ORTES, Giovanni Maria

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 79 (2013)

ORTES, Giovanni Maria

Piero Del Negro

ORTES, Giovanni Maria (Giammaria). – Nacque a Venezia il 2 marzo 1713 da Giacomo, che possedeva una manifattura vetraria, e da Angela.

In alcune pagine di memorie, ricordò che tra i sei e gli otto anni gli fu assegnato come maestro don Girolamo Vincenti, titolare della chiesa di S. Martino, che gli insegnò la grammatica e la retorica «con regole per le quali» il bambino era «incapace, e che pertanto [gli] erano tanto avverse quanto inutili» (Calcolo sopra la verità dell’istoria e altri scritti, a cura di B. Anglani, Genova 1984, p. 47). Le sue «prime inclinazioni» furono invece «per la musica e per la poesia, per le quali aveva buona disposizione». Intorno ai dodici anni scrisse un dramma per musica sugli amori di Antioco per Stratonica.

Nel 1727, il padre decise di avviarlo agli studi superiori. La scelta cadde sul collegio padovano dell’abate Alessandro Fiammingo. Ma il ragazzo preferì «una clausura di [sua] cognizione e nella quale er[a] accarezzato e vi aveva un fratello» (ibid., p. 48), l’abate Mauro, e quindi entrò, nel novembre di quell’anno, nel monastero camaldolese di S. Mattia di Murano prima dell’età prescritta per la pronuncia dei voti, un impegno che comunque assunse un anno e mezzo più tardi, adottando il nome di Benedetto.

Prese la decisione di abbracciare la condizione ecclesiastica senza molta convinzione, ma in obbedienza alla strategia familiare. Gli Ortes appartenevano a una borghesia certamente benestante, ma con un rilievo sociale marginale in quanto estranea al secondo ordine della società veneziana, quello dei cittadini originari. Di qui, probabilmente, la scelta di Giacomo a favore di uno ‘stato’, quello ecclesiastico, che assicurava alla famiglia una maggiore visibilità sociale: tutti e cinque i figli che raggiunsero la maggiore età furono inviati in convento.

Dal 1727 al 1730 Giammaria studiò filosofia secondo il metodo cartesiano e dal 1730 al 1734 teologia dogmatica. «A questi studi» s’applicò «quanto esigeva l’obbligo delle scuole e l’esempio degli altri, senza prendervi grande interesse e senza restarne molto persuaso» (ibid., p. 48). I suoi interessi andavano in altre direzioni: scrisse un compendio delle vite dei papi in latino, molti sonetti e critiche erudite. Nell’autunno del 1734 si trasferì a Pisa nel monastero di S. Michele in Borgo per apprendere le scienze matematiche sotto la guida dell’abate Guido Grandi, professore della disciplina nella locale università. La scuola del matematico pisano contribuì in modo decisivo alla sua formazione: «la precisione di questi studi – avrebbe annotato Ortes nelle sue memorie – mi avvertì di quella che si richiedeva negli altri, e allora fu che appresi in che consistessero le cognizioni delle cose»; inoltre «presi miglior genio per la filosofia», «vi applicai più seriamente e mi parve d’impegnarmi molto per quella di Newton» (ibid., pp. 49 s.). Fu probabilmente negli anni pisani che apprese il francese e l’inglese.

Ritornato nel 1738 a Venezia con il titolo di lettore di filosofia, fu destinato al monastero di S. Giovanni alla Giudecca. In quell’anno diede alle stampe la sua prima pubblicazione, un Saggio di sonetti in occasione della professione religiosa di due cugine. Continuò gli studi di matematica, di filosofia e di lettere, ampliandoli anche al diritto. Questi ultimi studi lo indussero a dubitare della validità della sua professione religiosa. Nel maggio 1743 ottenne dal vescovo di Traù, Girolamo Fonda, la riduzione a prete secolare. L’uscita dall’ordine calmadolese non fu per nulla traumatica: i monaci continuarono ad agevolarlo, ospitandolo per più di un anno, tra il 1743 e il 1744, a Bologna nel convento di S. Damiano. Nel periodo bolognese Ortes si diede a studi di astronomia, di fisica sperimentale e di chimica presso l’Istituto delle scienze.

