BARBERI, Giovanni Luca

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 6 (1964)

BARBERI (Barbieri, Barberio, de Barbera, Barberius), Giovanni Luca

Filippo Liotta

Procuratore fiscale e ufficiale della cancelleria o, come egli stesso si definisce, "Magister riotarium regie Cancillarie", al servizio del governo vicereale di Sicilia al tempo di Ferdinando il Cattolico, fiorì intorno al 1500, e deve il ricordo dei posteri al suo famoso Capibrevio, che rimase, nel corso di tre secoli, pur senza essere stato dichiarato atto ufficiale dello Stato, la fonte più autorevole per la soluzione delle intricate questioni di diritto feudale siciliano, e che, per questo, fruttò rimproveri o elogi all'autore a seconda che servisse a smascherare una situazione di fatto abusiva, o giovasse agli interessi del pubblico erario.

Accentratasi sull'opera l'attenzione dei posteri si sono disperse le notizie intomo all'autore. Una tradizione che risale al sec. XVII, seguita poi da tutti gli scrittori, lo vuole nativo di Noto, ma né dal Capibrevio, né da fonti a lui contemporanee risulta una conferma di questo dato biografico. Non vi è dubbio che egli sia stato uomo di legge, soprattutto versato nella ragione feudale, ma dove egli abbia compiuto i suoi studi e con quali maestri non sappiamo; né sappiamo se egli sia stato "notarius", come sembrerebbe verosimile, prima di essere chiamato alla regia Cancelleria.

Il famoso umanista siciliano Lucio Marineo, suo contemporaneo, lo presenta in due lettere dalla Spagna con l'appellativo di "Regio Segretario" e "Cavaliere nobilissimo" e gli dichiara tutta la sua amicizia per essere stato difeso dal B. contro ingiuste diffamazioni diffuse sul suo conto da alcuni avversari siciliani.

Si sa che il B. si recò in Spagna, ma sulla durata della sua permanenza presso la corte di Ferdinando non si hanno notizie precise. Il riferimento, però, che a questo viaggio fa il parlamento del 1509 (Capitula Regni Siciliae, I, p. 555) e i documenti pubblicati da G. Silvestri (Saggio sullo stato ....) permettono di stabilire che esso ebbe luogo nello stesso anno 1509 e fu determinato da motivi strettamente connessi con la compilazione del Capibrevio.

Null'altro è possibile, allo stato attuale delle fonti, riferire sulla vita privata del Barberi. La sua attività di pubblico ufficiale ebbe inizio il 13 nov. 1484 con la nomina a commissario della Regia gran Corte, e nel 1491 (7 gennaio) di maestro notaro della Cancelleria, dopo essere stato scriba dei mandati dell'ufficio del conservatore (25 luglio 1487) e maestro notaro della Secrezia di Palermo (24 nov. 1489). Nel 1497 gli è conferito a vita l'ufficio di usciere del provveditore dei reali castelli.

Dal latino medievale breve (nell'accezione di lettera della cancelleria regia: Du Cange, Glossarium mediae et infimae Latinitatis, 11,1, p. 745) e caput (nell'accezione di luogo principale, fondamentale), il Capibrevio - o secondo la corrispondente voce castigliana Cabreo,entrata nel linguaggio delle nostre fonti - si può definire il gran libro della feudalità sicìliana. Vi sono descritti, infatti, tutti i feudi e gli atti di investitura dei medesinu, le successioni e le decadenze nel rapporto feudale, la rendita percepita dal fisco, la legittimità o meno del possesso dal primo quesitore sino all'ultimo possessore del feudo.

Attingendo a materiali di prima mano, che poteva reperire negli archivi della regia Cancelleria, e ai diplomi originali che, per quanto gli fu possibile, riuscì a farsi mostrare dai feudatari, il B. fece il censimento dei feudi siciliani sulla base della più ampia ricognizione dei titoli di legittimazione del rapporto feudale, spesso aggiungendo alle indagini intomo alla legittima continuità del rapporto feudale personali osservazioni (allegationes, cedulae, ecc.) - importantissime perché rappresentano l'unica fonte per ricostruire le dottrine giuridiche professate dall'autore - che dovevano servire come pro-memoria per un giudizio, in diritto, sulla validità del rapporto stesso.

