BOTTARI, Giovanni Gaetano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 13 (1971)

BOTTARI, Giovanni Gaetano

Armando Petrucci
Giuseppe Pignatelli

Nato a Firenze il 15 genn. 1689 da Antonio e da Anna Morelli, iniziò a dieci anni lo studio dell'eloquenza e della lingua latina sotto la guida di A. M. Biscioni. Quindi, dopo aver studiato un anno la filosofia, non approvando il metodo aristotelico con cui gli veniva insegnata, preferì seguire i corsi di teologia presso i domenicani di S. Marco, ove venivano commentate le opere di s. Tommaso (1704-08). Continuò poi da solo lo studio della filosofia, della fisica e della matematica, e imparò anche il greco avendo per maestro A. M. Salvini. Abbracciato in data non precisabile lo stato clericale, ricevette il 20 ag. 1716 la mozzetta teologale e fu accolto nell'università dei teologi. In questo periodo dirigeva la stamperia granducale, presso la quale curò l'edizione Benedicti Averani Florentini Dissertationes... (Florentiae 1716-17, in tre volumi in folio), annotata in tre anni di lavoro (Cod. Cors. 1907, c. 6: a G. Del Papa, 17 marzo 1716). Avverso ai gesuiti, ne critica fin d'ora i metodi d'insegnamento (Cod. Cors. 1904, c. 6v: a Biscioni, 10 giugno 1714); mostra ammirazione per l'erudizione storico-ecclesiastica del Ruinart e del Mabillon; si schiera a favore del Grimaldi nella polemica antiaristotelica (Cod. Cors. 1907, c. 9v: a Del Papa, 3 febbr. 1716). Nel 1717 a Firenze è in rapporti amichevoli di collaborazione con il Bacchini. Pur non essendo provata l'ipotesi di una sua permanenza a Pisa, è certo però che il B. subì l'influsso delle idee diffuse nello Studio pisano, ove gli fu anche offerto un incarico che egli rifiutò perché "l'emolumento era scarso, e il genere, della cattedra sguaiato" (Cod. Cors. 1907, c. 11v: a Del Papa, 27 marzo 1717). E verso temi cari ai "pisani" sembra muoversi in quegli anni l'attività editoriale del B., che curò le Opere di Galileo Galilei Nobile Fiorentino, Firenze 1718; e il Compendio delle sezioni coniche d'Apollonio Pergeo,con aggiunta di nuove proprietà delle medesime sezioni... (Firenze 1722) del professore pisano Guido Grandi.

Nel 1718 il B. era già al servizio dei Corsini a Firenze; nel 1720 fu nominato esaminatore sinodale della diocesi fiorentina. Frattanto la fama che aveva ottenuto nei circoli intellettuali come squisito linguista e profondo conoscitore della letteratura toscana, indusse l'Accademia della Crusca ad affidargli il compito di preparare una nuova edizione del Vocabolario (che fu poi edito in sei volumi a Firenze tra il 1729 e il 1737), dopo averlo eletto accademico "non senza molta sua ripugnanza" (Mazzuchelli, p. 1880). Il B. non disdegnò, comunque, di tenere presso l'Accademia dal 1725 una lunga serie di conferenze sul Boccaccio (vedi le Lezioni due sopra il Boccaccio, in D. M. Manni, Istoria del Decamerone del Boccaccio, II, Firenze 1742, pp. 433-453; ma una più completa edizione ne fu curata da F. Grazzini, Lezioni sopra il Decamerone..., Firenze 1818, in due volumi: si tratta di trentatrè: lezioni contenute in un manoscritto che il Grazzini affermava di aver ricevuto da P. F. Foggini).

La preoccupazione principale del B. è quella di purgare il Boccaccio dalle accuse di oscenità e irreligiosità: perciò più che nei valori stilistici e linguistici egli scorge il gran pregio dell'opera nell'"invenzione", cioè nella capacità di "dipignere al vivo il Mondo tutto, e tutti i costumi, e i caratteri degli uomini più interni ed occulti, i quali sono diversi secondo le Nazioni e l'età, e gli studi loro e le varie loro condizioni ed impieghi, e affetti, e brighe, e inganni, e passioni, e a disvelare la falsità di tante opinioni popolari adottate per vere o per ignoranza o per malizia, e lucidamente i sentimenti intimi, e le sincere idee, e macchine, e riggiri, e fini di ciascuno, e dipignergli quali sono in verità non apparenti né superficiali né in niuna altra guisa alterati" (Lezioni..., I, p. 12). Ma se fin qui il B. era capace di cogliere acutamente il carattere "umano" del Decamerone, ne esagerava poi gli intenti moralistici finendo addirittura per tracciare un parallelo tra il Boccaccio e s. Agostino, che aveva descritto nel De civitate Dei i vizi della massa dannata (ibid., pp. 33 s.); e nella famosa novella di ser Ciappelletto non scorgeva altro che la denuncia esemplare di un erroneo culto popolare, esaltando il Boccaccio - "quando solo per alcuni pochi si incominciava fievolmente ad aprire gli occhi alla luce della verità" - quale demolitore di false agiografie e precursore in qualche modo di Baronio, Tillemont, Ruinart, Bolland (ibid., II, pp. 18-24). Questo aggancio alla tematica religiosa settecentesca è così paradossale, da far nascere il serio dubbio che al fondo della rivalutazione della moralità del Boccaccio non vi fosse altro - nel quadro di una tradizione campanilistica molto sentita dal B. - che la difesa ad ogni costo di un autore "fiorentino". Le Lezioni del B., tuttavia, sono ancora utili per le non rare chiose linguistiche al testo boccaccesco (Novelle scelte dal Decamerone, a cura di L. Russo, Firenze 1938, passim).

Del resto il B. seppe dare in quegli anni un notevole contributo allo studio degli autori fiorentini con l'edizione delle Novelle del Sacchetti (Firenze 1725; è del B. anche la Vita di Franco Sacchetti cittadino fiorentino, ivi premessa) e dell'Ercolano,Dialogo di Benedetto Varchi,nel quale si ragiona delle lingue,ed in particolare della toscana e della fiorentina (Firenze 1730; il B. compose l'introduzione biografica e le note, e in appendice pubblicò un Dialogo anonimo sopra il nome della lingua volgare, da lui attribuito al Machiavelli).

Frattanto il B. aveva cominciato a provare un interesse via via crescente per la letteratura giansenistica. I primi influssi egli li ricevette dal Niccolini, con cui entrò in corrispondenza dal 1722, da F. Martini e da G. Cerati (1724). Nel marzo 1724 il B. chiede a quest'ultimo notizie sull'abate Tosini, autore della Storia e sentimenti sopra il giansenismo (Amsterdam 1717) posta all'Indice nel 1721; nello stesso anno riceve ampi ragguagli sulle opere di Gerberon, Fleury e Tillemont (Dammig, pp. 70 e 124). Che questo periodo segni una svolta decisiva lo confessa il B. stesso al Biscioni (19 apr. 1732, in Dammig, p. 73 n. 2), quando afferma: "Io da' miei ultimi studi fatti da sette o otto anni in qua, non ho imparato altro, se non la Dottrina Cristiana, che mi persuadevo di sapere e con mio rammarico ho conosciuto, che non sapevo punto". Ma forse il momento più importante di questa crisi interiore fu dato dal primo soggiorno a Roma dall'aprile 1725 all'aprile 1726, con un breve intervallo a Napoli tra il gennaio e il febbraio 1726: qui egli s'interessò vivamente alle controversie teologiche in materia di grazia, non nascondendo la speranza in una decisione papale che accogliesse alcune istanze degli appellanti francesi, placando ogni contrasto (significativa in tal senso la lettera a L. Fortini del 21 ag. 1725, in Cod. Cors. 1877, c. 6). Strinse anche amichevoli relazioni con l'erudito G. Fontanini, difensore di M. Petitdidier dalle accuse di giansenismo, corrispondente di Mabillon e Montfaucon, riportandone una profonda influenza.

Il B. avrebbe volentieri fin d'allora accettato un trasferimento a Roma, ma dovette rinunciarvi fino al 1730, quando - per l'interessamento di Bartolomeo Corsini, nipote del papa, di Prospero Lambertini, che conosceva il B. da alcuni anni, e del Niccolini - il neoeletto Clemente XII lo chiamò da Firenze assegnandogli un canonicato nella collegiata di S. Anastasia e la cattedra di storia ecclesiastica e controversie alla Sapienza (1731). Nominato quindi prelato palatino, il B. fu incaricato di effettuare insieme con Eustachio Manfredi vari rilievi idraulici e nell'autunno 1732 procedette ad un sopralluogo sul Tevere da Perugia alla confluenza con la Nera per suggerire il metodo di livellazione onde rendere tale tratto navigabile (è del B. la Relazione della visita del Fiume Tevere da Ponte Nuovo sotto Perugia fino alla Foce della Nera cominciata il di 26d'Ottobre 1732 e terminata il di 3 di Dicembre..., in Delle ragioni,e de' rimedj delle inondazioni del Tevere..., pubbl. a Roma 1746). Uguale incarico esplicò nella primavera del 1733 sul fiume Aniene da Tivoli alla foce e nell'autunno dello stesso anno fu inviato a Ferrara per suggerire opere di difesa contro le inondazioni del Po nella zona paludosa di Ariano e quindi fece un sopralluogo anche a Ravenna (Cod. Cors. 899: Relazioni,perizie e visite del Tevere,Teverone e Po di Ferrara...).

Dal momento del suo arrivo a Roma il B. aveva preso stabile dimora nel palazzo Corsini, alla Lungara, alle dipendenze del cardinale Neri Corsini, dove, profittando del vasto giro di relazioni della nobile famiglia fiorentina, dei contatti nati dalla molteplicità dei propri interessi di tipico erudito settecentesco - giustamente il Passerin (La riforma..., p. 211) avverte che egli non emergeva "né per la sua statura intellettuale e morale, né per la sua posizione nella gerarchia ecclesiastica" - e dalla naturale simpatia che sapeva ispirare (Amaduzzi, p. 59: "grandissimo di statura, piuttosto magro, di piacevole fisonomia, e di una guardatura indicante spirito, e vivacità"), seppe creare un centro d'incontro di studiosi e di personalità ecclesiastiche, che avevano in comune, se non altro, una viva curiosità per i problemi culturali e religiosi del tempo. L'importanza di questo circolo (il cosiddetto Burchiello), di cui si hanno solo scarse e frammentarie notizie (Dammig, p. 75), crebbe quando il B. fu incaricato da Clemente XII nel 1735 di formare una vasta biblioteca privata, ma non raggiunse ancora il carattere "frondista" che avrà vari anni dopo l'"Archetto".

Già nel 1730 tuttavia intransigente è la sua avversione nei confronti dei gesuiti, ai quali fa risalire la responsabilità della crisi degli studi teologici e del rilassamento dei costumi, e alle cui calunnie attribuisce le proibizioni che la Congregazione dell'Indice decreta contro libri che hanno l'unico torto di combattere le opinioni molinistiche e lasse (Dammig, p. 73 s.). Per l'eliminazione dell'ignoranza religiosa e il trionfo della verità cattolica, il B. sostiene i diritti della critica storica, difendendo anche la Storia ecclesiastica del Fleury contro i suoi detrattori: fonti della verità sono i Padri e i concili, perciò la storia della Chiesa primitiva è esempio per il presente, l'antichità è norma morale da seguire (Oratio habita in Romano Archigymnasio... quum ad historiae ecclesiasticae,et sacrarum controversiarum tractationem aggrederetur, Romae 1732). Totale rimane la subordinazione alla teologia della storia, concepita sempre come opera non umana ma provvidenziale: la verità che viene accertata dalla critica storica è un dato filologico ed il B. è ben lontano da qualsiasi apertura alle nuove idee che sostengono l'autonomia della ragione umana.

Per ora egli non manifesta eccessiva simpatia per il giansenismo o per le idee anticuriali. Criticando come "sconcia cosa" la progettata nomina a cavaliere di un ecclesiastico, Sigillo (lettera a Leprotti da Ariano, 10 dic. 1733, in Cod. Cors. 1907, c. 66 e v), il B. ricorda, che ciò non può essere giustificato neppure dalla sua dottrina, in quanto "da frate Domenicano sostenne alcune tesi affatto Giansenistice alla presenza del card. di Fleury, che gli fece fare una ritrattazione". Nell'ottobre 1734, durante un nuovo breve soggiorno a Napoli, il B. deplora con indignazione le accuse d'irreligione mosse al Galiani, "il più dotto uomo che oggi sia in Europa", e riprese dal nunzio pontificio: egli loda, invece, nel Galiani non solo l'intransigenza morale (in quanto aveva sconsigliato per motivi teologico-morali il rinnovo dell'appalto dei giuochi proibiti), ma anche l'impegno nel sostenere i diritti della S. Sede (vedi in Cod. Cors. 1877, cc. 58-59 la lettera del 26 ott. 1734). Nello stesso periodo denuncia l'insipiente incoerenza della classe dirigente romana, notando come il cardinale Barberini abbia impedito al Querini la pubblicazione del Chronicum Farfense, per poi inviarlo al Muratori che ne ha fatto l'edizione senza le note necessarie a difendere gli interessi pontifici (Cod. Cors. 1907, c. 74 e v: Napoli, 2 nov. 1734 a Leprotti).

