GIOVANNI di Balduccio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 55 (2001)

GIOVANNI di Balduccio

Gerd Kreytenberg

Figlio di Balduccio di Alboneto, come si desume da un atto notarile milanese, datato 19 nov. 1349, che lo vede chiamato come testimone, G. nacque molto probabilmente intorno al 1300 a Pisa, e fu attivo prima in Toscana e poi in Lombardia a partire dal primo ventennio del sec. XIV; appare documentato la prima volta nel 1317-18 con una discreta paga giornaliera nel libro dei conti dell'Opera del duomo di Pisa e venti anni dopo viene citato nello stesso libro il 19 ag. 1349, quando l'Opera del duomo gli proponeva l'incarico di capomastro. Tra le sculture più conosciute, caratterizzate da un particolare linguaggio espressivo e lirico, conservano la sua firma: il Monumentosepolcrale di Gualtiero degli Antelminelli a Sarzana (del 1327-28), i rilievi del pulpito di S. Maria del Prato a San Casciano (circa 1330-31), l'Arca di s. Pietro Martire a S. Eustorgio a Milano (datata 1339); mentre appaiono opere di bottega le poche sopravvissute sculture della facciata di S. Maria di Brera a Milano, quarta opera firmata e datata 1347. Il suo merito è in ogni caso quello di aver diffuso in Lombardia e in particolar modo a Milano la scultura gotica toscana.

Il suo apprendistato come scalpellino dovette compiersi nei cantieri dell'Opera del duomo di Pisa, influenzato fino al 1314 dalla presenza di Giovanni Pisano, definitivamente uscito dalla scena artistica dopo quella data, lasciando il campo alla cerchia di Lupo Pisano di Francesco; quest'ultimo era infatti divenuto capomastro dell'Opera del duomo in sostituzione di Tino da Camaino, che, poco prima di terminare il monumento funebre di Enrico VII nel duomo di Pisa, aveva dovuto lasciare quella carica e la città nel luglio 1315. Furono questi gli anni che videro come protagonisti della prosecuzione dei lavori del duomo gli ex componenti della bottega di Giovanni Pisano (Seidel, 1979) cui doveva appartenere anche Lupo di Francesco. In questo ambiente culturale, divenuto mediocre dopo il 1315, le sculture del giovane G. dovettero risaltare di fronte a tutte le altre per la carica espressiva e la bellezza formale.

Le prime opere, realizzate intorno al 1320, furono probabilmente alcune teste monumentali (Tolaini, 1958) e due piccoli telamoni (Carli, 1943) inseriti sulle lesene del Camposanto di Pisa. È ben possibile, invece, che G. abbia eseguito anche le due statuette ricomposte sui pilastri angolari del tabernacolo all'ingresso del Camposanto (ibid., figg. 21 s.). Tra le prime opere, realizzate intorno al 1320 è da annoverare anche un gruppo monumentale dell'Annunciazione nella chiesa di S. Michele a Coreglia Antelminelli (Ragghianti); ed è da attribuire alla sua mano il completamento del chiostro maggiore dei domenicani di S. Caterina a Pisa, per il quale egli eseguì tra il 1323-25 e il 1330 alcuni capitelli con teste e maschere fortemente espressive (Seidel, 1979): due di essi sono fortunatamente rimasti intatti, conservati uno a Pisa (Museo dell'Opera del duomo), l'altro a Francoforte (Liebighaus).

Verso il 1325 G. realizzò due monumenti funebri probabilmente commissionati per la chiesa genovese di S. Francesco in Castelletto (distrutta nel 1821) dei quali sopravvivono tre angeli reggicortina (Tolaini, 1958; Seidel, 1975) e un frammento di timpano con Cristo nella mandorla (Di Fabio, 1992), conservati nel Museo di S. Agostino a Genova. Al 1327 risale la prima opera firmata da G. commissionatagli dal signore di Lucca Castruccio Castracani degli Antelminelli.

Si tratta di un monumento sepolcrale per il figlio Gualtiero degli Antelminelli morto precocemente nel 1327, all'età di un anno, da realizzare nella chiesa di S. Francesco a Sarzana. G. costruì una tomba a parete, dalla tipologia tradizionale ad arca, con un piccolo sarcofago sorretto da leoni, sul cui lato a vista trovano posto una Pietà (Cristo tra Maria e Giovanni) sormontata dalla figura del bambino giacente, svelato da due angeli reggicortina. Al di sopra del monumento all'interno del tabernacolo si trovava una Madonna con Bambino oggi conservata a Filadelfia (Museum of art, Johnson Collection: Valentiner, 1927). Il monumento si conclude con il timpano, in cui il Redentore benedicente è fiancheggiato da due angeli adoranti, contornati da stemmi araldici imperiali, volutamente inseriti quasi a evidenziare la potenza di quella famiglia in età di decadenza politica: in particolar modo lo stemma a losanghe della casa Wittelsbach, cui apparteneva l'imperatore Ludovico il Bavaro, che lo aveva concesso a Castruccio Castracani intorno al 1327 investendolo della signoria di Lucca. Il monumento funebre dovette essere infatti compiuto nel 1327-28.

