QUAGLIATA, Giovanni Battista

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 85 (2016)

QUAGLIATA, Giovanni Battista

Teresa Russo

QUAGLIATA, Giovanni Battista. – Figlio del pittore romano Giovanni Domenico e di Francesca Le Donne, nacque a Messina intorno al 1603. Francesco Susinno, nelle Vite de’ pittori messinesi (1724, 1960), lo fa morire a settant’anni nel 1673; il suo nome appare inoltre registrato negli Stati d’anime della parrocchia di S. Nicola in Arcione (Roma, Archivio storico del Vicariato): nel documento, datato 1636 e in definitiva non incompatibile con la fonte messinese, Quagliata risulta di anni trenta (Percy, 1967).

Avviato dapprima agli studi letterari, li interruppe per dedicarsi completamente alla pittura; allievo del fratello maggiore Andrea e a fianco di questo, compì nella sua città la prima formazione artistica.

Nella seconda metà degli anni Venti del Seicento, «giovanetto che non arrivava alli ventiquattro anni», si recò a Roma e vi si stabilì per circa un decennio (Susinno, 1724, 1960, p. 188).

«Alla voce della fama che da per tutto echeggiava di Pietro Berrettini da Cortona, volonne a Roma per affrancarsi nella imitazione di quella nuova maniera introdotta colà da quel gran maestro» (p. 188).

Residente «al Bufalo», presso S. Andrea delle Fratte, tra il 1633 (Frangipane, 1931) e il 1636 (De Gennaro, 1985) risulta tra i membri dell’Accademia di S. Luca; ne fece quindi certamente parte durante il principato dei toscani Francesco Mochi e Pietro Berrettini.

Documentato è pure il matrimonio con Cinzia Conticelli, celebrato nella parrocchia di S. Nicola in Arcione il 3 ottobre del 1634.

Come testimoniato dalla letteratura più antica, realizzò un S. Francesco Saverio che predica e altre pitture per la chiesa di S. Maria di Costantinopoli (Susinno, 1724, 1960; Titi, 1763; Lanzi, 1795-96, 1834); tutte queste opere andarono distrutte sul finire del XVIII secolo (Moroni, 1854).

È da ascrivere ai «primi modi» di Quagliata (Venuto, 1989, p. 855) la partecipazione alla pala con la Madonna, s. Bonaventura e s. Girolamo della cappella Pierleoni in S. Croce e S. Bonaventura dei Lucchesi, anteriore al 1631 e da Passeri (1772) riferita ad Antonino Alberti, detto il Barbalonga (Hyerace, 1983-1984; De Gennaro, 1985).

Dalla derivazione domenichiana della tela di Barbalonga, cui avrebbe dato il suo originale contributo attraverso un’interpretazione pittoricamente «mossa e corposa» (p. 27), a opere di tendenza classicista e idealizzante, il passo è breve. Roberto Longhi (1943) credeva si potesse assegnare a Quagliata una tela di impronta poussiniana: il Trionfo di David della Galleria nazionale d’arte antica-Palazzo Corsini, a cui, per uno «stretto rapporto» stilistico, è stato in seguito affiancato il Mosè e le figlie di Jetro di ubicazione sconosciuta e noto solamente attraverso una fotografia conservata a Firenze presso la Fondazione Longhi (De Gennaro, 1985, p. 29).

A conferma del fatto che a Roma Quagliata dovette conoscere interessi di matrice non esclusivamente cortonesca (Venuto, 1989), ma aperti ad apporti classicisti che vanno da Domenichino a Sacchi, a Poussin, facendosi al contempo interprete di un certo naturalismo – da quello «particolare» di Lanfranco a Vouet (De Gennaro, 1985, p. 28), ai seguaci di seconda generazione di Caravaggio –, interviene un documento figurativo di prim’ordine, spartiacque tra la quasi totale assenza di testimonianze del periodo romano e la successiva attività siciliana. Si tratta della Messa di s. Gregorio, splendida tela firmata e datata 1639, già nella chiesa di S. Gioacchino a Messina e ora al Museo regionale.

