MALAVOLTI, Giovanni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 68 (2007)

MALAVOLTI, Giovanni

Francesco Storti

Nacque a Siena, nell'ultimo decennio del secolo XIV, da Orlando, cittadino eminente.

La sua infanzia fu segnata dalle aspre lotte tra la prevalente fazione ghibellina, capeggiata dalla consorteria dei Salimbeni, e quella guelfa guidata da Tolomei e Malavolti. Nel 1390, con l'appoggio di Gian Galeazzo Visconti, i Salimbeni assestarono un duro colpo alla parte avversa e Orlando, sfuggito alla morte, il 2 settembre capitolò con la Repubblica di Firenze, affidandole la protezione della famiglia e del suo vasto Stato signorile, consistente nelle terre di Gavorrano, Montacuto, Pari, Ravi, Castel di Pietra, Tatti. Il M. doveva essere poco più che fanciullo poiché, quando nel 1404, stipulata la pace tra Siena e Firenze, quest'ultima impose la restaurazione dei possessi e delle funzioni godute dai Malavolti in patria, egli e i suoi fratelli risultano ancora in età pupillare. Tuttavia, era destino che il M. non tornasse a Siena: il padre fu assassinato appena rientrato nella città e i possedimenti familiari furono occupati dalla fazione avversa a esclusione di Gavorrano, di cui il M., con il fratello Bernardo, ottenne il titolo di signore sotto la tutela di Firenze.

Il M. trascorse lì gli anni successivi, avviandosi alla carriera delle armi. Nel febbraio 1419 figurava tra gli aderenti e seguaci di Firenze negli atti della pace conclusa tra la Repubblica e il duca di Milano. Compì il suo apprendistato presso la compagnia di Bernardino Ubaldini della Carda, sotto le insegne del quale militò per la Chiesa ma, quando nel 1429 Ubaldini fu ceduto dal pontefice a Firenze, impegnata nella guerra contro Lucca, il M. fece istanza per porsi autonomamente al soldo di Firenze.

Per quell'occasione, Rinaldo degli Albizzi lo descrive in una lettera come "uomo da bene, e valente in fatti d'arme" (Commissioni, III, p. 351).

Il M. ottenne l'ingaggio al comando di 20 lance, ma il 2 dic. 1430 fu coinvolto nella rotta che Niccolò Piccinino, al soldo di Francesco Sforza, inflisse al campo fiorentino posto all'assedio di Lucca. Caduto prigioniero, fu riscattato, e in seguito diede ottima prova di sé nella difesa di Pescia contro lo Sforza, capitano dei Lucchesi. Si allontanò però presto da quella guerra e cercò ventura tra i bellicosi baroni pontifici, agitati dalla discussa elezione di Eugenio IV al pontificato. Presso costoro militò tra il 1431 e il 1433, al soldo prima di Antonio Colonna, per il quale, in qualità di governatore di Nepi, saccheggiò il territorio circostante, e in seguito, riconciliatosi il Colonna con il papa, per il prefetto Giacomo da Vico, che lo fece capitano di Vetralla.

Maturava intanto il conflitto tra Venezia e Milano per il controllo dell'Italia padana, che segnò i decenni centrali del secolo e vide cimentarvisi il fiore della milizia italiana, reclutato ovunque nella penisola. Il M. si trovò così, nella primavera del 1434, tra le milizie che Firenze, collegata a Venezia, inviò per conto del papa in Emilia, dove i collegati subirono una dura sconfitta.

Le forze della Repubblica si unirono al Gattamelata (Erasmo da Narni) e a Brandolino Brandolini, assoldati da Venezia, attestandosi presso Castel Bolognese. Agganciato dalle avanguardie milanesi di Piccinino, il 28 agosto l'esercito della lega si disperse lungo un vasto tratto tra la propria base e Imola: fu un grave errore tattico, cui seguì una dura disfatta. Nella giornata di Castel Bolognese i maggiori condottieri dell'esercito collegato (Niccolò da Tolentino, Pietro Gianpaolo Orsini, Astorre Manfredi, Cesare Martinengo, Guerriero da Marsciano) finirono prigionieri e tra questi anche il Malavolti.

