GRILLENZONI, Giovanni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 59 (2002)

GRILLENZONI, Giovanni

Guido Dall'Olio

Nacque a Modena probabilmente nel 1501, da Nicolò. Non è noto il nome della madre.

Ebbe sei fratelli: Antonio (il più anziano, proprietario di una spezieria), Alessandro (nato intorno al 1504, mercante di panni di lana), Andrea (canonico della cattedrale di Modena), Bartolomeo (podestà in diversi centri dell'Italia centrosettentrionale e uditore di rota a Genova), Daniele e Cesare. Dopo la morte di Nicolò, avvenuta nel 1518, tutti i fratelli rimasero nella grande casa paterna, in cui condussero anche le loro famiglie. La casa dei Grillenzoni si trasformò così progressivamente in una grande comunità, che nei periodi di massima espansione contava tra i quaranta e i cinquanta membri.

Il G. studiò inizialmente a Modena, sotto la guida del letterato Panfilo Sasso, che nel 1523 avrebbe subito un processo inquisitoriale per le sue idee (negava l'immortalità dell'anima e l'esistenza di paradiso, inferno e purgatorio). Si recò quindi presso lo Studio bolognese, dove frequentò assiduamente le lezioni di filosofia di Pietro Pomponazzi e poi di Ludovico Boccadiferro.

Sfruttando la sua mano veloce, il G. trascrisse fedelmente le lezioni del Pomponazzi, non tralasciando i motti di spirito dei quali il filosofo mantovano abbondava; in seguito divulgò generosamente i suoi appunti, tanto che, come scrisse poi il suo amico e primo biografo Lodovico Castelvetro, "non è niun lettore pubblico di Filosofia che non le abbia et non se ne abbellisca leggendo" (Cavazzuti, Appendice, p. 4).

Dopo la morte del Pomponazzi (1525) il G. si diede allo studio della medicina sotto la guida di Girolamo Fiorenzuola, e si laureò qualche anno dopo. Intorno al 1530 tornò a Modena e, a marzo, sposò Masina di Antonio Tassoni, dalla quale ebbe quattro figli: Ortensio, Evandro (o Leandro), Paolo e Servilio. Fu proprio in questo periodo che l'educazione ricevuta da intellettuali anticonformisti diede i suoi frutti. Per iniziativa del G., infatti, la grande casa di famiglia si trasformò in un centro di studi umanistici e discussioni linguistico-letterarie, cui parteciparono assiduamente i principali uomini di cultura della città: Lodovico Castelvetro, Filippo Valentini, Camillo Molza, Pellegrino degli Erri, Francesco Camorana, Ludovico Monte, Giovanni Bertari e due colleghi del G., Gabriele Falloppia e Nicolò Machella.

Benché i Modenesi l'avessero soprannominato l'"Accademia", il gruppo si pose in contrapposizione esplicita con le vere e proprie accademie che fiorivano numerose in altre città; si trattava infatti di un'associazione relativamente aperta e informale, che accoglieva anche persone di passaggio a Modena, curiose di visitare quella singolare accolita di dotti. Il G. e gli altri "accademici", introducendo una novità assoluta nel panorama culturale modenese, stipendiarono un insegnante di greco, Marco Antonio da Crotone, e nel 1536 convinsero le autorità cittadine a istituirne uno pubblico, il greco Francesco Porto, anch'egli strettamente legato agli amici del Grillenzoni. A partire almeno dal 1536, gli "accademici" parteciparono attivamente al dibattito religioso apertosi con la diffusione in Italia della Riforma protestante, assumendo posizioni sempre più ostili alla Chiesa cattolica.

Nel febbraio del 1538 il G., con suo fratello Bartolomeo e gli altri loro amici, partecipò a una festa in casa di Nicolò Machella in cui fu messa in scena una feroce parodia del predicatore Serafino da Fermo, che aveva appena protestato vivacemente dal pulpito contro la diffusione del Sommario della Sacra Scrittura, libretto di chiara ispirazione luterana. In quegli anni il G. e gli "accademici" si opposero vivamente alla condanna di una donna accusata di stregoneria dall'Inquisizione modenese, attirandosi l'ostilità dei domenicani.