A Bologna Ortes praticò per la prima volta «liberamente ogni genere di persone, intervenendo ai caffè, ai ridotti, ai teatri, feste, veglie» (ibid., p. 51); un approdo alla ‘normalità’ che doveva variamente influire sulle sue opere. Una volta ritornato a Venezia nel giugno 1744, pubblicò la Vita del P. Guido Grandi, Abate camaldolese, matematico dello studio pisano, scritta da un suo discepolo, una biografia scientifica esemplare. Entrò a far parte di una «conversazione filosofica, e felice» (P. Del Negro, Introduzione a Poesie di Giorgio Baffo, Milano 1991, p. 48) che comprendeva alcuni tra i maggiori esponenti dell’élite intellettuale lagunare, da Antonio Conti a Carlo Lodoli, da Francesco Algarotti a Giacomo Stellini.

La frequentazione dei milieux libertineggianti, che facevano riferimento a Conti, l’indusse a dedicarsi alla traduzione di An essay on man di Alexander Pope e alla stesura, all’indomani del suo primo soggiorno fuori d’Italia – a Vienna – propiziato dai conti Octavian Karl Nicolaus e Philipp Joseph von Sinzendorf, di un Saggio della filosofia degli antichi, esposto in versi per musica ispirato dal Pantheisticon di John Toland. Queste due opere furono pubblicate, non senza una revisione che, nel caso della seconda, puntava a occultare il rapporto simpatetico con l’ala freethinker dei seguaci di Newton, a distanza, rispettivamente, di trenta e di dieci anni, la prima a Firenze e l’altra a Venezia.

Nel 1747 Ortes fallì nel tentativo, incoraggiato da Algarotti, di farsi nominare matematico pubblico. È assai probabile che allo scopo di raggiungere questo obiettivo avesse composto o quanto meno aggiornato delle Istituzioni di fisica (Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. it., cl. IV, 196 [=5161]), nelle quali riprese gli Elementa physicae di Pieter van Musschembroek, accentuandone l’ispirazione newtoniana nelle direzioni materialistica e scettica approvate da Conti. Il rigetto della candidatura fu giustificato in base alla condizione clericale di Ortes, una motivazione che ebbe l’effetto paradossale di farlo identificare maggiormente con uno stato, che aveva accettato senza alcun entusiasmo.

A partire dagli anni immediatamente precedenti il 1750, Ortes, che era assai vicino agli ambienti teatrali veneziani (fu amico del compositore Johann Adolf Hasse), si dedicò anche alla composizione di drammi per musica, che non furono mai portati sulle scene: Marco Attilio Regolo (1750), Calisso spergiura (1755; l’unico dato alle stampe in appendice alle Riflessioni sopra i drammi in musica), Polissena (1756) e Manlio Capitolino (1760).

Fece da sottofondo di queste opere una critica neppure troppo velata degli ‘eroi’, vale a dire della nobiltà, in parte originata dalla delusione del 1747, in parte alimentata da una visione sempre più critica della politica, che considerava, come scrisse nel 1756, il prodotto della forza moltiplicata per l’astuzia.

Nei primi anni Cinquanta si dedicò soprattutto alla redazione di una serie di operette, tre delle quali furono pubblicate anonime presso Pasquali nel 1757, all’indomani di un lungo soggiorno tra Vienna e Berlino, e contemporaneamente al Saggio della filosofia degli antichi: le già citate Riflessioni sopra i drammi in musica, il Calcolo sopra i giuochi della bassetta e del faraone e il Calcolo sopra il valore dell’opinioni e sopra i piaceri e i dolori della vita umana. Lasciò invece inedito il coevo Calcolo sopra la verità dell’istoria, che sarebbe stato stampato per la prima volta a Venezia nel 1787 in un Miscellaneo de’ più celebri autori inglesi.

