MONCADA ALAGONA, Giovanni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 75 (2011)

MONCADA ALAGONA, Giovanni.  –

Elvira Vittozzi

Nacque nel 1375, secondogenito di Guglielmo Raimondo e di Beatrice Alagona e Palizzi. Fu conte di Caltanissetta e di Adernò, il 20 giugno 1397 fu nominato barone della Ferla in Val di Noto, nel 1414 divenne gran cancelliere del Regno e gran siniscalco.

Si trasferì con il padre e tutta la sua famiglia in Aragona, dopo il rapimento di Maria, figlia del defunto re di Sicilia Federico IV, da questo affidata al vicario Artale Alagona. Fu al seguito del padre quando questi, nel 1391, partecipò alla conquista della Sicilia da parte di Martino duca di Montblanc (figlio del re d'Aragona Piero IV e futuro re di Sicilia Martino II il Vecchio) e di suo figlio Martino I il Giovane, divenuto re di Sicilia per aver sposato Maria nel 1391, dopo anni di interregno, in cui di fatto il potere era stato esercitato da quattro vicari. Il 27 novembre era a Port Fangos, da dove le flotte veleggiarono verso Favignana. Partecipò all’opera di riconquista di città e terre demaniali per assicurare a Martino I  la sovranità sull’isola.

Nel 1397, in seguito alla ribellione paterna al re, perse la contea di Noara, le baronie di Tripi, Saponara, di Manfrida, Militello, Sutera e Misilmeri che aveva ricevuto dalla madre. L’anno dopo, alla morte del padre, si riconciliò con la monarchia per cercare di recuperare terre e privilegi perduti. Il re Martino I lo perdonò con privilegio spedito in campo di guerra a Lentini l’8 giugno 1398.

Nell’ottobre 1408 partì per la Sardegna al seguito del re, quando questi mirava alla devoluzione alla Corona d’Aragona del Giudicato d’Arborea, dove era scoppiata una sollevazione. Partecipò alla vittoriosa battaglia presso la pianura di San Luri il 30 giugno 1409 contro le truppe di Brancaleone Doria e Guglielmo (III) di Narbona, nuovo signore del Giudicato. Anche dopo la morte del re (25 luglio 1409) che, per ricompensarlo dei suoi servigi, gli aveva concesso 10.000 fiorini, combatté in Sardegna presso Oristano, dove, alla testa di 400 guerrieri e grazie al soccorso di altre compagnie di soldati, sconfisse l’esercito sardo che contava più di 12.000 armati.

A Martino I succedette nel Regno di Sicilia il padre Martino II; dopo la morte di quest'ultimo (31 maggio 1410) la regina Bianca di Navarra, vedova di Martino I, divenne vicaria del Regno di Sicilia e approvò le decisioni adottate dal parlamento di Taormina per limitare i poteri di Bernardo Cabrera gran giustiziere e conte di Modica, e affidarli a un Consiglio supremo. Il M. inizialmente sostenne le rivendicazioni del conte di Modica, ma, quando questi a giugno assediò la regina nel castello Marquetto a Siracusa, tornò in Sicilia, e, a capo di 300 cavalli e molti fanti, con l’aiuto del catalano Sancio Ruiz de Lihori, liberò Bianca e la portò in salvo su una galea. Nel 1412 difese nuovamente la regina dal Cabrera nel castello di Solanto a 10 miglia da Palermo.

Una volta terminate le discordie baronali e l’interregno, il M. fu inviato dai baroni siciliani in loro rappresentanza come ambasciatore al nuovo re di Sicilia, Ferdinando I  d’Aragona, secondogenito di Giovanni I re di Castiglia. Questi nel 1414 gli concesse varie rendite in Aragona e in Sicilia.

Antonio Moncada, suo zio, lo istituì erede delle contee di Adernò e Centorbi che tardò a conseguire a causa di una lite decisa poi a suo favore. Nel 1416 ricevette l’investitura della contea dall’infante Giovanni che reggeva la Sicilia a nome del re Ferdinando suo padre.

Nel 1420 fu in Sardegna al seguito del nuovo re d’Aragona e di Sicilia, Alfonso V, dopo che questi a febbraio aveva ricevuto nel Parlamento a Palermo l’omaggio dei baroni siciliani. Per vendicare i danni che i Genovesi avevano arrecato a una nave catalana, una potente armata di 30 galere e 14 navi da carico si diresse in Corsica e si stabilì a Bonifacio. Da lì  si portò l'attacco a Sassari per recuperare le terre della Sardegna che si erano ribellate. Il M. fu tra quei cavalieri che convinsero alla resa la città di Sassari e partecipò all’assedio di Calvi in Corsica.

L’8 ag. 1421 Alfonso diede al M. e a Bernardo Centelles il comando di 12 galee e pochi galeotti che, dopo aver fatto tappa in Sicilia per i rifornimenti, trasportarono a Napoli gli ambasciatori alla regina Giovanna II per liberarla da Luigi d’Angiò, già investito del Regno da papa  Martino V: Raimondo Perellos, governatore del contado di Rossiglione e della Cerdegna, il dottore Martino de Torres viceré della Sicilia, Antonio de Cardona, Ferrante Velázquez, Giovanni de Ansalon giudice della Gran Corte di Sicilia.

