SEGANTINI, Giovanni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 91 (2018)

SEGANTINI, Giovanni

Chiara Ulivi

– Alla nascita Giovanni Battista Emanuele Maria Segatini (cominciò a firmarsi Segantini ai tempi dell’Accademia), nacque ad Arco (Trento) il 15 gennaio 1858, in territorio all’epoca austriaco, da Agostino e da Margherita de Girardi di Castello, entrambi provenienti da famiglie un tempo agiate, poi cadute in disgrazia.

Agostino (1802-1866), vedovo della prima moglie e di ventisei anni maggiore di Margherita, aveva già due figli: Napoleone Pier Antonio (nato nel 1845) e Domenica Maria Aloisa (nata nel 1847), chiamata Irene in famiglia, entrambi figure importanti nell’infanzia del pittore.

Nel 1895 Segantini, all’apice del successo e stimolato dalla scrittrice Neera, che avrebbe narrato di lui su Emporium (Neera, 1896), decise di redigere un’autobiografia pubblicata postuma dalla figlia Bianca (in Giovanni Segantini Schriften und Briefe, 1909; trad. it. 1910, pp. 3-19): il pittore vi narrò la sua vita con ampia libertà attenuando o nascondendo certi aspetti dolorosi della sua infanzia. Questo testo nutrì la mitografia su Segantini che ebbe larga diffusione negli anni intorno alla sua scomparsa prematura, incorniciandone la figura entro l’aura mitica del martire dell’arte (M. Frehner, The path to modernism, in Giovanni Segantini, 1999, pp. 8-10) e compromettendo a lungo una seria valutazione della sua figura.

Agostino, in perenne dissesto economico, intraprese con Margherita e i figli una vita di peregrinazioni alla ricerca di lavoro e sussidi nel territorio di Trento. Con il parto del primo figlio (Lodovico, 1856-1858) la donna fu colpita da un’infermità che, complicatasi con la nascita di Giovanni, la portò alla morte nel 1865. Segantini conservò un ricordo cristallizzato della madre, della cui morte si sentì sempre responsabile. Questa tragica vicenda fu cruciale per la rappresentazione della donna nella pittura di Segantini; allo stesso modo, le privazioni dell’infanzia lasciarono al pittore il desiderio di una famiglia solida cui garantire sempre un alto tenore di vita. Nelle sue memorie Segantini non accennò mai alla vita miseranda condotta ad Arco: al contrario, la cittadina trentina a cui Segantini non poté più fare ritorno si legò nella sua mente a un’immagine elegiaca di unità familiare, libertà, bellezza e armonia con la natura, che l’artista avrebbe cercato di ricreare con la compagna e i figli in Brianza e nei Grigioni.

Nuovamente vedovo, Agostino si recò a Milano con il figlio Giovanni, presto affidato alle cure della sorellastra Irene, che lavorava come modista. L’uomo morì in ospedale a Rovereto nel 1866. A sette anni Segantini era orfano di entrambi i genitori e viveva in miseria e solitudine con la sorellastra. I racconti dell’infanzia milanese riferiscono di giornate intere chiuso nella casa buia e fredda di via S. Simone perché la ragazza lavorava e lui non frequentava la scuola (Giovanni Segantini..., 1909; trad. it. 1910, p. 10). Dopo un rocambolesco tentativo di fuga a piedi verso la Francia, anch’esso narrato in toni coloriti (pp. 10-16), il bambino tornò a Milano e nel 1870 fu arrestato per vagabondaggio e portato al Patronato Marchiondi (Quinsac, 1982, p. 19). All’arresto il quasi tredicenne Segantini firmò con una X e il marchio di analfabeta non lo lasciò più nella vita: dopo anni da fervido autodidatta, mantenne una scrittura sgrammaticata e un’ortografia incerta e difficile da interpretare. La dura esperienza del Marchiondi è taciuta negli scritti autobiografici, ma fu in questo contesto che egli fece le sue prime esperienze artistiche: nelle carte dell’istituto si legge infatti «portato all’arte del disegno» (Quinsac, 1982, p. 19).