Questa indagine, svolta dal B. per incarico del sovrano, aveva lo scopo di mettere in luce le situazioni irregolari nel possesso dei feudi siciliani e favorime, quindi, la devoluzione al fisco. Tali propositi suscitarono le proteste dei feudatari che le concretarono in due rimostranze presentate al sovrano nei parlamenti del 1509 e del 1515 tendenti la prima a far proibire, oltre che alcune illecite esazioni, l'indagine del B., e la seconda, vista l'inutilità della richiesta precedente, a limitare la validità del Capibrevio solo agli atti "digni di fidi" che, á fossero notati e registrati. Senonché ta sanzione reale data a queste richieste (Capitula Regni Siciliae...,ediz. F. Testa I, Panormi 1749, capp. 63, 109, pp. 586 s.) mostra indirettamente come il pensiero del sovrano fosse quello di persistere nell'azione intrapresa dal B., sia per arricchire con devoluzioni e nuove concessioni di feudi le casse dello Stato, sia per fiaccare l'infida nobiltà siciliana. Il disegno di eliminare i possessi feudali illegittimi, per altro assai diffusi nella Sicilia del sec. XVI, trovava in effetti seri ostacoli oltre che di ordine politico, soprattutto di ordine giuridico, e il proposito di devolvere al fisco i feudi illegittimamente posseduti riproponeva delicate questioni di interpretazione giuridica.

I problemi più importanti che venivano sollevati riguardavano la validità del capitolo 456 di Alfonso V, il Magnanimo, dell'anno 1452 con il quale si confermavano le concessioni feudali esistenti, di diritto o di mero fatto. L'ostacolo che frapponeva questo capitolo ai disegni del B. consisteva nel ricondurre tutti gli stati di fatto ad una situazione di diritto che non era agevole considerare inesistente; e tanto meno poteva farlo Ferdinando il Cattolico che, assumendo la corona di Sicilia nel 1468, aveva giurato (1474) di mantenere in vigore e di rispettare i capitoli e le costituzioni emanate dai suoi predecessori, Alfonso e Giovanni (ibid., cap. 1, pp. 511 s.). 1 feudatari siciliani, insorgendo contro l'operato del B., non mancarono di ricordare al re questo giuramento (cap. 63 cit.) e ne fecero, successivamente, una ragione per invalidare radicitus i risultati della indagine del Barberi. Ma all'accusa di violazione del capitolo alfonsino il B. replicava rifacendosi - nelle osservazioni sui feudi di Mazzarino illegalmente posseduti dai Branciforte - ad un capitolo del 1459 del successore di Alfonso e predecessore di Ferdinando, Giovanni, che egli poteva riscontrare nel registro della regia Cancelleria (vol. 458, CC. 231 s.) con il quale dal re Giovanni, in considerazione del depauperamento del patrimonio regio per le continue concessioni fatte dai re di Sicilia, "et signanter per dictum regem Alfonsum", venivano revocate e annullate "universae concessiones donationes et gratiae quodcumque et qualitercumque ac sub quavis verborum expressione et clausularum robore, quibuscumque personis per ipsum regem Alfonsum ad suae regiae dignitatis beneplacitis eodem in regno generali factae" (I Capibrevi, ed. Silvestri, I, pp. 44 s.). Ma il tentativo da parte del B. di rimanere nei limiti della più scrupolosa legalità appariva tanto più evidente quando, e non a caso, riportava all'inizio del suo Capibrevio la prammatica Post bella dello stesso Alfonso del 20 febbr. 1448 con la quale s'era disposta la restituzione al regio demanio di tutti i beni che "ex quavis causa vel consideratione" fossero stati alienati, e poneva questa prammatica a fondamento della sua rigorosa indagine.

A questo punto si innesta la seconda e ancora più violenta critica rivolta al Barberi. Essa riguarda l'interpretazione del cap. 28 Volentes di Federico III, in forza del quale - sostenevano i contraddittori del B. - i beni feudali sarebbero stati ridotti allo stato di beni allodiali e quindi alienabili e trasmissibili come qualsiasi privato patrimonio. Ma anche questa critica era indirettamente superata dal B.: ogni volta che egli rileva l'inosservanza del capitolo in questione (I Capibrevi, I, p. 96: Feudum Nissurie; pp.197 s.: Pulichi feudum, III, pp.81-88: Allegatio e Cedula sui feudi La Favarocta e La Bifara, ecc.) mostra di interpretarlo restrittivamente secondo l'insegnamento di Guglielmo Perno che, rifacendosi a Bernardo Medico e ad altri feudisti, concedeva l'applicazione del capitolo Volentes alle investiture in forma larga o non pazionata, negandone l'efficacia per quelle in forma stretta o pazionata, "quia pactum vincit hanc legern [scil. cap. Volentes]". A proposito del capitolo Volentes il B. segue questa dottrina, la quale, poi, non doveva essere tanto controversa nel primo ventennio del sec. XVI se non venne nemmeno impugnata in nessuno dei due parlamenti presentati a Ferdinando nel 1509 e nel 1515. Essa, piuttosto, fu attaccata successivamente, e proprio dai difensori di quella feudalità che aveva tutto l'interesse di sottrarsi alle illegalità messe in luce dal Capibrevio barberiano.

