LANZA, Giovanni

Enciclopedia Italiana (1933)

LANZA, Giovanni

Francesco Lemmi

Uomo politico, nato a Casale Monferrato il 15 febbraio 1810, morto a Roma il 9 marzo 1882. Tra il 1832 e il 1833 si laureò a Torino in medicina e in chirurgia, ma preferì poi occuparsi di agricoltura sia nel proprio podere di Roncaglia, presso Casale, sia nell'Associazione agraria di cui fu anche segretario. Scrisse nel Messaggiere del Brofferio, nelle Letture popolari del Valerio e, dopo le riforme dell'ottobre 1847, nell'Opinione di Giacomo Durando. Nel 1848 fu tra i volontarî che primi accorsero dal Piemonte in aiuto dei Lombardi e partecipò poi alla guerra sino alla metà di maggio, quando venne eletto deputato al parlamento dal collegio di Frassineto Po. Dopo l'armistizio Salasco si accostò al Gioberti, il quale anzi, nel gennaio del 1849, lo mandò in Toscana, insieme con l'avv. Giacinto Salvi, per risolvere una questione di confini. Non fu favorevole alla ripresa delle ostilità nel marzo, ma dopo Novara si dichiarò per la resistenza a oltranza (27 marzo 1849) e parlò poi e votò contro la pace di Milano, che definì "un patto disonorevole per la nazione" (31 dicembre 1849 e 9 gennaio 1850). Vice presidente della camera dal 16 novembre 1853, accettò dal Cavour, il 31 maggio 1855, il portafoglio della Pubblica istruzione che poi cedette a Carlo Cadorna, il 17 ottobre 1858, per assumere quello delle Finanze lasciato dal Rattazzi. Tornò al suo banco di deputato dopo Villafranca, ma il 10 aprile 1860 fu eletto presidente della camera e in tale ufficio rimase, con rigida imparzialità, sino alla proclamazione del regno d'Italia. Il "carabiniere" o, come fu anche detto, l'"Aristide italiano" non approvò mai del tutto l'audace e spregiudicata politica del Cavour. Dal centro sinistro s' era intanto sempre più avvicinato alla destra, di cui doveva diventare il capo o uno dei capi più autorevoli. Ministro dell'Interno (29 settembre 1864) nel secondo gabinetto Lamarmora, si dimise il 25 agosto 1865 perché contrario alla tassa sul macinato proposta dal Sella. Sotto il Menabrea fu di nuovo presidente della camera dal 9 dicembre 1867 all'8 agosto 1868, quando, disceso dal suo seggio presidenziale, con la parola e col voto combatté, insieme con la sinistra, la legge per la regia cointeressata dei tabacchi, voluta dal Cambray Digny. Riprese il suo posto il 19 novembre 1869, ma pochi giorni dopo (14 dicembre), dimessosi il Menabrea, ebbe l'incarico di costituire, come fece, il nuovo ministero, nel quale entrarono, fra gli altri, il Sella e il Visconti Venosta. Riduzione delle spese militari, economie sino all'osso, nessuna alleanza con la Francia e, più tardi, nessun intervento armato in suo favore fu il programma del ministero Lanza-Sella, ch'ebbe la fortuna di dare finalmente esecuzione al voto con cui, il 27 marzo 1861, il parlamento aveva proclamato Roma capitale d'Italia. Il L. si dimise il 25 giugno 1873, essendo stati respinti i provvedimenti finanziari proposti dal Sella, e da allora visse più volentieri a Torino, dove fu anche presidente dell'Associazione costituzionale (1878), che si proponeva di far argine all'invadenza dei partiti sovversivi. Abbandonato dal collegio di Vignale (novembre 1874) e poi dal secondo di Torino (maggio 1880), fu eletto allora dai suoi concittadini casalesi che gli erano grati dell'abolizione, da lui ottenuta l'anno innanzi, di quelle risaie, infestissime alla sanità pubblica. Era cavaliere della SS. Annunziata dal 3 ottobre 1870.

Bibl.: E. Tavallini, La vita e i tempi di G. L. Memorie ricavate dai suoi scritti, Torino 1887, volumi 2. Anche: Rass. nazionale, 1900-1901; Risorg. italiano, 1924.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata