DEL GAIZO, Giovanni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 36 (1988)

DEL GAIZO, Giovanni

Giuseppe Fiengo

La prima notizia che lo riguarda ce la fornisce il De Dominici, segnalandolo (1744), con Giuseppe Astarita e Antonio Donnamaria, tra gli allievi di Domenico Antonio Vaccaro che avevano già dato "saggio del loro sapere" in architettura.

La sua produzione sembrerebbe oscillare tra l'accento spiccatamente rococò di derivazione vaccariana e le nuove suggestioni formali diffuse nell'ambiente napoletano, dopo il 1750, dal Fuga e dal Vanvitelli. Mancano tuttavia analisi adeguatamente approfondite sulla sua personalità: assume pertanto solo valore di generale orientamento constatare che i suoi impegni prevalenti, soprattutto per i benedettini, consistettero nell'adeguamento, con rivestimenti di stucco e marmi policromi, di antichi edifici, ad un'opulenza decorativa, in più di una occasione già abbozzata da maestri del rococò, quali Vaccaro, G. B. Nauclerio, G. Buonocore, ecc.

La prima, grande trasformazione di una preesistenza, a cui prese viva parte il D., riguardò la cinquecentesca chiesa napoletana dei Ss. Severino e Sossio. A seguito del terremoto del 1732, erano crollate la volta della navata principale e la parete della fronte, per cui si resero necessari lavori di ricostruzione, finalizzati all'aggiornamento dei caratteri dell'immobile al gusto corrente dell'epoca. Architetto della fabbrica era Giovanni Battista Nauclerio, la cui presenza è documentata dal 1715 al 1738: a lui, e, per qualche particolare eseguito più tardi, a suoi disegni, si fanno risalire il rifacimento e la ristrutturazione interna della vasta aula; mentre è dubbio se anche la facciata gli appartenga o se sia del D., la cui attività presso il convento è attestata con certezza a partire dal 1744 (Faraglia, 1878), per assolvere, almeno fino al 1760, agli incarichi di progettazione e direzione del nuovo fabbricato nell'angolo sudorientale del giardino (1751), della modifica del transetto (1753), del rinnovamento dei dormitori del secondo piano (1758), ecc.

Quasi contemporaneamente con le ultime opere eseguite per il suddetto convento benedettino, il D. ideò, nel febbraio 1759, il restauro del monastero romanico di S. Biagio di Aversa ed il rifacimento ex novo degli altari marmorei della chiesa (Mormone, 1959).

Una delle realizzazioni in cui è possibile documentare, in qualche misura, la sua associazione - se così la si può definire - con il Vaccaro in una comune impresa concerne l'oratorio napoletano del Sacro Monte dei poveri.

L'edificio nel quale quest'ultimo è ubicato (sede dell'Archivio storico del Banco di Napoli dal 1819, al posto del Banco dei poveri che vi era stato ospitato dal 1617 al 1808), è il risultato dell'adattamento a nuovo uso, compiuto da Giovan Giacomo Conforto, dell'antico palazzo Ricca e, successivamente, di una ininterrotta serie di aggiunte e trasformazioni, motivate soprattutto da accresciute necessità di spazio, a cominciare dalla costruzione, nel 1669, sul fondo del cortile, con la direzione di Onofrio Tango, della stessa cappella, fino all'elevazione, dal 1727 al 1751, di vari corpi di fabbrica, ad opera di Alessandro Manni, Ferdinando Sanfelice, Domenico Antonio Vaccaro, Gaetano Buonocore, ed al rifacimento della facciata su via Tribunali, nel 1770, su disegno di Gaetano Barba (Nappi, 1979). In particolare, il Vaccaro ideò, nel 1744, le sale al di sopra della volta della chiesa di S. Tommaso a Capuana e, probabilmente, il rinnovamento, con stucchi a due colori, del vasto ambiente dell'oratorio. Tre giorni dopo la morte del Vaccaro il D. fu eletto ingegnere ordinario del Banco dei poveri - incarico che conservò per un ventennio, finché non fu costretto a dimettersi per i danni subiti da una fabbrica - e, a completamento del pregevole interno, curò, tra il 1745 ed il 1749, l'esecuzione del pavimento, del presbiterio, dell'altar maggiore, del baldacchino e della portella d'ottone. L'altare ed il pavimento furono rifatti, nel 1767, dal Barba.

