MARCHESINI, Giovanni Battista

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 69 (2007)

MARCHESINI, Giovanni Battista

Alessandra Tarquini

Nacque a Noventa Vicentina il 18 sett. 1868 da Giulia Gregolo, sarta, e da Antonio, scrivano dell'Anagrafe.

Dopo aver frequentato le scuole elementari a Noventa, il ginnasio e il primo anno del liceo presso il seminario vescovile di Vicenza, il M. - terzo di undici figli - si trasferì a Padova, dove concluse gli studi liceali e si iscrisse alla facoltà di filosofia e lettere, divenendo presto un allievo brillante di R. Ardigò, il più importante teorico della filosofia positiva italiana. Dopo il conseguimento della laurea in lettere nel 1888, iniziò l'attività di insegnante di italiano nelle scuole: dapprima a Vasto, poi, in successione, a Casalmaggiore, Oneglia e Sassari. Nel 1893, ottenuta l'abilitazione all'insegnamento della filosofia, il M. si spostò a Cagliari, dove restò fino al 1895, quando riuscì a ottenere il trasferimento nel liceo classico L. Ariosto di Ferrara e ad avvicinarsi alla famiglia. In questi anni, tuttavia, continuò a coltivare gli studi filosofici e nel 1898 pubblicò a Torino La crisi del positivismo, l'opera che gli diede la notorietà e che rappresentò uno fra i contributi più significativi al dibattito sulla filosofia positiva di fine Ottocento.

Nel volume il M. spiegava i limiti di una filosofia che aveva eluso il problema della definizione dell'etica limitandosi all'analisi della realtà fenomenica. Prendendo le distanze dalla filosofia naturalistica di Ardigò, il M. proponeva un positivismo umanistico in cui confluivano il pragmatismo, la psicologia statunitense e quel ritorno alla filosofia di I. Kant che, sul finire del XIX secolo, andava diffondendosi in Italia come in Germania. In questa nuova prospettiva, sottolineava l'impossibilità di isolare il pensiero entro l'ambito circoscritto dei singoli fatti, riconoscendo l'umana necessità di interpretare il mondo e di dare un valore al ruolo dell'uomo nella storia. "Abbiamo bisogno di un'interpretazione dell'universo" (p. 17), affermava, spiegando l'esigenza psicologica degli individui di pensare l'assoluto: non un concetto prodotto dalla ragione logica, e nemmeno un frutto dell'esperienza, ma il semplice, eppur radicale, "bisogno di unità degli esseri umani" (p. 41).

Questo approccio psicologistico ai problemi dell'etica e ai rapporti fra la filosofia pratica e la filosofia teoretica fu sempre costante nel percorso speculativo del Marchesini. Nel 1898, quando cominciò a insegnare filosofia nel liceo classico di Padova e filosofia morale come libero docente presso l'ateneo patavino, fondò la Rivista di filosofia, pedagogia e scienze affini, che divenne l'organo del positivismo italiano e ospitò le firme dei più importanti filosofi dell'epoca. In quelle pagine il M. approfondì il tema che aveva ispirato La crisi del positivismo promuovendo gli studi sul primato della ragione pratica rispetto a quella teoretica, e sulla elaborazione di una filosofia critica umanistica. Tali riflessioni non delimitarono solo i confini della sua ricerca filosofica, ma segnarono profondamente la concezione pedagogica che in quegli anni il M. andava sviluppando e che ebbe nella rivista una tribuna d'eccezione. Critico severo di tutte le rappresentazioni astratte dell'individuo, con Elementi di pedagogia (Firenze 1899) il M. si fece promotore di una scienza della formazione tesa a conciliare l'istinto e la ragione, l'ideale e il reale, l'essere e il dover essere, inaugurando un percorso di ricerca che non avrebbe più abbandonato.

