CONTARINI, Giovanni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 28 (1983)

CONTARINI, Giovanni

Angelo Baiocchi

Nacque probabilmente a Venezia da Marcantonio di Alvise del ramo di S. Agostino e da Lucrezia di Leonardo Lombardo; l'unica menzione reperita colloca la sua nascita nel 1471; ma il matrimonio dei suoi genitori è, secondo l'Avogaria di Comun, del 1479. Il padre, capitano generale di Po ai tempi della lega di Cambrai, fu senatore ed ebbe altri tre figli: Girolamo, Agostino ed Alvise. Il C. seguì la carriera paterna e del fratello Alvise, probabilmente il primogenito, morto giovane in armata nel 1499, dedicando la propria vita al mare in un momento in cui il patriziato veneto si volgeva in naisura crescente alla Terraferma.

La prima notizia di lui è dell'aprile 1498 e già ci rivela la sua personalità singolare, focosa e per certi versi straordinaria: si tratta di un sanguinoso "garbugio" verificatosi in Spagna, uno scontro tra le salee veneziane di Barberia e navi francesi, strascico di un precedente incidente a Tunisi; il C., che si trovava su quelle navi al seguito dei padre, che ne era vicecapitano, resta mutilato ad un braccio. Al ritorno a Venezia riesce a farsi riconoscere la mutilazione di guerra e ad ottenere i relativi indennizzi e privilegi.

Negli anni tra il 1500 ed il 1509 è impegnato, con qualche intervallo, m mare, su navi da guerra e mercantili, per lo più nella zona centroccidentale dei Mediterraneo. Nel 1509 combatte in Terraferma durante la guerra contro la lega di Cambrai: nel settembre è alla difesa di Padova.

Accanto al valore e all'audacia militari appaiono però peculiari dei C. anche l'attaccamento al denaro ed una notevole disinvoltura negli affari: si disse infatti che una "parte" votata dai Savi, che concedeva possibilità di reclamo a chi si ritenesse defraudato nella distribuzione delle prede belliche, fosse diretta contro il C. e suo padre.

Nel 1510 è patrono di una delle galce di Beirut; nel 1511lo troviamo citato per la prima volta con il soprannome di "Camalli"; negli ami successivi continua l'attività marittima e nel 1514 prende all'incanto una galea di Costantinopoli e poi è di nuovo Patrono di una galea di Beirut; il suo comportamento in mare è oggetto di frequenti lodi.

Il C. alterna l'intraprendenza negli affari all'audacia militare sul mare; nel 1515 propone alla Signoria di armare a proprie spese una galea e di andare in mare seguendo le esigenze e i dettami della Signoria stessa; in cambio vuole la nomina a sopracomito, la nomina a senatore al ritorno, un'apertura di credito Presso i provveditori sopra Uffici e cose di Cipro ed altri aiuti finanziari dopo aver sostenuto lui stesso lo sforzo ed il rischio'dell'armamento iniziale. La sua proposta fa proseliti ed altri sei giovani patrizi si uniscono alla richiesta; dopo molte esitazioni vengono armate sei galee.

Sul mare il C. è brillante come pochi ed in questo periodo appare il soprannome con il quale fu conosciuto in tutto il Mediterraneo: il "Cazzadiavoli". La sua attività è praticamente corsara: intercetta ed assale navi turche, ma anche navi europee e, spesso, compie azioni piratesche coi solo fine dell'interesse personale: del 1515 è la protesta in Collegio di mercanti di varia provenienza per il sequestro di un carico effettuato dal C. col pretesto del contrabbando, carico che il C. avrà l'ordine di restituire.

Il C. é però, nonostante tali scorrettezze, stimatissimo come capitano di mare; nel 1516 inizia una serrata lotta con il corsaro turco Curtoghi, durante la quale ha contrasti vivaci con il provveditore d'Armata Sebastiano Moro, persona cauta e prudente, lontana dalla spregiudicata audacia del C.; il pirata turco riesce a sgusciare verso Est e quando il C., dopo un ennesimo servizio di scorta alla galea di Beirut, è inviato a perlustrare il mare di Levante, comunica che "il mar era voto". Durante questo servizio il C. si prodiga infaticabilmente: al suo ritomo la galea è mai ridotta, gli "homeni nudi" ed il C. chiede una sovvenzione per la ciurma. Nella primavera del 1517 riprende a navigare nella zona dell'Egeo; i rettori veneziani presso cui fa scalo inviano lettere elogiative di lui alla Signoria.

Nell'estate è all'inseguimento delcorsaro detto "il Moro"; i due si incontrano e il Moro propone al C. "rinfrescamenti" per avviare accordi; il C. gli manda in risposta un cappio per impiccarsi e inizia così un furioso combattimento che ha per lui pesanti conseguenze: quattordici morti, decine di feriti e il precipitoso riparare a Corfù; la fama del C. di cacciatore dei mari, comunque, aumenta.

Allo scadere del 1517 giunge al C. l'ordine di disarmare; in un secondo tempo il Senato aveva deciso di ritirare tale ordine, che riguardava anche altre galee molto provate, e di inviare denaro perché il C. e gli altri comandanti si rimettessero in sesto e continuassero la navigazione. Ma il contrordine giunse tardi e il 13 genn. 1518 il C. arrivava a Venezia con la galea allo stremo; subito dopo entrava in Senato in qualità di sopracomito.

