BOVIO, Giovanni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 13 (1971)

BOVIO, Giovanni

Alfonso Scirocco

Nacque a Trani il 6 febbr. 1837, quinto dei sei figli di Nicola. e Chiara Pasquino. Non seguì un corso regolare di studi, non tanto per le disagiate condizioni economiche della famiglia (il padre era un modesto impiegato di cancelleria), come egli stesso asserì e fu ripetuto da molti biografi, quanto perché ribelle per temperamento ad ogni sistema (cfr. R. Cotugno, prefazione a G. B., Discorsi parlamentari, Roma 1915, ) e, dotato di straordinaria memoria, in pochi anni si formò da solo una vasta cultura, attingendo ai libri che riusciva a ottenere in prestito dai conoscenti.

Rimasto estraneo alla politica fino alla caduta dei Borboni, nel 1860 aderì al nuovo ordine di cose, senza però partecipare attivamente alla vita pubblica, e chiese invano che gli fosse assegnata una cattedra di liceo per potersi dedicare alla stesura di un lavoro filosofico di grande ambizione, Il Verbo novello,sistema di filosofia universale.

In questa opera, che pubblicò nel 1864 a Bari con l'aiuto economico di alcuni amici, il B. espose un sistema filosofico inteso a superare sia Hegel sia Gioberti, considerati rispettivamente le ultime manifestazioni del panteismo e del teismo. Il libro, inviato a molti esponenti della cultura italiana, fu apprezzato per la maturità del pensiero e per la larghezza dell'erudizione e procurò al B. una certa notorietà, che fu ampliata dalla pubblicazione della tragedia L'Urea (Bari 1867) e del dialogo Cesalpino al letto del Tasso (Milano 1868); tra gli altri, scrissero al B. Francesco De Sanctis e Ruggero Bonghi.

Non venne però la sperata sistemazione, benché il B. nel 1866 concorresse a Bari a un posto di bibliotecario, e nel 1867, sempre a Bari, a una cattedra di diritto penale. Svolse quindi a Trani l'attività di insegnante privato, vivendo stentatamente perché, scomunicato dal vescovo dopo la pubblicazione del Verbo novello, era osteggiato dagli ambienti clericali. Dedito all'insegnamento e agli studi, il B., pur mostrandosi incline a un liberalismo avanzato, si interessò poco di politica, finché nel 1868 conobbe Edoardo Pantano, recatosi nelle Puglie per diffondervi la mazziniana Alleanza repubblicana universale, e ne fu spinto a entrare nel movimento repubblicano.

Sul finire del 1869 il B. si trasferì a Napoli, dove continuò a dedicarsi all'insegnamento privato, dando la sua opera alla scuola del noto giureconsulto Luigi Zuppetta e ad altri istituti privati; cominciò anche a collaborare a riviste e giornali napoletani, come La Rivista partenopea e Il Popolo d'Italia. Tentò ancora invano di procurarsi una stabile sistemazione concorrendo a una cattedra di italiano presso il liceo Principe Umberto; infine nel 1872 ottenne la libera decenza in filosofia del diritto presso l'università di Napoli, dopo aver sostenuto un esame, perchésprovvisto di laurea.

Da allora divenne uno dei maestri più amati dell'ateneo napoletano, e lo si vide nel 1875, quando, in seguito alla riforma dei regolamenti universitari attuata dal Bonghi, il B. fu costretto a sostenere nuovamente un esame per ottenere la qualifica di "professore privato con effetti legali": temendo che la commissione gli fosse ostile, una vera folla di studenti occupò la sala dell'esame e le immediate adiacenze per sincerarsi dell'onestà della prova. Il B. fu anche molto popolare tra le classi umili per la bontà dell'animo, di cui diede particolare, prova in occasione del colera del 1884.

A Napoli in quegli anni il B. venne approfondendo la sua tematica etico-giuridica a cui diede corpo nel Saggio criticodel diritto penale (Napoli 1872).

Una prima parte del saggio verte sulla eterogeneità del rapporto tra reato e pena. Essendo questi ultimi termini fra loro incommensurabili, essi sfuggono a una valutazione etico-giuridica che poggia sul principio della proporzionalità. La fenomenologia del reato e della pena si muove quindi per il B. non sul terreno della giustizia, ma su quello storico positivo, che vede lo scontro di gruppi opposti (retrivi e progressisti), rispetto a cui lo Stato deve via via affermarsi come termine medio, col compito di dare equilibrio ai conflitti storici. Il B. sviluppa qui ulteriormente il concetto, ponendo lo Stato anche come termine medio tra la società, la quale, da un lato, tende alla conservazione, e l'individuo, che, all'opposto, invece tende alla trasformazione, esplicando il suo compito attraverso il diritto penale. Col progresso della civiltà, che ha come fine la libertà e l'eguaglianza politica e civile, e con l'elevazione della coscienza individuale, diminuirà la sfera del diritto penale e si allargherà quella del diritto civile.

Mentre cercava di collocare la critica penale su un nuovo fondamento etico, il B. si avviava ad affrontare temi di rilevanza più immediatamente politica. Fin dalla sua venuta a Napoli, legandosi allo Zuppetta, vecchio esponente della democrazia, e partecipando nel dicembre '69 all'anticoncilio, il B. era entrato apertamente tra i repubblicani, ma aveva assunto un atteggiamento critico verso le correnti tradizionali, anzitutto verso il mazzinianesimo. Il 14 marzo 1872 nella commemorazione di Mazzini (poi pubblicata nell'opuscolo Alla memoria di G. Mazzini, Napoli 1872) dichiarò che questi era morto in tempo, "quando il suo Dio ritiravasi dalla natura e dalla storia" e il dovere cercava le sue determinazioni nella franca dignità umana. Il B. riteneva le dottrine di Mazzini superate dai tempi, e anche nei successivi scritti e discorsi che frequentemente gli dedicò, considerò il Mazzini come uno dei grandi "cominciatori di civiltà", lo paragonò a Socrate e a Cristo, ma, collocandolo nella storia, lo dichiarò non più attuale nella politica. Portato per natura alla sintesi e al superamento dei contrasti, il B. riteneva non insormontabile il dissidio fra mazziniani e internazionalisti acuitosi dopo il 1871, e vagheggiava una formula che contemperasse le esigenze delle diverse correnti democratiche.

In questo quadro va collocato il suo volume di Discorsi politici (Napoli 1873).

L'ideale repubblicano veniva in essi fatto scaturire dallo stesso processo unitario. Compiuta l'unità politica sotto la spinta egemonica della monarchia, occorreva dopo il '70 porsi il problema istituzionale come problema nazionale interamente nuovo. Era quindi necessario rovesciare l'istituto monarchico, sostegno della "plutocrazia conservatrice ed oppressiva" e fondare l'uguaglianza civile e politica su istituzioni repubblicane. Le varie posizioni dottrinali dei gruppi repubblicani non sembravano al B. costituire un ostacolo insormontabile. Un programma comune diveniva dunque possibile.

Per raggiungere tale obiettivo il B. più che formulare un programma tendeva a precisare la sua posizione nell'ambito della democrazia italiana. Prendendo le distanze da mazziniani, federalisti e internazionalisti, egli si poneva nella categoria, da luiartificialmente concepita, dei fautori dell'aristocrazia elettiva. Di qui egli lumeggia i caratteri distintivi d'una utopistica repubblica in cui tutti siano elettori, ma gli eleggibili siano pochi, scelti tra coloro che emergono per capacità e moralità e nominati con mandato temporaneo e revocabile, in modo che lo Stato sia guidato da una ristretta aristocrazia dell'ingegno, continuamente controllata dalla massa dei cittadini. Al culmine della vita sociale il B. poneva l'ateneo, centro della libera cultura, "interprete della ragione che si muove sempre e non si ripete mai", espressione delle forze progressive, contrapposto alla Chiesa, fulcro delle forze conservatrici. Lo Stato d'altro canto veniva riproposto, come già nel Saggio, quale "medio proporzionale" nella lotta storica, pronto a limitare la sua attività a mano a mano che l'ateneo fosse andato sviluppando l'educazione democratica, e a lasciare ampia autonomia al comune, centro naturale della vita associata.