In quegli stessi anni eseguì (1747), per conto del Banco di S. Eligio, lavori in una casa napoletana di Domenico Cattaneo, principe di San Nicandro, e progettò (1748) la sagrestia di Montecassino, ma il suo disegno non fu mai realizzato (Mormone, 1959 e 1970).

La decisione di rifare completamente l'aula angioina di S. Chiara è del 1742, quand'era badessa Luisa di Franco e camerlenga Delia Bonito. La paternità dell'operazione, tradizionalmente riferita ad un progetto di Domenico Antonio Vaccaro ed alla direzione esecutiva del D. (Sigismondo, 1788; Catalani, 1853), si è posta sin dalle origini come problema, che, grazie alle ricerche compiute soprattutto negli ultimi decenni, ha trovato una soddisfacente soluzione (Mormone, 1959).

Si è accertato così che i lavori, iniziati nel 1744, furono condotti dal Vaccaro fiancheggiato da G. Buonocore, il quale continuò da solo dopo la morte del collega (1745), ma fu poi rimosso dall'incarico per dissidi con la badessa Delia Bonito. Fu poi chiamato, nel 1753, il D., che si occupò prevalentemente del rivestimento in marmo dell'intera chiesa, dei coretti sulle cappelle e del coro dei frati. Ma i suoi intarsi policromi, in contrasto con il sottile gioco dei candidi stucchi, concorsero a rendere ancora più esorbitante la già notevole opulenza decorativa della sala, devastata da un furioso incendio nel corso dell'ultimo conflitto mondiale.

Sempre per conto del monastero di S. Chiara, il D. eseguì, nel 1752, una censuazione presso Marigliano, nel 1753, la verifica della sopraelevazione di una casa accanto al convento e, nel 1757, in collaborazione con Casimiro Vetromile, il controllo dei lavori in alcune proprietà delle clarisse (Mormone, 1959). Ma, a parte i suddetti impegni minori, il D., mentre decorava l'interno della basilica e a distanza di sedici anni dal compimento del mirabile chiostro vaccariano, creò, nel triennio 1758-60, il più grande e suggestivo belvedere della città.

A tal fine, eliminò, avendo come collaboratore Nicola Tagliacozzi Canale, i tetti del convento su tutt'e quattro le braccia, sostituendoli con una vasta terrazza, delimitata da poggioli e grate metalliche. La sistemazione richiese successivi consolidamenti, da lui effettuati tra il 1772 ed il 1775 (Spila, 1901).

L'opera fu tanto apprezzata, che, tra il 1762 ed il 1772, le monache del vicino monastero di Donnaromita, le quali avevano da poco conferito una veste barocca alla loro cinquecentesca chiesa, ottennero da lui un belvedere altrettanto felice, al di sopra del volume che costeggiava la via del Gesù ed il vicoletto del collegio (Pessolano, 1975).

L'occasione per collaborare ancora con l'architetto Nicola Tagliacozzi Canale si ripresentò nel 1766, allorché il D. fornì il disegno per il rinnovamento della facciata della chiesa del Carmine Maggiore, che ripropose, con la balaustra ed i pilastri di piperno, il motivo già sperimentato dal Nauclerio in quella dei Ss. Severino e Sossio. A cominciare dal 1754, l'interno era stato sottoposto ad una radicale revisione a cura, appunto, del collega (Filangieri, 1885).

Nel 1756 s'iniziarono, su progetto del D., il totale rifacimento dell'antica chiesa del monastero benedettino della Cava e la costruzione delle fabbriche del seminario, porteria, residenza dell'abate, ecc. I lavori furono ripresi nel 1772 e comportarono ulteriori variazioni soprattutto del progetto della chiesa.

Senza dubbio, questo fu il suo impegno maggiore, sia per la vastità e complessità dell'opera sia per i risultati formali raggiunti. Purtroppo, anche qui recenti manipolazioni hanno compromesso l'integrità di alcuni locali e della stessa basilica, la cui notevole facciata, realizzata su due ordini e con tufo a vista dal maestro Gennaro Pagano, è stata per fortuna risparmiata.