Nel 1518 è di nuovo in mare; nel 1519 lo ritroviamo in Senato, dopo il suo ritorno a Venezia con un carico di sale e con pezzi d'artiglieria per l'Arsenale. Nel 1520 sverna a Venezia e nello stesso anno si sposa con una figlia di Bernardo Zane.

In seguito il Consiglio dei dieci gli affida l'appalto per la fornitura di biscotto alle navi, ma il biscotto risulta immangiabile e il C., con il magazziniere Perduzi e una schiava cipriota, probabilmente amante del C., viene incriminato dall'avogadore di Comun Marco Foscari. Il 27 genn. 1522 il C. si costituisce; il processo arriva alla Quarantia criminal, che assolve il C. e la donna e condanna il Perduzi; dopo un mese il C. riceve un nuovo appalto per la fornitura di biscotto.

Nel 1524 è di nuovo in mare in Barberia sulle tracce dei pirata Yūsuf Rey; nel 1525 è denunciato a Napoli per aver lasciato la città con alcuni prigionieri ed i soldi del loro riscatto. Sempre nel 1525 è in Egeo; nel gennaio 1527 pone la sua candidatura a provveditore d'Armata con l'offerta di 4.000 ducati; nonostante una forte opposizione, viene eletto e il Sanuto nota più volte che si trovava in carica "per denari".

L'ostilità era dovuta ancora una volta alle sue vicende linanziarie: i savi di Terraferma lo obbligano a lasciare, prima di partire, un'adeguata garanzia o fideiussione per certi suoi debiti, poi tutta la materia è affidata ad una commissione nominata dal Collegio e il 5 luglio 1528, dopo aver lasciato come rappresentante il suo socio Federico Grimaldi, mercante genovese, il C. lascia Venezia come provveditore d'Armata.

In mare riscuote i consensi di sempre; la sua azione ha questa volta come teatro la Puglia, dove erano in corso le ultime fasi della guerra contro gli Ispano-imperiali. Collabora con Renzo da Ceri e con il provveditore generale Giovanni Vitturi, che ne parla come di un uomo dalla prontezza e dal coraggio eccezionali e dalla fama ormai quasi mitica sui mari; partecipa alla difesa di Monopoli, battendo gli assedianti dalla sua galea; riceve in nome del re di Francia la donazione di una località di 200 fuochi detta Rodi; infine riceve l'incarico di spostarsi nel Mediterraneo occidentale per unirsi ai Francesi, sicché si reca a Corfù a preparare la spedizione, mentre in Puglia si insiste perché resti o perché, per lo meno, invii qualche galea. Nel giugno 1529 riceve l'ordine di tornare in Puglia; qui si distingue nell'assalto a Santa Maria di Leuca ed è poi destinato ad una serie di azioni diversive per facilitare la presa di Brindisi, operazione principale dei collegati. A questo punto arriva la notizia della pace franco-imperiale che pregiudica irrimediabilmente la posizione veneziana in Puglia.

Poco dopo il capitano generale Girolamo Pesaro si ammala gravemente ed il C. è uno degli aspiranti alla successione; battuto da Vincenzo Cappello, si riporta a Corfù, dove ormai sì sente inutilizzato e con gravi problemi per il pagamento e l'approvvigionamento della sua nave. Nel dicembre il Senato lo richiama.

Di colpo il C. sì ritrova di fronte ai suoi problemi finanziari: il Grimaldi, nel frattempo fallito, chiede il sequestro dei beni del C., il quale, comunque, il 22 marzo 1530 ottiene un brillante successo con la sua relazione in Collegio. Nell'aprile è a Mantova, dove il Grimaldi sì era rifugiato dopo il fallimento. In quel momento il C. dovette sentirsi deluso ed inoperoso; la Repubblica sembrava non voler più utilizzare un uomo così brillante ma anche così discusso; per i suoi debiti non vedeva via d'uscita. Questi motivi furono probabilmente alla base, ma possiamo solo fare supposizioni, della sua clamorosa decisione di andarsene da Venezia e di passare al Turco, il nemico che aveva combattuto ferocemente per trent'anni.

Partì improvvisamente e misteriosamente per via di terra e di lui si seppe che era morto a Costantinopoli il 28 ott. 1531 di malattia: "homo marittimo et ha gran fama", scrisse il balio a Costantinopoli Francesco Bernardo. Ma continuarono a circolare voci favolose su sue apparizioni in mare al comando di navi turche. nel giugno 1533 era comunque certamente morto: gli eredi si trovavano in gravi problemi per una serie di reclami di persone che si ritenevano danneggiate dal Cazzadiavoli.

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, Cronaca matrimoni, reg. 107/11, cc. 61v, 64v; Ibid., Capi Consiglio dei Dieci, Lettere rettori, b. 255, f. 262; b. 291, f. 106; Ibid., M. Barbaro, Arbori de' patritii veneti, II, c. 522v; Venezia, Bibl. del Civ. Museo Correr, Cod. Cicogna, 3781: C. Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Cons., cc. 169v-170r; Venezia, Bibl. naz. Mare., Mss. Ital., cl. VII, 925 (= 8594), c. 281v; cl. VII, 15 (= 8304), cc. 290rv, 310r; cl. VII, 313 (= 8809), c. 210r; M. Sanuto, Diarii, I-LVIII, Venezia 1979-1902, ad Indices;M. Brunetti, Il capitano "Cazzadiavoli", in Arch. veneto, s. 5, LVI-LVII (1955), pp. 12-54.

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