Il motto prescelto per questi scritti fu: «Chi mi sa dir s’io fingo?», un tentativo di nascondere sotto il velo del divertissement i risultati di indagini frutto – come avrebbero sottolineato le Novelle della repubblica letteraria (n. 35, 27 agosto 1757) in sede di recensione del Calcolo sopra il valore dell’opinioni – di una visione «fisioteista», vale a dire integralmente materialista, dell’uomo. In effetti, Ortes utilizzò in queste operette i «calcoli» allo scopo di demolire tutta una serie di idola specus cari alla società settecentesca, dalla storia magistra vitae alla società di ordini – «ogni uomo equivale ad un altro» alla Rousseau, ma con una coda nichilista: «e tutti egualmente vagliono nulla» (Calcolo sopra la verità dell’istoria..., cit., 1984, p. 129); dal culto della ragione – «tutti i raziocini umani non sono che follie» – alla morale comune – le opinioni coprono «il loro fine dell’interesse» con il «pretesto della virtù» (ibid., p. 131); per approdare, infine, anche a una disincantata visione capitalista della società contemporanea: «le ricchezze [...] fanno misura comune [...] di tutti i prodotti di natura e dell’arte» (ibid., p. 148). Le accuse delle Novelle furono all’origine dell’intervento dei Riformatori dello studio di Padova, che fecero porre sotto sequestro il Calcolo sopra il valore dell’opinioni.

Dopo il 1757, per una quindicina d’anni Ortes rimase lontano dalle stampe. Continuò, tuttavia, a scrivere opere e operette che, in parte, lasciò inedite (tra le altre, le Riflessioni di un filosofo americano – redatte verso la metà degli anni Sessanta – una ripresa in termini ancora più radicali della critica dei miti della società contemporanea avanzata nel Calcolo, questa volta tramite un confronto straniante tra «un filosofo americano futuro» e «un filosofo moderno europeo»), in parte, rivide e pubblicò nel corso degli anni Settanta. A partire dal 1760 si dedicò soprattutto alla stesura di una serie di scritti economico-politici, che furono stampati, sempre sotto il velo dell’anonimato e senza note tipografiche, fuori Venezia, nelle città dove Ortes poteva fare assegnamento su amici vecchi (i bolognesi) e nuovi (il gruppo toscano capeggiato da Michele Ciani).

A Bologna furono pubblicate le prime parti – le seconde, entrambe relative alla dimensione più direttamente politica, sono state recentemente edite a cura di Franco Longoni e di Maurizio Bazzoli – degli Errori popolari intorno all’economia nazionale considerati sulle presenti controversie tra i laici e i chierici in ordine al possedimento de’ beni (1771) e Della Economia nazionale (1774) e nel 1785 Delle Scienze utili e delle dilettevoli per rapporto alla felicità umana. Ragionamento. A Firenze uscirono Alcune lettere dell’autore dell’Economia nazionale (1778-1784), Della religione e del governo dei popoli per rapporto agli spiriti bizzarri e increduli de’ tempi presenti (1780), Dei fidecommessi a famiglie e a chiese e luoghi pii ... (1784) e Riflessioni sulla popolazione delle nazioni per rapporto all’economia nazionale (1790). A Venezia pubblicò unicamente, nel 1775, le Riflessioni sugli oggetti apprensibili, sui costumi, e sulle cognizioni umane, per rapporto alle lingue, un’acuta indagine nata in sede di revisione della traduzione di Pope.

In queste opere è possibile distinguere gli interventi polemici nelle «presenti controversie» contro la politica giurisdizionalista dei governi ‘illuminati’ (Errori popolari, Della religione e Dei fidecommessi) dai trattati nati da un’analisi sistemica (tra essi Della economia nazionale e Riflessioni sulla popolazione), ma senza dimenticare che furono tutti il frutto di un blocco logico-euristico basato su una serie correlata di ‘assiomi’, un sistema impressionante per la sua coerenza e per la sua acutezza, ma anche non privo di forzature e di aporie.

