COSTETTI, Giovanni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 30 (1984)

COSTETTI, Giovanni

Giorgio Patrizi

Nacque a Reggio Emilia il 13 luglio 1874 da Massimiliano, sarto, e da una cucitrice, Luigia Sacchi, secondogenito della famiglia, essendo già nato, nel 1871, Romeo; nel 1876 nascerà la sorella Teresita.

Compì i primi studi a Bologna, poi a Reggio, dove era rientrato con la famiglia nel 1886, frequentò una scuola di disegno per operai: anche se dimostrava fin da allora buone attitudini artistiche, apparì subito insofferente dell'accademismo degli studi che andava seguendo. Nel 1890 il C. andò a Torino, dove visitò la Galleria dell'Accademia Albertina, interessato ai pittori italiani contemporanei. Dopo il servizio militare compiuto a Torino, nel 1897 era in Svizzera dove conobbe F. Hodler e iniziò ad eseguire illustrazioni per piccole riviste locali. Nello stesso anno gli venne assegnato dal comune di Reggio Emilia il legato Sanguinetti, per tre anni, grazie al quale si recò a Roma, nel 1898, alla scuola di nudo di Giovanni Fattori.

L'ambiente romano di quegli anni fu determinante per la formazione del C.: nella capitale giungevano le influenze dei grandi eventi della cultura europea, attraverso la mediazione di gruppi di artisti che, dopo l'esperienza di Cronaca bizantina, erano legati al Convito o all'entourage di "In Arte Libertas" influenzato dalla personalità di A. Sartorio. Dai preraffaelliti ai secessionisti berlinesi, all'inizio dell'ultimo decennio del secolo, a Roma, si incontrarono una serie di tendenze che portarono al rifiuto del naturalismo, per una scelta espressiva orientata in chiave spiritualista. Pur legato alla tecnica di disegno del Fattori, il C. maturò un progressivo distacco dal movimento macchiaiolo per ricercare suggestioni e repertori nella cultura del Medioevo e del primo Rinascimento.

Intanto strinse amicizia col gruppo fiorentino di A. Soffici, del caffè Gambrinus (con A. Spadini, Gemignani, U. Brunelleschi, G. C. Vinzio) e grazie a questi tenne, nel 1899, a Firenze la prima personale, esponendo una serie di disegni ispirati al Rinascimento. Rimane poco di questa produzione perché l'autore stesso volle distruggere la maggior parte delle opere di questo periodo (ne parla in Verità d'arte a confronto, in Il Nuovo Giornale del 4 dic. 1926): da quelle che rimangono emerge un preciso gusto simbolista.

Nel 1900, un anno dopo il fratello Romeo, il C. andò a Parigi con Soffici e Brunelleschi: i contatti dei fiorentini con la pittura francese erano particolarmente intensi e nella città toscana circolavano riviste impressioniste e simboliste come Gil Blas e La Plume. Ma il C. non si mostrò attratto dall'impressionismo: cercò soluzioni di superamento di queste esperienze e fu attratto soprattutto da Cézanne. Soffici, in un Ricordo di C., afferma che egli non comprese sostanzialmente nulla della cultura francese di quegli anni, ma riuscì a far tesoro dell'esperienza cezanniana.

