FALOPPI, Giovanni di Pietro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 44 (1994)

FALOPPI (Falloppi), Giovanni di Pietro (Giovanni da Modena)

Andrea De Marchi

La prima menzione sicura di questo pittore, nativo di Modena e attivo prevalentemente a Bologna, risale al 17 luglio 1409, quando è citato come pittore in un testamento (Filippini-Zucchini, 1968), e dunque in maggiore età.

Per identificazioni erronee del F. con altri artisti, dovute ad errate letture di documenti, cfr. L. Arze-G. Giordani, l'Indicaz. storico-artistica delle cose spettanti alla villa legatizia di di S. Michele in Bosco, Bologna 1850, p. 16; F. Malaguzzi Valeri, La chiesa e il convento di S. Michele, Bologna 1895, p. 12 (vedi anche, per la confusione con un miniatore documentato nel 1388 a Milano, presso la Fabbrica del Duomo, Volpe, 1983, p. 213 e nn. 2 e 3 a p. 288).

Il 12 dic. 1410 il F. fu pagato per gli apparati del funerale di Albertazzo Del Bene, un fiorentino legato alla corte del papa Giovanni XXIII, celebrato a Bologna, in S. Francesco il 16 novembre (Zucchini, 1948). Il 13 febbraio dello stesso anno Giovanni Alcherio, agente del duca di Berry, avrebbe dato a copiare alcune ricette tratte "a quodam libello magistri Johannis de Modena, pictoris habitantis in Bononia", note grazie alla trascrizione latina (1431) del notaio parigino Jehan le Begue (Parigi, Bibl. nat., Fonds Lat. 6741, ricette nn. 100-116: Merrifield, 1849; Gheroldi, 1988).

A monte di questa documentazione sono due miniature negli statuti dell'arte dei drappieri, redatti nel 1407 (Bologna, Museo civico medievale, ms. 639): - il frontespizio col Massaro dell'arte che offre il libro a s. Girolamo, alla presenza di s. Agostino e s. Petronio (Volpe, 1983, nota 30 a p. 292) e un'iniziale (c. 3r) con la Resurrezione. Qui sono già in nuce il linguaggio del F. intensamente caratterizzato, grondante di umori nelle fisionomie, la sua pittura liquida e guizzante ma chiusa da profili taglienti e nervosi. Analoghe caratteristiche presenta la miniatura dedicatoria di uno Speculum iudicale di Guillaume Durand, con le Additiones di Giovanni d'Andrea (Vienna, Österr. National-bibl., Cod. Lat. ill. 2048, c. 1r), completato nel 1408 (Medica, 1987, p. 181), che è probabilmente un'altra delle sue prime testimonianze.

Il nome e la fisionomia critica del F. sono essenzialmente legati alla decorazione della cappella Bolognini, la quarta a sinistra in S. Petronio a Bologna, in assoluto uno dei complessi pittorici più importanti che siano sopravvissuti dell'età tardogotica.

Il riconoscimento di questi affreschi al F. è però relativamente recente. Il Vasari (Le vite, 1568, a cura di G. Milanesi, I, Firenze 1878, pp. 506 s.) ne ignorava il vero autore e li riferiva al fiorentino Buonamico Buffalmacco, che non sarebbe riuscito a completarli. Alla disinformazione vasariana si deve il precoce smarrimento di ogni memoria storica del F., nelle stesse fonti bolognesi. Unica eccezione è l'eco raccolta all'inizio del Seicento da Giulio Mancini, che rammenta significativamente nella sua cronotassi un "Giovan da Modena", ma lo colloca a fianco di Guido da Siena, sotto l'anno 1200, come esempio del "primo rinascimento" delle arti (Considerazioni sulla pittura [1617-21], Roma 1956, I, pp. 66, 88, 104). L'ascrizione vasariana degli affreschi Bolognini a Buffalmacco venne contestata nel XVIII sec. dall'erudito Oretti (Bologna, Bibl. Com., ms. B 30: Le pitture nelle Chiese della città di Bologna [1767], c. 215, n.n. 118v) e in seguito si affacciò il nome del F. (Giusti, in Pitture..., 1782, p. 244; Bianconi, 1844; Merrifield, 1849; Ricci, 1882), ma come pura congettura dovuta alla sola vicinanza della cappella dei Dieci di Balia, affrescata dal F. nel 1420-21.

