GIOVANNI di San Paolo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 56 (2001)

GIOVANNI di San Paolo

Laura Gaffuri

Monaco benedettino, nacque presumibilmente intorno alla metà del XII secolo; appare dubbia la sua appartenenza, a lungo ipotizzata sulla scorta di Mariano da Firenze, alla famiglia Colonna.

L'epiteto "de Sancto Paulo", spesso accostato al suo nome, fa ritenere che egli avesse fatto la sua professione religiosa nel monastero romano, anche se non risulta che all'interno di questo stesso cenobio egli avesse ricoperto il ruolo di abate (cfr. in tal senso Trifone). La sua biografia è ulteriormente complicata dall'esistenza, nei primi anni del Duecento, di altri tre cardinali di nome Giovanni: Giovanni di San Clemente, Giovanni da Ferentino, Giovanni Colonna, non di rado confusi gli uni con gli altri insieme con i rispettivi uffici.

Così è accaduto per esempio per la famo-sa miniatura del Reg. Vat. 5, c. 49r, che orna l'iniziale di una concessione a favore del priore del Sacro Speco presso Subiaco (24 febbr. 1203), in cui sono rappresentati Innocenzo III e un "dominus cardinalis Iohannes" identificato con Giovanni da Ferentino, cardinale di S. Maria in Via Lata, ma nel quale va ravvisato invece G., che avrebbe agito in qualità di cardinale intercessore a favore dell'antica comunità monastica (Cheney). Proprio il ruolo di cardinale intercessore, e dunque l'ipotesi dell'identificazione, parrebbe confermato da due episodi della biografia di G.: la petitio indirizzatagli nel 1197 da parte dei monaci di Canterbury che, appellandosi alla Curia per la soluzione della lunga contesa con il loro arcivescovo, si affidavano all'intercessione di G. e la mediazione svolta da G. presso il papa a favore di Francesco d'Assisi e dei suoi compagni.

Poco noto è anche il curriculum studiorum e intellettuale di G., identificato dal Rose ai primi del Novecento con l'omonimo celebre maestro salernitano, particolarmente apprezzato da Gilles de Corbeil: G. avrebbe quindi fatto parte della cerchia di medici presenti alla corte pontificia nella prima metà del Duecento. Proprio a lui si riferirebbe, secondo il Kristeller, il soprannome poetico Castalius usato da Gilles de Corbeil. A favore dell'identificazione dei due personaggi depone, secondo Sudhoff e Paravicini Bagliani, una nota relativa alla scuola medica di Salerno contenuta nella conclusione del commentario duecentesco al De urinis di Gilles de Corbeil, tradito dal ms. 178 della Gräflich-Schönbornsche Bibliothek di Pommersfelden (scoperto da Sudhoff), dove si accenna all'esistenza di un "Iohannes de Sancto Paulo, cardinalis et episcopus Albanus". Il commento di Gentile da Foligno al De urinis di Gilles de Corbeil, presente nel manoscritto Marc. Lat. VII, 19 (= 3600) della Biblioteca nazionale Marciana di Venezia, rinvia invece a un "Platearius", identificato dal Valentinelli con Giovanni di San Paolo. Sulla base dell'identificazione operata sulla scorta del manoscritto di Pommersfelden (peraltro imprecisa, poiché in quegli anni era vescovo di Albano un altro Giovanni, cardinale di S. Clemente) vengono quindi attribuiti a G. alcuni testi di medicina, quali il Liber de simplicium medicinarum virtutibus, il Breviarium o Practicade signis morborum, i Flores diaetarum, il De carnibus, le Diete particulares.

