BIANDRATA, Giovanni Giorgio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 10 (1968)

BIANDRATA (Biandrate, Biandrà; in latino Blandrata), Giovanni Giorgio

Antonio Rotondò

Nacque a Saluzzo nel 1516, terzogenito di Bernardino, castellano di San Fronte. Compiuti i primi studi a Saluzzo, si recò a studiare alla scuola di medicina di Montpellier, dove si addottorò il 15 nov. 1533; nel 1534 ottenne la conferma della laurea allo Studio di Pavia e nel 1538 allo Studio di Bologna. Datosi allo studio e alla pratica della ginecologia, nel 1539 acquistò notorietà con un prontuario, tratto dalle opere di Aristotele e di Ludovico Bonaccioli (Gynaeceorum ex Aristotele et Bonaciolo a Georgio Blandrata medico Subalpino noviter excerpta de fecundatione,gravitate,partu et puerperio). L'opera è dedicata a Bona Sforza e alla figlia Isabella Iagellone, moglie di Giovanni Zápolya, voivoda di Transilvania e re d'Ungheria. Intermediario di questi primi rapporti con le corti polacca e transilvana fu un "Fridericus Hunnandinus Transylvanus", come è detto nella dedica dell'opera. Nel 1540 fu chiamato alla corte di Sigismondo I di Polonia in qualità di medico personale della regina Bona Sforza. A Cracovia rimase fino al 1544, anno in cui si trasferì a Gyula-Fehérvár (Alba Iulia, Karlsburg) alla corte di Isabella, nel frattempo rimasta vedova (1540) col figlio Giovanni Sigismondo, e presso Isabella restò fino al 1552. Alle funzioni di medico unì certamente quelle di consigliere della giovane regina. Una lettera di Antal Verencz a Gáspár Békés del 29 maggio 1547 lo dice "uomo di grande signorilità, nato all'amicizia..., altamente apprezzato a Venezia per la sua dottrina e pratica del mondo, nome pronunciato in Italia non solo con onore ma anche con orgoglio" (Monumenta Hungariae historica, Budapest 1860, II, 9, p. 256). Da una lettera dell'imperatore Ferdinando I a Ferrante Gonzaga del 18 ag. 1552 risulta che il B. trattò delicati negozi diplomatici per conto di Isabella (Modena, Bibl. Estense,Autografoteca Campori, Ferdinando I). Nell'estate del 1552, attraverso Vienna, il B. tornò in Italia. Dopo un breve soggiorno a Milano si trasferì a Mestre; alla fine del 1553 fu chiamato a Vienna per testimoniare nel lungo processo istruito dal nunzio Girolamo Martinengo per l'assassinio (17 dic. 1551) del cardinale Giorgio Utiešenović-Martinuzzi, che era consigliere politico di Isabella.

Al ritorno da Vienna il B. si stabilì a Pavia, ma dai rotuli dello Studio non risulta che vi insegnasse. Da nessun documento risulta che già in quegli anni fosse orientato verso le nuove idee religiose: la tradizione che partecipasse ai convegni di anabattisti a Vicenza (Collegia Vicentina) non è documentata. Occasioni e modi d'entrare in contatto con uomini e gruppi di tendenze eterodosse non gli mancarono in questi anni (L. Sozzini, F. Lisman, e F. Stancaro a Cracovia; a Saluzzo la comunità di riformati d'origine valdese; a Mestre l'attiva comunità di tendenze anabattistiche), ma non si hanno precise testimonianze a riguardo. Nel processo per l'assassinio dello Utiešenović dichiarò di non essere mai stato né inquisito né condannato e d'aver frequentato a Mestre i sacramenti della confessione e dell'eucarestia. Essendo già largamente diffusa, in quegli anni, la pratica nicodemitica, la testimonianza non è probante. In sostanza, la questione degli inizi dell'eterodossia del B. rimane tuttora oscura, come per molti altri eretici italiani di rilievo della sua stessa generazione (R Sozzini, G. Aconcio, M. Gribaldi).

Nel 1556 il B. lasciò Pavia e si rifugiò a Ginevra. Non sono noti i particolari che determinarono la fuga, se di fuga si trattò. Lo stesso anno fu eletto fra i quattro anziani della comunità italiana retta da Celso Martinengo. A Ginevra il B. visse dapprima tranquillo, stimato per la sua perizia nell'arte medica, ben visto per la condotta docile e la piena adesione alla ortodossia calvinista. Non si asteneva tuttavia dal porre quesiti inquietanti al Martinengo sul domma della divinità di Cristo. Il modo di procedere del B. era analogo a quello seguito da Lelio Sozzini con Calvino; ma il Martinengo, che durante la sua permanenza nei Grigioni aveva inclinato egli stesso verso l'antitrinitarismo e conosceva i metodi cui ricorrevano molti suoi connazionali per suscitare dubbi e insinuare le loro convinzioni, non volle più avere rapporti col Biandrata. Il fatto non ebbe conseguenze immediate, tanto che il 4 nov. 1557 venne concessa al B. la residenza (bourgeoisie) di Ginevra. Interrotti i rapporti col Martinengo, egli cominciò a rivolgere i suoi insinuanti quesiti direttamente a Calvino.