Proprio in quegli anni, quando aveva già pubblicato più di settanta scritti, fra monografie e articoli, ebbe inizio la sua carriera accademica. Nell'ottobre 1902 venne chiamato dalla facoltà di filosofia e lettere dell'Università di Roma come docente straordinario al posto di A. Labriola. Alla "Sapienza", tuttavia, rimase solo tre mesi e nel dicembre 1902 ottenne il trasferimento a Padova, dove dal 1903 insegnò anche pedagogia. Fu allora che il M. scrisse la sua opera più importante - Le finzioni dell'anima (Bari 1905) -, per cui è ricordato nella storia della filosofia italiana come il teorico del "finzionalismo".

Nel volume il M. sosteneva che i valori morali, seppur dotati di funzioni normative, non hanno alcuna validità metafisica né possono trovare fondamento nella razionalità. E in questo senso parlava di "finzioni", ovvero di prodotti della nostra interiorità che svolgono un ruolo decisivo perché orientano il nostro agire, ma non vivono nel regno del vero né in quello del giusto. Pensando al mondo delle passioni e degli affetti in cui l'irrazionale confonde le certezze della ragione, il M. evidenziava i limiti della conoscenza e, allontanandosi dal positivismo nel quale si era formato, si avvicinava al pragmatismo. In effetti, come notava il suo allievo L. Limentani, il M. non credeva alla razionalità dei valori morali, ma al contempo non desisteva dalla volontà di realizzarli. Per questo, giunto "alla persuasione di non poter chiedere alla ragione e alla metafisica la consolazione della fede o i fondamenti di un'assoluta certezza, non [aveva] altra alternativa se non di ricercare nella vita stessa della umanità la giustificazione di quelle credenze e di quelle aspirazioni ideali che tenacemente sopravvivono all'anima, costituendone il più prezioso possesso" (Limentani, p. 3).

Assai più severo fu G. Gentile, che nel 1906, recensendo ne La Critica il libro del M., lo definì "il regno della confusione e delle tenebre perfette, non rotte nemmeno dal bagliore dell'affermazione scettica" (cfr. Gentile, 1921, p. 205).

Secondo il filosofo idealista, la filosofia morale del M. nasceva dal tentativo di conciliare il positivismo di Ardigò con il pragmatismo di W. James: tuttavia, essendo nettamente inferiore ai contributi speculativi di entrambi, lasciava irrisolte questioni gravi e decisive per una possibile definizione dell'etica. Per Gentile il M. si limitava a enunciare ciò che non era in grado di dimostrare filosoficamente e cioè per quale motivo e attraverso quale dinamica un'esigenza psicologica avrebbe dovuto trasformarsi in un principio etico. Gentile sosteneva che rintracciare l'origine della morale nella coscienza prerazionale e attribuire una valenza pratica e normativa alle "finzioni" equivaleva ad affermare l'esistenza di una realtà senza spiegarne la struttura filosofica, dato che il M. "non assegna[va] nessuna ragione di carattere pratico alla legittimità della finzione teoretica" (ibid., p. 206).

Ne nacque una polemica vivace: il M., che nel 1906 era divenuto ordinario di filosofia morale a Padova, rispose a Gentile nella Rivista di filosofia e scienze affini accusandolo di aver falsificato il suo pensiero; questi, a sua volta, nel 1907 ribadì il proprio severo giudizio recensendo ne La Cultura il nuovo volume del M., La vita e il pensiero di Roberto Ardigò (Milano 1907).

Negli anni successivi, caratterizzati dalla reazione antipositivista che ebbe in B. Croce e in Gentile i suoi più autorevoli esponenti, le polemiche fra il M. e i neoidealisti italiani non vennero meno.