Dopo queste e altre clamorose azioni pubbliche, prestigiosi prelati modenesi come Giacomo Sadoleto, o a Modena istituzionalmente legati come il vescovo Giovanni Morone, cercarono di fare rientrare gli "accademici" nell'orbita dell'ortodossia cattolica evitando le procedure dell'Inquisizione. Il 12 giugno 1542 il Sadoleto scrisse loro una lettera in cui, oltre a esprimere la sua stima, li invitava a prendere le distanze dall'eterodossia. Nella sua risposta (3 luglio), il G. difendeva risolutamente se stesso e l'"Accademia", sostenendo di essere vittima dell'odio dei domenicani, "li quali", scrisse, "non vorriano che nelle cittadi fussero altre lettere che le sue" (Regesten…, 1882, p. 393). In quei giorni, alla vigilia della nascita dell'Inquisizione romana (istituita anche in seguito ai segnali d'allarme provenienti da Modena), agli "accademici" fu recapitato un formulario redatto dal cardinale Gasparo Contarini su richiesta di Morone, con l'ingiunzione di sottoscriverlo. Dopo molte esitazioni, il 1° settembre la maggior parte del gruppo si rassegnò a compiere quell'atto; tra le altre firme, in fondo al documento figurano quelle del G. e dei suoi fratelli Antonio e Bartolomeo.

Dopo quell'episodio, per qualche tempo la vita del G. e dei suoi amici poté riprendere senza troppi turbamenti; una perizia medico-legale del G. su un avvelenato reca la data del 21 marzo 1543.

Egli poté così raggiungere il vertice della sua carriera: nel 1546, infatti, era priore del Collegio dei medici di Modena e nel 1550 ne riformò gli statuti. Né il G. né i suoi amici, tuttavia, avevano abbandonato le loro convinzioni eterodosse. Secondo testimonianze processuali più tarde, infatti, nel 1544 egli partecipò a diverse riunioni in casa di Francesco Camorana, in cui si propagandavano le idee della Riforma non più solo tra dotti, ma coinvolgendo anche uomini come il battilana Geminiano Callegari e il tessitore Tommaso Bavellino.

In quegli anni il dissenso religioso era penetrato capillarmente a Modena; poco prima del suo scioglimento, nel 1545, il luogo di riunione dell'"Accademia" non era più la casa del G., ma la spezieria di suo fratello Antonio, nella quale si riunivano almeno cinquanta persone. Un'eloquente testimonianza delle opinioni religiose del G. è il suo testamento dell'11 maggio 1545, con cui lasciava erede universale la moglie. Redatto insolitamente in volgare, con l'esplicita proibizione di volgerlo in latino per evitare frodi, il documento cominciava con l'invocazione a Dio e alla sua "infinita misericordia", a Gesù Cristo e al suo "precioso sangue […] sparso per la generatione humana" e con la speranza di essere "herede del Paradiso, secondo la promissione di Giesù Christo", espressioni nelle quali è facile riconoscere una spiritualità riformata, sia per gli echi di testi come il Beneficio di Cristo, sia per la completa omissione della Vergine e dei santi. Notevole anche l'invito agli eredi a spendere il meno possibile per la sepoltura e a non vincolare il suo corpo a nessuna chiesa in particolare, "perciò che", scrisse, "sì come sono vivuto homo libero, voglio anchora che il corpo mio senta della passata libertà, et questo fo anchora per havere veduto alcuna volta dissensione et rumori, tra frati et preti da una parte et heredi dalaltra, per obligare i corpi ad alcuna chiesa". Infine, fatto rarissimo in un testamento, il G. dichiarava apertamente di non voler lasciare alcun legato a opere pie, affidando unicamente agli eredi il compito di "fare limosine a poveri di Christo" e aggiungendo: "siano essi che le facciano et non diano ad altri a dispensare […] et la limosina sia a honore de Dio et non per laude humana" (edito in Casoli, 1911, pp. 78-80). In questo documento sono evidenti le radici civiche e umanistiche del dissenso religioso del G., in cui si compenetravano le dottrine della Riforma e l'impegno morale della cultura dei suoi maestri Sassi e Pomponazzi.

In una denuncia all'Inquisizione di Modena (12 genn. 1547) il domenicano fra Agostino da Imola raccontava di essere stato a casa del G. e di averlo udito negare l'autorità del papa e asserire di sentirsi tenuto all'obbedienza più dell'autorità secolare (il duca di Modena) che del pontefice; il G. avrebbe anche protestato contro le decime, contro l'imposizione dei digiuni e contro gli ordini religiosi. Anche qui, dunque, un dissenso in cui le ragioni politiche e morali erano più importanti di quelle strettamente teologiche. La denuncia non ebbe comunque alcuna conseguenza grave: tre anni dopo, il 29 maggio 1550, il G. poteva presentare ai colleghi medici di Modena i nuovi statuti del Collegio da lui riformati.