Egli ricompare solo nel 1438 al soldo della Serenissima, in uno dei momenti più caldi delle guerre di Lombardia, allorché il grosso dell'esercito milanese di Piccinino occupò il Bresciano, mentre Gianfrancesco Gonzaga, marchese di Mantova assoldato da Filippo Maria Visconti, campeggiava in Verona. In tale critica congiuntura i rettori di Brescia affidarono al M. il vitale incarico di infiltrare una compagnia di 100 lance nella città scaligera. Giunto a Valeggio, tuttavia, fu tradito dal castellano della terra, che rivelò il piano ai nemici: l'intero contingente fu catturato, mentre il M., unico superstite, riparava a Brescia (luglio 1438). Lasciato a presidiare questa città, l'anno seguente la difese strenuamente dall'assedio posto da Gianfrancesco Gonzaga e da Luigi Dal Verme. Nel 1441 risulta ancora al soldo di Venezia, da cui si allontanò nel 1442 per prendere ingaggio con il papa, in lotta con Francesco Sforza per il recupero della Marca.

Sottoposto al comando del gonfaloniere della Chiesa Niccolò Piccinino - che già due volte lo aveva catturato in battaglia e che ora serviva la lega stipulata tra Roma, Napoli e Milano -, il M. si trovò implicato negli scontri che, nel corso di quell'anno, si svilupparono in Umbria. Il 27 settembre attaccò il campo dei Tudertini, impegnati nell'assedio di Fratta del Vescovo: fu un'azione brillante, che portò alla fuga e all'inseguimento del campo avversario e alla cattura di 400 prigionieri da taglia, trasferiti dal M. a Marsciano.

Nel decennio che precedette la pace di Lodi (1454), segnato dall'inasprirsi della lotta per il predominio in Italia, il M. fu al servizio di Firenze. Nel 1444 fu inviato in soccorso dei Veneziani contro il duca di Milano. Scontratosi con i nemici al castello di Granarolo, presso Forlì, fu sconfitto e nuovamente fatto prigioniero. Militò poi ancora contro Milano in Lombardia e contro il papa in Romagna, al servizio dello Sforza e, allorché, nel 1447, il re di Napoli Alfonso I d'Aragona invase la Toscana fu posto con un seguito di 400 cavalli a Montevarchi per contenerne l'avanzata. Nel dicembre di quell'anno ebbe l'incarico di introdurre soccorsi a Castiglione della Pescaia prima che l'esercito regio si ponesse in forze all'assedio della terra, manovra poi riuscita vana. Nella primavera del 1448 partecipò al recupero dei castelli del Volterrano e del Pisano che erano stati occupati dai Napoletani. Allo spegnersi del conflitto tra Napoli e Firenze e nel corso degli interminabili negoziati di pace che seguirono, fu lasciato a presidio del Grossetano, sempre minacciato dalle forze del Regno, nel frattempo stabilmente insediatesi a Castiglione.

Nel maggio del 1450 fu catturato dal catalano Joan de Liria, commissario del re di Napoli in Toscana, e poco dopo fu occupato il castello di Gavorrano. Vani si mostrarono i tentativi, messi in atto dagli oratori senesi presso la corte di Napoli, volti a ottenere la restituzione dell'importante sito, sul quale del resto anche i Fiorentini, protettori dei Malavolti, nutrivano ambizioni. Il solo risultato fu, in agosto, la liberazione del M., e non senza le resistenze del sovrano aragonese.