Reiterate disamine delle fonti (Susinno, 1724, 1960; Gallo, 1755, 1985) inducono a pensare che l’esecuzione del dipinto risalga all’ultima attività romana del pittore; ma il dibattito rimane aperto: non poche autorevoli voci l’hanno ascritto e lo ascrivono al primo periodo messinese (Grosso Cacopardo, 1821; Campagna Cicala, 1983; De Gennaro, 1985).

Stando a quanto riferisce Susinno (1724, 1960, p. 189), l’attività messinese ebbe inizio all’«età di trentasette anni», perciò verso il 1640. Sulla via del ritorno, non è escluso che Quagliata fosse di passaggio a Napoli, e che vi rimanesse per un breve soggiorno (De Vito, 1983).

Secondo alcuni, la Madonna appare a s. Paolino (Gallo, 1755, 1985; Hackert - Grano, 1792, 2000; Grosso Cacopardo, 1821), tutt’oggi a Messina nella chiesa di S. Rita in S. Paolino, è da ricondurre al periodo immediatamente successivo al primo soggiorno romano, per un più diretto confronto con Giovanni Lanfranco (De Gennaro, 1985; Venuto, 1989); tuttavia altri critici sono propensi a ritenere che la tela in questione, riflettendo «un’accresciuta esperienza novellesca e napoletana», appartenga a un momento più avanzato dell’attività del pittore (Campagna Cicala, 1983, p. 36).

Dopo la morte della moglie, nel 1645 sposò in seconde nozze Flavia Alias, sorella del matematico gesuita Vincenzo, lettore nel collegio di Messina dal 1660 al 1680 (Moscheo, 1988), e di Francesco «mercatante» (Susinno, 1724, 1960, p. 196).

Intorno al 1648 ebbe l’incarico di realizzare gli affreschi con le Metamorfosi di Ovidio per la galleria del Palazzo Reale: commissionati a Quagliata dal viceré don Giovanni Giuseppe d’Austria per la somma di 1090 scudi (Susinno, 1724, 1960), essi andarono perduti probabilmente già sul finire del secolo XVII (De Gennaro, 1985).

L’8 settembre 1655 vennero inaugurati gli affreschi della tribuna della cattedrale, portati a compimento «in tempo di tre anni» (G. Zanghì, in Arenaprimo, 1893, p. 298): in quest’opera, «Giovanni (detto con sopranome il Cortona di Messina) mostrò il suo scibile pittoresco» (Susinno, 1724, 1960, p. 193). Distrutte durante la seconda guerra mondiale, le pitture rivestivano l’intera tribuna e raffiguravano il Martirio di s. Placido, l’Ambasceria dei messinesi alla Vergine, la Santificazione di s. Alberto e la Predica di s. Paolo apostolo.

Le fotografie superstiti degli affreschi (Messina, Museo regionale) mostrano un impianto compositivo ardito, imponente, e istanze classiciste di ascendenza romana, e specificamente cortonesca, tanto nelle singole figure quanto negli scorci prospettici architettonici. Tra classicismo e barocco, i grandi modelli prescelti furono certamente Lanfranco, Andrea Sacchi, Carlo Maratta (De Gennaro, 1985).

Nel 1657 Quagliata è ricordato nella Relazione della solenne festa per la Sagra Lettera scritta dalla Vergine Madre d’Iddio… per essere stato, in occasione della festa della Madonna della Lettera svoltasi il 3 giugno di quell’anno, l’architetto del «Terzo Arco Trionfale de’ Mercatanti».

Documentate dalle fonti, ma allo stato attuale non rintracciate, sono: la tela del Martirio dei santi carmelitani per la chiesa del Carmine (Susinno, 1724, 1960); la S. Cecilia per S. Gioacchino, poi trasferita nella chiesa di S. Cecilia (Susinno, 1724, 1960; Gallo, 1755, 1985; Hackert - Grano, 1792, 2000; Grosso Cacopardo, 1821); le sei grandi tele con Storie della Vergine per la tribuna della Ss. Annunziata dei Teatini realizzate molto probabilmente su commissione dell’arcivescovo Simone Carafa (Campagna Cicala, 1983): Concezione, Natività, Presentazione al Tempio, Visitazione, Purificazione, Assunta (Susinno, 1724, 1960). Uniche eccezioni, la Natività della Vergine e la Purificazione, custodite ancora nei depositi del Museo regionale di Messina; non è però escluso che queste si debbano a «imitatori» (Mauceri, 1922, p. 384). Perdute o disperse sono anche una Madonna del Rosario e un S. Ludovico Bertrando, eseguite entrambe per la chiesa di S. Domenico, e una S. Geltrude per S. Maria Maddalena (Susinno, 1724, 1960).

Tra le opere superstiti e documentate si conservano la Comunione di s. Benedetto per la chiesa di S. Barbara (Susinno, 1724, 1960; Gallo, 1755, 1985; Hackert - Grano, 1792, 2000; Grosso Cacopardo, 1821), ispirata alla celebre Comunione di s. Girolamo di Domenichino, e la Madonna con il Bambino, s. Francesco e s. Chiara per la chiesa di Montevergine, capolavoro del periodo maturo, firmata e datata – la data è stata finora interpretata come 1658 (Salinas - Columba, 1915; Mauceri, 1922; De Gennaro, 1985). La pala rivela un profondo interesse per gli accordi luministici di Pietro Novelli (Campagna Cicala, 1983; De Gennaro, 1985), nonché per le esperienze pittoriche maturate in ambito napoletano; è infatti avvicinabile a opere quali l’Annunciazione e la Madonna del Rosario dipinte da Francesco Guarino rispettivamente per la collegiata di S. Michele Arcangelo e per la chiesa di S. Domenico a Solofra nel corso degli anni Quaranta, opere di cui Quagliata «doveva aver avuto notizie precise» (Bologna, 1955, p. 61).

La tela di Montevergine costituisce in Sicilia uno dei brani più intensi e coscientemente caravaggeschi scritti in lingua barocca; senza dubbio è uno degli esiti più alti di quel «naturalismo classicista che caratterizza» l’«ultima maniera» dell’artista (Campagna Cicala, 1983, p. 28).

Per quanto concerne i dipinti ricondotti dalla critica al catalogo di Quagliata si segnalano: il Transito di s. Giuseppe (Ead., 1984), in cui sono chiaramente distinguibili «i caratteri propri del pittore messinese» e che, conservato nella chiesa di S. Giacomo a Capizzi, è riferibile a una fase avanzata della sua attività (De Gennaro, 1985, p. 33); l’Immacolata (o Assunta, secondo Consoli, 1980), del 1657, proveniente dalla chiesa di S. Chiara e oggi al Museo regionale di Messina, che denota una rinnovata attenzione ai modelli napoletani e novelleschi (Campagna Cicala, 1983; De Gennaro, 1985).

Tra il sesto e il settimo decennio, per la cattedrale, diresse i lavori del baldacchino in qualità di «Ingignero et Architetto» della cappella della Madonna della Lettera, come documenta un atto notarile del 24 gennaio 1665 (Bottari, 1934, p. 77). A questo proposito, la fonte manoscritta del Settecento riferisce di un nuovo soggiorno fuori Messina: nel 1669, su richiesta del Senato cittadino, Quagliata «fu spedito» a Roma «a fare il modelletto della cappella della Madonna» (Susinno, 1724, 1960, p. 195).

Uno spostamento a Palermo è testimoniato sempre da Susinno, il quale, senza tuttavia fornire alcuna indicazione cronologica, ricorda che il pittore accettò l’invito del cognato Francesco «a passare» in quella città, dove restò «circa tre anni» (p. 196). Una traccia di questa tarda attività palermitana sarebbe da riconoscere in quella Madonna benedicente entro una ghirlanda di fiori con putti conservata al Museo civico di Termini Imerese e segnalata per la prima volta da Giovanni Previtali (De Gennaro, 1985).