Erano quesiti audaci dopo la condanna di Serveto e i sospetti suscitati dal Gribaldi: quale l'esatto significato dei termini "persona", "essenza", "sostanza", "proprietà", "divinità", "deità"; a chi propriamente indirizzare le preghiere; a chi attribuire l'appellativo "Dio"; come intendere l'espressione "incarnazione del Verbo". Le domande erano formulate in modo che le risposte dovessero logicamente risolversi nel rifiuto della formulazione tradizionale del domma trinitario. Calvino rispose pazientemente agli insistenti quesiti del B., talvolta per scritto e ampiamente (Calvini opera, IX, coll. 325-332), non senza avvertire che le domande nascondevano "perfidiam et fallacias dolosque tortuosos". Tuttavia Calvino ruppe, indignato, i rapporti col B. soltanto quando questi gli propose un'esplicita condanna di tutte le dottrine in contrasto col suo pensiero. Non si hanno elementi sufficienti per interpretare con esattezza questa proposta, che il B. non giustificò altrimenti, se non dicendo che tutte le dottrine degli altri riformatori gli turbavano la coscienza; Calvino vi intravide un'insidia, ma non ne specificò la natura.

Frattanto al Martinengo era succeduto, alla guida della comunità italiana, il senese Lattanzio Ragnone. Più severo del Martinengo, il Ragnone decise di stroncare l'opposizione antitrinitaria che serpeggiava nella comunità a opera, oltre che del B., anche di G. P. Alciati e di S. Teglio. Invitati a comparire davanti al concistoro della Chiesa italiana, i tre oppositori dovettero fare atto di sottomissione alla presenza di Calvino (18 maggio 1558). Ammonito una seconda volta, allorché si sparse la voce che le dottrine antitrinitarie si andavano diffondendo in mezzo al popolo, il B., non ritenendo ormai più sicuro il suo soggiorno a Ginevra, lasciò definitivamente la città insieme con l'Alciati. Da Ginevra si recò a Farges presso Matteo Gribaldi; in giugno si trasferì a Berna, dove si lamentò dell'aspra intransigenza di Calvino col tollerante Nicola Zurkinden, segretario della signoria bernese e amico del Gribaldi, del Curione e del Castellione; da Berna passò a Zurigo, dove si intrattenne con Pietro Martire Vermigli. Negli incontri col teologo fiorentino il B. adoperò lo stesso metodo insinuante usato già col Martinengo e con Calvino: premise di rifiutare le dottrine del Gribaldi, ma in realtà insinuava principi e concetti nei quali era implicito il triteismo del Gribaldi. Il Vermigli ricorse al consiglio di Bullinger che fece proporre al B. la scelta tra la riconciliazione con Calvino e il divieto di fermarsi a Zurigo. Il B. preferì lasciare Zurigo con la promessa che, dopo una breve sosta a Basilea, avrebbe lasciato definitivamente la Svizzera diretto in Transilvania.

Da Basilea, anziché in Transilvania, il B. si trasferì in Polonia, dove era già nel novembre 1558. Il cambiamento fu determinato probabilmente da suggerimenti del Curione e del Castellione e dalle notizie che in Polonia si stava già diffondendo l'antitrinitarismo. Il B. si stabilì a Pińczów, nelle vicinanze di Cracovia, dove vivevano F. Lismanini, Piotr z Gonia̢dz (Gonesius) e F. Stancaro. È del 19 nov. del 1558 il primo avvertimento di Calvino ai confratelli polacchi sui pericoli della presenza del B. in mezzo a loro (Calvini opera, XVII, col. 378). Il soggiorno a Pińczów fu interrotto da un viaggio in Transilvania (giugno 1559) per curare la morente Isabella; ma a Pińczów il B. tornò poco dopo la morte della regina (15 settembre). Intanto la fama della sua dottrina e della sua destrezza nei negozi diplomatici si diffondeva rapidamente. Nel maggio del 1560 re Sigismondo lo nominò, insieme col Lismanini, suo rappresentante al sinodo di Pińczów; subito dopo, il principe Nicola Radziwill lo invitò a Wilno. Tanto credito e stima acquistati a Cracovia e alla corte di Radziwill indussero Calvino a un violento attacco, questa volta pubblico e in sede solenne: il 1º ag. del 1560, dedicando al Radziwill una nuova edizione dei Commentari agli Atti degli Apostoli, denunciò il B. come uomo insidioso e perciò più pericoloso dello Stancaro. Un mese dopo, la decisione del sinodo di Xia̢ż di eleggere il B. coadiutore laico del soprintendente della Chiesa riformata polacca, Felice Cruciger, è presa probabilmente ancora all'insaputa di questo attacco di Calvino.

È notevole la proposta che il B. presentò e difese a quel sinodo: esclusione dei ministri dall'ufficio di seniori e limitazione dei loro compiti alla predicazione e all'insegnamento. La proposta suona difesa degli interessi dell'alta nobiltà, dalla quale i ministri dipendevano economicamente; ma non si può escludere che fosse suggerita al B. da considerazioni sulla situazione di Ginevra, dove, a giudizio di tutti gli esuli, il prepotere di Calvino nella vita politica della città era all'origine delle persecuzioni e della stessa condanna di Serveto.