Questo schema etico-politico, dando al momento istituzionale la priorità e la preminenza su quello socioeconomico, proponendo l'ideale egualitario al di là d'ogni possibile contrasto di classe, portava il B. a respingere le concezioni socialiste della lotta democratica. A sorreggere il B., sulle orme di Mazzini, nel suo utopismo sociale v'era piuttosto un accentuato richiamo alla tradizione umanistica, nutrita di contenuti etici nuovi, che egli venne in particolare sviluppando nel suo Corso di scienza del diritto (Napoli 1877).

Per i Discorsi politici, di cui scrissero F. D. Guerrazzi e Giorgio Pallavicino, e per una polemica con F. De Sanctis in difesa del Mazzini sostenuta nel '74, il B. divenne sempre più noto nelle file della sinistra democratica, e cominciò a collaborare assiduamente a giomali democratici anche non napoletani. Nel 1875 cercò di dar vita a Napoli a un organo suo, il quotidiano repubblicano La Spira, che visse pochi mesi, dal 4 aprile al 29 luglio. Nelle elezioni del novembre 1874 il B. si presentò candidato a Minervino Murge, ma fu battuto, e fu battuto anche nelle elezioni suppletive del febbraio '75, indette per la vacanza creatasi nello stesso collegio. Eletto nelle elezioni generali del 1876, sempre a Minervino, il primo discorso tenuto alla Camera il 19 genn. 1877 sui rapporti tra Stato e Chiesa lo impose immediatamente come una delle personalità più spiccate della Sinistra e gli guadagnò la fama di brillante oratore; contribuì a consolidarla l'opuscolo Uomini e tempi (Napoli 1879) in cui il B., seguendo l'esempio di Ferdinando Petruccelli della Gattina, tratteggiò con vivacità di stile e incisività di giudizi i profili degli uomini politici italiani più rappresentativi.

Per le convinzioni manifestate nelle sue opere e nel discorso di esordio alla Camera, il B. fu l'oratore ufficiale delle più importanti manifestazioni anticlericali; ricorderemo in particolare la commemorazione del centenario della morte di Voltaire, tenuta a Milano il 30 maggio 1878 su invito della massoneria milanese, e il discorso per l'inaugurazione del monumento a Giordano Bruno in Campo dei Fiori a Roma il 9 giugno 1889, che il B. tenne come esponente della massoneria.

Nel 1875 il B. aveva espresso l'opinione che la massoneria fosse ormai superata e ne aveva auspicato l'abolizione o il radicale rinnovamento, ma in seguito si convinse della sua utilità nella lotta contro la Chiesa e ne diventò autorevole esponente, raggiungendo i più alti gradi, fino a entrare nel 1896 nella terna in cui doveva essere eletto il gran maestro.

