MARLIANI, Giovanni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 70 (2008)

MARLIANI, Giovanni

Francesca M. Vaglienti

– Figlio del patrizio milanese Castello, nacque a Milano nel 1420.

Fu allievo di Biagio Pelecani da Parma, chiamato nel 1425 nello Studio di Pavia per insegnarvi medicina. Addottoratosi, nel 1440 il M. entrò nel Collegio dei fisici milanesi per poi intraprendere una lunga carriera di insegnamento durata sino alla morte, peregrinando da una cattedra all’altra: medicina, filosofia, fisica e astrologia. Nel 1448 era attivo presso lo Studio di Milano, come attesta il Rotulus pro doctoribus et aliis legere debentibus in felici Studio Mediolanensi per quell’anno: «ad lecturam Ordinariam Medicinae D. Johannes de Marliano, ita ut legat Astrologiam in diebus festivis» (Belloni; Masotti). Conclusasi l’esperienza dello Studio milanese, tornò a Pavia: nel 1452 percepiva un salario di 425 fiorini ogni tre mesi e il duca di Milano, Francesco Sforza, «pro retributione maiori meritorum» (Fossati), gli concesse l’esenzione da ogni trattenuta sul salario dei mesi di febbraio e di marzo.

Con l’ascesa della nuova dinastia ducale, questo ramo della famiglia Marliani, tradizionalmente di parte ghibellina, acquisì nuovo prestigio, sia per l’appoggio politico che evidentemente aveva fornito alla causa sforzesca, sia di riflesso, per la fama che già circondava il M.: Castello fu nominato nel 1450 razionatore della Camera delle entrate straordinarie e «ad laborerios», carica quest’ultima che, l’anno seguente, alla sua morte, fu ereditata dal figlio Daniele, nel 1467 passato alla gestione delle spese correnti. Nel 1457 Daniele si era peraltro già procurato in enfiteusi, per intercessione ducale, 58 pertiche di terreno a prato e a campo, comprensive di una falconiera, appartenenti al monastero di S. Ambrogio di Milano, site nella parrocchia di S. Martino al Corpo. Nel 1466 i fratelli Marliani ottennero inoltre la concessione in esenzione dei diritti di sfruttamento delle acque del Secchia, nei pressi di Moglia, nel Mantovano.

Morto il duca Francesco, il M., nonostante i numerosi privilegi di cui già godeva, approfittò dell’ascesa del successore Galeazzo Maria per conseguirne di nuovi, anche perché costantemente indebitato a causa di una numerosa famiglia da mantenere.

Così, nel maggio 1467, quando occupava la cattedra ordinaria di medicina e astrologia, scrisse una lettera molto esplicita al nuovo duca di Milano, in cui dichiarava di essere stato richiesto in diversi Studi d’Italia e specialmente, in passato, a Napoli da re Ferdinando e, più di recente, dai Riformatori dello Studio di Siena. Trattenutosi sino ad allora dall’assecondare questi ultimi, non ritenendo «onesto, nel primo anno de l’intrata de vostra excellentia, consentire di lassare questo vostro dignissimo studio di Pavia», considerando che l’ateneo era «molto ben fornito di homini valenti e docti», avanzava l’ipotesi che sarebbe potuto tornare a «honore e gloria» del duca «havere ne l’altri studii di soi servitori e subditi chi vagliano qualche cossa», tanto più che lui aveva «il carico grande de la famiglia». Nell’attesa di un’indicazione dal duca su quale strada professionale intraprendere, assicurava che «quello che vostra excellentia si degnarà comandarmi voluntarosamente voglio fare e sempre ubedire a quella» (Arch. di Stato di Milano, Autografi, cart. 216, f. 40, Pavia, 21 maggio 1467).

L’amministrazione dello Studio pavese rientrava tra le competenze del Consiglio segreto che intercedette presso lo Sforza in favore del M., dichiarando che la sua fama e la dottrina del M. erano tali che «la partita soa non poria essere senza gravissimo detrimento del vostro Studio, che non tanto fosse da consentirgli licentia de partirse, ma s’el fosse in altri studii et fuori del vostro dominio se dovesse cum ogni opera et per ogni modo procurare de redurlo de qua, perché simili homini o non si trovano o sono rarissimi et la doctrina, opinione et fama de uno suo paro illustra et sostenta uno Studio» (ibid., Milano, 10 giugno 1467). Alla reticenza del duca nel concedergli l’agognato aumento, il M. oppose, nell’autunno 1468, argomentazioni che toccavano tutta la gamma delle possibili giustificazioni alle sue richieste, dall’emotivo al pratico: a Pavia, dove peraltro viveva da oltre 20 anni, asserì di trovarsi «como forastero» e, in più, vedovo e «cum grande carico de fioli»; d’altro canto, poiché le cattedre tenute dai defunti Agostino Marzaro e Baldassarre Rasino non erano ancora state assegnate, avrebbe potuto godere lui delle somme già stanziate a bilancio per i loro salari, senza aumenti di spesa straordinari; altrimenti, si sarebbe visto costretto a valutare attentamente le offerte di una cattedra provenienti da altri studi della penisola (ibid., Milano, 12 ott. 1468).