Amicizie influenti, ma soprattutto prudenza e abile gradualismo nella manifestazione delle proprie idee salvarono il B. dalle continue accuse di Calvino. Due volte nel 1561 (sinodi di Pińczów del gennaio e di Cracovia del dicembre) la protezione del Radziwill e del Lismanini e la sottoscrizione di una sommaria professione di fede, in cui non mancava un dichiarato aborrimento delle dottrine di Serveto, valsero ad allontanare da lui i sospetti. Calvino giudicò imprudenti queste facili assoluzioni del B. e ruppe i rapporti epistolari e riservati coi ministri polacchi. Al sinodo di Xia̢ż del 10 marzo 1562 il B. presentò una confessione di fede che aveva promessa al sinodo di Cracovia e pose come condizioni per la riconciliazione con Calvino la ritrattazione delle accuse rivoltegli nella dedica dei Commentari agli Atti e l'impegno di non usare il termine "trinità" (Zachorowski, p. 215) o almeno di attenersi soltanto "verbo Dei et symbolo apostolico". I ministri presenti al sinodo manifestarono dapprima qualche perplessità, ma un mese dopo (sinodo di Pińczów, 2 apr.) approvarono tanto la confessione quanto le condizioni per la riconciliazione con Calvino.

Il testo di questa confessione del B., la cui approvazione provocò profondi mutamenti nella Chiesa riformata polacca, è da considerarsi perduto. Non fu mai pubblicato insieme con gli atti dei due sinodi: evidentemente le perplessità sul suo contenuto perdurarono oltre la formale approvazione. Lo storico S. Lubieniecki poté riferire i contrasti che la confessione aveva suscitato, ma non poté vederne il testo. Nel 1794 il luterano H. P. C. Henke pubblicò a Helmstedt, per ragioni di controversia teologica, insieme con una confutazione di Flacio Illirico, una Georgii Blandratae confessio antitrinitaria, che presentò come quella discussa e approvata ai sinodi di Cracovia- Pińczów. Lievi dubbi sulla sua autenticità avanzò W. Heberle,Aus dem Leben... (p. 176), ma gli studiosi (Wilbur, Cantimori, Williams) continuarono a ritenerla autentica. Un'esplicita citazione della prefazione di Teodoro Beza alla pubblicazione degli atti del processo di V. Gentile non lascia dubbi che si tratti di scritto posteriore al 1567.

Nel 1563, invitato dal giovane re Giovanni II Sigismondo, il B. si trasferì in Transilvania. Prima della partenza (anteriore al 5 settembre: Wotschke,Der Briefweschel..., p. 211) poté incontrarsi col Gentile e con l'Alciati. Alla corte transilvana ebbe accoglienze onorevoli. Nel 1564 fu nominato da Giovanni Sigismondo suo consigliere privato. Tracce del peso considerevole che i suoi consigli avevano sulla politica della corte transilvana sono nelle relazioni di Giovanni Andrea Gromo al Senato veneziano (Archivio di Stato di Venezia,Pandette, vol. 3, ff. 1r-4v, 15v). Alla provata abilità diplomatica del B. Giovanni Sigismondo ricorse in occasione del sinodo di Nagy Enyed (Aiud), convocato agli inizi del 1564 dalla dieta di Segesvár per dirimere i rinati contrasti fra luterani e calvinisti e ristabilire la pace religiosa voluta già da Isabella (decreto del giugno 1557) e riaffermata dal nuovo sovrano (dieta di Torda del 1563). Il B. partecipò al sinodo come rappresentante del re; le credenziali regie lo raccomandavano come uomo dotto e di non comune familiarità con le Scritture, atto a dirimere i contrasti e a riportare la pace e l'armonia fra le confessioni divise.

Al sinodo di Nagy Enyed il B. strinse amicizia col soprintendente della Chiesa calvinista Ferenc Dávid, teologo audace e irruento quanto il B. era cauto e insinuante. Fu un'amicizia mutatasi subito in stretta collaborazione, decisiva per l'affermazione dell'unitarismo. La tradizione secondo cui fu il B. a convertire Dávid all'antitrinitarismo ha valore agiografico, tende cioè a sopravvalutare acriticamente ("fatalis medicus gente Italus") la sua opera nella diffusione dell'unitarismo in Transilvania. Se non è assolutamente probante in proposito la tarda testimonianza dello stesso Dávid che fa risalire al 1560 (e a illuminazione divina) i suoi primi dubbi sul domma trinitario, è da tener presente l'efficace propaganda svolta precedentemente dallo Stancaro in Transilvania (1554-1559) e il caso dell'antitrinitario Tommaso Arany (1558). Nel Dávid il B. trovò il teologo e il propagatore più efficace delle dottrine che egli si limitava a insinuare copertamente e abilmente. Decisivo fu il favore che il B. gli procurò presso Giovanni Sigismondo, fino a farlo nominare, nel 1566, predicatore di corte. L'opposizione all'aperta predicazione antitrinitaria del Dávid e al procedere del B. si manifestò al sinodo di Torda del 24 marzo 1566 (più noto come sinodo di Gyula-Fehérvár), condotta dal teologo calvinista Pietro Mélius Juhász. Tanto a questo sinodo, rimasto celebre nella storia dell'unitarismo perché vi furono discussi per la prima volta pubblicamente il domma della Trinità e le dottrine connesse, quanto ai sinodi immediatamente successivi (Torda, 15 marzo; Gyula-Fehérvár, 25 aprile; Maros-Vásárliely, 19 maggio) la partecipazione del B. fu attiva e determinante. Un breve scritto con cui egli attaccò il Mélius ricalca la forma, efficacissima per la propaganda, della esposizione per tesi e per antitesi, già adoperata da Gentile: Demonstratio falsitatis Petri Melii et reliquorum sophistarum per antithesis cum refutatione antitheseon veri et Turcici Christi. Ma l'opera in cui il B., espose organicamente il suo pensiero è la De vera et falsa unius Dei,Filii et SpiritusSancti cognitione, divisa in due libri, scritta in collaborazione col Dávid nel 1567 epubblicata nel 1568 a Gyula-Feliérvár.

