BOCCAMAZZA, Giovanni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 11 (1969)

BOCCAMAZZA, Giovanni

Ingeborg Walter

(Boccamaci, Bochamacii, Bocamathia, Buccamati, Buccamatius, Iohannes de Tusculo,

Iohannes episcopus Tusculanus). - Nacque a Roma, verso la metà del sec. XIII, da Oddone, di ricca e nobile famiglia romana, imparentata con i Savelli e con i Capocci. Giovanissimo, fu avviato alla carriera ecclesiastica, che percorse brillantemente col favore del suo autorevole parente Giacomo Savelli, cardinale di S. Maria in Cosmedin e poi papa col nome di Onorio IV. Cappellano del Savelli., il 14 maggio 1264 gli fu conferita in beneficio la chiesa di S. Fortunato di Vernot nella diocesi di Sens. Dopo questa data non se ne hanno più notizie fino al 13 ag. 1278, quando, cappellano di Niccolò III, fu nominato arcivescovo di Monreale.

La nomina alla sede di Monreale, una delle più ricche e prestigiose del Regno di Sicilia era il segno indubitabile della considerevole posizione che il B. si era conquistato nella Curia con l'appoggio del cardinale Savelli, ma anche del favore che godeva presso la corte di Napoli. Se pure non si ha notizia di suoi rapporti diretti con la corte siciliana, è ben noto tuttavia quanto strettamente fosse legata alla politica angioina la potente famiglia guelfa dei Savelli con la quale egli era imparentato. Né va dimenticato che un fratello maggiore del B., Angelo Boccamazza, era vescovo di Catania già dal 1257 e non aveva certo dimostrato sentimenti antiangioini.

Dell'attività svolta dal B. nell'arcidiocesi di Monreale restano solo pochi documenti, che delineano però bene la figura di un abile amministratore e di uno zelante tutore dei diritti della sua Chiesa. Non risulta che nel corso del suo breve soggiorno in Sicilia si sia impegnato politicamente.

Allo scoppio dell'insurrezione del Vespro (30 marzo 1282) il B., guelfo per tradizione familiare e legato per la sua stessa posizione alla corte pontificia non meno che a quella angioina, si dovette trovare in difficoltà. Prima di prendere posizione temporeggiò in attesa dello sviluppo degli avvenimenti, senza esitare però a entrare in contatto con gli insorti. L'8 maggio 1282 concluse un accordo con Ubertino da Camarano, figlio di quel Bonifacio che aveva guidato la sollevazione di Corleone. Dopo lo sbarco di Pietro d'Aragona protestò presso il re contro l'intromissione dei funzionari regi nella giurisdizione arcivescovile, ottenendo il 12 ott. 1282 la sospensione immediata di ogni interferenza ai danni dell'arcivescovato. Appare dunque infondato il racconto del Rebellamentu di Sichilia (Due cronache del Vespro..., p. 20), secondo il quale il B. al momento stesso dello sbarco dell'aragonese in Sicilia avrebbe lasciato l'isola. La sua presenza in terraferma, e precisamente a Brindisi, è attestata solo il 15 maggio 1283. Egli restò tuttavia titolare dell'arcivescovato di Monreale fino al 22 luglio 1286, quando gli successe Pietro vescovo di Rieti.

L'elezione del parente Giacomo Savelli al soglio pontificio (2 apr. 1285) col nome di Onorio IV segnò una svolta fondamentale per la sua carriera. Da lui prediletto, il 22 dic. 1285 fu nominato cardinale vescovo di Tuscolo e fu l'unico cardinale di Onorio IV. Il 31 maggio 1286 ebbe dal papa l'incarico di recarsi come legato in Germania per trattare con Rodolfo d'Asburgo, re dei Romani, le modalità del suo viaggio a Roma in vista dell'incoronazione imperiale fissata per il 2 febbr. 1287. La qualità di legato gli conferiva i più ampi poteri, ma gli riservava anche il compito assai delicato di esigere decime e contribuzioni per finanziare anzitutto il viaggio in Italia di Rodolfo d'Asburgo, che si era dichiarato incapace di sostenerne le spese.