Tornato a Firenze, il C. strinse amicizia con Domenico Beccarini e Domenico Rambelli ed iniziò a dedicarsi all'arte applicata: eseguì disegni per la fabbrica Cantagalli di Firenze e partecipò, in gruppo con De Carolis, Kienerek ed altri, alla Esposizione dell'arte decorativa di Torino del 1902. Nello stesso anno partecipò al concorso per illustrazioni alla Divina Commedia pubblicata da Alinari; assieme ai più attivi tra i pittori romani e fiorentini di quegli anni (da Sartorio a De Carolis, da Martini a Kienerek, da Chini a Nomellini fino a Fattori), il C. si dimostrò tra i più aggiornati sui grandi movimenti del decadentismo europeo: l'attenzione al figurativismo rinascimentale sfocia in un titanismo spiritualista. Espressione di questa temperie culturale è, dal 1902, il Leonardo, rivista diretta da Giovanni Papini a cui il C. collaborò con scritti e recensioni d'arte, firmando con lo pseudonimo di "Perseo". Dal n. 9 della rivista, del 1903, dopo l'uscita di De Carolis voluta da Prezzolini, al C. fu affidata la testata xilografata ed altre tavole fuori testo. La collaborazione durò fino al 1905. Nel 1903 il C. espose dei ritratti alla Rassegna d'arte di Firenze, assieme a E. Zoir e A. De Carolis.

L'opera è maturata nelle esperienze del gruppo del Leonardo. Partendo dall'antinaturalismo si oltrepassava l'esperienza impressionista per guardare direttamente al simbolismo secessionista. Il C. si mostrava attento ai preraffaelliti sia pur temperandosi con quella che egli chiamò la "maniera veneta", richiamandosi a Giorgione e a Tiziano. Le doti maggiori del C. sono nel segno grafico: il colore oscilla tra effetti ora impressionistici ora espressionistici, privo di equilibrio.

Successivamente il C. si andò sempre più avvicinando agli incisori simbolisti belgi e tedeschi, anche per i temi "satanici" e "maledetti". Nel 1903 partecipò per la prima volta alla Biennale di Venezia, con nove disegni, esposti in una sala dove erano raccolte opere che erano state rifiutate dalla giuria per la rassegna ufficiale: buona l'accoglienza della critica, come anche per la mostra fiorentina, a cui Emilio Cecchi dedicò un entusiasta articolo sul Leonardo. Il C. iniziò, in quel periodo, a collaborare a Hermes e strinse amicizia con D'Annunzio che dovette suggerirgli i temi veristi che il C. andò frequentando in quegli anni. Tra il 1905 e il 1906 si dedicò ad una serie di "grotteschi" (ora tutti al Museo civico di Reggio Emilia), in cui la riscoperta della società emarginata non si traduce in un'espressività naturalista ma tende ad una polemica ideologica antiborghese, richiamandosi alle forme dei simbolismo nordico. Sono dello stesso periodo le illustrazioni per La nave di D'Annunzio che esporrà solo successivamente. Ma il successo che andava ottenendo non appagava l'irrequietezza intellettuale del Costetti. Dichiarandosi scontento dei movimenti culturali di quegli anni, ruppe le relazioni col gruppo del Leonardo, salvo Soffici con cui continuò adavere contrastati rapporti, e si ritirò a Settignano, quasi in isolamento. Gli anni fino al 1912 sembrano occupati solo dall'interesse per alcune tematiche mistiche e misteriosofiche che cominciavano a circolare a Firenze ed a cui il C. fu introdotto da Arrigo Levasti. Di questa fase sono frutto alcuni ritratti tardo-Liberty esposti alla Biennale del 1912. Il disegno nel C. si andava definendo in senso espressionista, con temi della vita scapigliata. Comunque l'interesse per il ritratto è sempre dominante: lo testimonia l'articolo che il C. dedicò alla Mostra del ritratto all'Esposizione romana del 1911, uscito in Roma letteraria del luglio 1911.

Nel 1914 il C. partecipò alla seconda mostra della Secessione romana, con cinque opere tra cui il Ritratto del pittore Socrate ed allestì a Reggio Emilia, col fratello Romeo, una mostra di incisioni in cui presentò dodici acqueforti che riassumevano l'intera produzione precedente.

