GIOVANNI da Barbiano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 55 (2001)

GIOVANNI da Barbiano

Enrico Angiolini

Nacque da un Raniero appartenente a quel ramo della famiglia dei conti di Cunio che si era trasferito a Barbiano, presso Cotignola (Ravenna), dopo la distruzione del castello avito a opera dei Faentini nel 1296. Non conosciamo il luogo di nascita di G. né la data, che però è da porre dopo la metà del XIV secolo, dato che è nota la sua attività in armi dal 1378 e che nel 1399 era affiancato da un figlio naturale, Conselice, già da alcuni anni in grado di portare le armi.

L'albero genealogico di questa rilevante famiglia comitale romagnola presenta ancora molte incertezze, sia per la prolificità della stirpe e per le numerose omonimie, sia per le confusioni introdotte dalle genealogie erudite o encomiastiche, in particolare quelle ispirate in età moderna dalla famiglia milanese dei Barbiano di Belgioioso. Tra le confusioni che gli studi più recenti hanno contribuito a dissipare era anche il convincimento, attestato già in P. Giovio, ripreso dallo storico ravennate G. Rossi e poi tramandato da più autori, che G. fosse fratello del più famoso Alberico da Barbiano, mentre invece si deve ritenere che ne fosse nipote: infatti il padre di G., Raniero, che nel 1344 è citato tra i figli emancipati di Manfredo da Barbiano, fu verosimilmente fratello di Alberico. Questo rapporto di parentela era peraltro già esplicitato fin dalla Cronaca carrarese di G. e B. Gatari, laddove si riferisce dell'intenzione del "conte Albrigo" di "vendicare la morte del conte Zuane suo nevodo".

In un'epoca in cui la famiglia dei conti di Cunio, già divisa nei rami di Barbiano e di Zagonara, si presentava in sostanziale crisi, indebolita dai tentativi falliti di crearsi uno stabile dominio signorile nonché dalla suddivisione delle risorse tra i molti litigiosi rami collaterali della famiglia (si ricordi "Conio, che di figliar tai conti più s'impiglia": Purgatorio, XIV, 116-117), anche G., come numerosi altri della sua stirpe e più in generale di tutta la nobiltà romagnola coeva, intraprese il mestiere delle armi.

G. ottenne i suoi successi di condottiero (per cui ebbe dai contemporanei l'appellativo di "fulmine di guerra") principalmente al servizio del Comune di Bologna, che stava andando verso un declino irreversibile del proprio ruolo politico-militare, schiacciato tra gli espansionismi visconteo, fiorentino e pontificio senza avere le forze per opporvisi con efficacia; tuttavia, parallelamente all'attività di uomo d'armi, G. perseguì anche una spregiudicata politica personale volta alla costituzione e al radicamento di una propria signoria territoriale in Romagna che, partendo da Barbiano, si espandesse verso Lugo e Faenza. Entrò così in attrito con gli Estensi di Ferrara, che proprio allora si affacciavano verso la Bassa romagnola, e con i Manfredi di Faenza, ma finì col far crescere anche in Bologna sempre maggiori dubbi sulla sua fedeltà e sospetti di una sua intelligenza trasversale con i familiari che - come Alberico - militavano preferibilmente ma non esclusivamente nel campo visconteo.

G. appare per la prima volta quale uomo d'armi negli elenchi delle condotte degli stipendiari del Comune di Bologna nel 1378, come "caporale di cinque lance", e vi figura fino al 1383 aggregato a compagnie in cui militavano in posizione di comando già altri membri del suo casato. Da quell'anno si interruppe per la prima volta il rapporto di G. con Bologna, verosimilmente per l'inasprirsi della pressione bolognese sullo stesso castello di Barbiano, a seguito di opportunistiche intese con gli Estensi. In quel periodo G. militò in Veneto agli ordini del signore di Padova Francesco (I) da Carrara, impegnato a contendere al duca d'Austria Leopoldo d'Asburgo la città di Treviso, che questi aveva avuto nel 1381: G. compì scorrerie attorno a Feltre, prese Oderzo, Motta di Livenza e Portobuffolè; poi fu inviato in soccorso del patriarca di Aquileia, cui Udine si era ribellata. Quando nel gennaio 1384 Leopoldo cedette infine Treviso ai da Carrara per denaro, G. fu tra i capitani che presero possesso della città.

