BONA, Giovanni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 11 (1969)

BONA, Giovanni

Lucien Ceyssens

Nacque a Mondovì in Piemonte il 10 ott. 1609 da Giovanni Battista, ufficiale dell'esercito, e Lucrezia Zuchena. Studiò per cinque anni umanità presso i gesuiti della sua città natale, e sarebbe entrato nella Compagnia di Gesù se suo padre non si fosse opposto. A dispetto dell'opposizione del padre, egli entrò il 19 luglio 1625 nell'abbazia di S. Maria di Pinerolo che apparteneva alla Congregazione di s. Bernardo, una delle filiazioni italiane dei foglianti. Membro di un antico, severo Ordine contemplativo, fu educato nello spirito rigoroso dei maestri del monachesimo. Figlio di s. Bernardo, fece parte nello stesso tempo della grande famiglia di s. Benedetto, del quale professò la regola il 2 ag. 1626 e al quale consacrerà sempre un grande culto. Per quel che riguarda gli studi, la Congregazione di s. Bernardo si trovava in un grave stato di decadenza. Il B. se ne dorrà amaramente e cercherà di rimediarvi. Fortunatamente egli trovò a Montegrosso nell'insegnante di filosofia Girolamo di San Roberto (il suo nome di famiglia era da Carrara) un uomo di una curiosità illimitata e di un'erudizione vastissima, che seppe stimolare l'ardore del suo allievo.

Al termine degli studi di filosofia, quando il giovane studente doveva trasferirsi a Roma per intraprendervi quelli di teologia, la peste glielo impedì, e per lunghi mesi egli si abbandonò da autodidatta alle discipline più varie, fra cui erano matematiche, ebraico e greco. Nel 1633, anno nel quale divenne prete, poté recarsi a Roma per seguire un corso ordinario di teologia. Dopo averlo concluso, divenne professore a Vico, dove insegnò teologia assumendo come manuale la Summa di S. Tommaso. Tre anni dopo ritornò alla solitudine, per dedicarsi alla preghiera e allo studio intenso. Non aveva ancora scoperto la sua vera vocazione di scrittore di spiritualità, ma già i temi si affollavano nella sua mente. Tra l'altro percorse tutta la patrologia, aggiungendovi gli Annales del Baronio. Le sue note si accumulavano mentre la sua fama si diffondeva. Così, dopo cinque anni fu tolto dalla solitudine per essere nominato priore di Asti e quindi abate di Mondovì.

Nel 1643 e nel 1648 il B. assistette al capitolo generale tenuto a Roma. In quello successivo del 1651 fa eletto generale per un triennio.

Questi tre anni dovettero risultare per lui, uomo di studio e di una erudizione patristica molto estesa, assai penosi: nel corso di essi ebbe luogo infatti, non senza passione né parzialità, l'esame e poi (il 31 maggio 1653) la condanna delle cinque proposizioni di Giansenio. Se l'abate generale non vi fu implicato direttamente, dovette conoscere però tutti i dettagli, anche quelli più segreti, tramite il suo confratello milanese Ilarione Rancati, abate di S. Croce, che ne fu testimone e anche vittima. In questa circostanza è da ravvisare con tutta probabilità una delle ragioni che alla fine del suo triennato lo indussero a rientrare in fretta in Piemonte, a dispetto di tutte le istanze per trattenerlo a Roma.

