Pontano, Giovanni

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Poeta, umanista e uomo politico (Cerreto di Spoleto 1429 - Napoli 1503). Intellettuale di spicco della corte aragonese (da lui prese il nome l'Accademia pontaniana), usò un latino duttile e moderno. Nella sua cospicua produzione emergono, oltre ai vivacissimi dialoghi, il poema Urania (1476), e l'egloga Lepidina (1496), in cui una serie di cortei di ninfe e numi minori rappresentano i bei luoghi di Napoli, con le caratteristiche di usi e feste a questi luoghi congiunti. Così la finzione mitica si nutre della realtà presente, di cui il poeta delle antiche favole si rivela limpido e affettuoso osservatore. Originale poema della vita familiare e suo capolavoro sono i tre libri di elegie De amore coniugali, che comprendono le 12 Naeniae per il figlioletto Lucio.

Vita

Fu mandato a studiare a Perugia, ove dal 1441 fu cancelliere del comune lo zio Tommaso, non oscuro discepolo del Guarino; di poi, rinunciando in favore delle sorelle ai beni che gli restavano, andò in cerca di fortuna. Condotto nel 1448 a Napoli da Alfonso il Magnanimo, protetto dal Panormita, entrò nella «sodalitas» da questo fondata, che doveva poi diventare l'Accademia pontaniana, e in essa prese il nome di Gioviano. Dapprima alla corte gli fu affidata l'educazione di due principini, Carlo di Navarra e Alfonso, figlio di Ferdinando I; poi entrò e presto avanzò negli uffici della segreteria reale. Nelle lotte che Ferdinando dovette sostenere (1458-64) contro il pretendente angioino, P. gli fu di valido aiuto con la penna e con la spada, e ne consacrò le gesta nel De bello neapolitano. Più tardi (1481) accompagnò Alfonso nell'impresa per la riconquista di Otranto; negoziò la pace di Bagnolo (1484) nella guerra contro Venezia, nel 1486 trattò l'accordo tra Ferdinando e il papa, dal quale nello stesso anno ebbe la laurea poetica. Giustiziato come ribelle Antonello Petrucci, P. gli successe nell'ufficio di segretario del re, che tenne con grande tatto e fermezza e acuto senso politico, in circostanze difficili. Morto Ferdinando, quando, dopo il breve regno di Alfonso, Carlo VIII entrò in Napoli (febbr. 1495) e il nuovo re Ferdinando II esulò sciogliendo i sudditi dal giuramento di fedeltà, P., rimasto consegnatario del potere reale, fece omaggio al conquistatore. Tornato re Ferdinando (luglio 1495), P. naturalmente non rioccupò il suo ufficio, ma ebbe ancora qualche incarico.

Opere

Scrittore fecondissimo, in volgare lasciò solo un gruppetto di lettere, di forte colorito dialettale, tra cui belle e robuste alcune dirette ai suoi principi. Per il resto non usò che il latino: un latino agile, duttile, moderno, personalissimo. In prosa scrisse numerosi trattati astrologici (De rebus caelestibus) e filosofici (De prudentia; De fortitudine; De fortuna; ecc.) e, artisticamente più importanti, dialoghi (Aegidius, Actius, Asinus, Antonius, Charon). Tra questi, il lucianesco Charon è coraggiosa denuncia delle superstizioni popolari e della corruzione degli ecclesiastici, e il bizzarro e vivacissimo Asinus (vi s'introduce Gioviano impazzito d'amore per un asino, che, in compenso delle sue moine, gli morde ambe le mani: il che lo fa rinsavire) è allegoria, si è detto, dell'ingratitudine di Alfonso per il suo maestro. Dei poemi, il più vasto e più ricco di fantasiosi miti, originali o originalmente ricreati, è l'Urania in 5 libri, sulle costellazioni celesti e i relativi influssi. Continuazione dell'Urania è il Meteororum liber sui fenomeni atmosferici. Altro poema didascalico sono i 2 libri De hortis Hesperidum sive de cultu citriorum sulla coltivazione dei cedri. Anche in questi poemi si rivela il pagano e voluttuoso cantore della natura e del piacere e l'inesauribile creatore di mitiche figurazioni. Ma il suo temperamento più agevolmente si dispiega nei due libri Parthenopei sive Amorum, che si chiudono con la metamorfosi di Sebeto, cui si allaccia il più famoso dei suoi poemetti, l'egloga Lepidina, in cui P., cantando le feste per le nozze del fiume Sebeto con la ninfa Partenope, a cui partecipano i due sposi Lepidina e Macrone e cortei di ninfe e altre divinità, rappresenta luoghi di Napoli con la loro caratteristica vita popolare. Le delizie di Baia sono l'argomento dei voluttuosi due libri Hendecasyllaborum seu Baiarum, eleganti ma un po' monotoni. Originale poema della vita familiare e capolavoro di P. sono i tre libri di elegie (De amore coniugali), che cantano, con accenti che non escludono la sensualità, l'amore per la moglie Adriana (Adriana Sassone, m. 1490), la sollecitudine per i figli, le gioie e le tristezze intime della famiglia; deliziose, in particolare, le 12 Naeniae per il figlioletto Lucio. Agli affetti familiari sono anche dedicati gli Iambici e parte dei Tumuli (più di cento epitaffî); mentre alla senile passione per una ferrarese di Argenta, Stella, da cui aveva avuto un figlio, s'ispirarono i 2 libri di elegie dell'Eridanus. Temperamento poetico esuberante e padrone della lingua e del verso latini come forse nessun altro umanista, P. non ebbe nel Rinascimento chi lo uguagliasse come prosatore; alla sua poesia può essere accostata solo quella del Poliziano. Oltre all'ed. delle prose curata da P. Summonte con la collab. di I. Sannazzaro (5 voll., Napoli 1505-12) e a quella degli Opera (4 voll., Basilea 1556), vanno ricordate le moderne edd. critiche dei Carmina, a cura di B. Soldati (2 voll., 1902), e dei Dialoghi, a cura di C. Previtera (1943).

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