Quel che risalta anche ad un superficiale esame del Capibrevio è il costante riferimento al titolo che il B. fa per stabilire la legittimità delle diverse situazioni, a cominciare dal primo quesitore e seguendone progressivamente le vicende successorie, sino all'epoca in cui scrive. Veniva così esaminato con ogni scrupolo se vi fosse stata o meno regolare trasmissione della titolarità del diritto; e, laddove gli archivi non potessero essere d'aiuto o la ricostruzione delle genealogie fosse risultata impossibile, il B. apertamente dichiarava che si doveva far luogo ad altre indagini "ut veritas innotescat" (allegatio de Resulpatani feudo, II, p. 22; Casale et feudum Ravinose, III, pp. 203, passim).

Giova segnalare un'altra importante dottrina professata dal B. in tema di utilità pubblica. Nella Allegatio aggiunta alla descrizione della situazione feudale dell'isola di Pantelleria, concludendo per la devoluzione dell'isola al demanio, il B. osservava che per il principio della sovranità, "rex superiorem non recognoscens ...quemadmodum imperator, dicitur dominus etiam rei private, et quia utilitas publica privatae praefertur, potest auferre reni de natura domimi privati et illani ad naturam rei demanialis tribuere quandocunique hoc conducit et est utile quoad dominium generalis protectionis", ma aggiungeva (e sta qui la peculiarità del pensiero del B. che sanciva il tramonto della concezione patrimoniale dello Stato): "etiam videmus tali modo quod comitatus Regii fuit reductus a natura privati domimi ad regii demami naturam" (I Capibrevi..., I, p. 20).

Altri spunti teorici interessanti si possono ricavare dal Capibrevio barberiano e meritano di essere isolati e collocati in un disegno più vasto che prescinda dal caso concreto per ricostruire quello svolgimento teoricq che nel Capibrevio,ovviamente, manca. Così, ad esempio, particolarmente interessanti sono le osservazioni sull'efficacia costituzionale del giuramento del sovrano di rispettare le costituzioni dei suoi predecessori (I Capibrevi, II, p. 13: Allegatio de Feudis Petre de Roma) e l'importantissimo problema della legazia apostolica dei re di Sicilia affrontato (e risolto in senso regalista) nel De regia monarchia e nel Capibrevio delle Secrezie tuttora inediti. Purtroppo, allo stato attuale degli studi, questa ricerca non è stata neppure tentata, e il Capibrevio è stato sino ad ora utwzzato, più che come fonte delle dottrine giuridiche correnti nel Regno di Sicilia tra i secc. XV e XVI, piuttosto come fonte per la storia locale, in virtù della minuziosa descrizione dei territorio e delle genealogie dei vari feudatari.

Il Capibrevio barberiano, sebbene dovesse essere considerato atto ufficiale dello Stato e depositato in copia originale nella regia cancelleria per ordine dello stesso re Ferdinando, fu, dopo la morte di questo sovrano (1516), temporaneamente dimenticato a causa, forse, della mutata situazione politica del Regno. Furono tuttavia redatte nel corso dei secoli successivi molte copie dell'opera che fu largamente utilizzata e dai privati e dai tribunali per la risoluzione delle controversie feudali.

Nonostante la notevole diffusione, sono sinora segnalati solo tre manoscritti del Capibrevio conservati presso l'Archivio di Stato di Palermo (ritenuto come la copia autentica depositata nell'archivio della Cancelleria: Nobile, I codici... p. IX), presso la Biblioteca Comunale di Palermo e presso la Biblioteca Nazionale della stessa città. La copia conservata nell'Archivio di Stato fu assunta come autentica da Giuseppe Silvestri e da Giuseppe La Mantia che curarono l'edizione a stampa del Capibrevio barberiano apparsa tra il 1879 e il 1907 tra i Documenti per servire alla storia di Sicilia pubblicati a cura della Società siciliana per la storia patria, e rimasta incompleta, mancando la parte riguardante le contee o feudi popolati. Questa edizione, seppur ancora utilissima, è tutt'altro che soddisfacente, limitandosi alla pubblicazione dei tre grossi volumi che riguardano, secondo la tradizionale divisione amministrativa della Sicilia nelle tre valli di Noto, Demone e Mazzara, i feudi minori. Restano quindi inediti, oltre ai codici ricordati sopra le contee o terre (Magnum capibrevium),quello delle Secrezie (gestione del demanio e dei vettigali), della Monarchia e dei Privilegi dell'arcivescovato di Palermo cui il B. spesso si riferisce nel Capibrevio dei feudi minori e che compose prima del 1509.