Il M. fu per due volte imprigionato: il 27 maggio 1423, quando, dopo la battaglia di Porta Capuana, Muzio Attendolo Sforza catturò 26 nobili catalani e li rinchiuse in Castelnuovo, ma il M. fu poi scambiato con altri cavalieri con Gianni Caracciolo; il 12 apr. 1424 fu catturato a Napoli, ma pagò un forte riscatto. Per il sostegno offerto, la regina gli donò palazzo degli Aprani a Napoli. Dopo l’adozione di Alfonso, da parte della regina Giovanna, nel 1421 il M. aveva già ricevuto Brindisi, Sessa e Squillaci in ricompensa della contea di Noara e di altri beni che aveva perso a causa della ribellione del padre, oltre alla concessione a lui e ai suoi discendenti di un  grano sopra ogni salma di vettovaglie che transitavano nei porti del Regno e di 80 once all’anno sulle entrate di Caltagirone. Nel 1441 divenne gran siniscalco del re. Nello stesso anno ottenne la terra col castello di Aci, antico possesso degli Alagona, e che era stata di Battista Platamone, uno degli uomini più ricchi e potenti della Sicilia. Fu nominato dal re gran camerlengo, maggiordomo e gran cameriere gran cancelliere e nel 1452 gran giustiziere del Regno di Sicilia.

Sposò Andreva Esfanoller di Umberto di Maiorca e di Costanza d’Aragona, baronessa di Avola, che gli diede Guglielmo Raimondo, erede della contea di Adernò e Centorbi; Antonio Perio, chiamato anche Giovanni, che fu erede della baronia di Ferla; Bianca, Costanza e Taddea.

Il M. morì nel 1452, dopo aver fatto testamento il 30 giugno.

Il figlio Gugliemo Raimondo,  educato a Napoli alla corte di Alfonso, fu un condottiero sempre a fianco del padre nella guerra di successione al Regno dal 1435 al 1442.

Nel 1439 insieme con Ramon Boyl trattò le condizioni della tregua con gli ambasciatori angioini a cui Alfonso dovette cedere Castelnuovo. Nel 1442, quando ormai Alfonso aveva già vinto, partecipò alla battaglia di Sessano, sopra Carpenone, contro Antonio Caldora che fu fatto prigioniero. L’anno successivo fu scelto come ambasciatore al re di Francia  Carlo VIII per concordare le nozze del duca di Calabria con una figlia del re. Nel 1454 fu insignito del nuovo ordine reale della Banda Rossa voluto da Alfonso in occasione della pace col re di Castiglia. Nel 1457 ricevette dal re 3000 ducati per armare una galea e partecipare all’impresa contro Genova; la galea partì con altre navi della flotta il 26 maggio per andare a reclutare uomini in Sicilia e, il 27 agosto, era nel porto di Napoli, e sarebbe partita di lì a qualche giorno.

Nel 1458, quando le condizioni di salute di Alfonso si aggravarono, il figlio Ferrante prese alcuni provvedimenti per assicurarsi il potere nell’eventualità della morte del padre, limitò perciò il numero dei famigli armati che poteva avere ciascun signore all’interno di Castelnuovo: a Guglielmo Raimondo, che ne aveva 30, furono ridotti a cinque o sei. Alla morte di Alfonso, il M. si trasferì in Sicilia al servizio del fratello di quest'ultimo, Giovanni II.

Gugliemo Raimondo aveva sposato Giovanna Ventimiglia  presumibilmente nel 1436. Dal padre ereditò il titolo di conte di Caltanissetta e fu gran cancelliere del Regno nel 1441 e gran siniscalco nel 1453. Nel 1454 fu maestro giustiziere e più tardi ancora  gran siniscalco e gran cancelliere, ebbe il vicereato della Valle beneventana e del Principato Ultra e della Capitanata. Acquistò la città di Paternò dalla Regia Curia per 24.000 fiorini e nel 1456 Alfonso gli concesse il mero e misto impero sulla città con l'esenzione del servizio militare. Nel 1458 fu capitano generale delle armi in Sicilia.

Fonti e Bibl.: Dispacci sforzeschi da Napoli,  I: 1444 - 2 luglio 1458, a cura di F. Senatore, Salerno 1997, pp. 16, 259, 263, 514, 522, 529, 543, 632 (per Guglielmo Raimondo); II, 4 luglio 1458 - 30 dic. 1459, a cura di F. Senatore, ibid. 2004, p.  226  (per Guglielmo Raimondo); F. Aprile, Cronologia universale della Sicilia, Palermo 1725, pp. 217, 223; B. Candida Gonzaga, Memorie delle famiglie nobili delle province meridionali d’Italia, III, Napoli 1875-82,  pp. 11, 14; N.F. Faraglia, Storia della regina Giovanna II d’Angiò, Lanciano 1904, pp. 179, 238, 246 n. 1, 294; Id., Storia della lotta tra Alfonso V d’Aragona e Renato d’Angiò, Lanciano 1908,  pp. 81, 181, 182, 300 (per Guglielmo Raimondo); F. San Martino De Spucches, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia dalla loro origine ai nostri giorni (1923), I, Palermo 1924, pp. 15,  26; V. D’Alessandro, La Sicilia dal Vespro a Ferdinando il Cattolico, in Storia d’Italia  (UTET), XVI, Torino 1989, p. 81; A. Ryder, The Kingdom under Alfonso the Magnanimous: the making of a modern state, Oxford 1976, pp. 63 s. (per Guglielmo Raimondo); V. Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, IV, Milano 1935, p. 638; Enciclopedia biografica e bibliografica  «Italiana»,  C. Argegni, Condottieri, capitani, tribuni,  II,  pp.  277 s.

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