La nomina del B. fu accolta con grande irritazione in Germania, dove non erano ancora spenti gli echi dei contrasti suscitati dai legati apostolici al tempo dell'imperatore Federico II. Ai primi di agosto del 1286 il B. si mise in viaggio con un numeroso seguito, del quale facevano parte il fratello Nicola e i nipoti Nicoluccio e Andreuccio, e verso la metà del mese di settembre raggiunse Basilea, dove insediò il nuovo vescovo Peter Reich von Reichenstein. Appena entrato in Germania sollecitò con insistenza il pagamento delle procuratorie dovute al legato, respingendo decisamente le numerose richieste di proroga. Lasciata Basilea dopo aver raccolto, secondo la testimonianza di un cronista contemporaneo, "magnum thesaurum", si diresse a Strasburgo, dove arrivò ai primi di novembre, prendendo subito posizione a favore di un monastero domenicano in lite con la città. Riuscì a comporre questa controversia, non senza ricorrere all'arma dell'interdetto che lanciò sulla città. Sul suo soggiorno a Strasburgo resta la testimonianza del cronista cittadino Ellenardo, che dipinge a fosche tinte l'operato del B., accusato di simonia, avarizia e scandalosa avidità. Da Strasburgo "ille insatiabilis oculos habens Argi" passò il 20 novembre a Spira, per incontrarvi Rodolfo d'Asburgo, che vi arrivò ai primi di dicembre.

Ormai, però, era trascorso troppo tempo per procedere all'incoronazione imperiale entro i termini del 2 febbr. 1287 fissati da Onorio IV. Sia il B. sia il re si resero inoltre ben conto delle gravi difficoltà frapposte dall'alto clero tedesco, e per superarle decisero di convocare a Würzburg per il 9 marzo 1287 un concilio nazionale tedesco e la dieta imperiale. Tale perfetto accordo tra il legato e il re dei Romani non mancò di suscitare vivissime preoccupazioni nei grandi prelati: nel febbraio l'arcivescovo Sigfrido di Colonia si appellò a Roma, accusando il B. di progettare, insieme col re dei Romani, un piano di esautorazione dei principi elettori per assicurare la corona imperiale alla casa d'Asburgo in via ereditaria. La protesta non ebbe alcun effetto, e il 16 marzo 1287, con una settimana di ritardo rispetto alla data fissata, si aprirono a Würzburg concilio e dieta con la partecipazione di numerosi vescovi e prelati, di principi e città. Nel corso della seduta conciliare del 18 marzo. La prima effettiva, il B. presentò all'approvazione dell'assemblea un corpo di quarantadue statuti relativi alla disciplina della Chiesa tedesca.

Fondati sui decreti del secondo concilio di Lione del 1274 e del terzo Concilio lateranense del 1179, gli statuti proposti dal B. tendevano a elevare il tono di vita degli ecclesiastici, a sopprimere abusi, a ripristinare il dovere della visita da parte dei vescovi, a rafforzare la disciplina nei monasteri, ecc. Tale iniziativa nata dalla sua diretta esperienza della situazione religiosa in Germania, non incontrò alcuna resistenza e i quarantadue statuti furono approvati.

Ben diverso atteggiamento tenne però il concilio quando il B., in una nuova seduta in data del 26 marzo, avanzò una richiesta di denaro. L'entità delle somme e le modalità dei pagamenti non sono molto chiare: secondo la testimonianza di alcuni cronisti tedeschi, ovviamente portati a esagerare, avrebbe chiesto addirittura "quartam partem omnium proventium", da pagare in quattro o cinque anni, adducendo a quel che pare, oltre alla necessità di finanziare il viaggio a Roma del re dei Romani, le solite occorrenze della Curia. Le reazioni questa volta furono quanto mai violente: l'arcivescovo Sigfrido di Colonia, principale esponente dell'opposizione ecclesiastica alla politica dell'Asburgo, fece leggere in piena assemblea la sua appellazione alla S. Sede e ribadì le accuse al B. e a Rodolfo, che, una volta incoronato imperatore, contava di presentare la candidatura del figlio a re dei Romani. La protesta dell'arcivescovo di Colonia ebbe successo in un'assemblea mal disposta verso il B., che non aveva mostrato di transigere nell'esazione delle procuratorie dovutegli, spesso in forma alquanto esosa, e quando il vescovo di Toul, Konrad Probus, si levò e con un infiammato discorso espresse tutta la indignazione per essere costretto a pagare alla S. Sede somme esorbitanti, ora come partecipe de facto della Chiesa di Francia, ora come membro di diritto della Chiesa di Germania, l'assemblea si trasformò in un vero e proprio tumulto, dal quale il B. si salvò solo per l'intervento di Rodolfo d'Asburgo. Il concilio si sciolse così senza un nulla di fatto sulla questione finanziaria, la sola che premesse effettivamente al B. e al re dei Romani: Rodolfo dovette rinviare il progettato viaggio in Italia, anche perché il 3 apr. 1287 sopraggiunse la morte di Onorio IV. Subito dopo lo scioglimento del concilio Rodolfo condizionò il rilascio di un salvacondotto per il B. e il suo seguito all'insediamento di un tribunale ecclesiastico che doveva giudicare l'abate di San Gallo. Il 27 marzo fece sapere inoltre al B. che la dieta aveva deciso di sollecitare la scomunica contro i ribelli da più di un anno al bando dell'impero, invitandolo a procedere contro il conte Guido di Fiandra.