Nel gennaio 1735 Clemente XII nominò il B. suo cappellano segreto e il 7 sett. 1736 arciprete di S. Maria in Cosmedin, incaricandolo di eseguire una nuova edizione della Roma sotterranea di A. Bosio e del suo rifacimento in latino di P. Aringhi (Sculture e pitture sagre estratte dai cimiterj di Roma,pubblicate già dagli Autori della "Roma sotterranea", I, Roma 1737; II, ibid. 1747; III, ibid. 1754). Evidentemente gli impegni molteplici avuti dai Corsini, la nomina (2 genn. 1739) a secondo custode della Biblioteca Vaticana e gli studi eruditi lo distoglievano troppo dall'insegnamento alla Sapienza, cosicché, piccato anche dal fatto che la lettura di controversie - sempre unita per tradizione alla cattedra di storia ecclesiastica - gli era stata tolta e affidata al celestino Del Giudice, il B. rinunciò all'inizio del 1739 ad ogni attività docente, ottenendo la giubilazione (Cod. Cors., 1887, c. 134: Diario del 12 febbr. 1739). Fu allora che egli prese a cuore il progetto di Giuseppe Bianchini per la compilazione di una storia universale della Chiesa con criteri adeguati ai progressi storiografici allora raggiunti: l'opera - secondo il B. - doveva scaturire da un lavoro collettivo affidato a due gruppi diversi, per la raccolta e per l'elaborazione del materiale; l'impostazione ideologica doveva guardare a Baronio "come a stella polare", evitando il gallicanismo del Fleury, di cui si lodava invece il metodo scientifico (Dammig, p. 70; e Cod. Cors. 1925, cc. 38-40). È questa un'ulteriore prova del sostanziale filoromanismo del B., ancora moderato perfino nei confronti dei gesuiti, tanto da deplorare una rovente satira del Lami contro di essi, perché "in vece di difendere i buoni studj, e le persone morse da' Gesuiti... spende tutta la Satira a dire un monte di male de' Gesuiti, e de' loro costumi" (Cod. Cors. 1877, c. 76: a B. Corsini 12 ag. 1738).

Alla morte di Clemente XII, il B. partecipò come conclavista del cardinal Corsini al conclave del 1740 durante il quale, pur privo di libri, con un'impresa rimasta famosa, scrisse l'introduzione e completò l'edizione dell'opera Antiquissimi Virgiliani Codicis fragmenta et picturae ex Vaticana Bibliotheca ad priscas imaginum formas a Petro Sancte Bartoli incisae (Romae 1741). Dal neoeletto Benedetto XIV il B. fu nominato membro delle accademie di Storia ecclesiastica (19 sett. 1740), dei Concili (21 settembre) e di Antichità (28 settembre); inoltre nel 1741 ebbe il canonicato di S. Maria in Trastevere, che conserverà fino alla morte. Durante il pontificato lambertiniano egli raggiunse la più ampia notorietà per la sua attività di erudito, sia in campo storico-artistico (Del Museo Capitolino..., I-III, Roma 1741-55; Descrizione del Palazzo Apostolico Vaticano..., Roma 1750; Dialoghi sopra le tre arti del disegno, Lucca 1754; il primo volume della Raccolta di lettere sulla pittura, scultura e architettura..., Roma 1757), sia in campo letterario, ove continuò l'edizione di autori fiorentini del Trecento (già nel 1738 aveva pubblicato a Roma Lo specchio di croce del p. Domenico Cavalca...; videro quindi la luce il Fior di virtù..., Roma 1740; il Pungilingua..., Roma 1751; i Frutti di lingua..., Roma 1754), mantenendo vivo il suo interesse per i problemi linguistici anche nella pubblicazione di traduzioni fatte da autori contemporanei (Opere di Tertulliano tradotte in toscano dalla signora Selvaggia Borghini Nobile Pisana, Roma 1756, in cui non è rilevabile un interesse prevalentemente religioso).

Dopo il 1741 il B. divenne consultore dell'Indice, l'8 giugno 1751 consultore del S. Offizio, nel 1756 fu nominato visitatore in Trastevere dell'arciconfraternita della Dottrina cristiana, per la quale compilò gli statuti (Cod. Cors. 1870), che prevedevano l'uso del catechismo del Bellarmino, come era prescritto e come certamente non gli era gradito. Ma tra il 1740 e il 1758 avviene anche in lui una graduale evoluzione verso un più violento antigesuitismo e verso un atteggiamento più nettamente filogiansenista, riscontrabile in un accentuato attivismo riformista in campo religioso.

Sul piano dottrinale vi è comunque una coerente continuità: egli aderisce alla scuola teologica agostiniana rigida sostenendo la "delectatio relative victrix", l'impossibilità dello "status naturae purae", la "gratia parva", l'inefficacia della grazia sufficiente, la negazione da parte di Dio ai non eletti della "gratia coelestis victrix", ecc. Egli accetta la condanna papale delle cinque proposizioni di Giansenio, benché dubiti che si trovino ad litteram nell'Augustinus; ma crede che esse, come le 101 proposizioni condannate dalla Unigenitus, siano passibili di diversi sensi e si prestino quindi ai maneggi dei gesuiti, che vogliono screditare la dottrina di s. Agostino e di S. Tommaso. L'Unigenitus, pur accettabile sul piano formale, ha perciò bisogno di una accurata interpretazione pontificia che escluda il pericolo della condanna della dottrina di quei santi padri e impedisca il trionfo del molinismo: essa pertanto non può avere ancora un valore dommatico e soltanto un'interpolazione di mano gesuitica nei decreti del Concilio provinciale romano del 1725 l'ha definita - secondo il B. - "regula fidei". È necessario quindi dissipare gli equivoci che hanno provocato lo scisma di Utrecht e la resistenza degli appellanti, di cui però il B. non approva la disobbedienza a Roma, in quanto indirettamente rafforza la posizione degli avversari. Le convinzioni dottrinali del B. - come ha notato il Passerin - non sono lontane da quelle del Serry; ma egli si distingue per l'infaticabile opera di proselitismo che, circa dal 1749, lo impegnò in maniera tanto aperta da meritargli la fama di capo del movimento giansenista a Roma. Del 1749 sono infatti le prime notizie sul circolo dell'Archetto nel palazzo Corsini, ove intorno al B. si riunirono ragguardevoli figure di ecclesiastici del clero regolare e secolare, uniti dal comune desiderio di opporsi al gesuitismo. Tra i frequentatori più o meno assidui troviamo Foggini - fatto chiamare a Roma dal B. nel 1741 -, Passionei, Niccolini, Martini, D. Cantagalli, F. S. Vázquez, N. Rossi, G. Querci, C. De Gros, Capriata, Di Costanzo, G. Garampi, G. S. Gerdil, A. Micheli, Marefoschi, Cerati, Simioli, F. Tamburini, G. A. Orsi. G. Spinelli, S. Maccarinelli, A. Bortoletti, Migliorini, G. Masi, A. A. Giorgi, e più tardi A. Fabroni, Serrao, M. Natali, S. de' Ricci; mentre hanno contatti epistolari con il B.: C. I. Ansaldi, A. M. Bandini, N. Bargiacchi, G. L. Berti, G. Cadonici, A. Capobianco, S. M. Di Blasi, G. Di Giovanni, B. Intieri, L. Mehus, L. Mingarelli, il Muratori, D. M. Manni, A. Politi, A. M. Querini, G. B. Rodella, C. Rotigni, G. C. Trombelli., Viatore da Coccaglio, Paciaudi, G. Lami, Delle Lanze, Bentivoglio, Leullier, D. Concina, V. M. Dinelli, A. J. C. Clément, G. Meindaerts.

