RAMPOLDI, Giovanni Battista

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 86 (2016)

RAMPOLDI, Giovanni Battista

Roberto Tottoli

RAMPOLDI, Giovanni Battista. – Nacque a Uboldo, nel Milanese, il 17 agosto 1761 da Giuseppe e da Maria Trolli. Pochi i particolari che ci sono noti della sua vita. Egli iniziò a viaggiare in Oriente poco più che ventenne, giungendo, a partire dal 1784, in Grecia, Turchia, Arabia, Siria, Palestina e infine Egitto, e forse anche in America e in India. Sfortunatamente non si hanno sue annotazioni, taccuini di viaggio o lettere in merito, ma solo indicazioni sparse e aneddoti di vita vissuta nelle note dei suoi Annali musulmani. Nulla sappiamo delle ragioni profonde di questi viaggi. Al suo ritorno trovò lavoro presso vari uffici comunali e infine presso la segreteria della direzione delle dogane di Milano. I contenuti delle sue numerose opere testimoniano di uno spirito liberale, razionalista e anticlericale, di sentimenti patriottici. Fu amico di vari personaggi e figure del suo tempo quali Gian Domenico Romagnosi o Vincenzo Malacarne, senza però che siano conservati loro scambi epistolari.

La sua opera è abbastanza vasta e accanto al suo lavoro più famoso, gli Annali musulmani, Rampoldi consegnò alle stampe svariati libri da cui si evince un costante intento educativo. Si trattò in molti casi di opere che conobbero un certo successo editoriale e che furono riprodotte in svariate edizioni almeno fino a metà del XIX secolo prima di essere completamente dimenticate. I suoi primi lavori furono I proverbi e le sentenze proverbiali (Milano dopo il 1810, 18523) e quella che parrebbe la sua opera più fortunata, un’Enciclopedia dei fanciulli (Milano 1810, con titolo Nuova enciclopedia…, 18142) che venne ristampata varie volte (1826, 1843). L’interesse per la divulgazione enciclopedica si evince anche da altre opere, come il Nuovo Dizionario degli uomini illustri nell’istoria delle scienze, delle armi, della politica, delle belle arti (Milano 1822-1823), quindi il manuale di Cronologia universale (Milano 1828), e infine la Corografia dell’Italia (1832-1836) in tre volumi che raccolgono numerose notizie di tipo geografico e storico. Vi sarebbe inoltre stata una Biografia italiana già approntata per la stampa nel 1834, ma in realtà mai apparsa, secondo quanto riportato in una delle sue opere pubblicate.

L’opera sua più famosa sono, senza dubbio, gli Annali musulmani, una storia annalistica di quel mondo che aveva in parte conosciuto nei suoi viaggi. Fu pubblicata tra il 1822 e il 1826, anno che vide la stampa del dodicesimo e ultimo volume che ne raccoglieva gli indici generali. Una vita di Maometto fu estratta da quest’opera e pubblicata a parte (Vita di Maometto scritta dall’autore degli Annali musulmani, Milano 1822).

Ogni volume, a esclusione dell’ultimo, è organizzato in maniera analoga. Una cronologia iniziale è seguita da una più o meno estesa parte introduttiva dedicata all’avvenimento più significativo o al carattere generale del volume stesso. I volumi sono quindi costituiti da una prima parte del testo ordinata per anni dell’era cristiana e una seconda parte in cui sono raccolte le note al testo stesso in ordine progressivo e con accenni dal geografico al letterario, e in cui non mancano annotazioni personali tratte dalla sua esperienza diretta. Gli Annali musulmani, per il tempo in cui furono scritti, furono un’opera assai ambiziosa e la prima nel suo genere, dato che ricostruivano in forma annalistica la storia del mondo islamico da Maometto alla caduta di Costantinopoli, ovvero dal 578, arbitraria data attribuita alla nascita del profeta, al 1453. Come sottolinea Giuseppe Gabrieli (1922a), la concezione di tale ambiziosa opera va collocata in un’età, gli inizi del XIX secolo, che vide un certo interesse per la storia del mondo arabo e islamico, ma ancora precedente alla nascita degli studi arabistici e islamistici moderni. Il lavoro di Rampoldi si colloca piuttosto al servizio di un mondo editoriale che alimenta questo interesse attraverso traduzioni e opere di compilazione.

Gli Annali ebbero qualche eco e raccolsero annotazioni critiche, ad esempio nella Biblioteca Italiana in cui, tra il 1822 e il 1825, apparvero anonime segnalazioni elogiative con qualche accenno critico e ulteriori annotazioni sui volumi che si andavano stampando. Qualche opera negli stessi anni li utilizzò e li menzionò evidenziando una certa ricezione, in special modo negli anni immediatamente successivi alla loro pubblicazione, ma solo in Italia e poco o nulla all’estero, mentre nessuna segnalazione è attestata nella stampa periodica del tempo. Furono, per esempio, utilizzati da Ambrogio Levati nella sua Storia degli arabi compilata […] sulle opere del Marigny, del Gibbon, dell’Andres e del Rampoldi… apparsa in tre volumi a Milano nel 1825 e dalla Storia delle Turchia dai suoi primi tempi sino al giorno d’oggi: compilata sulle tracce di Rampoldi, Lamartine, Choudzo… di Luigi Rapetti et al., in due volumi apparsi a Milano nel 1859. Si trattava di opere di divulgazione, che utilizzavano fonti di seconda mano e che, tra i lavori disponibili in italiano, potevano contare solo su quello di Rampoldi. Uno scarso o nullo interesse verso l’opera è tuttavia segnalato negli anni a partire dalla seconda metà del XIX secolo.