La De vera et falsa è l'opera maggiore del B. e uno degli scritti più importanti del movimento ereticale italiano e europeo del Cinquecento. La sua peculiarità non è tanto nella sostanza delle argomentazioni teologiche quanto nella visione d'insieme che il B. vi traccia di una storia del cristianesimo in cui assegna alla tradizione ereticale (antitrinitaria) un posto autonomo e una successione storica ininterrotta, in senso positivo. Da questo punto di vista la De vera et falsa è, insieme con la famosa Chronica, Zeitbuch und Geschichtsbibel (1531) dell'eretico bavarese Sebastian Franck, uno dei primi scritti in cui viene ragionato e teorizzato il distacco dei movimenti propriamente ereticali dalle confessioni sorte dalla Riforma. La dottrina antitrinitaria non è, sostiene il B., una nuova dottrina, ma la vera dottrina cristiana che non fu mai taciuta nella storia del cristianesimo, che anzi fu sempre difesa, così come fu sempre combattuta quella trinitaria instaurata dall'Anticristo. Il domma trinitario è una costruzione intellettualistica estranea alla rivelazione, frutto di indebita applicazione di termini e concetti propri della filosofia greca nella interpretazione delle Scritture. Il B. muove dunque dal rigido scritturalismo dal quale era partito Serveto nella sua prima opera contro il domma trinitario (De Trinitatis erroribus, 1531). Le stesse critiche alla origine del domma mossero, prima del B., Lelio e Fausto Sozzini; le stesse critiche saranno poi ripetute dall'antitrinitario radicale (non-adorantista) Giovanni Sommer e da tutta la esegesi sociniana. Da questa prima adulterazione del senso genuino della rivelazione è derivata, continua il B., la dottrina dei "bini Christi", cioè delle due nature di Cristo, con la conseguenza che si approfondì il distacco fra cristiani e ebrei e tutto l'Oriente si volse al maomettanesimo. Dopo la definizione d'un Dio "tripersonatus" e della dottrina delle due nature di Cristo, l'Anticristo si servì della chiesa per imporre, "praetextu haereticorum", costituzioni e canoni, e "baptismos, coenas, sacramenta, mediatores et vias ad salutem seminare". E nacque la supremazia della gerarchia sul popolo e nelle comunità cristiane. La restaurazione della vera dottrina stava per avvenire intorno all'anno 1000 quando sembrò diminuire, per effetto delle guerre e degli scismi, il fervore delle dispute teologiche; ma la fondazione della Sorbona, "omnium academiarum mater", finì per restaurare il regno dei teologi e dei sofisti. Primo fra gli aperti "reclamatores" della vera dottrina fu l'abbate Gioacchino da Fiore, cui seguirono Abelardo, Erasmo, Serveto, Ochino, L. Buzale, L. Sozzini, Gentile, G. Paweł (Paulus). Con Lutero e Zwingli è cominciata la restaurazione del senso genuino della rivelazione, ma secondo un processo inverso che ha come meta conclusiva l'eliminazione del primo errore, cioè il domma trinitario. Perciò sia Lutero sia Zwingli non cominciarono "a summo vitae aeternae cardine", ma l'uno dalla dottrina dei sacramenti e l'altro dalla remissione dei peccati. L'uno e l'altro non seppero però sottrarsi agli "stratagemata Sathanae", non seppero cioè rinunciare ai dommi, e così interruppero il processo della riforma e logorarono le loro energie nelle dispute e nelle persecuzioni: Lutero condannò Zwingli e entrambi condannarono gli anabattisti; Calvino uccise Serveto e Gentile e perseguitò Castellione, Gribaldi, F. Baudouin, Alciati, lo stesso B., Ochino, Lismanini, L. Sozzini. Ora è giunto il tempo di portare a termine l'opera di restaurazione della purezza originaria della parola rivelata e a questo sono chiamati gli antitrinitari. Gli ostacoli che si oppongono sono ancora molti: gli "Aristarchi sanguinarii", che continuano a perseguitare e a offuscare la verità "commentis, symbolis, conciliis et longis consuetudinibus", accuseranno i veri cristiani di predicare la sedizione e il rifiuto dei tributi, sì da indurre il potere politico alla persecuzione; occorre perciò "altera manu defendere sese, altera ædificare". È questa la giustificazione che il B. dà del suo procedere cauto e coperto e insieme la giustificazione storica del "nicodemismo" in generale: "Quid tot Gamalieles et Nicodemitae, qui nunc vivunt innumeri?".