Fallito un nuovo tentativo di dar vita alla Spira (il giornale uscì dal 10 nov. 1877 al 21 marzo 1878), il B. collaborò alla Rivista repubblicana, fondata a Milano nel 1878 da Alberto Mario e Arcangelo Ghisleri, organo dei repubblicani "evoluzionisti", contrapposto al gruppo dei repubblicani intransigenti, stretto a Roma intorno al Dovere. Sulla Rivista repubblicana il B. pubblicò tra l'altro l'articolo Evoluzione o esplosione (18 dic. 1878), in cui chiedeva che il governo attuasse prontamente la riforma elettorale, poiché con essa l'evoluzione verso la repubblica sarebbe stata più rapida, ma senza di essa l'Italia sarebbe andata incontro a una esplosione rivoluzionaria. Sicuro che i repubblicani potessero far trionfare le loro idee coi metodi legali, il B. prese spesso la parola alla Camera e partecipò assiduamente alle riunioni del gruppo parlamentare dell'Estrema Sinistra, contribuendo a determinare la linea politica del partito. Già dopo il congresso di Roma dell'aprile-maggio 1878 designato tra i capi della democrazia, nel congresso di Roma del 21-22 apr. 1879, in cui fu fondata la Lega della democrazia, il B. fu chiamato a far parte del comitato centrale di 44 membri e della più ristretta commissione esecutiva; quindi fu tra i collaboratori più attivi del giornale La lega della democrazia, diretto da Alberto Mario; con lo stesso Mario e A. Castellani formò la commissione provvisoria del comitato della Lega, e prese parte a tutte le più importanti manifestazioni per il suffragio universale, che culminarono con il "Comizio dei comizi", tenuto a Roma il 10 febbr. 1881, per il quale fu tra i membri della commissione direttiva e uno degli oratori. Il B. aderì anche alle iniziative di Matteo Renato Imbriani per il riscatto di Trento e Trieste, fu consigliere dell'associazione "L'Italia irredenta" e collaboratore dei suoi organi L'Italia degli Italiani e Pro Patria. Nelle elezioni del novembre 1880 il B. fu battuto a Minervino da F. De Sanctis, in quel tempo ministro della Pubblica Istruzione, ma il De Sanctis optò per altro collegio e il B. fu eletto nelle elezioni suppletive. Da allora Minervino Murge gli rimase sempre fedele, sia nelle elezioni a collegio uninominale sia in quelle a scrutinio di lista.

L'intensa attività politica non lo distolse dalla vita universitaria e dagli studi. Continuò a esercitare il libero insegnamento nell'università di Napoli e nel 1879 ebbe dal ministro Perez la laurea in giurisprudenza honoris causa, che ebbe a utilizzare due volte, esercitando le funzioni di avvocato: nel 1881 in difesa di Alberto Mario, accusato di vilipendio delle istituzioni monarchiche, e nel 1892 in difesa di un gruppo di socialisti napoletani, accusati di aver provocato disordini durante la celebrazione del 1º maggio dell'anno precedente.

Con decreto 25 sett. 1892 fu nominato dal ministro Martini titolare di diritto pubblico comparato presso l'università di Napoli; però sorteggiato nel 1894 fra i professori eccedenti il numero fissato per la Camera e rieletto il 1º apr. 1894, sorteggiato di nuovo nel 1896 e rieletto il 12 luglio con votazione plebiscitaria, senza che gli si opponesse alcun candidato, fu ancora sorteggiato nel 1897 e per restare alla Camera rinunziò alla cattedra di ruolo tornando libero docente: ma con decr. 20 maggio 1900 fu nuovamente nominato professore titolare.

Come studioso il B. cercò di sviluppare il suo sistema filosofico. Nel 1877, esponendo nel Corso di scienza del diritto le sue teorie politico-sociali, cercava di inquadrarle in una filosofia della storia, che aveva come base la determinazione matematica dei periodi storici, esposta la prima volta nel 1876 (conferenza Sulla donna, riportata in L'Italia degli Italiani, 15 maggio 1876). Il B. rivendicava contro Giuseppe Ferrari la priorità della scoperta del carattere matematico della legge storica (cfr. in proposito Carlini, p. 99 n.), e criticava il Ferrari, soprattutto perché la successione fissa dei periodi storici non gli sembrava spiegare come i vari popoli avessero avuto una diversa evoluzione.