Sulla base di questa unica opera documentata, peraltro difficilmente giudicabile a causa delle pesanti ridipinture, asportate nel 1954 (per le condizioni precedenti, cfr. Supino, 1938, tavv. VI-VII), il Toesca (1912) e poi, con maggiore decisione, il Longhi (10934) sono stati in grado di rivendicare la paternità del F. per il ciclo Bolognini. Recenti ritrovamenti, come l'individuazione del S. Bernardino pagato al pittore nel 1451 (Volpe, 1983, p. 271 e nota 39 p. 294) e la scoperta della firma "Iohanes de Mutina P[inxit]" su di un trittico di collezione privata torinese (raffigurante la Madonna dell'Umiltà fra s. Giovanni Battista e s. Biagio e, nelle ante, L'Annunciazione, s. Onofrio, s. Leonardo, s. Nicola, s. Antonio Abate, s. Michele, s. Andrea, un santo martire cavaliere e s. Chiara) hanno confermato, offrendo ulteriori probanti confronti, l'esattezza di quella rivendicazione.

Al Longhi (1934) si deve la prima rivalutazione moderna della posizione del F., protagonista assoluto di un'intera stagione della pittura a Bologna ed in genere in Emilia, quella gotico-internazionale: anche gli accenti violentemente espressivi, che avevano ispirato il deprezzamento degli stessi affreschi Bolognini (Filippini, 1916; Arslan, 1931), venivano finalmente compresi in linea con la più alta tradizione trecentesca bolognese, che avrebbe consentito al F. di distinguersi nettamente dalla "squisitezza 'cortese' e quasi morbida di Stefano, di Gentile, di Michelino, del Pisanello" (Longhi, 1934, p. 17). In tale fortunata lettura l'espressività accesa ed eloquente del F. interpreterebbe esemplarmente una realtà comunale ancora viva, pur tra mille difficoltà, come quella di Bologna all'inizio del '400.

Il committente del F., Bartolomeo Bolognini, morto il 2 luglio 1411, aveva predisposto la decorazione della cappella familiare in S. Petronio nel testamento rogato il 10 febbr. 1408: se incompiuta alla sua morte la si facesse dipingere "per unum bonum pictorem", da lui non specificato (Frati, 1910). Minuziosa è viceversa la prescrizione del programma iconografico, che venne rispettato dall'artista.

Alle raffigurazioni sovrapposte del Paradiso (l'Incoronazione della Vergine fiancheggiata dalle Gerarchie angeliche e dalla Gloria dei santi) e dell'Inferno sulla parete sinistra corrisponde sull'altra parete uno dei cicli più grandiosi ed articolati che siano mai stati dedicati alla Storia dei magi, in otto riquadri su quattro registri; sull'arco d'ingresso sono un gigantesco S. Cristoforo e l'Annunciazione, all'esterno, e la Resurrezione dei morti all'interno. La parete di fondo è occupata dalle Storie della vita di s. Petronio. Il primo episodio, nella lunetta, tradizionalmente citato come l'Elezione di Giovanni XXIII, rappresenta in realtà l'Elezione di s. Petronio a vescovo di Bologna da parte di papa Celestino I (i due personaggi sono infatti nimbati), ma come prefigurazione dell'elezione di Giovanni di Michele, abate di S. Procolo, a vescovo di Bologna, il 2 nov. 1412, da parte di Giovanni XXIII (il cui nome è iscritto chiaramente in un cartiglio; cfr. Volpe, 1983, p. 242; Kloten, 1986, pp. 38-46): la decorazione dovette perciò iniziare dopo il 2 nov. 1412, ma prima del 29 marzo 1415, data in cui Giovanni XXIII venne deposto dal concilio di Costanza.