Da Urbino, dove compare subito dopo il rilascio, il M. curava i rapporti con la signoria dei Medici: nel dicembre del 1450 pregava Giovanni di Cosimo di mandare procura al fratello Bernardo per il battesimo di un figlio che gli sarebbe nato di lì a poco.

A Giovanni scriveva di nuovo, nell'agosto del 1451, chiamandolo "compater" (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo avanti il principato, filza 6, c. 149), sebbene a quella data la procura per il rito non fosse ancora giunta - e di fatto non arrivò mai -, perché facesse saldare i molti debiti che aveva contratto a Firenze e protestando la sua perfetta fede alla famiglia Medici. Da questa data, e per molti anni, del M. si perdono le tracce. La sua presenza a Urbino lascia qualche dubbio su una sua piena affrancazione dopo la cattura a opera di de Liria. In un periodo in cui Federico da Montefeltro stipulava una condotta con Alfonso I questi firmava la pace con Firenze unendosi in lega con i Veneziani (ottobre 1450), già alleati dei Medici nella recente guerra, in vista di un attacco congiunto contro lo Sforza e Firenze, la residenza del M. a Urbino potrebbe essere stata un soggiorno coatto. A ciò si aggiunga che, se le lettere indirizzate dal M. a Giovanni di Cosimo palesano la sua impossibilità di recarsi a Firenze, nelle stesse, e segnatamente nella prima, egli accenna a un'avversità grave che lo avrebbe colpito "e benché dal traditore non m'agi saputo guardare, l'animo per niente non si smarrirà mai, e spero in lo nostro signore idio che aiuti la ragione, e [(] in questa mia aversità [(] m'a demostrato la sua justizia essere infinita" (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo avanti il principato, filza 6, c. 737).

Il M. concluse la sua carriera sotto le insegne della Chiesa: tra il 1459 e il 1460 fu tra i primi condottieri che Pio II inviò nel Regno a sostegno della successione di Ferdinando I d'Aragona, osteggiata da gran parte del baronaggio, promotore dell'intervento angioino.

In tale ingaggio il papa Piccolomini, concittadino del M., dovette favorirlo, poiché nel corso di questa ferma egli appare in una posizione di rilievo, con il titolo di governatore dell'esercito, sottoposto solo a Simonetto da Castel San Pietro. Fu senz'altro grazie al sostegno di Pio II, del resto, che il M. ottenne da Ferdinando, sempre nel 1460, la restituzione di Gavorrano.

Il M. giunse ai confini del Regno in avanguardia (maggio 1460) e si unì alla compagnia del Montefeltro e alle truppe alleate milanesi spedite da Francesco Sforza sotto il comando del fratello Alessandro: l'intento, poi fallito, era quello di impedire a Giacomo Piccinino, assoldato dai baroni dissidenti, di passare nel Regno. Riunitosi poi alle truppe di Simonetto, fu coinvolto in un duro scontro con Prospero Savelli e Pietro Giampaolo Cantelmo, duca di Sora, mentre insieme con Roberto Orsini perlustrava il passo di Cervara per aprire la strada di Terra di Lavoro alle truppe pontificie (10 giugno). Nel tentativo di coprire la ritirata dei suoi, scompaginati dalle soverchianti forze nemiche, il M. fu nuovamente catturato. Condotto presso il duca di Sora, fu rilasciato poco dopo e, nel corso dell'estate, poté militare con gli Sforzeschi in Abruzzo.