Monaco e medico, G. fece dunque parte di quel gruppo di ecclesiastici a cui l'attività e le conoscenze nel campo della medicina dischiusero, tra la fine del XII secolo e il secolo successivo, le porte della Curia pontificia. Elevato al cardinalato tra il 1192 e il 1193, egli comincia a comparire nella documentazione come diaconus cardinalis dal 14 marzo 1193, e nel maggio dello stesso anno divenne per successione cardinale prete con il titolo di S. Prisca (la prima firma è del 28 maggio). Il 1° ott. 1193 G. era presente insieme con gli altri cardinali alla canonizzazione di Giovanni Gualberto, già abate di Passignano e fondatore di Vallombrosa. Intanto, dal 25 luglio 1193 al 10 sett. 1197, il suo nome compare di frequente nelle sottoscrizioni cardinalizie, e gli vennero affidati numerosi incarichi nel tribunale della Curia.

Nel 1193 (ma il Kehr indica il 1191) G. arbitrò, insieme con il cardinale Pietro di S. Cecilia, la contesa tra l'abate Gregorio di S. Michele di Passignano e Monaldo pievano di S. Maria di Figline: il conflitto giurisdizionale, causato dai diritti e dalle proprietà che il monastero deteneva nel plebanato e nella città di Figline, si concluse a favore dell'abate, ma ancora nell'aprile del 1194 il papa doveva richiamare il pievano di S. Maria di Figline all'esecuzione della sentenza emessa dai due cardinali. Sempre nel 1193 G. fu uditore, insieme con i cardinali Pietro vescovo di Porto, Giovanni di S. Stefano sul Celio e Goffredo di S. Prassede, nella vertenza relativa all'episcopato di Montepeloso.

Si trattava, ancora, di un conflitto giurisdizionale e i cardinali dovettero confermare le costituzioni con le quali, nel 1123, Callisto II aveva restituito alla chiesa di S. Maria di Montepeloso l'antica dignità vescovile annullandone l'unione, voluta dal vescovo di Acerenza, alla chiesa suffraganea di Tricarico. E di una definizione giurisdizionale trattava anche la sentenza emessa dagli stessi cardinali, e approvata dal papa il 13 dic. 1193, in merito alla dipendenza della chiesa di Montepeloso dal monastero della Casa di Dio.

Nell'agosto 1194, insieme con il cardinale Giovanni di S. Clemente, G. intervenne nella contesa tra il vescovo di Gallipoli e l'abate del monastero di S. Maria di Nardò circa i diritti parrocchiali e decimali. Nel luglio 1195 G. fu uditore nella causa tra il capitolo dei canonici di Ferrara e i monaci di S. Romano sul canto della Messa, e nel dicembre dello stesso anno intervenne ancora come uditore nel ricorso presentato dal monastero di S. Lorenzo in Panisperna. Nel 1196 confermò la sentenza di Oberto (II), arcivescovo di Milano, che richiamava il magister e i conversi dell'ospedale di S. Simpliciano all'obbedienza nei confronti dell'abate.

Si tratta dunque di interventi nella vita di chiese e monasteri, nei quali l'inquisitio condotta dai cardinali era funzionale al ruolo di arbitro che il Papato svolgeva nei confronti dei conflitti giurisdizionali che sorgevano sempre più numerosi tra clero secolare e regolare a causa del ridefinirsi delle funzioni di chiese, cappelle e monasteri all'interno delle antiche circoscrizioni pievane. La frequenza e la natura di questi interventi, oltre a informare sulla politica papale alla fine del XII secolo nei confronti dei rapporti tra clero secolare ed enti monastici, documenta il rilievo del ruolo di G. nella Curia romana. La stima di Celestino III nei suoi confronti andò però oltre, tanto da farne uno dei suoi collaboratori più stretti e un successore in pectore allo stesso seggio pontificale. Nella sua Chronica, Ruggero di Hoveden racconta che G. poteva fare le veci del papa, con la sola esclusione della consacrazione dei vescovi che spettava al vescovo di Ostia. E forse fu proprio per averlo accanto a sé in Curia che il papa non gli affidò incarichi diplomatici, cercando anzi in tutti i modi di preparare la sua successione al proprio pontificato. Ancora Ruggero di Hoveden ricorda infatti che il pontefice aveva presentato le proprie dimissioni al Collegio cardinalizio in cambio della successione di G. al soglio pontificio. Su questa proposta i cardinali si erano divisi, ma la risposta fu infine negativa. Lo stesso giorno in cui Celestino III morì, l'8 genn. 1198, i cardinali elessero come suo successore Lotario di Segni.

Il pontificato di Innocenzo III costituì per G. il momento dell'immissione nell'intensa attività diplomatica della Curia pontificia. Nel marzo 1198, dunque poco dopo la consacrazione, il nuovo pontefice affidava a G. la questione più spinosa apertasi dopo la morte di Enrico VI e, a pochi mesi di distanza, di papa Celestino, ossia l'assetto della Marca anconitana. Inviato nelle Marche come legato della Sede apostolica al fianco del cardinale Cencio Savelli, del titolo di S. Lorenzo in Lucina, G. ebbe l'incarico di difendere gli interessi della Chiesa contro il siniscalco imperiale Marquardo di Anweiler. Secondo la testimonianza dei Gesta Innocentii, la preoccupazione del pontefice era l'esecuzione delle ultime volontà imperiali che avrebbero ingiunto a Marquardo di riconoscere l'autorità papale sulla Marca di Ancona.

Come è noto, sull'intera vicenda pesarono sia l'urgenza di far fronte alle rivendicazioni di autonomia dei Comuni marchigiani, sia il desiderio del papa di affermare in modo assoluto la propria supremazia in quei territori. Ai primi mesi del 1199 risalgono le iniziative dei due legati per la creazione di un esercito e di uno schieramento filopontificio, attraverso la stipula di accordi con alcune città della Marca anconitana (Fermo, Jesi). Questa fase della legazione, che vide anche la scomunica lanciata nel 1198 su Marquardo dai due legati, ebbe un primo epilogo nell'estate del 1199, con il giuramento di fedeltà da parte del siniscalco imperiale e l'annullamento della scomunica da parte del papa. Di lì a poco tuttavia, dopo la morte di Costanza d'Altavilla, Marquardo scendeva in Sicilia a rivendicarne la reggenza e lasciava a Innocenzo III il difficile compito di gestire le autonomie comunali delle città della Marca e di contrastare le ambizioni egemoniche degli Hohenstaufen nell'Italia meridionale. L'impegno di G. nella legazione nella Marca anconitana si protrasse per tutto il 1199: il 17 nov. 1199 egli è ancora documentato come legato apostolico facente le veci del papa.

A causa dell'intenso impegno diplomatico, G. rimase invece lontano in questo periodo dalle interrogazioni che giungevano quotidianamente alla Curia romana; la soluzione della contesa tra i canonici e il priore della collegiata di S. Lorenzo di Spello, nella diocesi di Spoleto, affidata da un atto del 1° febbr. 1199 a G. e a Cencio Savelli, vedeva entrambi i cardinali costretti ad affidarne a loro volta la soluzione a due giudici di Spello. In Curia, le sottoscrizioni cardinalizie di G. riprendevano invece dal 4 luglio 1199, e l'11 dello stesso mese ricominciava la sua opera nel tribunale di Curia: con l'inquisitio sul vescovo eletto di Piacenza per la conferma; o, ancora nel 1199, con la soluzione della controversia fra il vescovo di Numana e il monastero di S. Salvatore di Val di Castro, in diocesi di Camerino, o, il 7 febbr. 1200, con la causa riguardante l'elezione del vescovo di Sutri. Nel 1200 G. avrebbe anche ricoperto, secondo il Bihl (seguito dal Paschini) e per la testimonianza di Giraldo di Cambrai, il ruolo di penitenziere papale: sulla tomba del fratello Pietro di Barri, Giraldo avrebbe letto il responso dato alle sue richieste da G. "cardinalis qui confessiones pro Papa tunc recipiebat", testimonianza quest'ultima che, a parere di Goeller, costituirebbe il documento più antico sulla Penitenzieria papale.