Per il B. invece il "tempo storico" era "un presente scorrevole, affaticato da due forze contrarie e disuguali, il passato e l'avvenire, la memoria e la ragione, la tradizione e l'esame, l'interesse castale e l'interesse universale" (Corso di scienza del diritto, p. 2); donde deduceva la legge che "le istituzioni avverse muovonsi dentro la storia in ragione inversa dei quadrati del tempo, cioè come l'una cresce e si dilarga così l'altra si attenua in misura costantemente ed universalmente proporzionale" (ibid., p. 90). Così egli riteneva di aver superato la concezione statica del Ferrari e di dare una interpretazione dinamica della realtà storica, definendone l'essenza contraddittoria che aveva nello Stato il suo centro motore. Non riuscì tuttavia al B. l'inquadramento degli eventi storici nella legge da lui enunciata, e il suo tentativo di delineare sistematicamente la storia universale finiva per ridursi a una interpretazione simbolica di fatti e personaggi.

In appendice al Corso di scienza del diritto, il B. svolse il suo Schema del naturalismo matematico, in cui cercò di completare il suo sistema filosofico dando una spiegazione matematica di tutta la realtà, retta da una medesima legge nella natura, nel pensiero, nella storia. Questa legge è il principio di reciprocità, che giudica stabilendo il rapporto tra il soggetto e il predicato e risolve e integra in sé il principio di contraddizione; poiché il principio di reciprocità si esplica in quello di equazione, per il B. tutto deve essere misura nella natura, nel pensiero, nella storia. Egli però non sviluppò il sistema del naturalismo matematico, che doveva basarsi sulla formula: "La natura si fa Pensiero, il Pensiero si fa Storia": della vagheggiata trattazione definitiva scrisse solo alcuni brani, pubblicati postumi nel volume Il naturalismo (Napoli 1903).

Intensa fu anche l'attività letteraria. Fin dalla giovinezza scrisse poesie, bozzetti, articoli di letteratura e di critica pubblicati in giornali e riviste. Nella maturità compose drammi in prosa: Cristo alla festa di Purim (1885), San Paolo (1888), Il Millennio (1895), Leviatano (1897), Socrate,scene attiche (1902), alcuni dei quali furono rappresentati. Il B. dettò inoltre molte incisive epigrafi.

Dopo il 1882, il venir meno delle speranze riposte nella riforma elettorale non scoraggiò il B., che continuò la lotta politica nella Camera e nel paese. Fondato il 5 maggio 1883 nel congresso di Bologna il Fascio della democrazia, il B. nell'agosto, con Andrea Costa e Felice Cavallotti, fu eletto a formarne il comitato centrale, che durò in carica fino al congresso di Firenze del novembre 1885, quando fu sostituito da un comitato centrale di nove membri, nei quali fu ancora compreso il Bovio. Coerentemente con le idee da tempo maturate, il B. si adoperò per superare i contrasti esistenti tra le varie correnti dell'Estrema Sinistra, e nel 1890 fu tra i promotori del patto di Roma, inteso a raccogliere tutti i gruppi della democrazia intorno a un programma comune. Però il B. si oppose al Cavallotti, che voleva accettare un'offerta di centomila lire per la campagna elettorale, fatta da Enrico Cernuschi, da tempo residente in Francia; quindi l'insuccesso elettorale a cui le divergenze e il B. si mise in polemica con gli altri capi dell'Estrema. Alieno da personalismi e universalmente stimato per la sua onestà e imparzialità, nel 1893 fece parte del comitato dei sette che condusse l'inchiesta parlamentare sulle banche. Seguiva intanto gli sviluppi che portavano rapidamente a un nuovo assetto della sinistra democratica italiana. Fu tra i promotori della costituzione del partito repubblicano, avvenuta il 21 apr. 1895 e seguita da un congresso a Bologna nel novembre dello stesso anno. In occasione poi del secondo congresso, tenuto a Firenze nel maggio 1897, veniva definitivamente sancito il distacco del gruppo parlamentare repubblicano, il cui programma fu redatto dal B. e firmato da 28 deputati, dall'estrerna sinistra socialista e radicale.