Morì a Messina il 2 febbraio 1673 e fu sepolto nella chiesa di S. Francesco d’Assisi.

Fonti e Bibl.: Messina, Archivio del Capitolo della cattedrale, Fondo maramma, legato Guardabascio, 5 (1682-1706), cc. 3r, 4v (si ringrazia Rosaria Stracuzzi per la segnalazione); F. Susinno, Le vite de’ pittori messinesi (ms.; 1724), a cura di V. Martinelli, Firenze 1960, pp. 187-198, 209; C.D. Gallo, Apparato agli Annali della città di Messina (1755), a cura di G. Molonia, Messina 1985, p. 106 ss.; F. Titi, Descrizione delle pitture, sculture e architetture esposte al pubblico in Roma, Roma 1763, p. 330; G.B. Passeri, Vite de’ pittori scultori ed architetti che anno lavorato in Roma…, Roma 1772, p. 47; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia… (1795-96), II, Firenze 1834, p. 293; F. Hackert - G. Grano, Memorie de’ pittori messinesi (1792), Messina 2000, pp. 108-112; G. Grosso Cacopardo, Memorie de’ pittori messinesi, Messina 1821, pp. 159-162; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica…, LXV, Venezia 1854, p. 131; G. Arenaprimo, Diario messinese (1655-1661) del notaro Giuseppe Zanghì, in Archivio storico siciliano, n.s., XVIII (1893), pp. 297 s.

A. Salinas - G.M. Columba, Terremoto di Messina. Opere d’arte recuperate, Palermo 1915, p. 48; E. Mauceri, Giovan Battista Q., in Bollettino d’Arte, s. 2, I (1922), 7, pp. 381-385; A. Frangi-pane, Memorie calabresi nei codici dell’Accademia di San Luca, in Brutium, X (1931), nn. 10-11; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXVII, Leipzig 1933, p. 491; S. Bottari, Il «baldacchino» del Duomo di Messina e la collaborazione di Giacomo Serpotta, in Giacomo Serpotta, I, Palermo 1934, pp. 63-83; R. Longhi, Ultimi studi sul Caravaggio e la sua cerchia, in Proporzioni, 1943, n. 1, p. 62; F. Bologna, Opere d’arte nel salernitano dal XII al XVIII secolo, Napoli 1955, pp. 61 s.; A. Percy, Castiglione’s chronology: some documentary notes, in The Burlington Magazine, 1967, vol. 109, n. 777, p. 675; G. Consoli, Messina. Museo regionale, Bologna 1980, pp. 50-53; F. Campagna Cicala, Avant propos sul Seicento pittorico messinese, in Onofrio Gabrieli, 1619-1706 (catal., Gesso, Messina), Messina 1983, pp. 22 ss.; G. De Vito, Un quadro di Nunzio Rossi a Messina ed altri apporti napoletani, in Ricerche sul ’600 napoletano, Milano 1983, p. 8; L. Hyerace, Contributi al Barbalonga, in Quaderni dell’Istituto di storia dell’arte medievale e moderna, Facoltà di lettere e filosofia, Università di Messina, 1983-1984, nn. 7-8, p. 36; F. Campagna Cicala, Un inedito di Giovan Battista Q., in Cultura arte e società a Messina nel Seicento, Messina 1984, pp. 157 s.; R. De Gennaro, Profilo di Giovan Battista Q., in Prospettiva, 1985, n. 43, pp. 26-42; R. Moscheo, Francesco Maurolico tra Rinascimento e scienza galileiana. Materiali e ricerche, Messina 1988, pp. 102 ss.; T. Venuto, G.B. Q., in La pittura in Italia. Il Seicento, a cura di M. Gregori - Erich Schleier, II, Milano 1989, p. 855; S. Di Bella, Pietro Novelli e Giovan Battista Q.: gli affreschi della tribuna del Duomo di Messina, in Archivio storico messinese, 2013-2014, nn. 94-95, pp. 175-188.

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