Chiusa dunque la legazione marchigiana e ripresa l'attività ordinaria in Curia, a G. fu assegnata presto una nuova missione, questa volta in Francia, per affrontare due questioni ugualmente di centrale importanza nella politica innocenziana d'inizio secolo. La prima, nel Sud della Francia, a sostegno della crociata antiereticale. In una lettera del 12 luglio 1200, la "missio" di G. "in Narbonensem provinciam" appare già avviata e il pontefice trasmette al suo legato istruzioni circa il modo di agire, in particolare, non solo contro gli eretici ma anche contro i loro sostenitori e fautori. Gli argomenti della lettera dovevano essergli familiari, se fu G. a redigere le prime lettere di Innocenzo III per la crociata oltre che, prima, quelle di Celestino III. In autunno, G. era ancora in Francia dove lo raggiungeva una lettera del papa con nuove istruzioni riguardo alla crociata (Potthast, n. 1177); nel mese di dicembre Innocenzo III gli affidava un ulteriore incarico da svolgere a fianco del cardinale Ottaviano dei conti di Segni, vescovo di Ostia. Chiamandolo "conjudicem nostrum tempore competenti" (Migne, CCXIV, col. 890), il papa inviava il suo legato a Soissons perché intervenisse a sostegno della validità del matrimonio fra Filippo II Augusto e Ingeborg di Danimarca, avvertendolo però di non procedere "ad decisionem […] donec ipsa regina plene fuerit ad honorificentiam regiam et libertatem restituta" (Potthast, n. 1218). Una nuova lettera del febbraio-marzo 1201 illustrava le direttive papali a entrambi i legati, in attesa di poter procedere all'esame della causa. Come ricorda la ContinuatioAquicinctina, che chiama G. "monachus nostri Ordinis", il cardinale giunse a Soissons nel maggio 1201, dove fu accolto solennemente nella chiesa dei Ss. Gervasio e Protasio dal re e dagli arcivescovi e vescovi del Regno riuniti in concilio. Secondo il racconto, G. avrebbe respinto i doni del re per non rinviare il colloquio e sarebbe stato testimone di un evento miracoloso che, stando sempre alla Continuatio, provocò il rinvio della decisione; in tale occasione infatti si fece avanti, per difendere la regina, "quidam ignotus pauper clericus" che "causam regine ita litteratissime dilucidavit, ut ipsi regi et cardinalibus omnibusque episcopis fieret admirationi. Qui post nec ante in eadem civitate a nullo dicitur visus fuisse. Rex vero non expectato secundum decreta sanctorum patrum ecclesiastico iudicio, recessit a colloquio. Cardinales etiam et episcopi reversi sunt ad propria, causa nondum terminata".

Ancora il 1° luglio 1201 G. era in Francia, impegnato nel sostenere la crociata contro gli eretici, come attesta una lettera inviata dal pontefice a Guglielmo signore di Montpellier perché assistesse il legato papale (Potthast, n. 1420). Il suo ritorno a Roma dovette avvenire di lì a poco, come documenta la ripresa sia delle sottoscrizioni, sia dell'attività nel tribunale di Curia: il 10 maggio 1202 (e ancora il 31 ottobre) egli intervenne nella questione della nomina dell'arcidiacono della cattedrale di Verona; e alla fine del febbraio 1204 agì come uditore nella causa tra il priore della chiesa di S. Stefano di Fano e l'ordinario diocesano. Come cardinale di S. Prisca, G. sottoscrive fino al 2 dic. 1204. Tra la fine dello stesso anno e l'inizio del successivo, egli veniva innalzato all'episcopato della Sabina: in tale veste egli sottoscrive a partire dal 9 genn. 1205.