Si conserva presso l’istituto uno studio accademico del 1878 raffigurante S. Cecilia (Quinsac, 1982, n. 3), forse donato dall’autore, dopo l’internato, al frate Felice Cogliati, direttore del gabinetto delle stampe dell’istituto.

Nel 1873 il fratellastro Napoleone, fotografo a Borgo Val Sugana (Trentino), lo fece uscire dal Marchiondi per impiegarlo come aiutante: l’esperienza contribuì a definire la sua capacità di impostare la composizione e calibrare luci e ombre. Segantini riconobbe sempre alla fotografia un importante ruolo documentario, commissionando scatti delle sue opere per trarne studi nei giorni in cui il maltempo non gli consentiva di uscire a lavorare all’aperto.

Nel 1874 fu a Milano come apprendista nella bottega di Luigi Tettamanti, fotografo e pittore di stendardi e insegne (Quinsac, 1982, n. 1).

In collezioni e musei europei si conservano ante di mobili dipinte da Segantini, così come piatti in ceramica decorata e nature morte (molte al Segantini Museum di St. Moritz); questa attività si combinò con la produzione di mobili del compagno di accademia, poi cognato, Carlo Bugatti (Quinsac, 1982, p. 40).

Tra il 1875 e il 1878 frequentò i corsi serali dell’Accademia di belle arti di Brera, per lasciare poi la bottega e iscriversi ai corsi regolari (1878-79). Allievo di paesaggistica di Guido Carmignani, fu studente diligente e dotato, ottenendo premi e riconoscimenti. Di matrice accademica e influssi scapigliati è L’eroe morto (1879, St. Gallen, Kunstmuseum), evidente memoria del Cristo di Andrea Mantegna.

Nacquero in questo periodo i rapporti personali più rilevanti nella vita del pittore: il droghiere Giulio Bertoni, che lo ospitò, e il colto commerciante Enrico Dalbesio, amico di sempre, che sarà testimone della sua morte improvvisa; i compagni di accademia Gaetano Previati, Emilio Longoni, Angelo Morbelli e Bugatti, fratello di Luigia Pierina, detta Bice (1861-1938), compagna di Segantini e devota custode della sua memoria.

Nel 1879 ad Arco fu iscritto alle liste di coscrizione e dichiarato illegalmente assente. La nazionalità di Segantini è parte della mitologia che gli è sorta intorno: visse una vita senza documenti, chiedendo la cittadinanza italiana senza ottenerla (sebbene al Marchiondi fosse considerato cittadino italiano), rinunciando a quella austriaca, e subendo le pressioni della Svizzera, che per rinnovargli il permesso di soggiorno esigeva un passaporto. Nel 1865 la sorellastra aveva chiesto per entrambi le dimissioni dalla cittadinanza austriaca, concesse nel 1867: Segantini, però, non seppe mai di questo atto, né il governo austriaco sembrò averlo registrato, ritenendolo sempre un disertore e condannandolo a morte. Divenuto artista celebre, gli fu proposta la nazionalità elvetica, ma la rifiutò. Segantini rimase culturalmente ed economicamente sempre legato all’Italia anche quando si trasferì in Svizzera: non imparò mai il tedesco, anche se il contesto germanico gli tributò gli onori maggiori. Ritenendosi esule in Svizzera, si legò agli intellettuali irredentisti e ne divenne un simbolo dopo la morte.