La ragione della nascita di un gruppo così combattivo non va ricercata nella sola biografia del B. (il Dammig ha voluto vederne l'origine nel nascere dell'amicizia tra lui e il Passionei), ma nella situazione generale che viene a crearsi a metà del pontificato di Benedetto XIV: il B. scorge nelle accuse scagliate contro Muratori, Concina e Berti una cresciuta aggressività dei gesuiti; un'ulteriore diffusione della morale rilassata, dovuta alle opere del Benzi e dei suoi confratelli; giudica insufficienti gli interventi del papa - che già nel 1740 è da lui ritenuto troppo debole e incapace di un'opera di riforma -, contornato da una Curia ignorante sul piano dottrinale. Una speranza risiede perciò nella possibilità di pressione sul Papato, per vincere all'interno della Chiesa una battaglia che il B. considera sempre più drammatica: nel molinismo e nella Compagnia di Gesù egli nel 1756 identifica lo stesso Anticristo che combatte la verità (vedi in Carranza, Cerati..., pp. 150 s., la significativa lettera del Cerati al B.: "I di lei pensieri sopra l'Anticristo sono assai conformi a' miei...") già dai tempi apostolici, forza diabolica in lotta con la città di Dio (il molinismo è paragonato con l'eresia ariana e con altre deviazioni ereticali: Passerin, La riforma..., p. 229). Come primi passi di restaurazione dell'autentica dottrina del cristianesimo, il B. giudica necessari l'emanazione della bolla Gregis Dominici, già pronta ai tempi di Paolo V in condanna della dottrina di Molina, e una interpretazione - che doveva equivalere ad una vera e propria revisione - della bolla Unigenitus. Ma tutto ciò che le pressioni del B. e degli altri filogiansenisti ottennero fu l'enciclica del 16 ott. 1756 ai vescovi francesi, che pur nella sua moderazione - tra l'altro evitava accuratamente di definire la bolla contro il Quesnel "regula fidei" - fu giudicata deludente.

Nella divulgazione del pensiero giansenista in Italia il B. svolse una parte di primissimo piano: come bibliotecario di casa Corsini poté fruire di una rete di relazioni e di vasti mezzi finanziari per massicci acquisti di libri francesi. Così tramite R. Oliva, segretario della nunziatura di Parigi, fece arrivare dal 1749 a Roma oltre ai classici del giansenismo una grande quantità di scritti degli appellanti e dei loro avversari e le Nouvelles ecclésiastiques (comprese le annate arretrate); altri fornitori furono i librai François Le Duc da Napoli e Barroi da Parigi, l'oratoriano Leullier da Brescia; inoltre negli anni 1755-56 il libraio ed editore romano N. Pagliarini acquistò a Parigi per suo conto parecchie centinaia di volumi e opuscoli concernenti le controversie gianseniste. Il B. si fece promotore e fu lui stesso esecutore di traduzioni di tali scritti. Così sono opera sua la Vera strada della conversione,e santificazione dell'anime,o sia Instruzione sopra la Giustizia cristiana per rapporto a' Sagramenti della Penitenza e dell'Eucarestia (Firenze 1752), traduzione della terza lettera pastorale di monsignor di Rastignac arcivescovo di Tours (ma redatta dall'appellante Gourlin) in difesa di Arnauld contro il gesuita Pichon; La divozione verso Gesù Cristo (Roma 1759) e l'Idea del sacerdozio e del sacrificio di Gesù Cristo, entrambe del Quesnel; altre traduzioni rimasero inedite come la Continuazione de' saggi di morale di P. Nicole (Cod. Cors. 1872-73); di altre infine si hanno notizie troppo vaghe per poter procedere ad una sicura identificazione (Dammig, pp. 321 s.). Quest'attività divulgativa fu affiancata dal Giornale de' letterati di Roma, edito dal 1742 dal Pagliarini, che dedicò largo spazio alle questioni teologiche su una linea antigesuitica: il B. e il Foggini vi esercitarono una notevole influenza.

Di grande utilità per la riconquista della verità religiosa sembra al B. anche la diffusione di traduzioni in volgare delle Sacre Scritture: la dottrina cristiana, infatti, specialmente in Italia, è mal conosciuta solo attraverso libelli devozionali che insegnano "pratiche materiali, superficiali, ed esteriori" (vedi A. C. Jemolo, Il giansenismo in Italia..., Bari 1929, p. 253;e Cod. Cors. 1878: Se si debba tradurre in volgare gli Evangeli di Gesù Cristo e qualche altra parte della S. Scrittura).

Erudizione e cultura sono nel B. del tutto subordinate ad una visione rigorosamente religiosa della vita ed erroneo sarebbe voler trarre dalle critiche mosse alla severità dell'Indice la conclusione che egli fosse permeabile alle idee dei "lumi". L'ignoranza, contro cui il B. lotta, è quella che, alimentata dal gesuitismo, impedisce la conoscenza della "sana dottrina": il bigottismo - secondo lui - ne è una conseguenza, non la causa. Tanto meno il B. è consapevole del sorgere di una cultura laica come pericolosa nemica del cattolicesimo: in lui, convinto che un pericolo per la religione può provenire solo dall'interno della Chiesa dallo snaturamento della sua dottrina (la seduzione dell'Anticristo), non v'è ansietà per gli attacchi esterni degli illuministi, considerati spesso appartenenti ad un mondo irreale, conducente piuttosto alla pazzia che al male (vedi in Passerin, La riforma, p. 215 n. 15, la lettera al Niccolini del 9 novembre del 1754: "il primo che ritirasse la geometria dall'astratto, e la portasse al pratico e al materiale, fu come sapete, il nostro Galileo, né più là è possibile andare... La pazzia presente di ridurre tutto a calcolo fa dire spropositi enormi in genere di scienza e di religione").