Nel corso di questi tre anni si verificò anche un avvenimento felice che doveva risultare determinante nella vita del B.: la conoscenza di Fabio Chigi, il nuovo segretario di Stato, che arrivò a Roma il 30 nov. 1651 da Colonia, dove era stato nunzio a partire dal 1639 e delegato pontificio durante il congresso di Westfalia. Chigi e il B. erano destinati a intendersi, per il forte interesse portato alle cose spirituali e agli studi. Fu il primo libro del B., PsallentisEcclesiae harmonia. Tractatus historicus,symbolicus,asceticus de divina psalmodia, Romae 1653, che fornì l'occasione di un'amicizia che non cessò di consolidarsi. Questa stessa amicizia non impedì al B. di rifugiarsi alla fine del suo triennato nella solitudine degli studi in Piemonte. Il giorno in cui sarà assalito dalla noia potrà tenere conto dell'invito del segretario di Stato, divenuto nel frattempo cardinale, a ritornare a Roma con la prospettiva di un promettente avvenire. Ma l'invito restò senza efficacia sul cisterciense dalla rigida osservanza. Presto divenne però un ordine formale: quando nel 1657 la peste impedì la riunione del capitolo generale, il segretario di Stato, divenuto papa con il nome di Alessandro VII, pose il B., con breve del 5 aprile, una seconda volta alla testa della Congregazione di s. Bernardo.

Di nuovo a Roma, il B. vi pubblicò i suoi primi scritti di spiritualità: Via compendii ad Deum (1657) e Manuductio adcoelum (1658), con i quali si conciliò la benevolenza del papa devoto al punto che alla fine del secondo triennato non volle sentir parlare di capitolo e prolungò il generalato dell'amico una prima volta il 29 sett. 1659 e una seconda nel 1663.

Il 26 apr. 1664 il B. riuscì finalmente a riacquistare la libertà, a condizione però di restare a Roma e di continuare a servire la S. Sede nelle funzioni, che nel frattempo gli erano state conferite, di membro della Congregazione dei Riti (1659), consultore dell'Indice (1660), qualificatore del S. Uffizio (1663): funzioni che gli presero purtroppo la parte migliore del suo tempo.

Dopo che nel 1661 Ferdinando di Fürstenberg lasciò il Vaticano per prendere possesso della diocesi di Münster, il B. divenne sempre più intimo del papa, che lo vedeva regolarmente e s'intratteneva di frequente e a lungo con lui.

Senza dubbio il papa consultava il B. sui bisogni della sua anima, né mancò certo di chiedere consiglio all'amministratore sapiente ed avveduto sugli interessi della Chiesa. Sicuramente essi discussero a lungo un problema importante dell'epoca, che stava molto a cuore ai due asceti e al loro entourage (all'interno del quale occorre ricordare il cardinale gesuita Sforza Pallavicino, futuro biografo del papa, il giurista Fagnani, il bibliotecario Brady, i prelati di sicuro avvenire Ricci, Casanate, Favoriti), quello del lassismo, come conseguenza di un probabilismo abusivo. Con le sue Lettres provinciales Pascal ne aveva rilevato crudamente gli eccessi. Il papa ne fu talmente impressionato da appellarsi ai domenicani e ai gesuiti per contrastare questa corrente pericolosa. Egli stesso li precedette risolutamente, condannando il 24 dic. 1665 ventotto proposizioni lassiste, alle quali ne aggiunse ancora diciassette il 3 marzo 1666. Più tardi, nel 1679, Innocenzo XI ritornerà sull'argomento, condannando a sua volta sessantacinque proposizioni della stessa tendenza. È necessario ricordare questi particolari a coloro che vogliono attribuire il rigorismo del B. a un'influenza giansenista.

Sotto il papa Clemente IX, successo al Chigi, il B. fu ugualmente in grande considerazione. Fu nominato membro della Congregazione (restaurata) delle Indulgenze e della nuova Accademia pontificia di storia ecclesiastica, istituzione che non ebbe seguito a causa della morte prematura del papa. Egli fu sicuramente consultato prima della concessione della "pace clementina" che accettava il giuramento antigiansenista come era stato prestato dai portorealisti e li rimetteva così nella grazia del re e del papa. Per dieci anni si poté credere che il flagello del giansenismo e dell'antigiansenismo fosse cessato, e il B. ne dovette gioire. Per i servizi resi e i meriti acquisiti egli fu nominato cardinale il 20 nov. 1669, da un papa già sfiorato dalla morte. Non ancora decorato delle insegne cardinalizie, assistette al conclave e fu anche fra i candidati alla tiara.