L'opera fu stampata anonima o piuttosto sotto la responsabilità collettiva e vaga dei ministri unitariani di Polonia e di Transilvania. Il primo dei due libri in cui si divide è certamente del B., mentre il secondo risente della collaborazione del Dávid e forse di altri. Il capitolo undicesimo riproduce integralmente una anonima Brevis explicatio in primum Ioannis caput, nella quale D. Cantimori (Eretici..., p. 242) ha per primo riconosciuto lo scritto più importante di L. Sozzini. L'edizione è corredata di sette illustrazioni che riproducono altrettante immagini sacre della Trinità allo scopo di metterle in ridicolo. Un controversista contemporaneo (E. Gliczner) le interpretò come caricature atte a colpire le menti popolari. L'opera provocò vivaci reazioni polemiche di J. Simler, di G. Zanchi e di Gregorio di Valencia.

Gli anni 1568-1569 furono i più intensi dell'attività del B. in Transilvania. Continuò a corrispondere con gli antritrinitari polacchi; chiamò da Dresda, alla direzione del collegio di Kolozsvár (Cluj), il grecista Giovanni Sommer; mantenne rapporti segreti con F. Sozzini ancora a Firenze. Ma decisivo fu il suo costante appoggio al Dávid nelle ultime controversie col Mélius, che si conclusero con la sconfitta dell'opposizione calvinista (sinodi di Gyula-Fehérvár del marzo 1568 e di Várad dell'ottobre 1569) e poi col riconoscimento della piena uguaglianza della confessione unitaria con le altre confessioni (dieta di Maros-Vásárliely del 6-14 genn. 1571). È del 1568 l'importante libello Antithesis pseudochristi cum vero illo ex Maria nato.

In questo scritto, che rivela un aspetto caratteristico dell'eresia cristologica del B., viene dedotta dalla concezione dell'umanità di Cristo un'interpretazione sociale del cristianesimo. In forma schematica, ma vigorosa e efficace per la propaganda, il B. elenca le contrapposizioni tra il Cristo seconda persona della Trinità, il Verbo eterno dei teologi, e il Cristo uomo nato da Maria. Il primo, egli dice, è stato sempre presentato circondato da gran corteggio di papi e di imperatori, di principi e di prelati, padrone ricco e potente, imposto dai magistrati con le persecuzioni e con la spada; il secondo è invece il "Christus pauper", nato in terra e vissuto povero e amico dei poveri, che non si è rivolto ai potenti della terra, non ha richiesto né promesso decime e tributi né concesso città e regni, ma è vissuto umilmente, ha patito miseria e persecuzioni. Il Cristo storico, puro uomo, è insomma il liberatore dei poveri e degli oppressi. Il B. sviluppò in questo scritto motivi già accennati nelle meditazioni del Castellione sull'Imitazione di Cristo e nella Brevis explicatio in primum Ioannis caput di L. Sozzini.

Frutto della collaborazione col Dávid sono due opere del 1569. La prima,Refutatio scripti Georgii Maioris, edita a Kolozsvár, è la confutazione d'uno scritto contro il Dávid e il B. uscito dalla penna del violento polemista e professore a Wittenberg G. Major (De Uno Deo et tribus personis,adversus F. Davidis et G. Blandratam). La seconda, pubblicata anonima a Gyula-Fehérvár, è un'opera in due libri (De regno Christi e De regno Antichristi), seguiti da un breve Tractatus de paedobaptismo et circumcisione e preceduti da una ampia lettera di dedica a Giovanni Sigismondo. Solo agli inizi di questo secolo, I. Borbély (A magyar Unitárius..., p. 42) ha riconosciuto in quest'opera una riproduzione, qui e là ritoccata, di gran parte della Christianismi restitutio di Serveto, che il B. aveva fatto diffondere l'anno precedente anche in Polonia in una traduzione di G. Pawel.

Nel 1571 la morte dell'ancor giovanissimo Giovanni Sigismondo segnò una svolta nella politica transilvana. Il successore Stefano Báthory confermò (dieta di Torda del maggio 1572) la parità delle confessioni, ma, cattolico e avversato dagli unitariani che avevano appoggiato la successione di Gáspár Békés, prese provvedimenti volti a arrestare la diffusione dell'unitarismo. I numerosi licenziamenti dalla corte non colpirono il B., che fu riconfermato nei due incarichi di medico e di consigliere. Nel novembre del 1575 si recò a Varsavia per far valere presso la nobiltà polacca le pretese del Báthory alla successione al trono di Polonia. Il felice esito della missione conclusasi con l'elezione del sovrano transilvano (16 genn. 1576) procurò al B. larghi favori e la donazione di tre feudi nei pressi di Kolozsvár, del valore di 5000 talleri. Durante la missione a Varsavia conobbe il grecista Andrea Dudith-Sbardellati, già passato all'antitrinitarismo e poi amico di F. Sozzini e seguace delle dottrine radicali del Biandrata. La successione di Stefano Báthory al trono di Polonia portò alla reggenza del voivodato di Transilvania Cristoforo Báthory, cattolico più intransigente del fratello. Le innovazioni non furono sostanziali, ma fu riaffermato più severamente il divieto di apportare innovazioni nelle confessioni riconosciute. Il B. conservò la sua influenza a corte, tanto che nel 1576 poté far riconoscere il Dávid come soprintendente degli unitariani.

