PONCHINI, Giovanni Battista

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 84 (2015)

PONCHINI, Giovanni Battista

Francesco Trentini

PONCHINI, Giovanni Battista. – Nacque a Castelfranco Veneto da Bernardino e da Maddalena Piacentini nel primo decennio del XVI secolo.

La madre proveniva da una delle più prestigiose famiglie nobili della città, mentre il padre, probabilmente di origine veronese, esercitò in città la professione di avvocato e ricoprì importanti cariche pubbliche. Rimangono indimostrabili le ambizioni letterarie di Bernardino Ponchini suggerite dalla critica, dal momento che l’identificazione con l’omonimo poeta (Mancini, 1994-1995, p. 236, nota 64), amico di Girolamo Ruscelli, ancora in vita alla data 1565, è invalidata da un rogito notarile del 20 ottobre 1546 (Hochmann, 2004, p. 301, nota 34) che lo menziona come già morto.

Il silenzio documentario su Giovanni Battista è rotto da una nota contenuta nei registri della Tesoreria pontificia, in cui si legge che in data 20 aprile 1536 fu effettuato il pagamento di venti scudi a «maestro Battista da Castelfranco pintore» (Bertolotti, 1878). Inoltre, dal 1536, con il nome di Giovanni Battista Bazzacco, risulta regolarmente iscritto nella matricola dell’Accademia di S. Luca in qualità di pittore del cardinale Francesco Corner di Giorgio. Poco è noto della sua attività romana, che pure si segnalò per alcuni interventi di notevole interesse, come i non meglio identificati lavori di pittura e stucco all’Aracoeli, documentati da una cedola di ricevuta non datata, ma riferibile al decennio 1536-46 (Milanesi, 1873), e per l’intensa attività grafica sul Giudizio Universale di Michelangelo. Un’ulteriore traccia si conserva in una lettera del gennaio 1546, con la quale Pietro Aretino rivolgeva al parmigiano Enea Vico l’esortazione a portare a termine la sua incisione del «dì del giudicio che la saputa diligenza del Bazzacco […] ha ritratto dall’istoria del Bonarrotti» (Aretino, 1546, 1999).

A quella data Vico era stabilmente a Firenze al servizio di Cosimo I e non è affatto sicuro che Ponchini avesse già lasciato Roma. In ogni caso, il progetto della riproduzione del disegno era nato di sicuro nei primi anni Quaranta a Roma, tra il giovane incisore in formazione nell’orbita di Giulio Clovio e il più anziano Bazzacco alias Ponchini, evidentemente tentato dalla lastra di rame. È probabile che Vico non riuscisse a dare alle stampe il rame, comunque Ponchini non abbandonò mai l’ambizioso proposito. Fu probabilmente per questa ragione che il 12 giugno 1569 ospitò nella sua casa fuori Padova una raffinata compagnia composta, oltre che da Cosimo Bartoli e Alessandro Vittoria, anche dall’incisore e architetto Giovanni Antonio Rusconi, per mostrare loro il famoso «cartone di matita nera» del Giudizio, insieme ad altri disegni raffiguranti una Caduta degli angeli ribelli e una Caduta di Fetonte (Frey, 1930).

Nell’ottobre del 1546, forse in seguito alla morte del cardinale Marino Grimani, che pare l’avesse accolto in casa dopo la scomparsa di Francesco Corner, Ponchini è attestato a Castelfranco, mentre il 16 maggio 1548 risulta a Maser, in casa Barbaro, dove sottoscrisse un atto notarile assieme al giovane collega Girolamo Muziano. Non dovette tardare di molto la decisione di abbracciare lo stato clericale, che comunque era cosa fatta già il 14 giugno 1550, quando per il tramite del cardinale Andrea Corner, nipote del suo primo mecenate, Ponchini ottenne un canonicato presso la collegiata di S. Maria ‘de Bigollis’ a Orzinuovi presso Brescia. Fu solo l’inizio di una singolare carriera ecclesiastica, che lo portò con il tempo ad accumulare nove benefici, il più importante dei quali fu S. Pietro a Creola nel Padovano (probabilmente ricevuto grazie al cardinale Francesco Pisani), dove risiedette – almeno formalmente – fino alla morte.

Ciononostante continuò a dipingere, realizzando forse decorazioni a fresco per committenti di prestigio e la Discesa di Cristo agli Inferi per il Duomo di Castelfranco (1551). Comunque sia, quando intorno al 1553 gli fu accordata la commissione dei soffitti del Consiglio dei dieci in Palazzo ducale, Ponchini non era certo l’artista più in vista del momento. Ma Tiziano in quegli anni stava aggredendo l’ambizioso mercato della corte d’Asburgo, e Tintoretto, che pur godeva di grande fama in città e vantava prestigiose commissioni religiose, si muoveva ancora in un circuito solo tangente agli intrighi di palazzo. Ponchini, invece, poteva contare su una solida frequentazione delle famiglie Corner della Ca’ Granda, Grimani e Pisani, tra le più influenti all’interno della Signoria, ma anche sull’amicizia dei Barbaro di San Vidal.