È in questo momento che inizia il suo apogeo, coronato dalla pubblicazione nel 1671 della sua opera principale, Rerum liturgicarum libri duo, che fisserà il suo nome fra i dotti e gli eruditi.

La corrispondenza del B. si accresceva intanto considerevolmente. Quella di pura circostanza, che riguarda solo interessi privati, può essere tralasciata; quella con i dotti mostra non solo quanto egli fosse stimato, ma anche come egli si guadagnasse la loro riconoscenza fornendo pareri, consigli, notizie, collazioni e copie di testi. Bisogna ricordare anzitutto i suoi rapporti con la Congregazione di s. Mauro che seguiva anch'essa la regola di s. Benedetto, dedicando però, diversamente dalla Congregazione cui apparteneva il B., anima e corpo all'erudizione. Pieno di ammirazione, il B. fu felice di entrare in contatto con i maurini, che a loro volta si rallegrarono della stima e della varia collaborazione di lui. Nella corrispondenza dei procuratori generali a Roma per questi anni il suo nome ricorre con frequenza. A Parigi l'abate generale Audebert, prima di approvare nuove iniziative erudite, Voleva sentire il suo parere. Attraverso la Congregazione dei maurini il B. entrò in contatto con Arnauld e Nicole, che durante gli anni della pace clementina dimenticarono le loro polemiche con gli antigiansenisti per attaccare i protestanti, preparare la Grande e La petite perpétuité de la foi e lavorare assiduamente alla biblioteca di St.-Germain. Essi furono felici di poter approfittare della corrispondenza dei procuratori a Roma e del benevolo interessamento del Bona.

I dotti del mondo intero, e soprattutto i francesi, che si occuparono più degli altri di teologia positiva, entrarono in contatto con lui. Nella stessa Roma egli frequentava i letterati, gli eruditi, i dotti fra i quali occorre ricordare almeno Gauthier de Sluse, segretario alle lettere private, e futuro cardinale. Matematico come il B., si occuperà della sua eredità letteraria.

Fra i corrispondenti del B. bisogna distinguere infine coloro che, conoscendo la sua integrità e la sua benevolenza, pur senza essere suoi amici, fecero ricorso a lui, in qualità di membro influente di varie congregazioni. Gli sottomettevano i casi più svariati, Costringendolo a intervenire nelle questioni più dibattute del suo tempo: quella del formulario antigiansenista, della morale rilassata, dell'attrizione e della contrizione, quella del riferimento a Dio necessario per tutte le buone azioni (ed è in rapporto ad essa che egli fece uso del principio incriminato "quid-quid... boni a nobis fit quod non sit propter Deum, etsi officio videatur bonum, deficiente tamen recto fine, malum est": Principia et documenta vitae christianae, cap. XXIX; principio che tuttavia aveva ripreso testualmente da s. Agostino, Contra Iulianum, I, 5, cap. 3: Migne, Patr. Lat., XLIV, col. 749), il Nouveau testament de Mons, il culto della Vergine e specialmente i Monita salutaria di Widenfelt, i riti cinesi.

Fra questi postulanti erano numerosi preti secolari e regolari, belgi e di altri paesi, che senza riconoscersi colpevoli erano esposti all'ostilità degli antigiansenisti. G. Pettinati ha voluto vedere nelle risposte del B. l'indizio di una tendenza favorevole ai giansenisti. È sicuro però solo che egli fu poco favorevole agli antigiansenisti, la qual cosa non può meravigliare, visti i loro eccessi. Il B. detestava, come si è visto, il loro lassismo nella morale pratica non meno della loro intransigenza nella dogmatica. Conoscendo la storia dell'antichità cristiana, avendo approfondito lo studio della dottrina dei padri, non ammetteva che ai suoi tempi solo il molinismo avesse diritto di cittadinanza. Reclamava il diritto all'esistenza per la teologia dei padri in particolare per l'agostinismo, che considerava, usando l'espressione di s. Paolo (Rom., I, 18) come "veritas captiva".