Questi manoscritti formano un insieme inscindibile con quelli riguardanti i feudi minori delle tre valli e integrano e completano la rassegna compiuta dal B. sullo stato dei diritti demaniali del suo tempo. Ad essi debbono essere aggiunti i Beneficia Ecclesiastica, di cui è uscita recentemente un'edizione a cura di Illuminato Peri (2 voll., Palermo 1963). In essi il B. venne raccogliendo notizie riguardanti i diritti di patronato della corona sopra i vescovati, abbazie, priorati e altri enti ecclesiastici, estendendo a questa materia i principi e le finalità che avevano presieduto alla compilazione dei Capibrevio grande.

L'opera, richiesta da Ferdinando II, ebbe inizio nel 150g al ritorno del B. dalla Spagna. Ad essa collaborarono il regio segretario Giuliano Castellano e il notaio Francesco De Silvestro. Questi infatti ricevettero l'incarico "di visitare le fondazioni religiose sparse nell'isola, e di ognuna trascrivere gli atti opportuni". Del materiale da loro raccolto (conservato tra gli atti della Regia Cancelleria sotto il titolo di Liber prelatiarum) il B. si servì, assieme ad altro materiale già raccolto e allo spoglio da lui fatto dei registri degli Uffici centrali di Sicilia (particolarmente della Conservatoria e della Cancelleria), per stendere il testo dei Beneficia, ultimato nel 1511.

Il B. negli anni seguenti il 1511 e fino al 1521 continuò ad apportare a questa opera come al Capibrevio grande varie aggiunte. Oltre questa data non abbiamo più sue notizie. Si può quindi ritenere che egli sia morto negli anni immediatamente successivi al 1521.

Oltre alle opere già menzionate, F. Giunta ha pubblicato nelle Cronache siciliane della fine del Medio Evo, Palermo 1955, due opuscoli del B., Genealogia siciliana (pp.129-131) e Genealogia aragonese (pp.135-148), che egli aveva premesso al manoscritto De regia monarchia al fine di mostrare la legittimità delle successioni dinastiche, sino a Ferdinando il Cattolico, nei Regni di Sicilia e di Aragona. Composte nel 1506 la prima e nel 1508 la seconda con l'intento di glorificare le gesta della casa d'Aragona esaltandone la legittimità del potere, contengono in ordine cronologico la lista dei re di Sicilia e di Aragona con un'illustrazione delle imprese da essi compiute, svolta in modo ovviamente diseguale a seconda che i fatti narrati siano più o meno vicini ai tempi dello scrittore.

Fonti e Bibl.: L. Marineo (Siculus), Epistolarum familiarum libri decem et septem, Vallesoleti 1510, lib. XVI, in fine; lib. XVII, terz'ultima epistola (carte non numerate); R. Pirro, Sicilia Sacra, Panormi 1644, c.n.n. VIII, D. 170; A. Mongitore, Bibliotheca sicula, 1, Panormi 1707, p. 347 sub voce; C. De Napoli, Concordia tra diritti demaniali e baronali...Palermo 1744, pp. 7 ss.; F. Emanuele e Gaetani di Villabianca, Della Sicilia nobile, I, Palermo 1754, pp. 1551-57; S. Simonetti, Rimostranza sulla riversione dei feudi di Sicilia al regio fisco, nel caso della mancanza dei feudatarii, senza legittimi successori in grado, Palermo 1786; G. Dragonetti, Origine de' feudi nei regni di Napoli e Sicilia, Napoli 1788, pp. 380 ss. (le memorie del Simonetti e del Dragonetti furono pubblicate insieme a Palermo nel 1842 con il titolo Raccolta di opere riguardanti la feudalità di Sicilia); M. Guarani, lus feudale neapolitanum ac siculum, II, Neapoli 1793, p. 69; R. Gregorio, Introduzione allo studio del diritto pubblico siciliana, in Opere scelte, Palermo 1845, pp. 22 s.; Id., Considerazioni sopra la storia di Sicilia, ibid., p. 492; L. Bianchinì, Storia economico-civile di Sicilia, I, Napoli 1841, p. 144; Comento sopra l'intelligenza dei capitoli XXX "Si aliquem..." del re Giacomo e XXVIII "Volentes" del re Federigo delle Costituzioni del regno, in R. Gregorio, Opere scelte, Palermo 1845, pp. 647, 649, 651; D. Orlando, Il feudalesimo in Sicilia, Palermo 1847, pp. 126, 236; Id., Biblioteca di antica giurisprudenza siciliana, Palermo 1851, pp. 27 s.; G. E. Di Blasi, Storia del Regno di Sicilia, II, Palermo 1863, pp. 686, 687, 698; G. Silvestri, Saggio sullo stato e sulla riforma della legislazione degli archivi, Palermo 1870 (per i documenti che pubblica); F. Nobile, I codici di G. L. B., Palermo 1892; F. Giunta, Cronache siciliane inedite della fine del Medio Evo, Palermo 1955, pp. 36 s.

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