In effetti è questa incomprensione, più che un senso d'irenismo, a muovere il B. allorché, incaricato di riferire nella Congregazione dell'Indice sull'Esprit des lois, - manovrato dall'ambizioso Passionei - si prestò al tentativo di evitare la condanna dell'opera suggerendo al Montesquieu di apportare alcune modifiche al testo. Già precedentemente il B. aveva mosso critiche radicali all'Esprit des lois in un articolo steso o ispirato da lui (il Mazzuchelli propende per la prima ipotesi), apparso sul Giornale de' letterati all'inizio del 1750 (IX, pp. 21-28), in cui si insisteva sull'"oscurità" e l'"incredibile disordine" dell'opera e si polemizzava con la teoria "climatica" ponendo in evidenza però più l'assurdità delle tesi che la loro pericolosità (la Berselli Ambri vi ha voluto scorgere un espediente del B. e del Passionei per evitare una condanna dell'opera screditandone l'importanza; si trattava invece di un giudizio del tutto sincero). Le osservazioni del B., inviate all'autore nel maggio 1750, anche se esposte in tono più conciliante, erano dettate dall'incapacità di cogliere le idee essenziali dell'opera e, proprio per questo, i tagli e le modifiche proposte senza organicità risultavano inaccettabili. Il Montesquieu, perciò, poté cedere soltanto su alcuni punti secondari, ma respinse i rilievi che - involontariamente - toccavano punti sostanziali (come si evince dalla replica del B., finora considerata perduta, trovata in minuta nella Biblioteca Corsiniana, Cod. Cors. 1925, cc. 89-93); e di fronte alle nuove argomentazioni del B. - che non solo insisteva su una modifica radicale del capitolo XI del libro XXVI riguardante l'Inquisizione, ma accennava piuttosto oscuramente alla necessità di tenere conto di altre obiezioni avanzate "da persone, che in Roma hanno grande autorità" e poi addirittura faceva riferimento ai distruttivi attacchi del Concina -, comprese che vana sarebbe stata ogni speranza d'intesa con lui (ottobre 1750). Cosicché il B., che pur era riuscito nell'agosto 1750 ad ottenere il rinvio di ogni decisione da parte dell'Indice, ma che ormai si era schierato per una condanna, per le pressioni dell'ambasciatore francese Nivernais fu sostituito nell'incarico di revisore dall'Emaldi (una tesi diametralmente opposta è sostenuta dal Dammig, pp. 78 s., che vede nel B. un difensore sincero del Montesquieu).

Del resto un atteggiamento conservatore coerente ai suoi principî religiosi il B. lo dimostrò in diverse occasioni, come quando alle moderate istanze riformatrici per una riduzione delle feste di precetto oppose la superiorità del comandamento religioso sulle esigenze dell'economia, aderendo quindi alle tesi rigoriste del Concina (Venturi, Settecento riformatore, p. 150).

Con la fine del pontificato di Benedetto XIV svaniscono le speranze che il B. e i suoi amici riponevano nella possibilità di spingere il Papato ad una condanna del molinismo. Ebbe inizio allora una più stretta collaborazione tra giansenisti e gruppi anticuriali, dai quali i primi si attendevano un valido appoggio contro la Compagnia di Gesù.

Una prima prova dell'efficacia di quest'alleanza si ebbe durante gli avvenimenti che culminarono nell'espulsione della Compagnia dal Portogallo, quando il gruppo dell'Archetto fiancheggiò l'azione della corte di Lisbona con la pubblicazione di numerosi opuscoli antigesuitici. È difficile dire in che misura vi abbia contribuito il B., che comunque fu in stretto contatto con l'ambasciatore portoghese Almada - che si recava spesso al palazzo del cardinal Corsini, protettore del Portogallo - e fu in corrispondenza con lo stesso Pombal.

Poco convincentemente il Codignola attribuisce al B. la paternità di tre opuscoli: Riflessioni di un Portoghese sopra il Memoriale presentato da' PP. Gesuiti alla Santità di PP. Clemente XIII felicemente regnante esposte in una lettera scritta ad un amico di Roma, Lisbona 1758; Appendice alle Riflessioni del Portoghese sul Memoriale presentato dal P. Generale de' Gesuiti alla Santità di PP. Clemente XIII... o sia Risposta dell'amico di Roma all'amico di Lisbona, Genova 1759; Critica di un Romano alle Riflessioni del Portoghese, Genova 1759 (di tutti e tre gli opuscoli si conoscono numerose edizioni con date diverse; ma il vero luogo di pubblicazione è senz'altro Roma). Ma a parte la mancanza di testimonianze precise (nulla si trova nei carteggi del B.), un'attenta lettura delle tre opere non solo porta a concludere che esse non possono essere attribuite ad un medesimo autore, ma anche che soltanto l'Appendice... e la Critica... sono impregnate delle idee religiose proprie dei frequentatori dell'Archetto; specialinente l'ultima (che il Melzi attribuisce al Natali, come l'Appendice... al B.) insiste su concetti cari al B.: anzitutto vi è presente il tema della "riforma gesuitica" che ha snaturato il cattolicesimo conquistando in poco più di un secolo "quasi tutti gli Ecclesiastici regolari, e secolari, e la maggior parte de' Vescovi" (pp. 20 s.); la difesa delle vittime dei gesuiti, da Galileo "uomo quasi divino" (p. 29) al Muratori, dal Palafox al Concina a Norberto di Lorena; la deplorazione del cedimento dei domenicani di fronte alla Compagnia (p. 33); l'affermazione che il rimedio non sta nel confiscare le ricchezze dei gesuiti - come aveva sostenuto il "Portoghese" - ma nel toglier loro i seminari, le confraternite, le scuole, nell'impedir loro l'uso del confessionale e del pulpito, così da isolarli dal resto della Chiesa; nel vietare loro l'ingresso nelle corti (pp. 133 ss.). Non è dunque improbabile che tanto questi libelli, quanto I lupi smascherati... (Ortignano 1760), attribuito al Capriata, e la Lettera d'un Romano ad un suo Amico di Venezia scritta da Roma sotto di 2 aprile 1760, s.n.t., siano opera collettiva del gruppo dell'Archetto.

Ma l'episodio forse più clamoroso scaturito da questa confluenza di forze antigesuitiche fu dato dalla pubblicazione a Napoli - efficacemente protetta da Bernardo Tanucci, da molti anni amico del B. - della traduzione italiana del catechismo di Mésenguy (Esposizione del simbolo della fede cattolica, 1758; Esposizione dell'orazione domenicale, 1759; Esposizione del decalogo, 1759; Esposizione de' sagramenti, 1760; Esposizione de' comandamenti della Chiesa,con la giunta di un trattato della giustificazione, 1760; tutti pubblicati in due edizioni a Venezia nel 1761), che, fatta eseguire dal B. al Cantagalli (vedi la lettera del B. al Mazzuchelli, 1º marzo 1760, in Vat. lat. 10004, n. 44: "fatta sotto i miei occhi, e passata per le mie mani"), significò una vera e propria sfida all'Indice, che già aveva condannato l'originale. La nuova condanna che colpì il catechismo, dopo un'aspra lotta svoltasi all'interno del S. Offizio, il 14 giugno 1761, non impedì infatti al B. di continuarne lo smercio a Roma, mentre i governi napoletano, veneziano, francese, spagnolo e imperiale respingevano il breve di proibizione di Clemente XIII.