Vero è che, a differenza di altri docenti universitari, impegnati solo parzialmente nella didattica e dediti invece alla professione privata, con lauti proventi, il M., come sostiene esplicitamente, sopportava l’onere di una cattedra che, essendo «la più principale», era la più impegnativa e poiché vi si dedicava integralmente «facendo io el debito […], non ho via de guadagnare per altro modo» (ibid., Pavia, 4 dic. 1468). Il duca Galeazzo Maria cedette, conferendogli un’assegnazione annua di 1000 fiorini, il più alto salario riconosciuto a chicchessia nel Ducato, che tuttavia non servì a placare del tutto le inquietudini del M., preoccupato ora dal recupero dei crediti nei confronti di alcuni concittadini pavesi, ora dalle controversie con i vicini della sua casa di Milano, che si opponevano all’edificazione un muro divisorio tra le proprietà. La sua situazione economica di certo migliorò nettamente negli anni successivi, soprattutto dall’epoca della reggenza di Ludovico il Moro, quando ottenne la possessione della «Cazalepora» nella giurisdizione del duca di Savoia e il duca Gian Galeazzo Maria lo investì del reddito, delle entrate e dei proventi sull’imbottato del vino e sulle biade del borgo di Gallarate e di tutta la pieve.

Con i suoi studi di matematica, sulle frazioni (de minutiis), e di fisica, sui problemi di statica (scientia de ponderibus), del moto e della velocità, di meccanica e di termologia, il M. partecipò al processo di dissoluzione della logica e della fisica medievali. Mise in discussione Bradwardine e Alberto di Sassonia «in termini degni di nota: “se questi uomini avessero esposto le loro conclusioni nude, senza ragioni, senza prove, mi avrebbero forse indotto a crederli. […] Ma siccome posero le loro conclusioni fondandosi solo sulle ragioni che adducono e poiché io trovo ragioni efficaci molto più consone ai detti dei matematici e dei filosofi, sostengo il contrario”» (Garin, p. 571).

Nella Quaestio de caliditate corporum humanorum tempore hyemis et estati set de antiperistasi (1472) il M. distinse «la temperatura dell’organismo dalla quantità e dalla produzione del calore naturale del corpo» (Belloni), accettò in parte la teoria di Giovanni da Sermoneta sulla «costanza della temperatura corporea indipendentemente dalle stagioni» (ibid.) e sostenne che la produzione del calore naturale è più elevata in inverno che in estate. Meno «soddisfacenti appaiono invece le sue argomentazioni in tema di antiperistasi (intensificazione indotta in una qualità dal contatto con la qualità a essa contraria)» (ibid.).

Nel 1482 il M. aveva raggiunto l’apice del successo professionale, e l’oratore mantovano Zaccaria de’ Saggi di Pisa lo definiva «monarcha e de tuti maestro» (Carteggio…, p. 436) nell’arte medica, valido aiuto a Federico Gonzaga, all’epoca colpito da indisposizione.

Una pratica usuale, all’epoca, e che aveva coinvolto il M. in numerosi interventi al capezzale di illustri infermi, amici o alleati dei duchi Sforza: così, nel settembre 1467 – con Cristoforo da Soncino, Marco da Roma e Guinforte da Arluno – si era recato, per volontà ducale, a Novara dal conte Gaspare Vimercati, colpito da forte congestione alle vie respiratorie, e nel 1469 curò Rinaldo d’Este, colpito da una gravissima malattia mentre era in visita alla corte milanese.

Il M. morì nel 1483 e fu sepolto a Milano in S. Maria delle Grazie, a conferma ulteriore dell’elevato prestigio di cui godeva presso la corte di Ludovico il Moro.

Tra gli scritti principali del M., oltre a quelli già citati, si segnalano: Disputatio cum Iohanne Arculano de diversis materiis ad philosophiam et medicinam pertinentibus; Quaestio de proportione motuum in velocitate composto presumibilmente nel 1464 (Maier, p. 108 e n. 57); Algebra; Algorismus de minutiis; De secta philosophorum; Probatio cuiusdam sententiae Calculatoris de motu locali compilata nel 1460 (Masotti). Per la segnalazione dei numerosi manoscritti che li contengono si veda Kristeller.

Alcune sue opere furono pubblicate a stampa quando era ancora in vita: il 27 ag. 1474 fu stampata a Milano, presso A. Zarotto, la Quaestio de caliditate corporum humanorum (Indice generale degli incunaboli [IGI], 6189); la Disputatio cum Iohanne Arculano de diversis materiis ad philosophiam et medicinam pertinentibus con alcuni Opuscula apparvero a Pavia, presso D. Confalonieri, nel 1482 circa (IGI, 6188; le note tipografiche sono congetturali), la Quaestio de proportione motuum in velocitate fu stampata a Pavia, da D. Confalonieri il 16 dic. 1482 (IGI, 6190).