Nel 1578 i rapporti tra il B. e il Dávid si ruppero irreparabilmente, allorché il teologo transilvano cominciò a sviluppare indipendentemente la critica al domma trinitario nel senso radicale della negazione della adorazione a Cristo (non adorantismo).

L'adesione del Dávid a questa tendenza radicale dell'antitrinitarismo non era in se stessa un'innovazione troppo sostanziale. La critica svolta negli anni precedenti dal B. e dal Dávid aveva in sostanza relegato l'adorazione di Cristo fra gli adiaphora; opinioni non adorantiste serpeggiavano già in Transilvania almeno dal 1570 (Wilbur,A History of Unitarianism in Transylvania..., pp. 65-66).

Il nuovo orientamento del Dávid era, invece, pericoloso perché provocava l'accusa di giudaismo da parte dei calvinisti. L'intransigente divieto di innovazioni di Cristoforo Báthory accresceva il pericolo delle accuse. Preoccupato per la sopravvivenza della chiesa unitariana, il B. avvertì il Dávid e invitò a sue spese in Transilvania F. Sozzini perché lo convincesse degli errori e del pericolo che questi costituivano. Quando ogni tentativo fu inutile, il B. passò alla denuncia aperta del vecchio collaboratore, gli fece sospendere il versamento degli emolumenti della carica di soprintendente e ne fece decretare la residenza sorvegliata a Kolozsvár (dieta di Torda del 24 apr. 1579), in attesa che sulla disputa intercorsa tra il Sozzini e il Dávid si pronunciassero i ministri unitariani della Chiesa polacca. Ma ancora prima che giungesse il parere dei polacchi, il Dávid licenziò il Sozzini e con due successive prediche violò le decisioni della dieta. Il B. sollecitò allora il suo arresto e alla dieta di GyulaFehérvár lo accusò di radicale innovazione e ne chiese la condanna. Il 5 giugno 1579 il Dávid veniva condannato al carcere perpetuo; cinque mesi dopo, il 15 novembre, moriva di stenti nell'orrido castello di Déva, a picco sulla valle del Maros. Il 10 genn. 1580 il B. scriveva a Iacopo Paleologo affermando che il suo atteggiamento ostile verso il Dávid era stato determinato, più che dalle divergenze dottrinali, dal pericolo che il radicalismo del vecchio collaboratore costituiva per l'unitarismo.

Dopo la condanna del Dávid il B. rimase arbitro della Chiesa unitariana e agì subito con decisione per stroncare la già diffusa tendenza non adorantista. Ai seguaci del Dávid impose l'abiura; ai molti nobili che lo avevano appoggiato durante il processo fece imporre di pronunciare entro un giorno la sconfessione della loro difesa. In luglio riunì un sinodo a Kolozsvár e fece sottoscrivere una confessione in cui fu riaffermata l'adorazione di Cristo. Contro la volontà della maggioranza del sinodo, fece eleggere dal re Demetrio Hunyadi nuovo soprintendente. Dopo questo sinodo uscì dalla scena della vita religiosa della Translvania.

Gli ultimi anni della vita del B. trascorsero nell'isolamento, guardato con diffidenza da quanti avevano seguito il Dávid, fra voci contraddittorie sui suoi ultimi orientamenti religiosi. I rapporti che ebbe coi gesuiti, chiamati in Transilvania da Cristoforo Báthory, fecero circolare la voce che si fosse riconvertito al cattolicesimo; ma testimonianze provenienti da fonte gesuitica attestano che rimase sempre "subversus et incorregibilis". Si disse anche d'un suo desiderio di tornare in Italia e stabilirsi a Bologna. Alla sua morte, avvenuta nel 1588, corse la voce che fosse stato avvelenato da un nipote impaziente di raccogliere la cospicua eredità.

Opere: Gynaeceorum ex Aristotele et Bonaciolo a Georgio Blandrata medico Subalpino noviter excerpta de fecundatione,gravitate,partu et puerperio, Argentinae 1539. I titoli di altri tre scritti medici minori sono riferiti da V. Malacarne,Commentario delle opere e delle vicende di G. B. nobile saluzzese, Padova 1814, pp. 79 ss.: Consultatio de promovenda fecundidate et de cura graviditatis,puerperii et primae natorum infantiae; Cimezia muliebria; Aenneas Bonacioli compendiata a Georgio Blandrata. Un'orazione in difesa delle pretese di Stefano Báthory alla successione al trono di Polonia si conserva inedita nell'Archivio di Stato di Firenze,Carte Strozziane, CCI, Polonia, ff. 123r-126v.