Dato che per la loro difesa alcuni giansenisti usavano pubblicamente, a dispetto delle intenzioni dell'autore, le sue lettere, il B. divenne il bersaglio degli antigiansenisti. Ma il S. Uffizio prese le sue difese nel 1676, come fecero ancora molto tempo dopo la sua morte Benedetto XIV (nel 1747, 1749, 1754) e Pio X nel 1914.

Nel frattempo egli esercitava il suo apostolato fra le anime devote, moltiplicando i suoi scritti di spiritualità, di tendenza tradizionale ma sicura, che ebbero un successo di gran lunga superiore alle sue speranze. Tradotti in parecchie lingue, ebbero edizioni successive in diversi luoghi. La spiritualità lo mise in contatto con il contemplativo cieco di Marsiglia Malaval e ugualmente con alcuni di coloro che si troveranno più tardi molto vicini a Molinos.

I suoi scritti, occorre sottolinearlo, non furono pubblicati a mano a mano che venivano composti. Parecchi sono rimasti a lungo inediti e subirono rimaneggiamenti o furono rivisti nelle edizioni posteriori.

Il B. morì a Roma il 28 ott. 1674.

Nel 1909, in occasione del terzo centenario della sua nascita, si stava per iniziare la causa della sua beatificazione.

Opere: Psallentis Ecclesiae harmonia. Tractatus historicus, symbolicus, asceticus de divina psalmodia eiusque causis, mysteriis et disciplinis, deque variis ritibus omnium ecclesiarum in psallendis divinis officiis, Romae 1653, ripreso e completato nella nuova edizione apparsa con il titolo De divina psalmodia, Paris 1663. È uno dei più interessanti trattati sulla salmodia, o ufficio divino, di cui il B. rintraccia l'antichità, addita i misteri, spiega i simboli e svolge la storia, attingendo alle fonti più sicure e più dotte ed esponendo la materia in modo chiaro e compendioso. Di quest'ufficio divino e delle ore canoniche che lo compongono, la parte più importante e significativa è quella dedicata alla storia del canto liturgico, all'origine e all'uso dell'organo e degli altri strumenti nella chiesa, ai toni o modi ecclesiastici e alle loro proprietà e infine alla disciplina dei cantori ecclesiastici, parte che riecheggia in sostanza le relative regole benedettina e cisterciense sulla musica liturgica. Il B. conclude la sua esposizione esortando i cantori di chiesa a non usare a scopo di diletto ciò che i padri istituirono ad incremento della pietà, esortandoli, cioè, ad una esecuzione perfetta della salmodia, che è insieme preghiera e musica rivolte a Dio solo. Via Compendii ad Deum per motus analogicos et orationes iaculatorias, Romae 1657: breve esposizione della vita contemplativa e metodo pratico per giungere ad essa. De sacrificio missae tractatus asceticus, Romae 1658. Manuductio ad coelum continens medullam sanctorum Patrum et veterum philosophorum, Romae 1658. Rerum liturgicarum libri duo, Romae 1671 (edizione aumentata, Paris 1676): iniziato per sollecitazione del cardinale Pallavicino, comporta la storia e la spiegazione delle diverse parti della messa. Fu attaccato per quel che concerne l'uso nella Chiesa antica del pane azzimo dal francescano portoghese Francesco Macedo, cui il B. rispose con una Monitio introdotta nelle edizioni successive. Di particolare rilievo sono ancora, nel cap. XXV del primo libro, i paragrafi XIX e XX, che trattano, oltre all'origine e allo sviluppo del canto ecclesiastico e all'introduzione e all'uso dell'organo nella chiesa, della importante istituzione della schola cantorum a Roma e altrove. De discretione spirituum in vita spirituali deducendorum, Bruxelles 1671: regole di condotta spirituale tratte dall'esperienza dei grandi mistici e dei direttori d'anime. La traduzione francese era dovuta a Guillaume Le Roy, abate di Haute-Fontaine, noto giansenista. Principia et documenta vitae chistianae, Romae 1673: trattato sui doveri del cristiano, la moderazione delle passioni, la pratica delle virtù.