Le opere del M. furono oggetto di uno studio attento da parte di Leonardo da Vinci che, ripetutamente, le cita nei suoi taccuini, non necessariamente trovandosi in accordo con lo scienziato (Belloni; Pélande).

Dei suoi numerosi figli non è pervenuto che un nome, Paolo, che nel 1481 ottenne, per volontà del duca Gian Galeazzo Maria, alcuni benefici resisi vacanti, tra i quali una cappella di giuspatronato ducale nella chiesa di S. Giovanni di Monza, «pensando che tutto quello se farà in beneficio del prenominato mestro Zoanne serà facto per noi medesimo, la cui virtù et meriti credemo non solamente ad voi ma ad tuta Italia essere notissimi», assumendosi il duca stesso le spese per la pratica (Arch. di Stato di Milano, Autografi, cart. 216, f. 40, Milano, 2 febbr. 1481, cancelliere Giovanni Antiquario).

Il nipote del M., Luigi, figlio del fratello Daniele, fu medico e consigliere segreto di Ludovico il Moro e di Massimiliano Sforza; in seguito divenne medico degli imperatori Massimiliano d’Asburgo e Carlo V e di Filippo I re di Spagna, per poi ottenere la nomina di vescovo di Tuy, in Galizia.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Autografi, cart. 216, f. 40: Marliani Giovanni; Parigi, Bibliothèque de l’Institut de France, Leonardo da Vinci, Codice F, verso della copertina; Milano, Bibl. Ambrosiana, Leonardo da Vinci, Codice Atlantico, cc. 204ra, 225rb; Memorie e documenti per la storia dell’Università di Pavia…, Pavia 1877-78, III, Serie dei rettori e professori, p. 100; Carteggio degli oratori mantovani alla corte sforzesca, XII, 1480-1482, a cura di G. Battioni, Roma 2002, pp. 436, 449; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, Mediolani 1745, II, coll. 866-868; G.A. Brambilla, Storia delle scoperte fisico-medico-anatomico-chirurgiche fatte dagli uomini illustri italiani, I, Milano 1780, pp. 144-146; L. Dorez, Un manuscrit précieux pour l’histoire des oeuvres de Léonard de Vinci, in Gazette des beaux-arts, XXVIII (1902), pp. 177 s.; H. Omont, Nouvelles acquisitions du Département des manuscrits de la Bibliothèque nationale pendant les années 1900-1902, in Bibliothèque de l’École des chartes, LXIV (1902), p. 20; Manoscritti parigini concernenti la Lombardia, in Arch. stor. lombardo, XXX (1903), vol. 2, p. 244; E. Solmi, Le fonti dei manoscritti di Leonardo da Vinci, in Giorn. stor. della letteratura italiana, suppl. 10-11, 1908, p. 208; J. Pélande, Les manuscrits de Léonard de Vinci dans la Bibliothèque de l’Institut de France, Paris 1910, ad ind.; F. Fossati, La fuga del prof. Giacomo Dal Pozzo dall’Università di Pavia (1452), in Arch. stor. lombardo, LVII (1930), p. 406; C. Santoro, Contributi alla storia dell’amministrazione sforzesca, ibid., LXVI (1939), p. 71; M. Clagett, G. M. and late Medieval physics, New York 1941; C. Santoro, Gli uffici del dominio sforzesco (1450-1500), Milano 1948, pp. 83, 85, 95; A. Maier, Die Vorlaüfer Galileis im 14. Jahrhundert, Roma 1949, pp. 107-110; C. Dionisotti, Ermolao Barbaro e la fortuna di Suiseth, in Medioevo e Rinascimento. Studi in onore di Bruno Nardi, Firenze 1955, I, pp. 230-233; E. Garin, La cultura milanese nella prima metà del XV secolo, in Storia di Milano, VI, Milano 1955, pp. 571 s.; B. Nardi, Letteratura e cultura veneziana del Quattrocento, in Storia della civiltà veneziana, III, La civiltà veneziana del Quattrocento, Firenze 1956, pp. 125, 144 e n.; L. Belloni, La medicina a Milano sino al Seicento, in Storia di Milano, XI, Milano 1958, p. 617; I registri delle lettere ducali del periodo sforzesco, a cura di C. Santoro, Milano 1961, p. 61; A. Masotti, Matematica e matematici, in Storia di Milano, XVI, Milano 1962, p. 727; G. Lubkin, A Renaissance court. Milan under Galeazzo Maria Sforza, Berkeley-Los Angeles-London 1994, pp. 131-133, 276 s.; Indice generale degli incunaboli delle biblioteche d’Italia, nn. 6188-6190; P.O. Kristeller, Iter Italicum. A cumulative index to volumes I-VI, s.v. Marliani, Giovanni e Marlianus, Johannes.

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