A quelle date il linguaggio accesamente gotico del F. non aveva premesse immediate in Bologna, e anzi suona chiaramente polemico rispetto al linguaggio trecentesco, riformato in senso antigotico, dei pittori documentati nel primo ventennio di lavori nel cantiere di S. Petronio, avviato nel 1390: Lippo di Dalmasio, Giovanni di Ottonello, Iacopo di Paolo e Francesco Lola. Non è improbabile che per ciò abbia pesato anche un rapporto col pittore veneziano Nicolò di Pietro che nel 1404 lavorava per la Romagna (Croce in S. Agostino di Verucchio) e che in quegli anni era fortemente legato all'ambiente bolognese (De Marchi, in Boll. d'arte, 1987). Ma determinante fu soprattutto l'attenzione agli scultori più moderni, forse lombardi ma aperti ad influenze borgognone, che stavano lavorando alle basi dei finestroni lungo i fianchi di S. Petronio (Grandi, 1983); nella caratterizzazione irsuta ed impetuosa degli affreschi Bolognini si riconoscono infatti legami puntuali con quei rilievi (cfr. Volpe, 1983, p. 242 e passim). Inoltre, secondo gli ultimi studi, il F., in particolare nel ciclo Bolognini, sarebbe comunque condizionato dalla cultura neogiottesca ancora egemone a Bologna (ibid.); più specificatamente, gli scorci audaci ed esibiti di tante figure presuppongono la riforma neogiottesca di Jacopo Avanzi, protagonista della pittura bolognese della seconda metà del '300 (vedi per esempio, il cavaliere lanciato in corsa nel Congedo dei magi da Erode). La stessa vistosa incorniciatura illusionistica, con finti mensolati prospetticamente scorciati e colonne tortili, appartiene ad un esplicito revival neotrecentesco (Matteucci, 1988). Sono però dati di cultura rielaborati in chiave opposta, di espressività infuocata e di teatralità esagitata, si da imporre una sterzata alla cultura pittorica bolognese più avvertita. Gli affreschi Bolognini sono dunque il manifesto provocatorio non solo di un generico aggiornamento al linguaggio gotico-internazionale, ma dell'elaborazione di una variante affatto originale, bolognese, distinta per la scarsa propensione a notazioni diffusamente naturalistiche e d'ambiente, fin arcaizzante nell'astrattezza dei paesaggi spogli e rocciosi, eppure capace di improvvisi sorprendenti inserti realistici, come nella famosa scena di porto cui dà spunto il Ritorno dei magi per mare.Il seguito immediato è nel trittico firmato, già citato, di collezione torinese, dove la Madonna dell'Umiltà su di un poggio cinto d'arbusti è motivo iconografico di origine veneziana, nella Croce già in S. Francesco (Bologna, Pinacoteca nazionale), riconosciuta al F. dal Longhi (1934), dov'è la stessa potenza sfogata e risonante del ciclo Bolognini, e in due affreschi in S. Petronio, sui pilastri tra la prima e la seconda cappella a destra (Incredulità di s. Tommaso) e a sinistra (Madonna tra s. Antonio abate e s. Caterina, la Carità e un'Allegoria della buona e della cattiva morte). L'operosità nel grande cantiere petroniano è attestata poi da un S. Lorenzo nella cappella della Società dei notai (la quarta a destra) precedente il 1419 (perché sottomesso all'intonaco di un affresco del Lola recante quella data) e da un affresco votivo iscritto "Ioh[ann]es petri d[e] Mutina p[inxit] 1420" nella cappella di S. Maria della Pace (la prima a destra), di cui non rimane praticamente più nulla (Zucchini, 1934).

Il 18 dic. 1420 (ibid.) fu commissionata al F. la pittura delle due pareti laterali della cappella dei Dieci di balia in S. Petronio (la prima a sinistra), dedicata a S. Giorgio (quindi a S. Abbondio), secondo quanto delineato in un modelletto ("in quodam folio ... grosso modo figurato"; Filippini-Zucchini, 1968), nonché il rivestimento in oro fino degli stemmi dei Dieci, già scolpiti lungo lo zoccolo nel 1397. L'esecuzione risale probabilmente al 1421. Sulle due pareti sono raffigurate complesse allegorie: a sinistra la Redenzione (il "Lignum vitae" col Cristo in croce, ai piedi il Peccato originale e personaggi dell'Antico Testamento, la Vergine accompagnata da vari apostoli e santi); a destra la cosiddetta Lebende Kreuz (Croce vivente), la Crocifissione che opera il trionfo della Chiesa sulla Sinagoga (cfr. Bensi-Montiani Bensi, 1983-84). Molti sono, nel terzo decennio del secolo, i documenti concernenti lavori di vario genere, più o meno impegnativi, per il papa e per il legato (Filippini, 1933), per il Comune, per S. Michele in Bosco (un Crocefisso e due candelieri, 1421-22; cfr. Oretti, 1760-80 e Zucchini, 1943), per la Società dei notai (Filippini-Zucchini, 1968); fra tutti è particolarmente significativo il pagamento da parte della Fabbrica di S. Petronio, il 9 ag. 1425, per aver riportato a grandezza naturale, sulla parete provvisoria che allora chiudeva la basilica all'altezza della terza campata, il "designo de la porta", già fornito da Iacopo della Quercia (Beck, 1970).

Questo stretto rapporto di lavoro può aver inciso nello stesso percorso del multiforme scultore senese: è stato suggerito in particolare come in alcuni profeti degli sguanci del portale, eseguiti per primi, emergano ricordi del "gotico selvaggio e quasi irsuto" del F. (Bellosi, 1983).