L'ennesima trasformazione di una preesistenza, cui prese attiva parte il D., fu quella del seicentesco complesso napoletano di S. Caterina da Siena di monache domenicane.

L'insieme era già stato rinnovato ed ampliato su progetto di Mario Gioffredo e la direzione di Pasquale Manzo, allorché fu affidata al D., nel 1774, la ristrutturazione del convento, iniziata dal Manzo, che condusse a termine nel 1787; cosicché, con la sua regia si provvide ad abbassare il piano del chiostro, rendendo quest'ultimo più funzionale rispetto alle nuove esigenze. Infine, il parlatorio, la clausura e l'archivio furono da lui variamente decorati. Vi è da notare che la contabilità dei suddetti lavori, nel biennio 1777-78, fu tenuta dall'ing. Gennaro Sanmartino (Nappi, 1979).

Come ingegnere camerale, il D. svolse un lunghissimo tirocinio da straordinario, a partire dal 27 dic. 1744, epoca della sua assunzione (Strazzullo, 1960), prima di essere incluso ripetutamente nella terna, formata dal tribunale della Sommaria, degli idonei alla "piazza" di ordinario. Delle numerose perizie che redasse nell'espletamento del suddetto servizio, ma anche da libero professionista, sono note soprattutto quelle relative alla costruzione di due delle maggiori fabbriche napoletane della metà circa del Settecento, entrambe di Mario Gioffredo.

Nel primo caso, mentre erano in pieno svolgimento i lavori di realizzazione della nuova navata della chiesa dello Spirito Santo, i governatori dell'omonimo banco, dovendo rendere esecutivo il disegno della facciata e scegliere tra le soluzioni prospettate per l'elevazione della cupola al centro della crociera, elessero, nel 1759, una giuria composta di cinque tra i più accreditati esperti di architettura allora disponibili, cioè Fuga, Medrano, M. Buonocore, Astarita e, appunto, il Del Gaizo. I periti, in breve, sottoscrissero unanimemente le scelte del progettista. Tuttavia, nel 1761, gli ultimi due furono ancora interpellati in merito alla fedeltà del modello della crociera ai grafici da loro approvati due anni prima (Strazzullo, 1953).

Nel secondo, il D. fu chiamato, sempre nel 1761, come ingegnere carrierale, a dirimere la controversia sorta, nel corso dell'esecuzione del palazzo Casacalenda, tra la duchessa ed il capomastro Donato Cosentino. Egli svolse con equilibrio il compito affidatogli dal Sacro Regio Consiglio, sicché la sua relazione (1762) non fu impugnata dalle parti; circostanza, quest'ultima, assolutamente eccezionale se valutata nell'ambito dell'intera causa (Fiengo, 1976).

Nel 1786, per ordine del Supremo Tribunale della Regia Camera, il D. si recò a Gaeta, allo scopo di collaudare le opere in corso nelle banchine del porto e nei depositi di munizione del monte Orlando; in quell'occasione fece una relazione, insieme con l'ing. P. P. Ferrara, sulle possibilità di restauro della locale chiesa gotica assegnata al collegio delle scuole pie. Ancora, nel 1794, riferì al tribunale della Sommaria circa i lavori fatti in due torri del territorio di Sessa Aurunca, nel quartiere di Cavalleria di Nocera, nel castello di Baia ed a Gaeta. Infine, un mese circa prima di morire, chiese al re di concedere al figlio Michelangelo la sua "piazza" di ingegnere camerale (Strazzullo, 1982).

Morì a Napoli il 19 aprile del 1796.