Ma nonostante questi episodi, questa ricerca di alleati esterni all'ambiente ecclesiastico, il B. non giunse mai ad un'aperta ribellione alla S. Sede. Anzi dette ancora prova di moderazione nelle trattative che si svolsero nel 1759 per la riunione della Chiesa di Utrecht a Roma, consigliando al vescovi olandesi una posizione duttile sul piano dottrinale (Dammig, pp. 336 s.). E ancora dopo, nonostante le persecuzioni di cui fu fatto oggetto - nel gennaio 1761 si sparse addirittura a Firenze, a Napoli e fino in Francia la voce che egli fosse stato arrestato e nel 1762 l'Amaduzzi scrive che per il suo antigesuitismo "ne addiviene, che poco o nulla egli sia ora stimato in Sagro Palazzo" (Dammig, p. 121) -, continuò invano a raccomandare una maggiore pacatezza ai redattori delle Nouvelles ecclésiastiques (Passerin, La riforma, pp. 230 s.). Scomparsi gli ultimi influenti amici "romani" (nel 1761 erano morti Passionei, Orsi e Tamburini; nel 1763 con la morte dello Spinelli il B. affermò che si era spenta "l'ultima candela": cfr. Rosa, Atteggiamenti, p. 330), il B. continuò tuttavia la sua opera di proselitismo. Nel 1766 ebbe un attacco, apoplettico: ripresosi a fatica, soltanto per l'energico intervento del cardinal Corsini ebbe la promozione a primo custode della Vaticana, che gli spettava di diritto dopo la morte dell'Assemani (1768). Nel 1769 sollecitò ancora l'intervento delle corti in favore della Chiesa olandese, scrivendo al Roda e al Carvalho. Finché le forze glielo consentirono si dedicò sempre alle confessioni e all'insegnamento del catechismo, ma un secondo attacco nella primavera 1773 lo lasciò semiparalizzato e quasi muto. Fece in tempo tuttavia a vedere la tanto desiderata soppressione della Compagnia di Gesù, da lui giudicata soltanto presagio di tempi migliori (Vat. lat. 10019, f. 179, 20 nov. 1773, a Rodella: "per ora non si può vedere il bene che ne deve venire").

Il B. morì a Roma il 4 giugno 1775 e fu sepolto in S. Maria in Trastevere.

Tra le altre opere del B. sono da ricordare il Compendio della vita d'Ippolito,Galantini fondatore della Congregazione della Dottrina Cristiana in Firenze (Roma 1757) e la traduzione dal Gerberon, La regola de' costumi contro le false massime della morale mondana (Napoli 1764). Poco convincente è l'identificazione del B. con fra' Guidone - sostenuta dallo Jemolo (p. 115 n.) e ripresa da E. Codignola (Ilgiansenismo toscano..., Firenze 1944, p. 31), ma messa in dubbio dal Dammig (p. 257) - autore di tre libelli antigesuitici (Lettera prima di Fra Guidone Zoccolante a Frate Zaccaria Gesuito nella quale si dimostra che sieno que' religiosi che debbonsi chiamare Frati, Cosmopoli 1751; Lettera seconda... in cui ragionasi della proibizione della Biblioteca Gianseniana, Filippopoli 1756; Lettera terza... che serve d'Apologia al R.mo P. Segretario della Congr. dell'Indice e altresì alla prima lettera precedente, Nicopoli 1756).

Nell'attività storica, antiquaria e filologica di un letterato quale il B., che proprio come erudito acquistò al tempo suo la massima fama, occorre distinguere due interessi da lui profondamente sentiti e coltivati ostinatamente per decenni: quello verso la letteratura toscana del buon secolo e quello verso l'arte medievale e moderna e verso l'archeologia sacra. Il primo interesse derivava al B. dalla matrice fiorentina della sua educazione e dei suoi studi e soprattutto dal magistero e poi dalla lunga collaborazione erudita ed editoriale con A. M. Biscioni, insieme con il quale, ad esempio (in quella che potremmo considerare una pratica iniziazione alla filologia volgare) egli collazionò nel 1711 il famoso codice Mannelli (Laur. XLII, 1) del Decameron (la copia di mano del Biscioni con la collazione del B. è oggi il Vat. Capp. 143). L'altro trovava più complesse e varie radici, oltre che nel fiorentinismo globale della sua cultura, accesa di forte campanilismo, anche nell'intento trionfalistico della sua erudizione ecclesiastica, nonché, più concretamente, nel contatto quotidiano con le collezioni d'arte raccolte in Roma, con la sua diretta collaborazione, dal cardinale Neri Corsini. Per l'intrecciarsi, in sé e per sé singolare, di così diverse tendenze e curiosità, la presenza dell'erudito B. sembra promettere, nel panorama del Settecento italiano, un qualche aspetto di novità; ma l'esame del concreto contributo da lui apportato alle singole discipline non può non porre in rilievo in ogni campo i limiti piuttosto modesti della sua personale partecipazione.

Alla filologia il B. nasce come filologo volgare, anzi toscano, e non, cosa del resto improbabile nell'Italia d'allora, come filologo classico; a lui, come a tutti o quasi gli studiosi italiani del tempo, sono ignote le sempre più ardue metodiche formali degli Olandesi e degli Inglesi: ma è noto e consueto in compenso il sistema di lavoro sui testi volgari elaborato da alcune generazioni di studiosi italiani di lingua e di grammatica, dal Borghini in poi sino al Salvini e al Biscioni, e che non era privo di esperienza e di qualche serietà nei risultati; può anzi dirsi con una certa esagerazione che questo dei linguisti e dei cruscanti fiorentini era l'unico metodo filologico che si adoperasse concretamente nell'Italia d'allora; e il B. lo ereditò e lo adoperò senza apportarvi novità alcuna, ma con impegno e serietà. Ciò risulta esemplarmente sia da una inedita critica all'edizione del Decameron pubblicata a Londra nel 1725 da Pietro Rolli (Cod. Cors. 2465, cc. 50r-53v), cui giustamente il B. rimprovera la mancanza di rigore e l'ignoranza dell'esemplare più autorevole della tradizione (il già ricordato codice Mannelli); sia soprattutto dall'edizione dello Specchio di Croce, curata dal B. sulla base di due codici di proprietà Guadagni; ivi, nella prefazione, il B., oltre a spiegare i criteri metodici seguiti, discute in linea generale il problema della esistenza di recensioni diverse nella tradizione dei testi volgari e l'ipotesi di varianti d'autore. Analoghi criteri furono da lui seguiti nell'edizione critica, basata sulle prime stampe quattrocentine e su alcuni codici, del Pungilingua del medesimo Cavalca, pubblicata a Roma nel 1751. Sussidiaria e parallela alla sua operosità di studioso di testi volgari, fu quella che il B. dedicò, sia pure non organicamente, alla bibliografia; bibliotecario ed esperto conoscitore di storia della stampa, di caratteri, di incisioni, il B. lavorò anche alla fattura di due repertori bibliografici di notevole importanza, rimasti ambedue inediti: l'uno, tutto suo, ma interrotto appena all'inizio, di anonimi e pseudonimi (Cod. Cors. 2465, cc. 160r-174r); l'altro, da lui ideato e suggerito al Biscioni nel 1725, consistente in un Catalogo biobibliografico degli scrittori toscani in aggiunta e completamento di quello del Cinelli;alla realizzazione di quest'impresa il B. collaborò per anni, come testimoniano i Codd. Cors. 1426-1448 contenenti una copia manoscritta dell'opera con le sue copiose aggiunte autografe (vedi in particolare il codice 1426, c. 11r, con la storia dell'impresa di mano del B. stesso).