Non si dispone ancora di un corpus a stampa delle ben più importanti opere teologiche del Biandrata. Essendo state quasi tutte pubblicate anonime e nel periodo della più stretta collaborazione col Dávid, la loro stessa attribuzione è spesso problematica. Sono certamente del solo B.: Demonstratio falsitatis doctrinae Petri Melii et reliquorum sophistarum per antithesis una cum refutatione antitheseon veri et Turcici Christi nunc primum Debreceni impressarum, [Albae Iuliae? 1566?]; Antithesis pseudochristi cum vero illo ex Maria nato, Albae Iuliae 1568 (l'unica copia nota si conserva nella Bibl. Univ. di Varsavia; ristampata in Per la storia degli eretici italiani del secolo XVI in Europa, a cura di D. Cantimori e F. Feist, Roma 1937, pp. 95-103); Aequipollentes ex Scriptura phrases de Christo filio Dei ex Maria nato figuratae, Albae Iuliae 1568 (unica copia nota nella Bibl. Univ. di Varsavia, legata insieme con Antithesis Pseudochristi); Quaestiones Georgii Blandratae cum responsionibus Ioannis Sommeri (inedita nella Bibl. della Acc. Rumena delle Scienze, sezione di Kolozsvár, ms. ff. 454r-458v); Theses XXX,tribus thesibus Francisci Davidis oppositae, [Albae Iuliae?] 1578; Loci aliquot insignes ex Scripturis Sanctis pro vera et solida Iesu Christi invocatione asserenda, in Iudicium ecclesiarum Polonicarum de causa Francisci Davidis, Claudiopoli 1579; Theses IX de Deo et filio eius Iesu Christo, in DefensioFrancisci Davidis in negotio de non invocando Iesu Christo in praecibus (Tractatus Francisci Davidis de dualitate in tria capita divisus), 2 ediz., [Cracovia? 1584?]; Obiectiones ad Fausti Socini refutationeni thesium Francisci Davidis (scritte nel 1579, ma pubblicate per la prima volta dal Sozzini nel 1595), in F. Sozzini,Opera omnia, Irenopoli 1656, II, pp. 713-717; Antithesis in primum Ioannis caput iuxta doctrinam sophistarum quo opposita iuxta se magis elucescant, s.n.t.; Disputatio Blandratae vel quae Albae Iuliae acta sunt coram principe Tralsylvaniae Christophoro Bathoreo, s.n.t.; Georgii Blandratae confessio antitrinitaria, a cura di H. P. C. Hencke, Helmstadii 1794, con la data errata del 1562 (ristampata in Cantimori,Profilo di G. B. saluzzese..., pp. 22-25).

Opere scritte in collaborazione col Dávid e con altri: Catechesis quam mediante Paruta in publica seu generali synodo Rodnothiensi celebrata pronunciari et publicari curavit (perduta: Pirnát,Die Ideologie..., p. 179); Disputatio prima Albana seu Albensis habita anno 1566, 24 febr., Claudiopoli 1566; De vera et falsa unius Dei patris,Filii et Spirttus Sancti cognitione libri duo. Authoribus ministris ecclesiarum consentientium in Sarmatia et Transylvania, Albae Iuliae 1568 (lettera di dedica datata 1567); Brevis enarratio disputationis Albanae de Deo trino et Christo duplici coram serenissimo principe et tota ecclesia decem diebus habita anno Domini 1568, 8 martii, Albae Iuliae 1568; De regno Christi liber primus. De regno Antichristi liber secundus. Accessit tractatus de paedobaptismo et circumcisione, Albae Iuliae 1569 (Kot,L'influence..., pp. 94-103); Refutatio scripti Georgi Majoris in quo Deum trinum in personis et unum in essentia,unicum deinde eius filium in persona et duplicem in naturis ex lacunis Antichristi probare conatus est. Auctoribus Francisco Davidis et Georgio Blandrata [Claudiopoli?] 1569; Epistola ad ecclesias minoris Poloniae Segesvaria (27 genn. 1568), in S. Lubieniecki,Historia reformationis Polonicae, Freistadii 1685, pp. 229-230; Epistola ad reverendissimos dominos Gregorium Pauli,Georgium Schomannum,Martinum Czechovicium et Alexandrum Vitrelinum et coeteros ministros ecclesiae Polonicae a Georgio Blandrata et Fausto Socino nomine ecclesiae Transylvanicae eiusdem confessionis scripta (1579), in Defensio FrancisciDavidis..., pp. 226-229; nella stessa Defensio tre importanti lettere del B. al Paleologo (Gyula-Fehérvár, 3 agosto 1578, 18 marzo 1579, 10 genn. 1580); lettere alla Chiesa di Lublino (19 sett. 1561), in Zachorowski,Najstarsze synody..., pp. 213-215; a G. Paweł (21 sett. 1565), in Wotschke,Der Briefwechsel..., pp. 263-268 (con data errata del 30 novembre: v. Kot,L'influence..., p. 97); alle Chiese polacche 31 ott. 1569), in Wotschke,Zur Geschichte..., pp. 95-96.