Intanto però le frizioni fra i da Barbiano e Bologna aumentavano: quando nel 1385 diversi dei conti di Barbiano occuparono il fortilizio di San Prospero presso Faenza, costruito dal Comune bolognese, e le milizie da questo inviate al recupero subirono una grave sconfitta, lo scacco obbligò Bologna a reagire con forza, fino a occupare lo stesso castello di Barbiano. Allora molte forze dei conti, tra cui G., si diressero alla riconquista del castello (lo stesso Alberico avrebbe chiesto licenza al re di Napoli a tal fine, senza però giungere a tempo). In queste azioni G. assunse un ruolo da protagonista, appoggiandosi anche ai membri della famiglia Pepoli in esilio, con cui compì scorrerie nei territori di San Giovanni in Persiceto, Crevalcore e Sant'Agata che gli costarono il bando da Bologna; i da Barbiano riuscirono poi già nel novembre dello stesso anno a riconquistare il castello. Il conseguente controassedio bolognese ai conti asserragliati dentro Barbiano fu senza esito, anche perché - come si scoprì - il conte Lando, al soldo di Bologna, era stato corrotto col denaro dai da Barbiano: tutto si risolse l'8 apr. 1386 con un patteggiamento che di fatto lasciò invariato lo stato di cose, a pratica sanzione della debolezza strategica bolognese. Rimosso il bando contro G., infatti, egli, già il 17 giugno successivo, si recò a Bologna a fare atto di sottomissione formale; tuttavia il castello rimase ai conti di Barbiano quale dominio mediato, dietro la ricognizione formale della sovranità bolognese nella tradizionale forma di un falcone da caccia da presentare annualmente alla vigilia di S. Bartolomeo. Questo canone di ricognizione fu presentato regolarmente almeno fino al 1396, quando il Comune lo volse a favore della Fabbrica di S. Petronio. Quindi G. tornò a figurare tra i condottieri di Bologna già dallo stesso 1386, quando rappresentò anche la città in un arbitrato fra Estensi e Alidosi signori d'Imola, e combatté contro Astorgio Manfredi. Egli rimase al servizio di Bologna almeno fino al 1388.

In questi anni G. compì con alterna fortuna ripetute scorrerie per conto di Bologna contro le coalizioni di Visconti, Gonzaga ed Estensi e ricevette incarichi di rilievo come comandante, messo sullo stesso piano di Giovanni Acuto. Nell'aprile del 1390 si mosse contro i Malatesti in Romagna ma fu sconfitto e costretto a rifugiarsi a San Marino e a uscirne per riscatto; poi passò a compiere scorrerie nel Modenese, sempre contro la coalizione visconteo-estense, e insieme con l'Acuto ottenne una chiara vittoria sulle milizie viscontee comandate da Iacopo Dal Verme nel giugno 1390; poi si portò nel Veronese (febbraio 1391), alla difesa di Bologna (nel marzo seguente) e quindi ancora con l'Acuto in Toscana, fino alla pace conclusa a Genova nel 1392.

Licenziate per la temporanea pace molte condotte bolognesi, G. tornò in Romagna, dove si rese protagonista di una vicenda in cui, attraverso la spregiudicata ingerenza nelle lotte dinastiche che travagliavano in quel momento la casa d'Este, cercò di riprendere i fili di una politica volta a creare una più solida base di signoria territoriale. Infatti, nella difficile successione per la signoria di Ferrara ad Alberto d'Este, morto nel 1393, Azzo d'Este (sostenuto dai Visconti) andava avversando il giovane Nicolò (III) - riconosciuto come signore di fatto all'atto della scomparsa del padre naturale - appoggiato tra gli altri da Firenze, Bologna e Faenza e governante sotto la tutela di un consiglio di reggenza. G. si schierò con Azzo quando questi prese le armi e, con l'appoggio anche di feudatari estensi ribelli, si impadronì nel novembre 1394 di Lugo e di Conselice e iniziò a minacciare il Ferrarese. Allora la reggenza per Nicolò (III) avrebbe contattato G. proponendogli la cessione degli stessi castelli di Lugo e di Conselice e 30.000 ducati d'oro in cambio dell'uccisione a tradimento di Azzo, che in quel tempo si trovava proprio a Barbiano. Secondo la testimonianza concorde delle fonti narrative, G. avrebbe simulato di accettare, per poi informare lo stesso Azzo d'Este di quanto si tramava a suo danno e ricambiare il tranello con un altro, facendo uccidere - sembrerebbe dal figlio naturale Conselice - un domestico, tale Cervo da Modena, il cui corpo fu reso irriconoscibile e fatto passare per quello di Azzo. G. si fece consegnare con l'inganno la cifra pattuita e le piazze di Lugo e di Conselice senza colpo ferire: Lugo sarebbe quindi rimasta ai discendenti dei da Barbiano fino al 1436, anche dopo la rapida fine delle fortune di Azzo d'Este.