Nell'attività, assai copiosa e ricca, del B. quale studioso e critico d'arte, occorrerà distinguere due fasi, l'una, durata sino al 1735, prevalentemente di natura critico-estetica, l'altra, caratteristica del periodo romano e durata sino all'estrema vecchiaia, mossa invece da interessi euristico-antiquari. Al centro del primo periodo sono due opere, ambedue uscite anonime, e costituite la prima dall'introduzione alla riedizione de Il Riposo di Raffaello Borghini (Firenze 1730), cui contribuirono il Biscioni e F. M. Niccolò Gabburri, la seconda dai Dialoghi sopra le tre arti del disegno, editi a Lucca nel 1754, ma redatti almeno venti anni prima. Alla base dei due testi, fra loro, almeno in parte, assai simili, è la preoccupazione per la salvaguardia materiale delle opere "antiche", comprese in un ambito cronologico che va dai quattrocentisti ai Carracci, e di cui in qualche accenno di giudizio estetico si esalta anche la qualità artistica in base ai concetti di "diligenza", "semplicità" e "verità", contrapposti polemicamente al gusto manieristico ed all'arte barocca. Si tratta di motivi non nuovi nella trattatistica italiana del tempo e che, riallacciandosi all'impostazione del Bellori, preludono per qualche motivo al gusto neoclassico; ma nel B. si nota un originale e specifico interesse per le tecniche della conservazione e del restauro, che a giusta ragione è stato di recente posto in rilievo (Procacci). A parte la propensione giovanile al godimento delle opere d'arte e il tardo gusto del collezionista, del conoscitore, dell'amico e protettore di artisti (soprattutto di incisori, da G. Vasi a G. B. Piranesi), che rimasero due costanti della sua personalità, il B. fu in realtà mosso sempre più marcatamente, nell'approccio all'opera artistica, dall'interesse dell'erudito per il valore e la veridicità della fonte. Questo atteggiamento, comune ad altri studiosi d'arte del tempo, trasformò il B. romano in un infaticabile editore di fonti di storia dell'arte, di repertori figurati, di raccolte di documenti. Per lui, come per gli altri eruditi del suo ambiente, ogni vestigio del passato era fonte: dall'iconografia consacrata nei mosaici e nelle pitture alle epigrafi, alle sculture, ai documenti, alle lettere, alle opere teoriche, alla storiografia artistica; nacquero così le sue opere maggiori, cui il suo nome è tuttora legato: le Sculture e pitture sagre estratte dai cimiteri di Roma..., I-III, Roma 1737-1754, praticamente una riedizione dei rami della Roma sotterranea di A. Bosio, con un commentario nuovo, di carattere meramente filologico-antiquario (il B. vi si dimostra archeologo da tavolino e non fornisce alcun contributo nuovo alla conoscenza delle catacombe romane, che pure aveva visitate e che parzialmente doveva conoscere), ma arricchita di un'introduzione al III volume che costituisce un trattatello in difesa della conservazione dei cimeli archeologici cristiani e delle lapidi medievali di grande interesse e novità; la monumentale raccolta di tavole illustranti le sculture, i ritratti ed i bassorilievi antichi del Museo Capitolino (I-III, Roma 1741-1755: il IV volume, Roma 1782, uscì a cura di Nicola Foggini) con succinti commenti di puro carattere iconografico; l'edizione (la prima dell'età moderna, come osserva il Previtali, La fortuna, p. 72) delle Vite del Vasari (G. Vasari, Vite de' più eccellenti pittori scultori e architetti, I-III, Roma 1759-60), arricchita di un'introduzione bibliografica assai accurata e di un sobrio commentario inteso soltanto a "notare le mutazioni che dopo a 200 anni hanno sofferto l'opere de' professori... e aggiungere quelle notizie, che io aveva a mente e vedevo mancare" (I, p. XI); e infine la celebre Raccolta di lettere sulla pittura scultura e architettura scritte dal piùcelebri personaggi che in dette arti fiorirono dal secolo XV al XVII (I-VII, Roma 1757-1773; ma l'ultimo volume non figura curato dal B.), improntata al duplice scopo di fornire documenti utili a ricostruire la biografia degli artisti e di porre in luce "molti precetti appartenenti alle belle Arti e molta storia delle loro famose opere e il modo d'ordinarle e disporle e il significato di esse e la maniera di rappresentare..." (I, avvertenza al lettore, non numerata).

Alla riedizione delle tavole del Bosio il B. non fu portato soltanto da un esplicito invito di Clemente XII, ma anche dal suo interesse professionale alla storia ecclesiastica, che insegnò alla Sapienza, con corsi dedicati alle origini del cristianesimo ed all'attività degli apostoli (vedi i testi di alcune lezioni di un anno non specificato in Cod. Cors. 2049, 32 G 37, cc. 31r-68r); ove ancora una volta romanesimo intransigente e moralismo giansenistico si intrecciano nel vagheggiamento di una cristianità dei primi secoli ricca di ogni virtù morale e religiosa. Ma dello storico, sia pure di storia ecclesiastica, sullo stampo dei modelli, da lui preferiti, di un Baronio o di un Fleury, al B. mancavano sia le tensioni ideali e le capacità sintetiche presenti, anche nell'Italia di allora, in un Maffei, in un Lami, in un Muratori, sia l'interesse specifico per il Medioevo e perciò la conoscenza diretta del metodo paleografico e diplomatistico del Mabillon e del Montfaucon, su cui si basava la nuova erudizione italiana. In campo paleografico le sue conoscenze erano limitate ai codici volgari della tradizione toscana e lo stesso suo maestro Biscioni mostrava di saper datare meglio i codici altomedievali; di diplomatica non si interessò; di greco doveva conoscere non molto; nulla sapeva di bizantinistica e di paleografia greca.

Erede di due filoni di cultura storica tradizionale tipicamente italiani, quello grammaticale della Firenze della Crusca e quello antiquario della Roma controriformistica, il B. rimase sostanzialmente estraneo al rinnovamento della cultura europea ed allo stesso metodo storico muratoriano; ma seppe dare ugualmente un utile contributo nel fornire la tradizione da lui prediletta di efficienti strumenti di lavoro; nel combattere ostinatamente per la salvaguardia delle opere d'arte medievali; nel costituire una biblioteca armoniosa in ogni sua parte quale la Corsiniana di Roma, di cui ordinò e descrisse sommariamente anche il fondo dei manoscritti.