Ne La dottrina positiva delle idealità (Roma 1913) il M. tornò a proporre il suo positivismo umanistico rifiutando l'approccio naturalistico di Ardigò in nome di "un'interpretazione integrale dell'esperienza" (p. 40). Al contempo, tuttavia, sottolineò la positività dei dati naturali e dei fatti sperimentabili cercando di conciliarli con la teoria delle "idealità razionali" intese come valori morali che orientano l'agire degli uomini. Nel volume non mancò di criticare Croce e Gentile dichiarando, già nelle prime pagine, che non avrebbe ceduto "alla reazione metafisica come si cede alla moda" (p. 2), scorgendo nell'idealismo italiano una pericolosa deriva metafisica della filosofia moderna. La contrapposizione con l'idealismo non poteva essere più netta e non si risolse in suo vantaggio: sostenitore di una tradizione filosofica criticata dai fronti culturali più diversi, anche il M. dovette subire la vittoria del neoidealismo, che in Italia raccolse le adesioni di un vasto schieramento intellettuale e si candidò a guidare il rinnovamento culturale e morale della nazione.

Il tentativo del M. di rileggere il positivismo attraverso una prospettiva pragmatista, che lo portò ad avere qualche punto di contatto con il filosofo tedesco H. Vaihinger, rimase minoritario anche nell'Italia del primo dopoguerra, nella quale continuarono a prevalere gli idealisti e i tanti intellettuali formatisi alla loro scuola. Anche A. Gramsci nel 1922 definì gli Scritti vari di Ardigò, pubblicati dal M. (Firenze 1921), "una paccottiglia senza nessun valore e scritti in modo scelleratissimo" (Gramsci, p. 184).

Ormai autorevole docente dell'Università di Padova, nel 1921 il M. venne nominato commendatore della Corona d'Italia e, nel 1923, passò dalla cattedra di filosofia morale a quella di pedagogia. Del resto, non aveva mai abbandonato il percorso di ricerca inaugurato negli anni giovanili, scrivendo numerosi saggi su questioni educative.

Nel volume I problemi fondamentali dell'educazione (Torino 1917) il M. aveva sostenuto le ragioni di una pedagogia che fosse in grado di differenziare le metodologie e le tecniche didattiche secondo le concrete esigenze degli educandi. Tenace avversario della pedagogia proposta da Gentile e dai suoi numerosi allievi, riteneva che la scienza della formazione dovesse utilizzare le acquisizioni della psicologia moderna guardando alle leggi che regolano i complessi fenomeni della vita psichica.

Al mondo della pedagogia, peraltro, non dedicò solo le sue riflessioni e le sue lezioni universitarie: direttore dei corsi di perfezionamento delle scuole normali e membro del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, nel 1929 divenne direttore del Dizionario di scienze pedagogiche.

Il M. morì a Padova l'8 nov. 1931.

Unitosi in matrimonio con Giuseppina Velo nel 1909, ebbe quattro figli: Ernesto nato nel 1909, Giulio nel 1911, Giuseppe nel 1912 e Anna Maria nel 1917. Dopo la prematura scomparsa della moglie (1923), nell'ottobre del 1924 il M. si risposò con Carolina Da Re, una giovane insegnante veneziana.

Dopo la morte del M. i primi a proporre una nuova riflessione sul suo pensiero furono i filosofi che gli erano più vicini, come G. Tarozzi, F. Orestano e il già ricordato Limentani, che nel 1931 ne scrissero il necrologio in alcune delle più autorevoli riviste filosofiche italiane. Tuttavia, affinché venisse formulato un giudizio più articolato sulla sua opera sarebbero dovuti trascorrere gli anni necessari ad allontanare dalle riflessioni dei critici lo scontro fra positivisti e idealisti. Nel secondo dopoguerra sono stati i filosofi pragmatisti e i neopositivisti a misurarsi con le teorie del M. nell'ambito di una più generale riscoperta del positivismo italiano, sottoposto a una nuova lettura in grado di evidenziarne le peculiarità, la rilevanza e, soprattutto, il legame con il proprio tempo. In anni recenti, il contributo più significativo agli studi sul M. è stato quello di M. Dal Pra, che ha sottolineato il legame della sua filosofia con il pragmatismo e la grande ambiguità del suo sforzo speculativo: quella per cui è possibile pensare alle "finzioni" come a idealità che, se danno senso e scopo all'esistenza, non possono tuttavia essere compiutamente spiegate.

