LANCELLOTTI, Giovanni Battista

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 63 (2004)

LANCELLOTTI, Giovanni Battista

Laura Ronchi De Michelis

Nacque a Roma il 20 nov. 1575 da Paolo e da Giulia Delfini e fu battezzato nella chiesa di S. Simone.

La sua famiglia era di lontane origini portoghesi e aveva risieduto in diverse città europee; il ramo romano, che vantava la discendenza da un Lancellotto governatore di Trapani nel 1262, si era stabilito a Roma nel 1442 con Federico. Il bisnonno del L., Scipione, morto nel 1517, era stato un famoso medico e letterato, e il nonno Orazio, morto nel 1556, fu rettore della scuola presso la chiesa di S. Lucia della Tinta. Dei sette figli che Orazio aveva avuto dalla moglie, Antonina Aragonese, due avevano intrapreso con successo la carriera ecclesiastica: il più anziano, Scipione (1527-98), esperto giurista, era divenuto cardinale; il minore, Lancellotto (1546-1602), vescovo. L'ascesa della famiglia, sancita dalla dignità di Scipione, trovava compimento con i fratelli Paolo e Roberto, che nel 1585 furono ascritti alla nobiltà romana. Il matrimonio di Paolo con Giulia Delfini (1570) rafforzò la famiglia che, legata tramite i Delfini ai Borghese e agli Altieri, poté contare sul sostegno dei due pontefici espressi da quelle famiglie: Paolo V e Clemente X.

La carriera del L. e del fratello maggiore, Orazio (1571-1620), si svolse all'ombra dello zio Scipione e con il costante aiuto degli influenti parenti della madre. Il percorso formativo del L. è ignoto: le fonti lo dicono conoscitore del greco e del latino ma nulla si sa dei suoi studi. Nel 1591 risulta, come Orazio, studente di giurisprudenza all'Università di Perugia, che annoverava tra i suoi professori Giovanni Paolo Lancellotti (1522-90), autore delle celebri Institutiones Iuris canonici (Venezia, Comin da Trino, 1563). Probabilmente grazie a lui nel 1593 i due fratelli ricevettero la cittadinanza perugina; manca, però, un riscontro documentario che attesti il conseguimento della laurea, titolo richiesto per gli incarichi a cui tanto il L. che Orazio furono chiamati. Prediletto dallo zio Scipione, Orazio gli succedette nell'ufficio di auditore della Rota romana, iniziando così l'ascesa che lo porterà alla dignità cardinalizia nel 1611; dallo zio egli ereditò anche il palazzo in via dei Coronari, a Roma, e fu sepolto nella basilica di S. Giovanni in Laterano, nella cappella di S. Francesco. Accompagnato e protetto dalla solidarietà familiare, anche il L. arrivò in Curia, in data imprecisata; di certo era abbreviatore apostolico almeno dal 1605, allorché Paolo V, di cui il L. era amico personale, promosse gli abbreviatores a referendarii. Trasferito dalla Cancelleria alla Segnatura apostolica, il 15 giugno 1605 il L. fu nominato governatore di Rimini; nell'agosto 1606 fu trasferito con il medesimo incarico a Faenza, ma a settembre ricevette la nomina a vicelegato di Romagna e Ravenna. Nell'agosto 1609 cercò invano di tornare a Roma; sollevato dall'incarico di vicelegato, fu inviato come governatore lontano dalla sua città: nel 1609-10 a Benevento, nel 1610-13 ad Ancona e nel 1613-14 in Campagna e Marittima. Nel concistoro del 26 genn. 1615 il L. fu nominato vescovo di Nola e subito dopo la consacrazione prese possesso della diocesi, nella quale Paolo V si preoccupò di istituire due capitoli, presso la cattedrale di Nola e presso la chiesa dei Canonici eremiti di S. Agostino a Somma. Nel nuovo ufficio il L. dispiegò subito un'intensa e multiforme attività. Attento ai suoi doveri di pastore, visitò la diocesi, convocò un sinodo e si preoccupò di dar nuovo lustro al seminario, fondato nel 1568, dotandolo generosamente; nel 1617 si ampliò anche il Collegio della Compagnia di Gesù, esistente dal 1560, che accolse molti docenti provenienti dal Collegio di Napoli. Il L. favorì l'insediamento di nuovi monasteri femminili a Nola, Somma e Lauro; fondò e dotò la chiesa di S. Maria delle Anime del Purgatorio, alla quale era collegata una nuova Confraternita per le anime del Purgatorio; con l'aiuto del fratello Orazio radunò nelle chiese di Nola una notevole quantità di reliquie. Al L. si devono poi importanti lavori per il restauro e l'abbellimento delle chiese nolane e della sua residenza: due organi, il pulpito e il coro per la cattedrale, affreschi nel palazzo vescovile; commissionò inoltre sculture, tra cui una di legno con testa d'argento di S. Paolino, antico vescovo di Nola. Nel novembre 1622 il L. ebbe l'importante incarico della nunziatura in Polonia.