Opere postume: Cursus spiritualis, Romae 1674: fu pubblicato da C. Morozzo all'indomani della morte del B., come se ne fosse lui stesso l'autore. Testamentum sive praeparatio ad mortem, Florentiae 1675: questa specie di testamento spirituale fu redatto il 10 ott. 1656. Horologiurn asceticum indicans modum obeundi christianae exercitationes, Paris 1676: esposizione di diversi esercizi della giornata come li praticava lo stesso Bona.

Corrispondenza: Un certo numero di lettere è stato pubblicato da R. Sala, Epistolae selectae, Torino 1755 e anonimamente da B. Passionei, Epistolae una cum affis eruditorum virorum ad eundem nonduni typis evulgatae, Lucae 1759. Phoenix rediviva, annua spiritus renovatio per anachoresim et exercitia spiritualia per moduni meditationis indicans ultimum finem hominis et media ad eam assequendam aptiora, Paris 1847: l'autore vi segue da vicino gli esercizi di s. Ignazio. Hortus coelestiuni deliciarum, edito da M. Vattasso, Romae 1918. Parecchi scritti del B., completi o in preparazione, sono rimasti inediti e su di essi vedi Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., IX, col. 707. Vi furono edizioni posteriori di alcuni estratti delle opere del B., come Orationes et aspirationes devotissimae ex operibus Ioannis Bona... ad omnem christianae Pietatis Plenitudinem collectae, Paris 1693, e Praxis poenitentialis Ecclesiae primitivae compendiose descripta per DD. Ioannem Bona et Ioanneni Gropperum... in usum confessariorum et poenitentium, Gand 1673. Edizioni di Opera omnia (dove fanno difetto la corrispondenza e gli altri scritti postumi) comparvero a Parigi nel 1677-1678, ad Anversa nel 1677, 1694, 1721, 1739, a Colonia nel 1683, a Torino nel 1747, e infine a Venezia nel 1752 e nel 1764.

Fonti e Bibl.: Per i mss. del B., conservati in Vaticano, vedi M. Vattasso, in Hortus coelestium deliciarum, Romae 1918, pp. LXXIII-LXXV. Nell'archivio della Congregazione di Propaganda, il tomo VIII delle Miscellanea generalia contiene vota del cardinale. Vedi ancora P. Bertolotti, Ioannis Bona Card. S. R. E. vita, Astae 1677; C. P. Goujet, Vie du cardinal B., Paris 1728; A. Ighina, Il cardinale G. B., Mondovì 1874; F. Torrelli, Si può sperare la canonizzazione di G. B.?, in Rivista storica benedettina, V (1910), pp. 253-268, 321-364; P. Denis, Lettres de bénédictins francais, in Revue Mabillon, VI (1910-1911), pp. 157-211, 280-299; G. Charvin, La correspondance des procureurs généraux de Saint-Maur de la Cour romaine,ibid., voll. XXXI-XLIV (1921-1944); G. Pettinati, Il cardinal G. B.e il giansenismo (1609-1674), in Nuove ric. stor. sul giansenismo, Roma 1954, pp. 85-137; L. Ceyssens, Le cardinal Jean Bona et le jansénisme. Autour d'une récente étude, in Benedettina, X (1956), pp. 79-120, 267-328; J. Brémont, Le quiétisme de Malaval, in Revue d'ascétique et de mystique, XXXI (1955), pp. 402, 409. Si confrontino ancora le edizioni delle Epistulae del Sala e del Passionei e la introduzione del Vattasso all'Hortus coelestium deliciarum.

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