Con Il coro di s. Antonio (Milano, Fondazione Cariplo, Gallerie d’Italia; Quinsac, 1982, n. 478), esposto a Brera nel 1879, attirò l’attenzione di critica e pubblico per il sapiente studio di luce e la padronanza nella resa dello spazio che dipendevano dalla cultura verista lombarda. Sempre in questo periodo, presentatogli dall’imprenditore e collezionista Luigi Della Beffa, conobbe Vittore Grubicy, che, con il fratello Alberto, gestiva una galleria d’arte. Vittore intuì subito le potenzialità del giovane: divenne suo amico e mentore, offrendogli anche ospitalità in un clima di intimità familiare prezioso per il giovane che si affezionò in particolar modo alla madre dei Grubicy, per lui ‘mamma Antonietta’ (S. Rebora, Vittore Grubicy de Dragon, pittore divisionista. 1851-1920, Milano-Roma 1995, p. 6). Di questi anni sono gli intensi ritratti della famiglia Grubicy (Quinsac, 1982, nn. 144-147, 149). Vittore fu determinante per la formazione culturale del pittore (Segantini..., 2014, pp. 47-65), facendolo uscire da uno stadio prossimo all’analfabetismo e formando in lui una consapevolezza teorica fino a quel momento del tutto assente. Vittore era uomo colto e raffinato, viaggiava per l’Europa e sapeva muoversi con sicurezza nel mercato d’arte: introdusse Segantini nei circoli liberal-intellettuali della Milano degli anni Ottanta (p. 48), e lo iniziò alle teorie del divisionismo, per cui pennellate di colori puri accostati sulla tela generavano più luminosità rispetto a tinte mescolate sulla tavolozza. Grazie a lui Segantini conobbe la pittura europea: il luminismo dei paesaggi di Anton Mauve e della scuola dell’Aia, la pittura dei campi di Jean-François Millet e l’en plein air della scuola di Barbizon. Il mito dell’artista totalmente isolato dal mondo, scevro di cognizioni teoriche così come di una cultura pittorica presente e passata, è infondato. Anche quando si ritirò nelle valli dei Grigioni, Segantini non fu mai l’eremita dedito unicamente alla pittura, immune da influenze artistiche e letterarie.

Nel 1881 insieme a Bice, sotto stipendio da Grubicy, Segantini ricercò in Brianza un luogo consono alla creazione, lontano dalla città (che, infatti, ritrasse poche volte: Segantini..., 2014, nn. 2, 4, 5), a fianco di contadini e montanari. Non raccontò però la vita dei campi con intenti di denuncia o di rappresentazione di costume, né vagheggiando un ritorno alla natura. Ciò che rappresentò in dipinti dalla fattura corposa e dalle tinte brune furono uomini e animali, flora, colli e monti, accomunati dallo stesso destino, elementi di un unicum naturale (Dopo il temporale, 1883-85, collezione privata; ibid., n. 42).

Nel 1882 Segantini presentò a Grubicy il pittore Emilio Longoni: iniziò un sodalizio artistico in Brianza sotto l’egida di Vittore, che durò un paio d’anni. Sempre nel 1882 nacque il primogenito di Segantini, Gottardo (1882-1974), ritratto in dipinti di gusto scapigliato (La mia famiglia, 1880-83, collezione privata; ibid., nn. 17-18). Nello stesso anno vide la luce la prima versione di Ave Maria a trasbordo (collocazione sconosciuta), poi ridipinta in chiave divisionista (1886-88, St. Moritz, Segantini Museum): se la sospesa sacralità della scena richiama l’Angelus di Millet, il tema del dipinto è la comunione panica tra uomo e natura, espressa in una sorta di laica natività. La maternità sarebbe stata soggetto centrale in tutta la produzione di Segantini, quasi una sublimazione del dolore per la perdita della madre (Le due madri, 1889, Milano, Galleria d’arte moderna).

Nel 1883 Grubicy venne designato per contratto procuratore per la vendita delle opere di Segantini, ma anche per la gestione delle sue proprietà, autorizzato persino a firmare i dipinti con il monogramma «GS». Il contraccambio era un vitalizio di non precisata entità. Negli intenti di Grubicy, oltre allo scopo commerciale, c’era quello di proteggere l’amico dalla sua inadeguatezza a gestire gli affari. Ma un rapporto nato su queste basi non poteva avere vita lunga e pose subito problemi: quando Longoni scoprì che anche le sue opere venivano siglate con «GS» da Grubicy, abbandonò la Brianza e chiuse il rapporto con entrambi. Nel 1886 Segantini ruppe l’accordo con Vittore, sostituendolo con uno meno vincolante con Alberto Grubicy, che gli garantì un vitalizio in cambio dell’esclusiva sulle opere, senza intromissioni nella vita personale.