Allo scoppio della prima guerra mondiale il C. assunse posizioni rigidamente neutraliste a differenza della maggioranza, interventista, degli ambienti intellettuali fiorentini e romani. Nel 1916 collaborò a La Tempra con due poesie: poi vi pubblicherà saggi su Rodin, Hodler, Klimt, Degas. Nel 1919 diede vita, insieme con I. Pizzetti, alla rivista Frou Frou, il cui stesso titolo alludeva provocatoriamente ad un disimpegno politico e sociale: vi apparirà, quell'anno, il saggio Autocritica da cui ricaviamo preziosi dati biografici. È del 1921 il dramma lirico L'idolo (Firenze 1921) che disegna, nella psicologia di un uomo ridotto dalla guerra ad un tronco vivente, il desiderio di assoluto in contrasto con la mediocrità della società borghese.

Le scelte letterarie del C., come emergono anche dalle poesie, fino a quelle postume pubblicate a Firenze nel 1950, appaiono legate all'esaltazione spiritualista che era stata degli ambienti vicini al Papini. Tra il 1922 e il 1925 questi interessi letterari sembrano privilegiati, con pubblicazioni di poesie e note sulle riviste L'Uomo nuovo, Il Sagittario, Il Giornale di poesia. Nel 1924 collaborò a Fantastica, la rivista di V. Grandi e M. Campana: vi accentuò l'enfasi spiritualista. Nello stesso anno firmò il manifesto dell'Unione nazionale di Giovanni Amendola.

Nel 1925 aderì al Manifesto degli intellettuali antifascisti di B. Croce e ruppe con gli ambienti misticheggianti fiorentini troppo compromessi con il fascismo, verso cui invece il C. mantenne sempre un atteggiamento di radicale rifiuto. Il C. però non rinnegava la propria arte, nata sotto il segno di valori "fantastici", contro il realismo deteriore che ancora dominava. I primitivi dell'arte italiana vengono riletti come alta lezione spirituale contro le esperienze più retoriche e trionfalistiche degli artisti italiani. In questa fase della produzione del C. la plasticità della linea sembra rimandare a suggestioni d'arte greca o etrusca.

Aderì al movimento del Novecento, partecipando, nel 1926, alla prima esperienza del gruppo a Milano, con Pompeiana, Ritratto del p. Bargellini, Ritratto dello scultore Antonio Penna. Andò nuovamente a Parigi nel 1926 e nel 1928, dove fu a contatto col gruppo dell'Ecole de Paris; lì cominciò a lavorare al lungo ciclo delle Danze (oggi al Museo civico di Reggio Emilia), che traevano inizialmente ispirazione da L'âme et la danse di P. Valéry: domina l'idillio neoclassico che in quegli anni influenzava anche l'opera di Picasso. Il C. però mostrò scarso entusiasmo per Parigi: nelle corrispondenze che inviava al Giornale nuovo di Firenze, si mostrava infastidito dalla vita parigina ed usava toni violentemente aggressivi verso i Francesi. Tuttavia nella sua pittura si avverte l'influenza dell'ambiente. Nel 1927, a Firenze, le Danze trovano nuovi spunti d'ispirazione nelle riunioni di villa Star, dove si dibattevano i temi del misticismo e delle filosofie orientali: il C., in questo ritorno agli interessi esoterici, fece ospitare più volte, dalla proprietaria della villa, la sua amica Anieka Van Leggett, il filosofo indiano Krishnamurti. Sono opera del C. anche gli affreschi della cappella della villa eseguiti nel 1931.

Nei cinque anni precedenti il C. aveva tentato diverse strade espressive: neoclassicismo d'ispirazione pompeiana, ricerche sul paesaggio tra l'atmosfera di Soffici e la sinteticità di Fattori e ancora ritratti d'impronta cezanniana.