Nel febbraio del 1461 ritornò a Roma per riformare la compagnia, dispersa dopo i fatti di Cervara. Nel giugno di quello stesso anno fu posto a guardia delle compagnie piccinesche di Silvestro da Lucino e Cola d'Alviano, stanziate nella terra di Palombara, a nord di Tivoli; passò poi, in agosto, nelle Marche contro Sigismondo Pandolfo Malatesta. Nel 1462 fu impegnato nel basso Lazio al seguito di Federico da Montefeltro che, stipulata una tregua con il duca di Sora, faceva il M. governatore della Campagna romana e di San Germano. Raggiunse l'esercito pontificio solo nel 1463, ancora accesa la guerra nel Regno, con una compagnia di 107 lance e 135 fanti, aggregandosi al fiore dei condottieri del papa, fra i quali Astorre Manfredi, Ludovico Malvezzi, Napoleone Orsini. Tra il maggio e il giugno di quell'anno queste forze sferrarono il definitivo attacco alle terre del duca di Sora, costringendolo alla resa, poi, in luglio, furono divise: parte raggiunse il re di Napoli, impegnato contro il principe di Rossano nel ducato di Sessa, mentre Napoleone Orsini e il M., con 7 squadre, si recarono a rimpolpare le truppe regie che in Abruzzo contrastavano Piccinino e il duca Giovanni d'Angiò, lì ritiratosi dopo la sconfitta patita a Troia. Non sappiamo se il M. raggiunse mai il nuovo fronte, poiché morì durante quei mesi, in data sconosciuta.

Alla morte del M. il papa si affrettò a raccomandare il castello di Gavorrano alla Repubblica di Siena, in nome del nuovo signore di quello, Cosimo di Giovanni Malavolti, ma una volta scomparso Pio II, nel 1464, i Senesi sottrassero definitivamente il castello ai quattro figli del M., Cosimo, Orlando, Troilo e Galeazzo.

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Mediceo avanti il principato, filze 6, cc. 149, 737; 68, c. 39; Archivio di Stato di Milano, Fondo Sforzesco, Potenze estere, Napoli, cartt. 203, c. 186; 204, cc. 110 s.; 211, cc. 154 s.; P. Bracciolini, Historiarum Florentini populi, in L.A. Muratori, Rer. Ital. Script., XX, Mediolani 1731, col. 393; L. Bonincontri, Miniatensis annales ab anno 1360 usque ad annum 1458, ibid., XXI, ibid. 1732, col. 157; Cristoforo da Soldo, cronaca, a cura di G. Brizzolara, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XXI, 3, p. 12; Guerriero da Gubbio, Cronaca dall'anno 1350 all'anno 1472, a cura di G. Mazzatinti, ibid., XXI, 4, p. 51; E. Manelmi, Commentariolum( de obsidione Brixiae, Brixiae 1728, p. 14; P. Zagata, Cronica(, II, Verona 1747, p. 62; Cronaca di Perugia dal 1309 al 1491, a cura di A. Fabretti, in Arch. stor. italiano, s. 1, 1850, t. 16, parte 1a, pp. 347, 386, 539; N. Machiavelli, Istorie fiorentine, Firenze 1857, p. 204; Commissioni di Rinaldo degli Albizzi(, a cura di C. Guasti, II, Firenze 1869, p. 235; III, ibid. 1873, pp. 351, 353; Cronache e statuti della città di Viterbo, a cura di I. Ciampi, Firenze 1872, pp. 118, 145, 262; A. de Tummulillis, Notabilia temporum, a cura di C. Corvisieri, in Fonti per la storia d'Italia [Medio Evo], VII, Roma 1890, p. 99; Dispacci sforzeschi da Napoli, I, a cura di F. Senatore, Salerno 1997, pp. 57, 72 s., 84, 488; IV, a cura di F. Storti, ibid. 1998, pp. 226, 281; O. Malavolti, Historia de' fatti, e guerre de' Sanesi(, Venezia 1599, II, pp. 171b-172a, 196b, 197a, III, pp. 2a, 41a, 64a, 65a, 68a, 69b; A. Da Mosto, Ordinamenti militari delle soldatesche dello Stato romano dal 1430 al 1470, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, V (1903), p. 33; L. Rossi, La guerra in Toscana dell'anno 1447-1448, Firenze 1903, pp. 69, 87, 134; W. Tommasoli, La vita di Federico da Montefeltro, Urbino 1978, p. 136.

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