Secondo Carli (1943), G. realizzò l'anno successivo un'altra scultura, una Madonna in trono per l'oratorio pisano di S. Maria della Spina, databile al 1329. Negli anni tra il 1330 e il 1334 G. fu attivo a Firenze e a Bologna, come testimoniano alcune sue opere fondamentali firmate o a lui attribuite. Dal 1328 fu eretta la cappella Baroncelli in S. Croce con un monumento sepolcrale che occupava una arcata della parete di ingresso ed era visibile da due lati.

Simile per tipologia alla tomba Antelminelli, questo monumento introduce elementi innovativi come quello di "arca passante"; si assiste anche a un progressivo inserimento di elementi pittorici e decorativi nelle parti architettoniche. Il sarcofago è sormontato da un baldacchino inframmezzato sul fronte da una grata suddivisa a metà da un piano e racchiusa da una cornice scolpita con un fregio a tralci; al di sopra, la lunetta presenta un affresco raffigurante una Madonna a mezzo busto. I due timpani del baldacchino recano figure con lo stemma dei Baroncelli, fiancheggiati da due angeli. Intorno al 1330, quando G. venne chiamato a intervenire, i lavori del monumento funebre erano già stati avviati, sin dal 1328, compreso il sarcofago, e dovettero essere ultimati intorno al 1331. Per l'arcata di ingresso della cappella Baroncelli G. scolpì nello stesso periodo il piccolo gruppo di straordinaria bellezza dell'Annunciazione. I quattro rilievi, dell'Annunciazione, con l'angelo e Maria, concordano stilisticamente con quelli dei Ss. Pietro Martire e Domenico realizzati da G. per il pulpito, anch'esso firmato, di S. Maria del Prato a San Casciano, chiesa allora dipendente dai domenicani fiorentini di S. Maria Novella.

Proprio in quel periodo e successivamente G. ricevette ripetutamente incarichi dall'Ordine domenicano; ed è ipotizzabile che gli stessi domenicani abbiano avuto un ruolo di mediazione nell'incarico a G. di un polittico marmoreo che fu per lungo tempo in S. Domenico a Bologna. Il polittico venne probabilmente eseguito per la cappella della Rocca di Galliera, costruita nel 1330-32 su commissione del papa Giovanni XXII, quando questi aveva l'intenzione di trasferire la sede papale a Bologna. Secondo una cronaca contemporanea (Novello, 1992), l'altare di marmo venne trasferito in S. Domenico, quando nel 1334 il legato papale fu cacciato da Bologna. Delle figure e decorazioni provenienti da questo altare è rimasto ben poco: il rilievo con la Nascita di Cristo (Bologna, collezione Raule e Poggi-Cavalletti), la statua di S. Pietro Martire (Bologna, Museo civico medievale), la statua della Madonna (Detroit Institute of arts), la statua di S. Domenico (Marsiglia, Musée Grobet Labadié), la statua di S. Petronio (Bologna, Museo di S. Stefano), il rilievo col Profeta Baruch (Faenza, Pinacoteca civica). Con queste opere ci troviamo di fronte al primo polittico marmoreo che è certamente da considerare il presupposto del polittico bolognese dipinto da Giotto (Kreytenberg, 1990). I tentativi di ricostruzione compiuti sino a oggi (ibid.; Medica, 1996) hanno bisogno di essere rivisti. Probabilmente la combinazione delle due ricostruzioni è la versione più corretta: un polittico suddiviso in sette parti con la Madonna al centro tra due angeli e tre santi su ogni lato, al di sotto una predella e al di sopra un timpano con rilievo.

Negli anni 1333-34 G. era di nuovo a Firenze con un importante incarico: il monumentale tabernacolo marmoreo dedicato alla immagine miracolosa della Madonna di Orsanmichele.

Questo tabernacolo, rappresentato in una miniatura dello Specchio umano di Domenico Lenzi (Firenze, Biblioteca Laurenziana, ms. Tempi, 3) è chiaramente da porre in relazione con le statue della Compagnia dei laudesi, modificate nel 1333, e fu sostituito dal tabernacolo di Andrea di Cione detto l'Orcagna, datato 1359. Del tabernacolo di G. sono sopravvissuti: un ciclo di rilievi raffiguranti i Dodici apostoli con due evangelisti, un ciclo con quattro rilievi raffiguranti le Virtù (Firenze, Orsanmichele e Museo nazionale, e Washington, National Gallery of art: Valentiner, 1935) e un timpano con il Cristo nella mandorla (Madrid, Museo arqueológico nacional: Kreytenberg, 1990). Le opere realizzate da G. nel corso dei soggiorni fiorentini e bolognesi sono espressione del raggiungimento della sua piena maturità artistica.