Le vivaci controversie che seguirono con radicali e socialisti videro il B. intervenire per difendere le tesi repubblicane (ricordianno quella con Turati del 1897). La crisi sociale e istituzionale del '98 pose fine a questa prima fase polemica. Il B. fu tra 19 firmatari del manifesto del 13 maggio 1898, con cui il gruppo parlamentare repubblicano protestò contro la chiusura del Parlamento e la soppressione della libertà di discussione e parlò alla Camera il 23 febbr. 1899 contro i provvedimenti proposti dal Pelloux. Passata la crisi, il B. condannò il regicidio e si associò alle onoranze deliberate dalla Camera per Umberto I.

Benché ammalato, nei primi anni del '900 il B. contribuì al riordinamento del partito repubblicano; approvò le decisioni del congresso di Ancona del 1901 (al quale fu assente), che portarono alla scissione del partito col distacco di Colajanni, Pantano e altri, e il 5 nov. 1902, in occasione del congresso di Pisa, pronunziò un discorso sul Pensiero politico di G. Mazzini, che era l'esaltazione della funzione morale svolta dal partito repubblicano in Italia. Il B. morì a Napoli il 15 apr. 1903.

Il 19 febbr. 1880 aveva sposato Bianca Nicosia, da cui ebbe due figli, Corso (1881) e Libero (1883).

Tra le opere del B., oltre a quelle citate, sono da ricordare: Dottrina de' partiti in Europa,Discorsi politici e letterari, Napoli 1986; Filosofia del diritto, Roma 1894; Il Genio, Milano 1899; Discorsi, Napoli 1900.

Fonti eBibl.: Le carte conservate dalla famiglia, su cui si basò C. Bovio, G. B.nella vita intima, Milano 1912, sono andate perdute negli ultimi eventi bellici. Lettere del B. a corrispondenti pugliesi sono state pubblicate a cura di R. Cotugno in Iapigia, VI (1935), pp. 83-86, 195-207, 458-466; VII (1936), pp. 443-449. Lettere del B. a N. Colajanni sono in Democrazia e socialismo in Italia. Carteggi di Napoleone Colajanni: 1878-1898, a cura di S. M. Ganci, Milano 1959. Lettere del B. ad A. Ghisleri sono in La scapigliatura democratica,Carteggi di Arcangelo Ghisleri: 1875-1890, a cura di P. C. Masini, Milano 1961; lettere inedite del B. a Ghisleri sono nelle Carte Ghisleri conservate presso la Domus Mazziniana di Pisa. Lettere del B. ed al B. si trovano in vari archivi; importanti quelle conservate presso la Bibl. Naz. di Napoli (XVI A 54; Arch. Imbriani, busta XXXI; Carteggio Ricciardi, B. 2) e presso il Museo Centrale del Risorgimento di Roma, in particolare buste 136, 249, 284, 399, 400, 595.

Principale opera sul B. è quella di A. Carlini, La mente di G. B., Bari 1914, con elenco degli scritti del B. e bibliografia ragionata degli studi apparsi fino allora. Delle successive pubblicazioni sul B., quasi sempre elogiative e basate sui pochi fatti noti, ricordiamo: N. Cortese, Francesco De Sanctis e G. B., in Riv. critica di problemi etico-sociali e letterari, I (1950), n. 2, pp. 82-85; R. Colapietra Correnti anticolonialistiche nel primo triennio crispino (1887-1890). L'atteggiamento di G. B., in Belfagor, IX (1954), pp. 560-574; A. Scirocco, G. B. e il giornale repubblicano La Spira, in Arch. storico per le province napoletane, s. 3, III (1964), pp. 286-307. Per i rapporti del B. con la massoneria, cfr. U. Bacci, Il libro del massone italiano, Roma 1922.

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