Fonti e Bibl.: Per la data della laurea allo Studio di Montpellier, v. Matricule de l'Université de Médicine de Montpellier (1503-1599), a cura di M. Gouron, Genève 1957, p. 62. Sul soggiorno in Svizzera: Calvini opera quae supersunt omnia, IX, in Corpus reformatorum, XXXVII,Tractatus theologici minores, V, Brunsvigae 1870, coll. 325-332, 385-388, 629-638, 641-650; XVII,ibid., XLV,Thesaurus epistolicus Calvinianus, VIII, ibid. 1877, coll. 169-171, 176, 181, 207, 236 ss., 251, 258 s., 378, 424 s., 498, 600, 676; XVIII,ibid., XLVI,Thesaurus cit., IX, ibid. 1878, coll. 102, 402-556, 559, 571, 672, 675, 753; XIX,ibid., XLVII,Thesaurus cit., X, ibid. 1879, coll. 35-45, 166-170, 171, 173, 540, 558, 572-580; XX,ibid., XLVIII, Thesaurus cit., XI, ibid. 1879, col. 189; XXI, ibid., XLIX, Thesaurus cit. (Prolegomena), XII, ibid. 1879, coll. 85, 691-695; Corresp. de Théodore de Bèze, a cura di F. Aubert, H. Meylan, A. Dufour, Genève 1960-1965, II, 1556-1558, pp. 139s.; III, 1559-1561, pp. 9, 86, 88; IV, 1562-1563, pp. 158s., 204-208; Livre des habitants de Genève, a cura di P. F. Geisendorf, Genève 1957, I, p. 112. Sulla partecipazione del B. ai sinodi della Chiesa polacca, v. H. Dalton,Lasciana nebst den älteren evangelischen Synodalprotokollen Polens 1551-1561, Berlin 1899, pp. 435-437, 498, 513-515, 524s, 538-541, 549e passim; S. Zachorowski,Najstarsze synody arjan polskich, in Reformacja w Polsce, I(1921), pp. 215, 218s.; Th. Wotschke,Der Briefwechsel der Schweizer mit den Polen, Leipzig 1908, pp. 110 s., 133-137, 165s., 271 s. e passim. Sugli anni dell'ultimo soggiorno in Transilvania v: soprattutto S. F. Uzoni,Historia eccles. Unitariorum in Transylvania, ancora inedita, nota in quattro diverse redazioni (v. A. Ivanyi,The 'Historia' and Its Authors, in American Hungarian Library, 1960, fasc. 3, p. 4) e ricca di documenti sul Biandrata. Sugli ultimi anni v. Epistolae et acta Iesuitarum Transylvaniae temporibus principum Bathory, a cura di A. Veress, Budapest 1915, I, pp. 77, 530, 650; II, p. 40.

Oltre al citato e inattendibile Commentario di V. Malacarne e le note di W. Heberle,Aus dem Leben von G. Blandrata, in Tübinger Zeitschrift für Theologie, 1840-44, pp. 116-185, il solo studio complessivo sul B. è il saggio di D. Cantimori,Profilo di G. B. saluzzese, in Boll. stor-bibliogr. subalpino, XXXVIII (1936), pp. 352-402, rifuso in Eretici ital. del Cinquecento, Firenze 1939, pp. 211-224, 319-330, 415-417e passim. A completamento e aggiornamento della bibl. ivi cita, vedi: Fr. Trechsel,Die protestantischen Antitrinitarier vor Faustus Socin, II, Heidelberg 1839-44, pp. 303-316e passim; E. Jakab,Néhány adat Blandrata György élete, in Keresztény Magvetö, XII (1877), pp. 1-16; Th. Wotschke,Zur Gesch. des Antitrinitarismus, in Archiv für Reformationsgeschichte, XXIII (1906), pp. 27, 95 s.; I. Borbély,A magyar unitárius egyhár hitelvei a XVI. szàzadban, Kolozswár 1914; S. Kot,Socinianism in Poland. The Social and Political Ideas of the Polish Antitrinitarians in the Sixteenth and Seventeenth Centuries, Boston 1957, pp. 21, 51, 93; P. Costil,André Dudith humaniste hongrois: 1553-1589..., Paris 1936, pp. 137, 140-143, 174, 189, 340-342; E. M. Wilbur,A History of Unitarianism. Socinianism and its Antecedents, Boston 1945, pp. 223-226, 302-318e passim; Id.,A History of Unitarianism. In Transylvania,England and America, Cambridge 1952, pp. 28-90; S. Kot,L'influence de Michel Servet sur le mouvement antitrinitarien en Pologne et en Transylvanie, in Autour de Michel Servet et Sébastien Castellion a cura di B. Becker, Haarlem 1953, pp. 94-103; H. Barycz,Dokumenty i fakty z dzieiów reformacii, in Reformacia w Polsce, XII(1953-55), pp. 215-217; H. Fodor,Ferenc Dávid der Apostel der religiösen Duldung, in Archiv für Kulturgeschichte, XXXVI(1954), pp. 18-29; F. Ruffini,Studi sui riformatori italiani, a cura di A. Bertola, L. Firvo, E. Ruffini, Torino 1955, pp. 204-209; D. Cantimori,Note su alcuni aspetti della propaganda religiosa nell'Europa del Cinquecento, in Aspects de la propagande religieuse, Genève 1957, pp. 348-351; H. Barycz,Kilka dokumentów zródłowych do dziejów arianizmu polskiego, in Studia nad arianizmen, Warszawa 1959, pp. 517-524; A. Pascal, Il Marchesato di Saluzzo e la Riforma Protestante (1548-1588), Firenze 1960, pp. 136-145; A. Pirnát,Die Ideologie der Siebenbürger Antitrinitarier in den 1570 er Jahren, Budapest 1961, pp. 12-21, 176-182, 184-186, 202-204 e passim; G. H. Williams,The Radical Reformation, Philadelphia 1962, pp. 634-636, 658-661, 715-732; L. Chmaj,Faust Socyn (1539-1604), Warszawa 1963, pp. 36-41, 98-102, 111-115; L. Szczucki,Marcin Czechowic. Studium z dziejów antytrynitaryzmu polskiego XVI w., Warszawa 1964, pp. 22-45, 62, 68, 79, 105-108, 114 s., 228-236 e passim.

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