Nel 1883, in Brianza, nacque il secondogenito di Segantini, Alberto (1883-1904), due anni dopo Mario (1885-1916) e l’anno successivo, a Milano, Bianca (1886-1980).

A Caglio, sempre in Brianza, nell’autunno del 1885 Segantini realizzò la sua prima opera monumentale, Alla stanga, acquistata dal governo italiano per la Galleria nazionale d’arte moderna di Roma, dopo aver ricevuto la medaglia d’oro all’Esposizione internazionale di Amsterdam. La grandiosa visione orizzontale di una tela di quasi 4 m appartiene già alla maturità di Segantini: abbandonati i toni cupi, la superficie si fa sensibile alla luce con una pittura a tocchi e spatolate, in parte divisi e in parte mescolati. L’epica del lavoro dei campi di millettiana memoria si dissolve nella visione panteistica di un’armonia universale che unisce uomini, animali e paesaggio.

Nel 1886, dopo un pellegrinaggio a piedi con Bice, Segantini si stabilì a 1200 m di altitudine tra gli orizzonti ampi e le luci alte di Savognino, nei Grigioni svizzeri. Affittò una grande casa che arredò con lusso. Padre e marito premuroso e attento, volle precettori privati per i figli e un tenore di vita elevato per la famiglia, purtroppo impegnandosi sempre molto oltre le sue possibilità. Fu così che si trovò a fare i conti con i creditori e con le autorità svizzere, che lo minacciarono di espulsione perché non pagava le tasse cantonali e non aveva un regolare passaporto. La situazione non migliorò neppure quando negli anni Novanta divenne, sempre grazie a Grubicy, uno degli artisti più pagati d’Europa.

Del 1886 è L’aratura (München, Neue Pinakothek), esposta a Parigi nel 1887 e integralmente ridipinta in chiave divisionista su suggerimento di Vittore, così come Ave Maria a trasbordo. Nel 1887 Vittore spese cinque mesi a Savognino condividendo riflessioni e teorie sulla pittura divisa e facendosi tramite tra Segantini e un altro protagonista del divisionismo, Angelo Morbelli, con cui il pittore intrattenne rapporti epistolari; Vittore posò anche per un ritratto dalla straordinaria acutezza psicologica (Leipzig, Museum der Bildenden Künste). Sempre nel 1887 Vittore allestì la sala Segantini all’Esposizione nazionale artistica di Venezia e propose a Londra i pittori della sua scuderia, evidenziando la continuità tra gli scapigliati Tranquillo Cremona e Daniele Ranzoni e i giovani, tra cui Segantini, Longoni, Morbelli e Paolo Troubetzkoy.

Utile alla comprensione del portato simbolico della pittura di Segantini è I miei modelli (1888, Zürich, Kunsthaus), una sorta di metaracconto del proprio lavoro, condotto attraverso gli occhi ingenui dei due giovani protagonisti (Baba, Barbara Huffer, la governante da poco assunta, e il figlio della cuoca di casa): il pittore si racconta attraverso lo sguardo attento dei due ragazzi che si riconoscono nei dipinti ammirati furtivamente a lume di notte, sentendoli probabilmente vicini e intelligibili, quegli stessi dipinti che riscuotevano successo di pubblico e di critica alle esposizioni internazionali.

Di questi anni sono composizioni calibrate e prive di cedimenti sentimentali o aneddotici: Allo sciogliersi delle nevi (1888, St. Moritz, Segantini Museum), Ragazza che fa la calza (1888, Zürich, Kunsthaus), Ritorno all’ovile (1888, St. Moritz, Segantini Museum).

Grazie all’interessamento di Giovanni Boldini, nel 1889 Vittore presentò Segantini all’Esposizione universale di Parigi, dove Vacche aggiogate (1888, Basel, Kunstmuseum) ottenne la medaglia d’oro. Il contatto con la pittura internazionale avvenne attraverso i canali del mercato, stimolati da Vittore, ma anche presso i salons degli artisti indipendenti che lo invitavano ad esporre, come il Salon des XX a Bruxelles, la Secessione di Monaco, dove ottenne la medaglia d’oro con Mezzogiorno sulle Alpi (1891, St. Moritz, Segantini Museum; Quinsac, 1982, n. 465), o la Secessione viennese, che nel 1898 acquistò Le due madri.