Opere: Un'antologia di scritti del M. è in Il pensiero pedagogico del positivismo italiano, in I classici della pedagogia italiana, a cura di U. Spirito, Firenze 1956, pp. 81-91, 131-147, 179-182, 279-290, 316-318, 413-422. Una prima bibliografia degli scritti del M. è in S. Rumor, Gli scrittori vicentini dei secoli decimottavo e decimonono, II, Venezia 1907, pp. 268-273; si veda anche il fascicolo dedicato al M. della Rivista pedagogica, XXV (1932), 1, con bibliografia alle pp. 17-30, nonché Sul pensiero di G. M. (1868-1931), numero monografico della Rivista critica di storia della filosofia, XXXVII (1982), 4, con la bibliografia a cura di M. Quaranta alle pp. 465-500.

Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Dir. generale Istruzione superiore, Fascicoli personale insegnante, II versamento, serie II, b. 96; Noventa Vicentina, Arch. parrocchiale, Registri dei nati e Registri dei matrimoni. Fra le fonti edite: G. Gentile, Lettere a Benedetto Croce, a cura di S. Giannantoni, I-V, Firenze 1972-90, ad ind.; B. Croce, Lettere a Giovanni Gentile, a cura di A. Croce e con introduzione di G. Sasso, Milano 1981, ad indicem. Sul M. si vedano: G. Gentile, Prammatismo razionale, in Saggi critici, s. 1, Napoli 1921, pp. 205-214; S. Caramella, Studi sul positivismo pedagogico, Firenze 1921, pp. 50-56; G. Tarozzi, Necr. di G. M., in Riv. di filosofia, XXII (1931), pp. 449-454; F. Orestano, Necr., in Archivio della filosofia, I (1931), 4, pp. 110-112; Commemorazione del prof. M., in Atti e memorie della R. Acc. di scienze, lettere ed arti in Padova, XLVIII (1931-32), pp. 31 s.; L. Limentani, Necr. di M., in Rivista pedagogica, XXV (1932), 25, pp. 1-30; A. Gramsci, Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura, Torino 1953, pp. 184-186; G. Gentile, Le origini della filosofia contemporanea in Italia, II, Firenze 1957, pp. 241, 246, 331, 343-346, 366 s., 372 (in cui confluirono gli scritti sul M. già pubblicati); E. Garin, Cronache di filosofia italiana, 1900-1943, Bari 1966, pp. 5 s., 11, 30, 43, 99-106, 109, 138, 176; L. Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, VI, Il Novecento, Milano 1972, pp. 374-377; M. Dal Pra, Storia della filosofia, IX, La filosofia contemporanea: l'Ottocento, Milano 1976, p. 391; X, La filosofia contemporanea: il Novecento, ibid. 1978, p. 38; G. Flores D'Arcais, G. M. a cinquant'anni dalla sua morte, in Atti e memorie dell'Accademia patavina di scienze, lettere ed arti, 1981-82, n. 94, pp. 113-123; M. Dal Pra, Studi sul pragmatismo italiano, Napoli 1984, pp. 171-205; G. Chiosso, Questioni educative e scolastiche nella "Rivista di filosofia e scienze affini", in Pedagogia e vita, 1984, n. 6, pp. 619-644; P. Rossi - C.A. Viano, Storia della filosofia, VI, Il Novecento, Roma-Bari 1999, p. 232; Le città filosofiche, a cura di P. Rossi - C. Viano, Bologna 2004, pp. 139, 236; Enc. filosofica (Centro studi filosofici di Gallarate), IV, Firenze 1967, ad nomen; Enc. italiana della pedagogia e della scuola, III, p. 595; Enc. pedagogica, IV, pp. 7300-7302.

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