Al prestigio che lo circondò da vivo non deve essere stato estraneo, infine, anche il suo gusto un po' antiquato di conoscitore d'arte ed il fascino delle edizioni da lui curate, alcune delle quali, illustrate da incisori eccellenti, costituiscono notevoli esempi di eleganza nel panorama dell'editoria italiana del Settecento.

A. Petrucci

Fonti eBibl.: Manca una monografia sul Bottari. Per la biografia sono stati utilizzati, oltre al carteggio e agli scritti del B. conservati nella Biblioteca Corsiniana di Roma (per i carteggi vedi l'utilissimo Catalogo dei carteggi di G. G. B. e P. F. Foggini, Roma 1963, di A. Silvagni, pubblicato a cura di A. Petrucci, che ha aggiunto un'Appendice [pp. 263-278], riguardante Lettere di G. G. B. e di P. F. Foggini in altre biblioteche d'Italia):G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 3, Brescia 1762, pp. 1879-1888; G. C.Amaduzzi Elogio di Mons. G. G. B., in Antologia romana, II (1776), n. 8, pp. 57-61; necrologio in Novelle letterarie di Firenze, n.s., VII (1776), coll. 323-330; F. Grazzini, Elogio di mons. G. B., Firenze 1818; E. Dammig, Il movimento giansenista a Roma nella seconda metà del secolo XVIII, Città del Vaticano 1945, passim (ma specialmente pp. 65-98); Lettere di Benedetto XIV al card. de Tencin, a cura di E. Morelli, I, Roma 1955, pp. 56, 277; II, ibid. 1965, p. 519; C. Godi, Un equilibrio difficile: l'amicizia tra il Mazzuchelli e il Querini, in Aevum, XXXV (1962), pp. 92-94. Per le idee religiose, oltre a R. Palozzi, Mons. G. B. e il circolo dei giansenisti romani, in Annali della R. Scuola norm. sup. di Pisa, s. 2, X (1941), pp. 70-90, 199-220, e il Dammig, a cui rimandiamo per la bibliogr. anteriore al 1945, vedi E. Codignola, Giansenisti,illuministi e giacobini nell'Italia del Settecento, Firenze 1947, pp. 61-73, 197-207 e passim;N. Calvini, Il p. Martino Natali giansenista ligure..., Genova 1950, pp. 11-13, 20-21; A. Quacquarelli, Il De praescriptione haereticorum di Tertulliano nella polemica giansenista di P. Tamburini, Bari s.d., pp. 8-10, 15 s.; N. Carranza, Prospero Lambertini e G. Grandi, in Boll. stor. pisano, XXIV-XXV(1955-56), pp. 220 s., 234, 238; M. Rosa, Atteggiamenti culturali e religiosi di G. Lami nelle "Novelle letterarie", in Annali della Scuola norm. sup. di Pisa, XXV (1956), pp. 260, 263, 280, 293, 295, 297, 318, 327, 330; E. Passerin, La riforma "giansenista" della Chiesa e la lotta anticuriale in Italia nella seconda metà del Settecento, in Riv. stor. ital., LXXI (1959), pp. 209-234; E. Appolis, Entre jansénistes et zelanti. Le "tiers parti" catholique au XVIII siècle, Paris 1960, ad Indicem; P. Sposato, Le "Lettere provinciali" di B. Pascal e la loro diffusione a Napoli, Tivoli 1960, passim (alle pp. 72-100 quarantotto lettere di C. Grimaldi al B.); N. Carranza, Mons. G. Cerati provveditore della Univ. di Pisa (1733-1769), in Boll. stor. pisano, XXX (1961), pp. 103-281 passim;A. Vecchi, Correnti religiose del Sei e Settecento veneto, Venezia-Roma 1962, ad Indicem;P. Stella, Il giansenismo in Italia, I, 1, Zürich 1966, ad Indicem (vi sono pubblicate centoquattordici lettore del cardinale delle Lanze al B.; tre lettere del Bentivoglio al B. e cinque lettere del B. al Bentivoglio); P. Sposato, Per la storia del giansenismo nell'Italia meridionale..., Roma 1966, passim;F. Venturi, Settecento riformatore. Da Muratori a Beccaria, Torino 1969, pp. 7-9, 22 s., 84, 115 s., 150, 304, 308, 333, 344, 447 s., 556, 565.

Per i rapporti avuti dal B. con il Montesquieu circa l'Esprit des lois, vedi P. Berselli Ambri, L'opera del Montesquieu nel Settecento italiano, Firenze 1960, ad Indicem;M. Rosa, Riformatori e ribelli nel '700 religioso italiano, Bari 1969, pp. 93 s., 99-101, 116, 267 (a cui rimandiamo per una più completa bibliografia sull'argomento).

Per la conoscenza dell'attività erudita del B., si vedano: M. Barbi, La nuova filologia e l'edizione dei nostri scrittori da Dante al Manzoni, Firenze 1938, pp. 91, 95-6; Alfr. Petrucci, Le Magnificenze di Roma di G. Vasi, Roma 1946, pp. 49, 137-8; O. Pinto, Storia della biblioteca Corsiniana e della biblioteca dell'Accademia dei Lincei, Roma 1956, pp. 25, 41; U. Procacci, Di uno scritto di G. B. sulla conservazione e il restauro delle opere d'arte, in Riv. d'arte, XXX (1955), pp. 229-49; A. Petrucci, Fondi documentari ignoti nella Bibl. dell'Acc. Naz. dei Lincei, in Rend. dell'Accad. Naz. dei Lincei, classe di scienze morali, storiche e filol., s. 8, XIII (1958), pp. 238, 243-47; G. Previtali, B.,Maffei,Muratori e la riscoperta del Medioevo artistico, in Paragone,Arte, X (1959), n. 115, pp. 3-18; A. Mezzetti, Di alcuni disegni del Seicento al Gabinetto Nazionale delle Stampe in Roma, in Scritti di storia dell'arte in on. di M. Salmi, III, Roma 1963, pp. 287-306; J. Schlosser-Magnino, La letteratura artistica, Firenze 1964, pp. 484-5, 507-8, 602, 664, 682; G. Previtali, La fortuna dei Primitivi, Torino 1964, ad Indicem;A. Cosatti, La riscoperta di Dante da Vico al primo Risorgimento, Roma 1967, pp. 16, 29, 51, 57, 65, 73, 75-7, 79, 92; Dict. d'archéol. chrét. et de liturgie, II, 1, coll. 1096-8.

G. Pignatelli-A. Petrucci

CATEGORIE
TAG

Congregazione dell'indice

Accademia della crusca

Accademia dei lincei

Attacco, apoplettico

Biblioteca vaticana