Sotto una sottile scorza conformista (non a caso, furono assai pochi i cattolici che apprezzarono gli scritti di Ortes: una parziale eccezione fu rappresentata, nel secolo seguente, da Antonio Rosmini) si affacciava un messaggio di una modernità sconvolgente, che avrebbe attirato l’attenzione dei rivoluzionari italiani (tra i quali Filippo Buonarroti e Pietro Custodi, il quale diede all’abate un grandissimo rilievo nella sua raccolta degli Scrittori classici italiani di economia politica, assicurandogli una controversa fortuna postuma) e, a metà Ottocento, da Karl Marx. Che questi sviluppi fossero in parte autorizzati dallo stesso Ortes, lo testimoniano, tra gli altri, due snodi biografici: l’abate fu uno dei pochi italiani che si schierarono apertamente a favore della Rivoluzione americana, che giustificò quale rivoluzione popolare, e preferì sempre dialogare con «gli spiriti bizzarri» (Montesquieu, Voltaire, come egli stesso confessava, ma, di fatto, soprattutto Rousseau) piuttosto che rifarsi alle tesi dei teologi e dei reazionari.

La costruzione teorica di Ortes faceva perno sulla nazione, una Grundnorm, che rinviava unicamente all’economia. La nazione era per Ortes un mercato, un’area di produzione e di scambio certificata dalla lingua comune. In quanto riconosceva quale suo cardine la popolazione (soggetto economico) e il popolo (soggetto politico), l’‘economia nazionale’ si contrapponeva alla corrente economia politica, che era accusata di tener conto soltanto di un ‘interesse particolare’, quello dello Stato e, al di là dello Stato, delle classi abbienti. La tesi di Ortes era che le pretese riforme del dispotismo illuminato avevano fatto diventare i ricchi più ricchi e avevano sempre più inchiodato i lavoratori poveri a un’economia di sussistenza e moltiplicato il numero dei disoccupati. Ortes si presentava quale portavoce della ‘ragione comune’, quella che poggiava sul ‘consenso de’ popoli’. Se difendeva il ruolo – e i beni – della Chiesa cattolica, era perché riteneva che la libertà – economica, politica – del popolo fosse garantita unicamente da una sorta di divisione dei poteri tra il governo, che deteneva la ‘forza’, e la Chiesa (ovviamente quella cattolica), cui spettava la gestione del consenso (la ‘persuasione’). Al contrario il dispotismo era soltanto espressione della ‘forza’, in primo luogo di quella militare, che Ortes condannava su tutta la linea. Nello stesso tempo il dispotismo nella misura in cui era correlato a fattori economici quali la centralità dell’agricoltura, una scarsa densità demografica e la prevalenza dei beni stabili su quelli mobili, rappresentava un ostacolo sulla strada di un’economia avanzata.

Morì il 22 luglio 1790 a Venezia nella casa dell’amico Urbano Bottazzi.

Opere: oltre a quelle citate, si segnalano le edizioni critiche di testi editi e inediti: Riflessioni di un filosofo americano, a cura di G. Torcellan, Torino 1961; Errori popolari intorno all’economia nazionale e al governo delle nazioni, a cura di F. Longoni, Milano-Napoli 1999; Delle diverse costituzioni nazionali, a cura di M. Bazzoli, Milano 2006; Saggio della filosofia degli antichi, esposto in versi per musica, a cura di R. Donati, Genova 2007.

