verso il 1750; e il bozzetto (in collaborazione con il Mengozzi Colonna; Torino, Galleria Sabauda) per una scena della Siroe, eseguita nel 1750 al Regio. Il C. inaugurò una scenografia che rifiuta le pesantezze quadraturistiche care ai Bibiena, più libera e pittorica, che avrà largo seguito, proprio a Torino, nell'opera dei fratelli Galliari.

Tra le rare opere da cavalletto del C. si ricordano le due stazioni della Via Crucis a S. Maria del Giglio (1755) per l'intensità del sentimento che si realizza nella veloce pennellata di tocco. Si ricorda di lui anche qualche interessante disegno.

Fonti e Bibl.: Oltre alla bibl. in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VIII, p. 166; e in Zampetti, 1968, si veda: G. Fogolari, L'Accademia venez. di scultura e pittura del Settecento, in L'Arte. XVI (1913), pp. 246 ss.; G. Fiocco, G. C. pittore di casa Savoia, Venezia 1941; V. Viale, La pittura in Piemonte nel Settecento, in Torino, XXII (1942), 9, pp. 8-13; N. Ivanoff, Un ignoto ciclo pittorico di G. B. C., in Arte veneta, V (1951), pp. 169 ss.; Id., in Pitture murali nel Veneto (catal.), Venezia 1960, pp. 35, 166; R. Pallucchini, La pittura venez. del Settecento, Venezia-Roma 1960, pp. 9, 27-30; A. Griseri, Il rococò a Torino e G. B. C., in Paragone, XII (1961), 135, pp. 52-65; L. Mallé, Le arti figurative in Piemonte, Torino 1961, pp. 372 ss.; N. Gabrielli, Aggiunte a G. B. C., in Scritti di storia dell'arte in on. di M. Salmi, Roma 1963, III, pp. 359 s.; A. Griseri, Pitture, in Mostra del Barocco piemontese (catal.), III, Torino 1963, pp. 9, 36, 79 ss.; M. Viale Ferrero, Scenografia. ibid., I, Torino 1963, pp. 7, 28 s.; Schede Vesme, I, Torino 1963, pp. 377 s.; E. Martini, La pittura venez. del Settecento, Venezia 1964, p. 655; N. Gabrielli, Museo dell'arredamento, Stupinigi, Torino 1966, pp. 23, 29, 87, 92, 123 ss.; P. Zampetti, Da Ricci al Tiepolo (catal.), Venezia 1968, pp. 191-203 (con completa bibliogr.); P. Mattarolo, La formaz. emiliana di G. C., in Arte veneta, XXV(1971), pp. 194-204; A. Rizzi, I maestri d. pitt. veneta del '700 (catal.), Milano 1973, ad vocem; G. M. Pilo, Capolavori riscoperti, restaurati..., in Il Noncello, XXXIX (1974), pp. 107 s.; I. Chiappini di Sorio, Affreschi settecenteschi veneziani, I, G. B. C. in palazzo Da Mosto, in Notizie da palazzo Albani, IV (1975), 1, pp. 38 s.; G. Romano, in Opere d'arte a Vercelli e nella sua provincia, (catel.). Torino 1976, p. 36 (Annuncio a Gioacchino, Torino, chiesa dell'Addolorata); A. E. Kurneta, The Palazzo Loredan in the Campo Santo Stefano ..., Boston University 1976, University Microfilms International, Ann Arbor-London 1977, pp. 7 s. (gli sono attribuiti un soffitto già in pal. Morosini e altri affreschi); E. Martini, P. Pagani, F. Pittoni, N. Bambini e il C. nella chiesa venez. delle Eremite, i n Notizie da Palazzo Albani, VII (1978), 2, pp. 84 ss.; F. Zava Boccazzi, Il Settecento, in Affreschi delle ville venete dal Sei all'Ottocento, Venezia 1979, pp. 60 s., 65 ss., 178, 186 s., 195 s., 242 s.; Disegni antichi del Museo Correr di Venezia, I, a cura di T. Pignatti-F. Pedrocco, Venezia 1980, ad vocem; Storia del teatro Regio di Torino, III, M. Viale Ferrero, La scenografia dalle origini..., Torino 1980, ad Ind.; N. S. Harrison, The Paintings of G. B. C., U. M. I. Un. Georgia 1983, Ann Arbor-London 1984; Encicl. d. Spett., III, col. 1758.

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