Fonti e Bibl.: B. De Dominici, Vite dei pittori, scultori ed architetti napoletani, Napoli 1742-44, III, p. 494; G. Sigismondo, Descriz. della città di Napoli, Napoli 1788, I, p. 265; II, p. 70; L. Catalani, Le chiese di Napoli, Napoli 1853, II, p. 86; C. Celano-G. B. Chiarini, Notizie del bello, dell'antico e del curioso della città di Napoli [1692, 1856], Napoli 1974, ad Ind.; G. A. Galante, Guida sacra della città di Napoli, Napoli 1872, p. 208; P. Guillaume, Essai histor. sur l'abbaye de Cava, Cava dei Tirreni 1877, p. 394; N. Faraglia, Memorie artist. della chiesa benedettina dei Ss. Severino e Sossio di Napoli, in Arch. stor. d. prov. napol., III (1878), p. 250; G. Filangieri, Documenti per la storia, le arti e le industrie delle provincie napoletane, III, Napoli 1885, pp. 304, 433; V, ibid. 1891, p. 267; B. Spila, Un monumento di Sancia in Napoli, Napoli 1901, pp. 95 s., 102, 236, 239; Don Ferrante, S. Chiara, in Napoli nobilissima, XI (1902), pp. 30 s.; B. Spila, Per S. Chiara, ibid., p. 46; A. De Rinaldis, S. Chiara, Napoli 1920, pp. 29 s.; R. Pane, Archit. dell'età barocca in Napoli, Napoli 1939, pp. 23, 148, 180; F. Strazzullo, Il restauro settecentesco alla chiesa dello Spirito Santo, Milano 1953, pp. 6, 8 s.; R. Pane, Il chiostro di S. Chiara in Napoli, Napoli 1954, p. 34; R. Mormone, Il rifacimento settecentesco nella chiesa di S. Chiara a Napoli, in Studi in on. di R. Filangieri, Napoli 1959, III, pp. 86 s., 95, 97 s., 101 ss.; F. Strazzullo, Ingegneri camerali napoletani del '700, in Partenope, I (1960), pp. 52, 59; A. Venditti, L'architetto G. Astarita e la chiesa di S. Anna a Porta Capuana, in Napoli nobiliss., n.s., I (1961), pp. 91, 178; T. Gallino, Il complesso monumentale di S. Chiara in Napoli, Napoli 1963, p. 72; F. Strazzullo, Architetti e ingegneri napol. dal '500 al '700, Ercolano 1969, p. 22; A. Venditti, Urbanistica e architettura angioina, in Storia di Napoli, III, Napoli 1969, pp. 721, 770, 872; R. Mormone, Architettura a Napoli (1650-1734), ibid., VI, Napoli 1970, p. 1148; M. R. Pessolano, La chiesa di Donnaromita e le superstiti strutture conventuali, in Napoli nobiliss., n.s., XIV (1975), p. 66; A. Blunt, Neapolitan Baroque and Rococò Architecture, London 1975, pp. 27, 125 ss., 130, 158; G. Fiengo, Gioffredo e Vanvitelli nei palazzi dei Casacalenda, Napoli 1976, ad Ind.; M. R. Pessolano, La chiesa superiore dei Ss. Severino e Sossio, in Napoli nobiliss., n.s., XVI (1977), pp. 212 s., 217; Id., Il convento napol. dei Ss. Severino e Sossio. Napoli 1978, pp. 33, 53, 86, 88 s., 99; E. Nappi, Il palazzo e la cappella del Sacro Monte e Banco dei poveri. La rifazione settecentesca della chiesa e del cortile del monastero di S. Caterina da Siena, in Le arti figurative a Napoli nel Settecento, Napoli 1979, pp. 175, 182, 189, 194 s., 197 s.; V. Rizzo, Notizie su artisti e artefici dai giornali copiapolizze degli antichi banchi pubblici napoletani, ibid., p. 256; A. Blunt, Caratteri dell'archit. napoletana dal tardo barocco al classicismo, in Civiltà del '700 a Napoli, 1734-1799, I, Firenze 1979, p. 66; F. Strazzullo, Documenti del '700 per la storia dell'edilizia e dell'urbanistica nel Regno di Napoli, in Napoli nobiliss., n.s., XX (1981), p. 142; XXI (1982), pp. 135, 136; G. Fiengo, G. D. e i rifacimenti settecenteschi, in La badìa di Cava, a cura di G. Fiengo e F. Strazzullo, Cava dei Tirreni 1985; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, p. 8 (sub voce Gaiso [Gaizo], Giovanni del).

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