Riorganizzate da Leone X e consolidate da Gregorio XIII, che ne fissò il numero a sedici, le nunziature permanenti erano ormai affidate esclusivamente a ecclesiastici, per lo più vescovi; ai cardinali era riservato l'ufficio, più prestigioso, di legato. La nunziatura di Polonia era l'unica in un paese slavo; istituita da Paolo IV nel 1555, aveva assunto particolare importanza nell'Europa divisa dalla Riforma e aveva contribuito a fare di quel Regno il baluardo della cattolicità contro protestanti e ortodossi. Se con gli ultimi Jagelloni, che rivendicavano l'eredità di Bona Sforza, i rapporti con Roma erano stati piuttosto turbolenti, con Stefano Báthory, e soprattutto Sigismondo, la situazione era mutata e la Chiesa di Roma aveva raggiunto il traguardo ambito dell'Unione di Brest (1596) che dava vita alla Chiesa uniate, cattolica di rito orientale. Invisa agli ortodossi e disprezzata dai cattolici di vecchia data, la nuova Chiesa aveva avuto sempre una vita difficile e Roma era sommersa dalle proteste e dalle denunce dei soprusi subiti tanto dai semplici fedeli che dal clero.

Al L. furono date ampie facoltà per trattare con il re e per dirimere le questioni di vescovi e arcivescovi. Anche la congregazione di Propaganda Fide gli affidò compiti importanti: la cura dell'istituzione di "un Collegio per li Ruteni uniti" (lettera del 27 apr. 1623) e l'istruzione del processo di beatificazione per il vescovo Józefat Kuncewicz, svoltosi a Roma nel 1632. Dopo un viaggio rallentato dall'inverno, dalla peste e dalla guerra, nella tarda primavera il L. giunse a Varsavia e ricevette le consegne dall'internunzio Antonio Francesco Maria Ciridi; lo accompagnavano come collaboratori alcuni giovani parenti: il cugino Emilio Altieri (il futuro Clemente X), i nipoti Marco Ferrari e Marzio Delfini. In Polonia il L. svolse un'intensa attività, testimoniata anche dalle decine di lettere scambiate con Propaganda Fide: ordinò vescovi (tra cui due figli di Sigismondo, Giovanni Alberto e Carlo Ferdinando), curò l'attuazione dei decreti tridentini, compì una ricognizione dei monasteri e ne denunciò lo stato di decadenza, riuscì a dirimere le molte liti sulla precedenza che dividevano l'episcopato, istruì i processi informativi per dodici aspiranti vescovi. Fallì, però, nel compito di porre fine alle prevaricazioni contro la Chiesa uniate e fondare il seminario per la preparazione del suo clero; chiese a Propaganda Fide il denaro necessario, ma non ricevette mai i mille scudi stanziati, e del resto insufficienti. Fin dal suo arrivo in Polonia, il L. si preoccupò anche di problemi più personali ingraziandosi Sigismondo perché sollecitasse la sua elevazione alla porpora cardinalizia. Sigismondo si adoperò realmente in suo favore, ma senza risultati.

A Roma evidentemente il L. aveva alcuni nemici: la motivazione (avanzata in una lettera del cardinale Francesco Barberini a Onorato Visconti nel dicembre 1630) di una sua sospetta discendenza ebraica appare, anche alla luce della carriera di Scipione e Orazio, palesemente pretestuosa. Al rientro dalla nunziatura, nell'estate del 1627, il L. tornò nella sua diocesi. Lo accompagnava il nipote Tiberio, che acquistò nei pressi di Nola il feudo di Lauro, già proprietà di Camillo Pignatelli; i Lancellotti acquisirono così il titolo di marchesi di Lauro e poi, nel 1726, principi di Lauro. Quando la famiglia si estinguerà, quei titoli e lo stemma passeranno a Filippo Massimiliano Massimo (1865).

Riprese le proprie funzioni, il L. continuò l'opera di cura spirituale e materiale della sua diocesi, senza trascurare la parte più mondana dei suoi doveri: nel 1630 ricevette degnamente Maria d'Austria che, andando sposa a Ferdinando II, sostò a Napoli e alloggiò a Nola. Il L. morì il 23 luglio 1655, e fu sepolto nella cattedrale di Nola.

Fonti e Bibl.: Arch. segreto Vaticano, Arm. XLV, 20, nn. 224-282, cc. 150v-185; Biblioteca apost. Vaticana, Avvisi, 24, c. 242; Lauro (Avellino), Archivio dei principi Lancellotti, Arm. B2, f. H.24, Notizie genealogiche, 1570-1682; f. H.25, Cenni storici e biografici della famiglia Lancellotti scritti da Giuseppina Massimo principessa Lancellotti, vedova del principe Ottavio Maria Lancellotti (1789-1852); Acta nuntiaturae Polonae, t. XXII, a cura di T. Fitych, Cracoviae 2001, pp. V-L; G. Remondini, Della nolana ecclesiastica historia…, III, Napoli 1757, pp. 291-322; H. Biaudet, Les nonciatures apostoliques permanentes jusqu'en 1648, Helsinki 1910, pp. 202, 270; A.G. Wielykyj, Litterae SC De Propaganda Fide Ecclesiam catholicam Ucrainae et Bielarusjae spectantes (1622-1670), I, Romae 1954, ad ind.; Id., Litterae episcoporum historiam Ucrainae illustrantes (1600-1640), Romae 1972, ad ind.; F.R. De Luca, Vescovi di Nola appartenenti alla nobiltà, in Rivista araldica, LXXVII (1979), p. 147; Ch. Weber, Legati e governatori dello Stato pontificio (1550-1809), Roma 1994, pp. 116, 141, 182, 229, 351, 729; Hierarchia catholica, IV, p. 260.

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