Il fatto suscitò fortissimo scalpore tra i contemporanei e parrebbe aver causato una mobilitazione contro G. - che aveva reso così ancor più complicati anche i già tesi rapporti con Bologna - subito interrotta, però, per la pressione diplomatica di Gian Galeazzo Visconti, il quale avrebbe minacciato di muovere Alberico da Barbiano alla difesa del nipote.

Dal 1396 G. riprese ad assumere condotte, passando anche periodi al servizio dei Visconti, prima in Lombardia poi in Toscana contro Firenze insieme con lo zio Alberico (dal novembre 1396 all'aprile 1397); ma subito dopo tornò al soldo di Bologna, per cui nell'agosto del 1397 radunò uomini nel castello di Cento per spalleggiare Francesco Gonzaga in funzione stavolta antiviscontea. Tuttavia quest'alleanza comandata dal Gonzaga fu sconfitta a Borgoforte dalle forze dei Visconti capitanate proprio da Alberico da Barbiano, mentre a Bologna si sospettava ormai decisamente dell'affidabilità di Giovanni da Barbiano.

Questi, allontanatosi temporaneamente dalla città, prese però a ingerirsi per tornaconto personale anche nelle contese tra le fazioni bolognesi dei Maltraversi (guidati da Carlo Zambeccari) e degli Scacchesi temporaneamente in esilio (capitanati da Nanne Gozzadini e da Giovanni Bentivoglio) che aspiravano alla signoria. Egli assicurò il proprio appoggio al tentativo ordito da Gozzadini e Bentivoglio di impadronirsi di Bologna il 22 apr. 1399: questi però furono presi e nuovamente banditi, mentre G. non si presentò all'ora stabilita. Considerato a questo punto ribelle da Bologna, si diede allora a scorrerie banditesche in proprio sui confini occidentali con Modena, facendo base a Vignola, che era tenuta dai Grassoni a lui favorevoli, per l'aiuto dato loro da G. nel 1396 a togliere la rocca ai Rangoni. Lì venne però affrontato dalla compagnia della Rosa, adunata contro di lui da Nicolò (III) d'Este e comandata da Filippo da Pistoia: questa lo catturò nell'agosto 1399 e lo eliminò definitivamente dallo scacchiere.

G. infatti, insieme con Lodovico, Lipazzo, Conselice e Bandezato da Barbiano fu consegnato ai Bolognesi e imprigionato a Bologna nella torre degli Anziani; tutti - tranne Conselice, giustiziato già il 25 agosto, e Lodovico, morto nel frattempo in carcere - furono condannati a morte il 27 sett. 1399 come "rebelles Comunis Bononiae, robatores, assassinos, fractores stratarum" e con numerosi altri capi d'accusa; giustiziati lo stesso giorno "in platea Comunis", furono sepolti presso la chiesa di S. Francesco. Nello stesso giorno della sua esecuzione fu redatto il testamento di G., ritrovato mutilo dal Frati nel 1917, che prevedeva lasciti pii in messe e doti, e beni per alcune donne della famiglia e per la chiesa dei minori di Lugo.

Alberico da Barbiano, intenzionato a vendicare la morte del nipote, ottenne da Gian Galeazzo Visconti di potersi muovere contro Bologna con il seguito di condottieri come Iacopo Dal Verme e Pandolfo e Carlo Malatesti; al che pare si sia provveduto alla rimozione degli anziani formalmente responsabili della condanna. Il cronista bolognese Matteo Griffoni, che in quegli anni ricoprì più volte cariche pubbliche di rilievo, si rallegrò esplicitamente per non aver avuto parte alcuna in questa decisione, sia pure corretta, in quanto assente da Bologna ("Sed […] regratior Deo, quod de hoc nichil sensi, quia eram absens a Bononia", p. 89): l'espressione di questo sollievo mostra quanto potesse essere fondato il timore di rappresaglie.