Il 16 marzo 1549 il G., insieme con Antonio, si recò a Senigallia per assistere il fratello Alessandro, che morì di lì a poco. Poco più di due anni dopo, il 22 luglio 1551, il G. morì a Modena, dopo una breve malattia.

Nel riferire della sua morte, il cronista Tommasino Lancellotti scrisse che lasciava i quattro figli e la moglie, ancora "zovene e bella" (Cronaca, X, p. 480).

Benché mai processato in vita, nel corso dei processi degli anni '60 il G. fu ricordato da diversi membri delle conventicole eterodosse modenesi per essere stato un loro punto di riferimento. Dei suoi figli, Ortensio divenne canonico della cattedrale di Modena, Paolo fu discepolo dell'umanista Lazzaro Labadino e passò poi al servizio del cardinale Alessandro Sforza, insieme con Servilio. Sia Paolo, sia Servilio furono poeti latini.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Modena, Notarile di Modena, b. 1669, nn. 151, 195, 204, 253; Memoriale antico, vol. 405 (1545/II), n. 173 (testamento del G.); Tribunale dell'Inquisizione di Modena, b. 2, ff. 33, c. 3r; 39; b. 5: Contra Geminianum Calegarium Mutinensem, c. 4r; Contra Franciscum Carettam, c. 7r; Bologna, Biblioteca universitaria, Mss., 1097, cc. 228v-230r; Cronaca modenese di Tommasino de' Bianchi detto de' Lancellotti, III, Parma 1865, p. 18; VIII, ibid. 1871, p. 294; X, ibid. 1878, pp. 70, 469, 480, 485; L. Castelvetro, Memorie sulla vita di G. G., Bologna 1866; Regesten und Briefe des Cardinals Gasparo Contarini (1483-1542), a cura di F. Dittrich, Braunsberg 1882, pp. 390, 392-395; A. Mercati, Il sommario del processo di Giordano Bruno, con appendice di documenti sull'eresia e l'Inquisizione a Modena nel secolo XVI, Città del Vaticano 1942, p. 138; Il processo inquisitoriale del cardinal Giovanni Morone, a cura di M. Firpo - D. Marcatto, Roma 1981-95, ad indices; G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, I, Modena 1781, pp. 3, 6, 60; III, ibid. 1783, pp. 25-30, 433-437, 439 s.; T. Sandonnini, Lodovico Castelvetro e la sua famiglia. Note biografiche, Bologna 1882, pp. 149 s., 167, 169; G. Cavazzuti, Lodovico Castelvetro, Modena 1903, ad ind.; V. Casoli, Gli statuti del Collegio dei medici della città di Modena riformati da G. G. medico modenese, in Riv. di storia critica delle scienze mediche e naturali, I (1911), pp. 57-80, 93-107; II (1912), pp. 1-25; B. Nardi, Studi su Pietro Pomponazzi, Firenze 1965, pp. 58, 78, 81; J. Tedeschi - J. von Henneberg, "Contra Petrum Antonium a Cervia relapsum et Bononiae concrematum", in Italian Reformation studies in honor of Laelius Socinus, Firenze 1965, pp. 249, 250 n., 255 n., 263 s. nn.; A. Biondi, Streghe ed eretici nei domini estensi all'epoca dell'Ariosto, in Il Rinascimento nelle corti padane. Società e cultura, Bari 1977, pp. 179 s., 184, 198; S. Peyronel Rambaldi, Speranze e crisi nel Cinquecento modenese, Milano 1979, pp. 230 s.; C. Bianco, La comunità di "fratelli" nel movimento ereticale modenese del '500, in Riv. stor. italiana, XCII (1980), p. 626; P. Zambelli, "Aristotelismo eclettico" o polemiche clandestine? Immortalità dell'anima e vicissitudini della storia universale in Pomponazzi, Nifo e Tiberio Russilliano, in Die Philosophie im 14. und 15. Jahrhundert…, a cura di O. Pluta, Amsterdam 1988, pp. 539-541, 543-545; G.M. Anselmi - L. Avellini - E. Raimondi, Il Rinascimento padano, in Letteratura italiana (Einaudi), Storia e geografia, II, 1, Torino 1988, pp. 565 s.; M. Firpo, Inquisizione romana e Controriforma, Bologna 1992, ad ind.; F. Valentini, Il principe fanciullo. Trattato inedito dedicato a Renata ed Ercole II d'Este, a cura di L. Felici, Firenze 2000, ad ind.; J. Tedeschi, The Italian Reformation of the sixteenth century and the diffusion of Renaissance culture. A bibliography of the secondary literature, Modena 2000, p. 324; P.O. Kristeller, Iter Italicum, III, p. 614.

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