Fonti e Bibl.: Gli scritti e gli inediti ortesiani noti all’altezza degli anni Sessanta del Novecento furono segnalati, insieme alle polemiche settecentesche sulle sue idee, da G. Torcellan, Scritti editi e inediti di G.M. O., in Annali dell’Istituto Giangiacomo Feltrinelli, IV (1961), pp. 550-583. Le raccolte principali di questi inediti (alcuni dei quali dati alle stampe a cura dello stesso Torcellan, di B. Anglani e di P. Farina), sono conservati in: Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. it. cl. II, n. 138 (=4916); cl. XI, n. 135 (=6850); Ibid., Biblioteca del Museo Civico Correr, Post. E. 13; Mss. Cicogna 2658, 3195-3200. Indagini successive di M. Di Lisa, F. Longoni e M. Bazzoli hanno individuato altri inediti ortesiani in: Roma, Biblioteca apost. Vaticana, Fondo Borgiano Lat., mss. 17, 54, 76 e 107; Milano, Fondazione Raffaele Mattioli per la storia del pensiero economico; Camaldoli (Arezzo), Biblioteca del Monastero, Fondo S. Michele di Murano, ms. 1685. Inoltre: P. Custodi, Notizie di G.M. O., in Scrittori classici italiani di economia politica, XXI, parte moderna, Milano 1804, pp. V-LX; F. Lampertico, G.M. O. e la scienza economica al suo tempo. Studî storici economici, Venezia-Torino 1865; E. Bernhard, Theorie der Güteräquivalenz und der Güterbilanz des G.M. O., Heidelberg 1918; A. Uggè, La teoria della popolazione di G.M. O., in Giornale degli economisti e annali di economia, XLIII (1928), pp. 35-74; F. Cusin, Economia pura, capitalismo e vita morale nel pensiero di G.M. O., in Annali della R. Università degli studi economici e commerciali di Trieste, V (1933), pp. 19-129; J.-A. Faure, G.M. O.. Un vénitien du Settecento, Angoulême 1934; E. Schorer, G.M. O.: ein Vorläufer der Klassiker und ein moderner Nationalökonom im XVIII. Jahrhundert in Italien, Bern 1938; G. Torcellan, G.M. O., in Illuministi italiani, VII, Riformatori delle antiche repubbliche, dei ducati, dello Stato pontificio e delle isole, a cura di G. Torcellan - G. Giarizzo - F. Venturi, Milano-Napoli 1965, pp. 3-89; A. Prandi, G.M. O.: la religione fondamento della società, in Id., Religiosità e cultura nel ’700 italiano, Bologna 1966, pp. 379-435; G. Torcellan, Un économiste du XVIIIe siècle G.M. O., Genève 1969; E. Pii, Michele Ciani tra “Economia nazionale” (Ortes) e “Spirito delle leggi” (Montesquieu), in Annali dell’Ist. di storia, I (1979), pp. 151-180; B. Anglani, G.M. O. e il teatro, in Istituzioni culturali e sceniche nell’età delle riforme, a cura di G. Nicastro, I, Milano 1986, pp. 57-87; M. Di Lisa, “Chi mi sa dir s’io fingo?”. Newtonianesimo e scetticismo in G.M. O., in Giornale critico della filosofia italiana, LXVII (1988), 2, pp. 202-249; P. Giacotto, Filosofia e politica in G.M. O., in Scienza, filosofia e religione tra ’600 e ’700 in Italia, a cura di M. V. Predaval Magrini, Milano 1990, pp. 327-362; G.M. O. Un «filosofo» veneziano del Settecento, a cura di P. Del Negro, Firenze 1993; Johann Adolf Hasse e G.M. O. Lettere (1760-1783), a cura di L. Pancino, Turnhout 1998; E. Morato, L’economia nazionale di G.M. O. nei rapporti tra stato e chiesa, Milano 1998; B. Anglani, L’Apologista libertino. La religione «atea» di G.M. O., in Foi et raison dans l’Europe des Lumières, a cura di C. Prunier, III, Montpellier 2001, pp. 141-169; P. Farina, «Investigare e spiegare l’apparente per il reale delle cose»: «il metodo de’ geometri» inG.M. O., in Giornale critico della filosofia italiana, LXXXI (2002), 1, pp. 58-105; Id., «Levar la maschera dell’ipocrisia»: la felicità degli uomini in G.M. O. tra natura e società, ibid., LXXXIII (2004), 3, pp. 404-441; Id., Il disincanto della scienza. G.M. O. (1713-1790): l’“economia nazionale” contro i Lumi, Venezia 2007.

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