Abbandonata Würzburg alla fine di marzo in compagnia del re dei Romani, il B. si diresse a Worms, da dove chiese a Onorio IV, il 7 aprile, a nome di Rodolfo d'Asburgo di scomunicare Guido di Fiandra. Il 15 aprile scrisse una seconda lettera da Homburg, annunciando al papa di avere intimato al conte di Fiandra di presentarsi con i suoi principali aderenti davanti alla curia del re dei Romani entro due mesi, sotto pena di incorrere nella scomunica papale. Ma neanche questa intimazione ebbe successo.

Nel luglio 1287 il B. si trasferì a Cambrai, dove con tutta probabilità presentò al vescovo, Guglielmo di Hainaut, la solita richiesta di somme esorbitanti a titolo di procuratorie. Questo almeno lascia supporre l'incidente assai grave occorso al B., che subì una vera e propria aggressione a mano armata organizzata dal vescovo stesso, dalla quale salvò la vita fortunosamente. Feriti e malconci, il B. e il suo seguito furono cacciati, fra gli scherni della folla, dalla città, dove lasciarono, secondo la testimonianza di un cronista, il tesoro raccolto in tanti mesi di faticose peregrinazioni in Germania e in Svizzera. Ritornarono in Italia "occulte per aliam viam", passando per Neufchâteau, Clairvaux, Novalles. La presenza del B. a Roma è attestata per la prima volta da una bolla di Niccolò IV del 3 sett. 1288. Appena rientrato in Curia, denunciò le aggressioni subite prima a Würzburg e a Cambrai, sollecitando provvedimenti contro i vescovi di Toul e di Cambrai, che furono scomunicati e processati. Il processo contro il vescovo di Cambrai si trascinò a lungo e si concluse il 3 ott. 1291 con la sua condanna a una sospensione di tre anni.

Con la morte di Onorio IV la posizione del B. nell'ambito della Curia aveva perso ogni rilievo: privo dell'appoggio derivatogli dalla sua parentela col papa, si adattò a funzioni di secondo piano, di natura amministrativa e patrimoniale.

La morte di Niccolò IV avvenuta il 4 apr. 1292 trovò il collegio cardinalizio profondamente diviso dal conflitto insanabile tra Orsini e Colonna: il B. si schierò, non senza le debite cautele, dalla parte dei Colonna, rappresentati nel sacro collegio dai due cardinali Iacopo e Pietro. Ma solo il 5 luglio 1294 il conclave riunito a Perugia elesse il nuovo papa, Celestino V. All'accordo per l'elezione di Pietro da Morrone, un candidato neutrale che non minacciava di dar fastidio a nessuna delle due fazioni, finì per partecipare anche il B., che fu tra i primi a dare il suo voto a Celestino V.

Con l'assunzione al pontificato di Bonifacio VIII, eletto anche con il voto del B. dopo la rinuncia del pio eremita, la posizione del B. in Curia rimase inalterata: continuò a occuparsi delle solite pratiche di ordinaria amministrazione e il 21 giugno 1295, atto di particolare rilievo, fu tra i sottoscrittori del trattato di Anagni che riportò la pace tra Carlo II d'Angiò e Giacomo II d'Aragona.

Maggiore rilievo ebbe invece la funzione svolta dal B. nel corso della lotta senza quartiere scatenatasi tra Bonifacio VIII e i Colonna. Riuscì a mantenere nel conflitto una posizione di cauta neutralità, e se sottoscrisse il memoriale con cui dodici cardinali scagionavano Bonifacio VIII dall'accusa infamante, lanciatagli contro dai cardinali Iacopo e Pietro Colonna, di avere costretto Celestino V ad abdicare e di avere manipolato la sua elezione, si guardò bene dal partecipare in qualsiasi forma alla campagna condotta dal papa contro i Colonna e i loro aderenti. Questa posizione di equidistanza gli permise di svolgere un'importante compito di mediazione per iniziativa del Comune di Roma, rappresentato in quel momento dal senatore Pandolfo Savelli, suo parente.