Nel 1928-29 il C. andò a Londra e a Oslo: a Londra pubblicò il volume Vingtsix dessins, con una prefazione autobiografica. Nel 1931, in febbraio, a Berlino, il C. organizzò una collettiva che riunì artisti toscani spiritualisti, sotto la denominazione di "L'Arco. Toskanische Künstlergruppe": vi espose anche tredici suoi dipinti. Nell'aprile, a Parigi, personale da Bamheim-Jeune con 55 dipinti e molti disegni. Altra personale, in giugno, all'American Women's Club, legato agli ambienti dei seguaci di Krishnamurti. Nel 1932 è pubblicato a Parigi un Paradiso dantesco, illustrato dal C.; nello stesso anno, a Firenze, nella galleria Bellini, una amplissima rassegna personale con opere di diversi periodi.

Intanto andava maturando un distacco sempre maggiore dagli amici fiorentini che avevano aderito quasi tutti al fascismo: il C. prese più volte pubblicamente posizione contro la politica culturale fascista ed i canoni estetici che vigevano nella manifestazione di regime. Nel 1934 fu escluso dalla Biennale, perché le sue opere contrastavano con i modelli artistici proposti dagli intellettuali fascisti: una motivazione tutta politica che intendeva colpire il "decadentismo" dominante nelle opere del Costetti. L'ultima fase della sua produzione si muove all'interno di un simbolismo estenuato, ripetitivo e privo di qualsiasi dinamismo. Dopo il trasferimento all'estero, dal 1935 in poi, il C. si convertì ad una forma mossa da contrasti che richiamano Munch.

In Italia un gruppo di amici del C., dopo la decisione di questo di andarsene in esilio volontario, tentò di rilanciarne il nome ormai dimenticato dalla critica e dal pubblico. La rivista Augustea di F. Ciarlantini nel 1934 dedicò ad una sua opera la copertina affidandogli anche una rubrica di recensioni d'arte: ma la collaborazione durò solo un numero.

Mentre la polizia italiana apriva indagini sul suo conto, il C. si stabilì ad Oslo, dal 1934, spostandosi per lunghi periodi a Parigi dove era ospitato dal pittore Dario Viterbo, presso la cui casa si tenevano riunioni di esuli italiani antifascisti. Il C. partecipò all'organizzazione dei fuoriusciti italiani e conobbe i fratelli Rosselli e Carlo Levi. Successivamente soggiornò brevemente in Olanda, Inghilterra e Svizzera. Nel 1940, si stabilì definitivamente in Olanda dove continuò ad eseguire ritratti, fino al '48, quando rientrò in Italia. Stabilitosi a Settignano (Firenze) vi morì il 3 sett. 1949.

Romeo, fratello maggiore del C., nacque a Reggio Emilia il 27 ag. 1871. Compì i primi studi a Bologna dove la famiglia si era trasferita e andò a Napoli nel 1886, dove seguì i corsi di disegno di Domenico Morelli. Vi rimase pochi anni, quindi ritornò a Reggio, dove era tornata anche la famiglia. Nel 1899 si recò a Parigi e vi fece conoscenza delle esperienze più avanzate della cultura europea: fu raggiunto l'anno successivo dal fratello Giovanni. Si aprì quindi un periodo intenso di viaggi: fu in Germania, Belgio, Svizzera e, influenzato dal simbolismo nordico, si dedicò prevalentemente alla figura umana e al ritratto. Alla VI Biennale di Venezia, nel 1905, espose il Ritratto della signora M. e alla IX Biennale, del 1910, ancora un ritratto, Contessa e contessina Mataroli.