A questo periodo, ricco di documentazione, appartengono le Madonne del Louvre (Laclotte, 1987), della collezione Strozzi Sacrati a Firenze ed un'altra di ubicazione ignota (Bellosi, 1969), i Ss. Cosma e Damiano della Staatliche Gemäldegalerie di Berlino (Longhi, 1934), parti di un polittico in cui si inseriva pure un S. Giovanni Battista e donatore già a Barcellona in coll. Valenciano (Boskovits, 1988) e diversi affreschi votivi a Bologna, in S. Giovanni al Monte (Longhi, 1934), nel chiostrino delle Madonne alla Certosa (ibid.) e nel convento di S. Maria dei Servi (cfr. scheda di D'Amico, in Il tempo..., 1988).

Nel terzo decennio il linguaggio del F. si era oramai decisamente affermato, lasciando riflessi espliciti a Bologna (come, già nel 1419, in un affresco di F. Lola, nella cappella di S. Brigida in S. Petronio) e fuori Bologna (ciclo di S. Caterina alla Sagra di Carpi, riferito allo stesso F. da Bottari, 1958; o le opere a Padova del presunto Stefano da Ferrara, autore tra l'altro di alcune tavole già credute del F. come la Crocifissione del Museo di palazzo Venezia a Roma o il dittico Aynard-Longhi [Volpe, 19831]. Forte è l'influenza del F., intorno al 1420, sulla formazione del miniatore Luchino Belbello da Pavia, verificabile nelle sue opere giovanili (cosiddetto Maestro di S. Michele a Murano), e del pittore bolognese Michele di Matteo (De Marchi, in Prospettiva, 1987).

La documentazione bolognese del F. (riportata da Filippini-Zucchini, 1968) prosegue fitta in quegli anni: del 1428 era un affresco con la Natività del Battista, distrutto, descritto dal Lamo (1560) "rincontra a la porta de la sagristia", "de man de Ioano Falopia da Modena". Il 2 ott. 1428 è pagato insieme con Andrea di Bartolomeo, Antonio dall'Oro, Michele e Pietro di Giovanni Lianori per la pittura dei vessilli del gonfaloniere e del Comune; il 28 sett. 1429 riceve dalla Fabbrica del palazzo degli Anziani i soldi per l'acquisto della calcina, "per fare una figura"; il 22 apr. 1434 la Compagnia dì S. Maria del Baraccano gli accorda 3 lire per il restauro di un "telaro" con l'immagine della Vergine. Nonostante l'assenza di saldi punti di riferimento fino al 1451, data del S. Bernardino della Pinacoteca nazionale di Bologna, sì può ricostruire, nel corso degli anni Trenta, il graduale riflusso del F., da una posizione d'avanguardia e di rottura verso una figurazione meno grintosa e spettacolare, più gracile. Ne sono prova opere come lo Sposalizio della Vergine già a Parigi in coll. Sambon (Longhi, 1934) o la decorazione assai guasta, con scene allegoriche e cortesi, nella torre di Passerino Bonacolsi nel castello dei Pio a Carpi, accostata al F. da Volpe (1983. p. 292 n. 30) e direttamente riferitagli da De Marchi (in Prospettiva, 1987, p.21), dove è dipinta nella volta un'aerea crociera vegetale e sulle cui pareti una finta balaustra apre tutt'intorno verso un unico paesaggio percorso da cavalcate signorili, con un'idea memore delle potenti scenografie della cappella Bolognini.