Quando, dopo la destituzione dei due Colonna dalla dignità cardinalizia (maggio 1297), si arrivò al conflitto armato, il Comune tentò una mediazione tra le due parti e nel settembre inviò una ambasceria ai Colonna, arroccati a Palestrina, per indurli a iniziare trattative di pace col papa. Questa ambasceria, della quale erano con tutta probabilità membri autorevoli il B. e il Savelli, riuscì a convincere i Colonna a trattare; Bonifacio VIII si dichiarò allora pronto a sospendere le operazioni militari purché essi si arrendessero senza condizioni. Una seconda ambasceria del Comune di Roma ritornò tra l'ottobre e il novembre a Palestrina, e anche questa volta di essa facevano sicuramente parte il B. e il Savelli, che invano consigliarono ai Colonna di accettare la resa senza condizioni. La mediazione fu ripresa l'anno successivo, e questa volta con successo: nel settembre del 1298 Palestrina, che pure aveva resistito assai bene all'assedio delle milizie pontificie, si arrese e l'accordo avvenne, a quanto pare, alla presenza del B. e di una rappresentanza del Comune di Roma.

Il clamoroso voltafaccia del papa, la distruzione di Palestrina e la fuga dei Colonna in Francia non sembrano aver disturbato i rapporti del B. con Bonifacio VIII, dal quale il 13 marzo 1302 fu investito della metà dei castelli di Scandriglia, Castelluccio e Rocca Soldana, appartenuti a nobili partigiani dei Colonna. Tuttavia, già nel corso del breve pontificato di transizione di Benedetto XI, si schierò risolutamente con la fazione cardinalizia filofrancese, decisa ad abbandonare l'eredità della politica di Bonifacio VIII, non esitando a sottoscrivere una dichiarazione rilasciata da dieci cardinali l'8 apr. 1304 favorevole al progetto del re di Francia Filippo il Bello di convocare un concilio che istruisse un processo contro la memoria di Bonifacio VIII. Con l'elezione di Clemente V la corte pontificia fu trasferita ad Avignone, dove la seguì anche il B., che usava intercalare i suoi soggiorni in Francia con frequenti viaggi in Italia. Così si trovava a Roma nel 1308, quando l'11 agosto ebbe da Clemente V l'incarico di sopraintendere, insieme con i cardinali Iacopo Colonna e Francesco Orsini, alla ricostruzione della chiesa di S. Giovanni in Laterano distrutta da un incendio.

Il B. morì ad Avignone il 10 ag. 1309.

Nel corso della sua lunga carriera ecclesiastica e dei suoi ventiquattro anni di cardinalato accumulò una enorme fortuna, come risulta dal testamento redatto ad Avignone il 30 giugno 1309 e conservato in copia di mano del sec. XVI nella Biblioteca Apostolica Vaticana (Vat. Lat. 14064, CC. 2r-18v). Lasciò infatti in eredità ai suoi parenti decine e decine di terre, castelli, feudi, vigne, case, boschi, mulini, ecc., sparsi per Roma e il Lazio. Considerevoli somme di denaro in contanti lasciò, oltre che ai parenti, a tutte le chiese di Roma e a numerosi Ordini religiosi, ori e argenti in gran quantità anche ai cardinali. Alle origini di tanta ricchezza c'erano i numerosi benefici goduti dal B., le ripartizioni delle decime tra i cardinali che gli fruttavano somme cospicue, le molte altre entrate che gli provenivano dalla sua attività in Curia. L'accusa di smisurata avidità, così frequente nelle fonti tedesche, risulta quindi tutt'altro che ingiustificata: ancora nel 1289 egli ottenne da vari vescovi tedeschi l'impegno a pagargli, a titolo di procuratorie per la sua legazione in Germania, altri 100, marchi.

Uomo di chiesa senza autentica vocazione religiosa, il B. non eccelse per cultura (che pure ebbe di tipo prevalentemente giuridico, a giudicare dai libri segnalati dal testamento), né per particolari capacità politiche e diplomatiche. Aveva indubbiamente doti eccellenti di amministratore, che seppe utilizzare assai bene, e non solo al servizio della Chiesa. Legatissimo al gruppo familiare, dei Savelli (nel testamento raccomandò agli eredi di mantenersi uniti nell'appoggio ai discendenti di Luca Savelli "in negotiis Urbis"), il B. cercò sempre di compromettersi il meno possibile con le opposte fazioni che dilaniavano la vita della Chiesa, essenzialmente preoccupato di mantenere la propria posizione in Curia e tutelare gli interessi della sua famiglia.

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