Nelle Vite, Giorgio Vasari (1568, VI, 1881, p. 595) fornisce la sua versione dei fatti: «[A Ponchini] fu per favori dato a dipignere il palco della sala maggiore de’ Cavi de’ Dieci. Ma conoscendo costui non poter far da sé et avere bisogno d’aiuto, prese per compagni Paulo da Verona e Battista Farinato». Certo ci fu del favoritismo, ma è altrettanto vero che Ponchini era un artista di buon mestiere in grado di soddisfare l’inclinazione verso l’arte michelangiolesca dei responsabili del rinnovamento di Palazzo ducale, tra cui Daniele Barbaro e Vittore Grimani.

Gli anni dei soffitti (1553-1556) furono segnati dall’accusa per eresia e sodomia al Sant’Uffizio (circa 1553) e dalla censura della pala di Castelfranco da parte del suffraganeo vescovile di Treviso, Giovan Francesco Verdura (1554).

Sul primo episodio, Ponchini se la cavò senza grandi difficoltà. Quanto al secondo caso, si trattò di una misura intesa a colpire un dipinto fortemente anomalo dal punto di vista iconografico, ricco di implicazioni millenaristiche, che Verdura si limitò a sanzionare, riprendendo generiche accuse di ‘disonestà’ e ‘turpitudine’ già usate per colpire il Giudizio di Buonarroti.

L’8 agosto 1556 un breve pontificio esentava Ponchini dal pagamento delle decime ecclesiastiche. Indizio di continui contatti con la Curia vaticana, il documento non è però sufficiente a certificarne la presenza a Roma in quell’anno, come ritenuto dalla critica, mentre è sicuro che egli fu nell’Urbe due anni dopo, nel 1558, allorché, tra il 4 luglio e l’8 settembre, la Tesoreria vaticana annotava diversi pagamenti per un quadro «commessoli da nostro Signore» (Battilotti-Puppi, 1983, p. 81), il pontefice Paolo IV Carafa. La parentesi romana, tuttavia, era già conclusa l’11 novembre, quando Ponchini compariva di nuovo a Maser in casa Barbaro per testimoniare a un rogito notarile. Inoltre, sul finire degli anni Sessanta, in una casa di sua proprietà sita «in contrada Bronduli» a Padova, teneva ad affitto il giovane pittore Dario Varotari «de Verona» (Puppi, 1998, p. 162); e a una data non precisata, ma sicuramente entro l’inizio degli anni Settanta, gli diede in sposa la propria figlia, Samaritana. Indizi che fanno supporre per Varotari un qualche coinvolgimento professionale nell’attività di pittore di Giovanni Battista, che, ormai anziano ma ancora attivo, nella primavera del 1572 fu a Venezia per dipingere una Battaglia navale al doge Alvise Mocenigo.

Il 13 febbraio 1577 – data dell’investitura della parrocchiale di S. Pietro di Creola a don Nicolò Fausto – è stato proposto come terminus ante quem per fissare l’anno di morte di Giovanni Battista Ponchini.

Fonti e Bibl.: P. Aretino, Lettere, III (1546), a cura di P. Procaccioli, Roma 1999, p. 136; G. Vasari, Le vite (1568), a cura di G. Milanesi, VI, Firenze 1881, pp. 594 s.; C. Ridolfi, Le maraviglie dell’arte (1648), a cura di D. von Hadeln, Berlin 1914, I, pp. 310 s.; II, p. 88; N. Melchiori, Notizie di pittori (1720), in Id., Notizie di pittori e altri scritti, a cura di G. Bordignon Favero, Venezia 1964, p. 156; D.M. Federici, Memorie trevigiane sulle opere di disegno, II, Venezia 1803, pp. 47 s., 76 s.; G. Milanesi, La scrittura di artisti italiani (Secoli XIV-XVII), II, Firenze 1873, n. 179, pp. 309-312; A. Bertolotti, Speserie segrete e pubbliche di Papa Paolo III, in Atti e memorie delle R.R. Deputazioni di Storia patria per le provincie dell’Emilia, n.s., III (1878), p. 176; K. Frey - H.-W. Frey Der Literarische Nachlass Giorgio Vasaris, II, Monaco 1930, pp. 433 s.; J. Anderson, A precedent for the Tridentine decree on religious imagery: an early restoration of Giambattista P.’s ‘Castelfranco altarpiece’, in Arte veneta, XXVIII (1974), pp. 239-241; D. Battilotti - L. Puppi, Prime approssimazioni su G.B. P., in Ricerche di Storia dell’Arte, XIX (1983), pp. 77-84; V. Mancini, Del ‘pallazo’ di Ca’ Pisani a Creola e di un suo interessato frequentatore, in Atti dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, CLIII (1994-1995), 1, pp. 213-250; L. Puppi, ‘Concertino’ per Dario Varotari con ‘stecca’ sul Sanmicheli: questioncelle di metodo, in Arte veneta, LII (1998), pp. 161-165; R. Fontana, Un nuovo paragrafo per la storia dell’arte e dell’eresia a Venezia nel Cinquecento: G.B. P. denunciato «cercha la resia et cercha la sodomia», in Venezia arti, XVII-XVIII (2003-2004), pp. 31-40; M. Hochmann, Venise et Rome 1500-1600. Deux écoles de peinture et leurs échanges, Genève 2004, pp. 296-303; F. Trentini, Paolo Veronese. Dall’immagine al silenzio, tesi di dottorato, Università di Venezia Ca’ Foscari, a.a. 2009-2010 (relatore Augusto Gentili); Id., P. ‘à l’enfer’. Saggio sulla differenza iconografica, in Venezia Cinquecento, XX (2010), 39, pp. 73-109.

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