Cominciò successivamente a lavorare con la tecnica del monotipo (procedimento di pittura a stampa, ottenuta da una matrice a diversi colori) e si legò all'ambiente romano influenzato, in quegli anni, dalle nuove esperienze tedesche ed austriache; nel 1913 partecipò alla I Esposizione della Secessione romana e fu accanto a quel gruppo anche l'anno seguente, per una seconda esposizione che vide anche la partecipazione del fratello. Sempre nel 1914, ancora con questo, organizzò, presso il Museo civico di Reggio Emilia, una mostra in cui Giovanni espose diciassette incisioni ed egli alcuni monotipi. Nel 1919 concorse al premio Ussi, a Firenze, con Terra tosca. Ancora monotipi presentò alla I Biennale romana del 1921: a differenza del fratello, attivamente partecipe al dibattito culturale di quegli anni, Romeo andò perfezionando la propria tecnica in una produzione piuttosto commerciale e di maniera. Nel 1922, presentò quattro oli alla Primaverile fiorentina e dieci tempere: soggetti ricorrenti ritratti, bozzetti di paese, animali. Su quest'ultima materia andò via via accentrando la propria attenzione. Espose quattro monotipi di animali alla Mostra di Parigi del 1930, tre oli dello stesso soggetto alla I Quadriennale di Roma del 1931, oltre ad un paesaggio. Nel 1932 presentò un olio ed un disegno alla III Mostra del Sindacato fascista delle belle arti del Lazio.

Sempre nel 1932 una personale alla galleria Scopinich di Milano mostrò due filoni della tecnica del monotipo: quello intimista di paesaggi rurali e quello mondano e manierista di figure del carnevale veneziano; ancora oli erano dedicati alle ville romane. Espose alla XIX Biennale di Venezia del 1934, alla galleria Dedalo di Milano, con il figlio Massimo, due anni dopo, e nel 1939 e 1943 alla II e IV Quadriennale romana ancora con ritratti e paesaggi.

Romeo morì a Roma il 9 dic. 1957.

Fonti e Bibl.: V. Pica, L'arte decorativa all'Esposizione di Torino, Bergamo 1902-03, p. 361; Id., L'arte mondiale alla 6aEsposizione di Venezia Bergamo 1905, p. 151; U. Ojetti, La X Esposizione d'arte a Venezia, Bergamo 1912, p. 28; G. Caprin, Arte contemporanea: giovani ritrattisti toscani, in Emporium, XXXVII (1913), p. 355; A. Deon, Di alcuni lavori di incis. dei fratelli Costetti, nel Museo civ. di Reggio Emilia, Reggio Emilia 1914; A. Lancellotti, Le Biennali venez. dell'anteguerra dalla I alla XI, Alessandria 1926, p. 22; A. Marangoni, Le arti del ferro, Milano 1927, p. 51; A. Soffici, Ricordo di C., in Carte parlanti, Firenze 1950; C. L. Ragghianti, in Arte moderna in Italia 1915-1935 (catal.), Firenze 1967, p. XIV; M. Mimita Lamberti, Appunti sul primo Soffici (1897-1908), in Atti del Convegno di studi su A. Soffici, Firenze 1976, p. 227; Grafica di G. C. (catal.), Reggio Emilia 1976 (con bibl.); E nell'idolo suo si trasmutava. La Divina Commedia nuovamente illustrata da artisti italiani. Concorso Alinari 1900-02, Bologna 1979, pp. 84, 87; U. Baldini, Pittori del Novecento in Toscana, Firenze 1979, p. 124; C. Sisi, Una provincia..., in La città e gli artisti: Pistoia tra Avanguardie e Novecento, 2, Firenze 1980, pp. 130-33, 139 n. 17, 140 nn. 24, 28 s., 32; A. Böchlin e la cultura artistica in Toscana... (catal.), Roma 1980, ad Indicem; A. Servolini, Dizionario illustrato degli incisori italiani, Milano 1955, p. 224 (anche per Romeo); H. Vollmer, Künstlerlexikon des XX Jahrhunderts, I, p. 481 (anche per Romeo). Per Romeo cfr. in particolare i cataloghi della Biennale di Venezia degli anni 1905 (p. 7), 1909 (p. 31), 1910 (p. 4), 1922 (pp. 24 s.), 1934 (pp. 119, 128); quelli della Quadriennale romana degli anni 1931 (p. 15), 1939 (p. 257), 1943 (p. 4); W. Hahn, presentazione al catal. della mostra Romeo e Massimo Costetti. Monotipi, Milano 1936.

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