Forse in tale occasione, per contenere l'ira di Alberico e scaricare di responsabilità il governo bolognese, venne anche addotta a giustificazione della condanna a morte di G. l'istigazione da parte di Astorgio Manfredi, signore di Faenza, desideroso di eliminare un potente vicino e uno storico rivale nello scacchiere romagnolo: in realtà le motivazioni giuridicamente circostanziate perché il Comune di Bologna giungesse alla condanna di G. non mancavano, senza bisogno di istigazione alcuna; tuttavia la voce dovette circolare insistentemente, tant'è che il 4 gennaio seguente il Manfredi scrisse per discolparsi da quell'accusa al re di Napoli Ladislao - anch'egli indignato per la fine del nipote del suo fedele condottiero Alberico - scaricando su Bologna ogni responsabilità della scelta, di cui peraltro non si disconosceva la legittimità, scegliendo di dichiarare piuttosto la propria impossibilità a evitarla (Franceschini, pp. 35 s.).

Fonti e Bibl.: Bartolomeo della Pugliola, Historia miscella Bononiensis, in L.A. Muratori, Rer. Ital. Script., XVIII, Mediolani 1731, coll. 540, 544, 549, 561 s., 565; Iacobus de Delayto, Annales Estenses, ibid., coll. 915 s., 920, 955 s.; G. Gatari - B. Gatari, Cronaca carrarese…, a cura di A. Medin - G. Tolomei, in Rer. Ital. Script., 2a ed.,. XVII, 1, vol. I, pp. 214 s., 224 s., 228, 231 s., 400, 447, 452, 460, 483; Gesta magnifica domus Carrariensis, a cura di R. Cessi, ibid., vol. II, pp. 261 s.; Corpus chronicorum Bononiensium, ibid., XVIII, 1, pp. 375, 406, 410, 415, 419-421, 424, 429, 431, 437, 458-460, 467 s.; M. de Griffonibus, Memoriale historicum de rebus Bononiensium, a cura di L. Frati - A. Sorbelli, ibid., XVIII, 2, pp. XXVI s., 80, 84, 86-89; F. Giorgi, Alberico e G. da Barbiano nel Bolognese. Ricerche e documenti, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna, s. 3, XII (1893-94), pp. 84-294; L. Frati, Il testamento di G. da B., in L'Archiginnasio, XII (1917), pp. 222-224; P. Giovio, Elogia virorum…illustrium, Florentiae 1551, pp. 106-108; G. Rossi, Historiarum Ravennatum libri decem, Venetiis 1589, p. 582; C. Ghirardacci, Della historia di Bologna parte seconda, Bologna 1657, pp. 398-404, 437, 441, 443, 445 s., 453 s., 472, 475, 478, 490, 492, 495, 502 s.; E. Ricotti, Storia delle compagnie di ventura in Italia, II, Torino 1845, pp. 203-205; A. Crespellani, Memorie storiche vignolesi, Modena 1872, pp. 19-21; L. Balduzzi, Bagnacavallo e i conti di Cunio, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna, s. 2, II (1873-74), pp. 85-104; G. Solieri, Alberico da Barbiano, Jesi 1908, ad ind.; L. Baldisserri, I castelli di Cunio e Barbiano(contributo a la storia di Romagna), Imola 1911, ad ind.; G. Fasoli, I conti e il comitato di Imola (secc. X-XIII), in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per l'Emilia e la Romagna, VIII (1942-43), pp. 189-192; G. Franceschini, Il gran conestabile Alberico da Barbiano ed i conti d'Urbino, in Studi romagnoli, IV (1953), pp. 19-36; L. Chiappini, Gli Estensi, Varese 1967, pp. 84-86; P. Zama, I Manfredi, Faenza 1969, pp. 121, 125 s., 132, 137 s.; M. Tabanelli, I conti di Cunio e di Barbiano, Faenza 1972; T. Leggio, I conti di Cunio e la Sabina: un problema tra storiografia e storia, in Studi romagnoli, XLI (1990), pp. 349-378; M. Banzola, I conti di Cunio fra Romagna e Sabina: un approccio prosopografico, ibid., pp. 379-414; E. Angiolini, Lugo "capitale" della Romagna estense (sec. XIV-1598), in Storia di Lugo, I, Dalla preistoria all'età moderna, a cura di A. Vasina, Forlì 1995, pp. 245 s.; M. Banzola, I conti di Cunio e i loro rapporti con Ravenna, in Ravenna studi e ricerche, IV (1997), 1, pp. 157-219.

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