L'episcopato della Sabina fu una gestione impegnativa per G., tanto che egli dovette chiedere l'aiuto del pontefice per poterlo risollevare economicamente e reintegrare nelle sue giurisdizioni. È il caso della controversia con il monastero di Farfa, noto da due atti redatti a Viterbo il 4 ag. 1209 e riguardanti le chiese di S. Vito e di S. Angelo, con i rispettivi beni e pertinenze, site nella diocesi della Sabina ma soggette temporalmente all'abbazia di S. Salvatore. La soluzione data dal pontefice fu di riconoscere la giurisdizione spirituale del vescovo, ma lo ius in temporalibus dell'ente monastico. E una lettera del 13 apr. 1209, pur riferita al caso della chiesa di S. Nicola, lascia intuire un processo di riordinamento generale in atto nella diocesi al fine di chiarire dipendenze e immunità.

All'impegno nella diocesi G. continuava ad affiancare la sua presenza in Curia come documentano le sottoscrizioni: il 10 giugno 1207, egli compare come esecutore testamentario delle ultime volontà del cardinale Gregorio Crescenzi; il 6 ott. 1208, a Ferentino nel palazzo del vescovo, egli è presente con gli altri cardinali alla celebre investitura di Riccardo, fratello del papa, a conte di Sora. Si apprende inoltre dagli Annales Casinenses che qualche mese prima, il 25 luglio, G. faceva ancora parte dei curiales che accompagnavano il papa e che fu proprio il vescovo della Sabina a tenere un sermone al posto del papa quando questi, di ritorno da Montecassino e affaticato dalla calura estiva, si fece sostituire nella celebrazione della messa da lui e dal vescovo di Albano.

Al tempo dell'episcopato della Sabina risale un altro importante capitolo della vita di G.: l'incontro con Francesco d'Assisi. La memoria è tramandata dall'agiografia francescana: la Vitaprima di Tommaso da Celano, la Legenda maior di Bonaventura, la De inceptione dell'Anonimo Perugino, la Legenda trium sociorum.

Vi si racconta che G. aveva appreso dall'amico e vescovo di Assisi, Guido, la scelta religiosa di Francesco e dei suoi compagni, e aveva quindi espresso il desiderio di incontrarli quando l'assisiate e alcuni compagni erano giunti a Roma; dall'incontro il cardinale aveva tratto un'impressione così positiva da chiedere di essere considerato "unum de […] fratribus" (Anonimo Perugino, p. 1337) e da offrirsi come loro "procurator" presso la Curia. Bonaventura racconta che, facendosi portavoce presso il papa e i cardinali del progetto di Francesco e dei suoi compagni, G. avrebbe assimilato un eventuale rifiuto nei confronti della proposta di Francesco a una bestemmia: "cavendum est nobis, ne in Christi Evangelium offendamus […] si petitionem pauperis huius tamquam nimis arduam novamque refellimus, cum petat confirmari sibi formam evangelicae vitae" (Legenda maior, p. 801). E sia l'Anonimo Perugino, sia la Legenda trium sociorum raccontano che G. aveva espresso al papa la propria convinzione che, per mezzo di Francesco, Dio volesse "per universum mundum totam suam Ecclesiam renovare" (Anonimo Perugino, p. 1337; Legenda trium sociorum, p. 1421). L'agiografia attribuisce inoltre a G. il merito di avere ottenuto la tonsura per Francesco e la sua fraternitas, e di avere premuto perché essi "regolarizzassero" la loro esperienza religiosa attraverso uno dei canali istituzionali già esistenti: Tommaso da Celano ricorda sia il tentativo di G. di convincere Francesco "ut ad vitam monasticam seu eremiticam diverteret", sia la risposta negativa di questo che "altiore desiderio ferebatur" (p. 306).

Le sottoscrizioni di G. come "Sabinensis episcopus" giungono fino alla lettera inviata il 21 apr. 1214 da papa Innocenzo III al re Giovanni d'Inghilterra. G. morì poco dopo e comunque prima del novembre 1215, quando fu aperto il IV concilio Lateranense, dal momento che il suo nome non compare nell'elenco dei cardinali presenti. L'anno dopo risulta già un altro titolare dell'episcopato di Sabina.

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