Intorno al 1334-35 G. fu chiamato a Milano dal signore della città, Azzone Visconti, che in quegli anni raccoglieva intorno a sé i maggiori artisti italiani come Giotto. Nonostante molte opere siano andate perdute e sia quindi difficile ricostruire l'attività di G. durante il suo primo soggiorno lombardo (come, per esempio, il monumento a Beatrice d'Este, madre di Azzone, commissionatogli per la chiesa di S. Francesco), rimangono alcuni frammenti di un altro monumento funebre in S. Tecla per un personaggio della casa viscontea (Milano, Castello Sforzesco, Civiche raccolte di arte antica). L'Arca di s. Pietro Martire in S. Eustorgio, la chiesa milanese dei domenicani, è il capolavoro di G., al quale egli lavorò assiduamente con aiuti di bottega a partire dal 1335-36 e che concluse nel 1339, come appare scritto sullo stesso monumento.

Se il modello, per la committenza domenicana, era l'Arca di s. Domenico in Bologna eseguita nel 1264-65 dalla bottega di Nicola Pisano, G. trasse ispirazione anche dal monumento sepolcrale realizzato da Giovanni Pisano per la regina Margherita di Brabante, moglie di Enrico VII morta nel 1311 a Genova (Genova, Museo di S. Agostino: Seidel, 1975). Pietro Martire, nuovo santo domenicano, riposa in un sarcofago che è sorretto da pilastri e portatori raffiguranti le otto Virtù, sormontate da un tabernacolo cuspidato in cui appare rappresentato nella fittissima ornamentazione scultorea s. Domenico a fianco della Madonna. Gli otto pannelli scolpiti sul fronte del sarcofago contengono scene della vita di s. Pietro Martire, separate da figure di santi, al di sopra delle quali sono scolpite con alta maestria figure di angeli e di personaggi noti contemporanei, come i committenti. A coronamento del tabernacolo si trovano le figure del Redentore e di due serafini. Data la monumentalità di questa opera G. la realizzò avvalendosi di molti aiuti di bottega: appartengono sicuramente alla sua mano le sculture più in vista, come le otto Virtù, e probabilmente la Madonna con il Bambino, mentre tutte le altre decorazioni e figure testimoniano la formazione di una vera e propria scuola che a partire dai primi anni del soggiorno a Milano si formò grazie alla sua esperienza.

Intorno al 1340 G. fece eseguire dalla sua bottega tabernacoli con statue di santi, per alcune delle più importanti porte di accesso alla città: porta Ticinese e porta Orientale (Castello Sforzesco); altre tre statue (ora al Castello Sforzesco, già a Desio, nella villa Tittoni) provengono da un'altra porta cittadina non identificata. Presumibilmente negli anni 1342-46 G. eresse anche il monumento funebre nella chiesa palatina di S. Gottardo in Corte, per il suo mecenate Azzone Visconti, morto nel 1339.

Il monumento, di cui si sono salvate le parti scolpite, doveva originariamente corrispondere nella sua costruzione a quello di Sarzana: su un piano appoggiato su mensole si trova il sarcofago sostenuto da leoni e sormontato da un baldacchino a forma di tenda che si concludeva con un tabernacolo. Sulla cassa è raffigurato un corteo con le personificazioni del Comune di Milano e della Gallura, dominio visconteo, alle quali rendono omaggio dieci personificazioni di città del Norditalia, presentate dal santo patrono, s. Ambrogio, raffigurato al centro.

Risale a questo periodo anche il progetto di un'opera architettonica, in cui rimane traccia della firma di G. sul portale, datato 1347: l'antica chiesa di S. Maria di Brera, a Milano, dei frati umiliati, demolita nel periodo neoclassico, e di cui si conservano alcuni frammenti anche nel parco di Monza e a Milano (Castello Sforzesco, Civiche raccolte d'arte antica).

La facciata della chiesa milanese di S. Maria di Brera ci è stata tramandata in un'incisione da G. Giulini (Memorie…, V, Milano 1856, pp. 249, 376): nonostante l'iscrizione collocata sul portale con la data 1347 si riferisse a questo, il progetto della facciata è nel suo insieme da attribuire a Giovanni. La facciata, come si rileva dalla incisione menzionata, era costituita da un fronte a capanna monocuspidato, policromo (a fasce trasversali di marmo bianche e nere), ritmata in tre ordini da bifore e trifore lungiformi; a coronamento di essa c'era un tabernacolo nel quale era posta la scultura di S. Giovanni Battista; ai lati del timpano erano inserite le due sculture dell'Annunciazione, delle quali ci sono giunti pochi frammenti (Castello Sforzesco), probabilmente opere di bottega. La realizzazione di questa opera architettonica assume una rilevanza particolare, poiché sulla base di quella soluzione formale, proprio a partire da quegli anni, in ambito lombardo, vengono realizzati edifici religiosi con analogo impianto decorativo e architettonico.

Non avendo più notizie relative alla attività milanese di G. dopo il 1347, salvo il documento già menzionato che lo vede citato come testimone a Milano il 19 nov. 1349, si presume che egli morì dopo questa data, senza fare più ritorno a Pisa, sua città natale.

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