Dello stesso periodo sono una Madonna col Bambino e due angeli, affrescata in S. Francesco a Carpi (Padovani, 1974), una Madonna già in collezione milanese (Cinotti, 1964), un'altra nel convento bolognese del Corpus Domini (De Marchi, in Prospettiva, 1987, p. 34 n. 54) e la serie di Santi divisa tra la Compagnia dei Lombardi a Bologna (Longhi, 1934) e la Pinacoteca nazionale di Ferrara (Volpe, 1977). La documentazione del F. riprende nel 1441 (registrata sempre in Filippini-Zucchini, 1968): il 10 gennaio risulta iscritto, insieme col figlio Cesare, alla matricola bolognese delle quattro arti; il 24 aprile riceve la dote della fidanzata del figlio, Cecilia Rainieri; il 6 marzo 1449, in un processo per superstizione, viene citata una sua tavola con S. Sebastiano (tra i dipinti più tardi è appunto un S. Sebastiano già a Venezia in coll. Cini; Volpe, 1983). Una serie di documenti del 1451 si riferiscono alla commissione, per la cappella di S. Bernardino in S. Francesco, di uno "telaro de la figura di S. Bernardino" (Filippini-Zucchini, 1968). Solo recentemente (F. Bisogni, al Simposio bernardiniano di Siena, 1980: cfr. Pavone-Pacelli, 1981; Volpe, 1983, nota 39 a p. 294) è stato riconosciuto in un dipinto depositato presso la Pinacoteca nazionale di Bologna, prima erroneamente riferito a Michele di Matteo. La notizia, riportata dalle Pitture ... di Bologna (1782, p. 97), per cui l'intera cappella di S. Bernardino sarebbe stata affrescata dal F. nel 1456 (quando in realtà era già morto) o nel 1451 (ed. 1792, p. 104) è forse frutto di un equivoco e poteva riferirsi originariamente alla stessa pala. L'opera, assai deperita, raffigurante il santo attorniato da episodi della sua vita, viene dunque ad aggiungersi come ulteriore punto di riferimento certo per la ricostruzione del F. che peraltro, a quella data, mostra d'aver ormai disperso la potenza delle immaginazioni giovanili. Altrettanto diminuita e accalcata è l'impaginazione degli affreschi rimurati nel presbiterio della chiesa del Crocifisso nel complesso di S. Stefano, con l'Andata al Calvario e la Crocifissione (Longhi, 1934).

Fino al 1452, quando viene chiamato in causa, il 9 giugno, per ratificare un contratto del figlio Cesare (Filippini-Zucchini, 1968), il F. è documentato esclusivamente a Bologna, dove risiedeva. Ma era sempre "civis mutinensis" e probabilmente perciò non rivestì mai cariche ufficiali a Bologna. Nel 1453, per la prima volta, lo troviamo a Modena: la Fabbrica del duomo lo paga per il restauro e la pittura della vetrata del grande rosone (Baracchi Giovannardi, 1987), dove è stato ravvisato, su base stilistica, un suo intervento (Acidini Luchinat, 1984) nelle figure, pur ampiamente restaurate, del Dio Padre, di S. Gemignano e dell'Annunciazione; il 30 settembre dello stesso anno è pagato per l'affrescatura delle volte, di cui rimangono magre testimonianze in un acquerello del 1888 e in una fotografia di fine '800 (Baracchi, 1988). Il 24 genn. 1454 è ricordato, sempre a Modena, per il completamento della decorazione di un altare posto contro una colonna del duomo, affidatagli da Cristoforo di Guglielmo Ronchi (Baracchi Giovannardi, 1987). La morte sopraggiunse non molto dopo a Bologna, tra il 4 dic. 1454 e il 23 ott. 1455, come si deduce dai documenti concernenti il figlio Cesare.

Cesare è documentato per la prima volta a Bologna il 10 genn. 1441, in quanto iscritto alla matricola delle quattro arti, insieme col padre (Filippini-Zucchini, 1968: a questo testo si rimanda per tutti i documenti quando non sia diversamente indicato). Il 24 aprile dello stesso anno riceve la dote della fidanzata Cecilia di Bartolomeo Rainieri. Il 22 ott. 1447 viene pagato per la pittura di un S. Michele nel presbiterio di S. Michele in Bosco. Il 9 giugno 1452 si impegna a policromare per Michele di Pietro Tedesco una scultura lignea con la Madonna e il Bambino, rintracciata nel convento bolognese di S. Giovanni Battista dei celestini (comunicazione di M. Ferretti, cfr. Negro, 1988, p. 103 n. 15). Il 17 settembre seguente riceve lire 302 soldi 13 da fra' Battista Bonomini di Forlì per la fabbricazione e pittura delle vetrate dell'abside di S. Maria dei Servi. Nel 1453 dipinge nella cappella Bessarione della Madonna del Monte (Zucchini, 1939). Il 28 novembre e il 4 dic. 1454 gli viene corrisposto il saldo per la vetrata di un oculo nel palazzo degli Anziani. Nel primo trimestre del 1456 è nominato massaro delle quattro arti. Un'ultima menzione, molto più tarda, è del 1484, quando dipinge nella chiesa olivetana di S. Michele in Bosco. Un unico dipinto superstite, una Madonna col Bambino già a Torino in coll. Gualino firmato sulla base del trono "cexar ioh(ann)is de falopiis", assai ritoccato, ce lo mostra mediocre prosecutore dei modi del padre (ill. in Negro, 1988, p.98; vedi anche ill. in W. AngelelliA. G. De Marchi, Pittura ... nelle fotogr. di Girolamo Bombelli, Milano 1991, p. 140). Stessi caratteri presenta un'Adorazione dei magi già a Carate Brianza in coll. Galli (ibid., p. 26).

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