La scarsa fortuna successiva viene solitamente attribuita al giudizio di Michele Amari, il quale, nella sua Storia dei musulmani di Sicilia (1854), dà degli Annali musulmani un giudizio negativo assai articolato, oltre che citarli nel corso dell’opera per confutarli e correggerli anche se solo nelle parti sulla Sicilia musulmana e non per tutta l’opera. Amari, pur riconoscendo il valore di alcuni passi, incentra la sua critica su errori nella conoscenza e in certe traduzioni dalle lingue orientali, ma soprattutto nel non chiaro né esplicitato uso delle fonti, che non permette di distinguere negli undici volumi da dove si sia preso cosa, rendendo così di fatto inservibile l’opera (Gabrieli, 1922a, pp. 176 s.). In più passi della sua opera monumentale, del resto, lo stesso Rampoldi riporta a volte di non intendere che poche parole degli idiomi delle genti incontrate in Vicino Oriente durante i suoi viaggi, anche se è probabile, tuttavia, che una certa conoscenza basilare delle lingue parlate, maturata sul luogo nel corso dei suoi frequenti rapporti attestati negli aneddoti riportati, si saldasse a qualche nozione più approfondita delle lingue scritte, sia nel caso del turco sia in quello, soprattutto, dell’arabo e del persiano. A tale conoscenza spingerebbe l’assiduo uso di fonti arabe, persiane e turche, spesso inedite e neppure tradotte in altra lingua al tempo in cui redasse l’opera e che potevano essere note solo attraverso manoscritti originali.

La questione delle fonti utilizzate da Rampoldi per la parte annalistica, dove sono frequenti nomi di autori e titoli, è quella che ha maggiormente interessato gli studi islamistici e arabistici. Gabrieli (1922b) ha ripercorso i volumi dell’opera e offerto una lista delle fonti da lui citate. Per molti casi, Gabrieli ha dimostrato come Rampoldi abbia utilizzato abbondantemente la Bibliotheque Orientale (1697) di Barthélemy d’Herbelot, un’importante e diffusa antologia, che si può quindi considerare sua fonte privilegiata. Rampoldi avrebbe riutilizzato, senza citarle, le numerose parti ordinate alfabeticamente e diversamente da d’Herbelot, il che spiegherebbe anche il privilegio accordato alle fonti persiane che riflette quello del testo da cui furono tratte. Per altre citazioni di autori o di opere, tuttavia, non è possibile risalire alle fonti né identificare con certezza gli autori che Rampoldi utilizzò accanto all’opera di d’Herbelot. Gli errori o le inesattezze, pur presenti, attesterebbero un certo uso personale e in isolamento da altri esperti e conoscitori di questi materiali, con limiti scusabili per gli scarsi strumenti a disposizione. Tuttavia, mancando ogni indicazione su possibili canali di apprendimento, qualsiasi ulteriore valutazione risulta altamente congetturale.

Nella traduzione o menzione in forma diversa di queste fonti, tuttavia, nessun accenno critico particolare emerge né alcuna valutazione di metodo più generale. Al di là dei riferimenti poco chiari alle fonti o all’uso non dichiarato di d’Herbelot, resta il merito che la descrizione storica si basa soprattutto su fonti orientali con uso relativamente minore di altre occidentali quando le vicende portarono i musulmani in contatto con l’Occidente. In questo caso non mancano accenni a fonti svariate, come, per esempio, quelle classiche, in special modo quando si tratta del periodo preislamico. Da segnalare è anche il tono generale dell’opera, che non mostra alcun intento polemico. Sia nei confronti di Maometto sia nel delineare le linee storiche, Rampoldi si mantiene decisamente neutro e più intento a valutare la grandezza storica dell’Islam nel suo insieme e non solo di quello arabo, senza tacere dei limiti di fenomeni come le crociate per cui non si fanno mancare giudizi critici. Tale atteggiamento, frutto anche dei non rari accenti anticlericali, lo porta non di meno ad attaccare la ferocia e brutalità di mongoli e turchi.

Il piano generale della monumentale opera è comunque notevole e pur con tutti i suoi limiti, il respiro dell’analisi storica e le numerose fonti la rendono un tentativo unico e sostanzialmente da rivalutare anche in raffronto ad altri lavori coevi che furono magari più accurati e precisi, ma di respiro inferiore.

Morì di colera a Milano il 21 agosto 1836.

Fonti e Bibl.: G. Gabrieli, Gli “Annali musulmani” di G.B. R., studio sul primo saggio italiano di storiografia islamica generale, in Aegyptus, III (1922a), pp. 168-190, 321-340; Id., Indice delle fonti storiche citate negli Annali Musulmani di G. R., in Rivista degli studi orientali, IX (1922b), pp. 258-286; F. Gabrieli, G.B. R. e i suoi «Annali musulmani», in Id., La storiografia arabo-islamica in Italia, Napoli 1975, pp. 19-26.

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