In questi anni Segantini conobbe Giovanni Giacometti (padre di Alberto), che sarebbe stato di fatto l’unico suo discepolo diretto. Negli scambi epistolari tra Segantini e Vittore comparvero screzi sul rifacimento del dipinto Tisi galoppante (1890, collezione privata; v. Segantini. Petalo di rosa, 2015) e sul suo nuovo titolo Petalo di rosa, a preambolo della rottura del 1890, che coincise con la fine della collaborazione tra i fratelli Grubicy.

All’inizio degli anni Novanta apparvero sulla stampa italiana alcuni articoli programmatici di Segantini come Così penso e sento la pittura e Pensieri d’artista (in Cronaca d’arte, 8 febbraio e 26 aprile 1891), Sentimento e natura (in Battaglia per l’arte, 26 gennaio 1893) e Il sentimento nelle opere d’arte (in L’idea liberale, 28 agosto 1893). L’artista scrisse anche alcuni racconti come Il sogno di un lavoratore (andato perduto; Segantini, la vita, la natura..., 1999, p. 21), in cui esplicitava la sua lontananza dalle idee socialiste e anarchiche di alcuni pittori, tra i quali Longoni. Espose alla prima Esposizione triennale di Brera (1891), ricordata come l’esordio ufficiale del divisionismo. Una delle opere più complesse, Il castigo delle lussuriose (1891; acquistato nel 1893 dalla Walker Art Gallery di Liverpool), ottenne una menzione d’onore all’Esposizione internazionale di Berlino, guadagnandogli contatti con galleristi tedeschi al di fuori del patronato dei Grubicy.

Al successo nazionale e internazionale corrispondeva però una situazione personale paradossale: l’artista, in fuga dagli esattori cantonali, si recò nel villaggio di Tusagn, sopra Soglio, dove iniziò a dipingere Pascoli alpini (1993-95; Zürich, Kunsthaus) e terminò L’ora mesta (1892, collezione privata).

Nel 1894 si trasferì a Maloja, in alta Engadina, a 1800 m di altitudine, dove affittò lo chalet Kuoni, unendo il ritiro montano, a lui congeniale, alla sistemazione lussuosa in una località mondana dove incontrare al grand hotel Kursaal intellettuali raffinati, collezionisti e committenti di alto lignaggio.

Nel 1895, con il ciclo delle Cattive madri, attirò l’interesse dell’imperatore Francesco Giuseppe e chiese ad Alberto Grubicy di inviare al sovrano il poema di Luigi Illica, Nirvana (publicato nel 1889 come traduzione di un immaginario testo di cultura buddista) che ne era la fonte: l’imperatore annullò la condanna a morte per diserzione che ancora pendeva su di lui in Austria, ma l’autorizzazione a rientrare in Trentino sarebbe giunta quando il pittore era già morto.

La produzione di Segantini, ambientata tra le valli e i ghiacci dell’Engadina, virava sempre di più verso un complesso simbolismo di cui il ciclo delle Cattive madri (1991-97, oggi tra Liverpool, Vienna e Zurigo) è l’esempio più ardito: in una visione da inferno dantesco, le donne che hanno rifiutato la maternità sono condannate ad espiare la colpa galleggiando inerti tra ghiacci eterni o alla ricerca dei piccoli che hanno abbandonato. L’eleganza grafica del contorto segno art nouveau e una sapiente condotta cromatica giocata su pochi toni di bianco, argento, azzurro e oro, fanno di queste opere un unicum nel panorama internazionale.

Nel 1896, in sintonia con l’ambiente fiorentino del Marzocco, Segantini, introdotto dalla scrittrice Neera, espose alla Festa dell’arte e dei fiori opere dal forte carattere simbolista: L’amore alla fonte della vita (1896, Milano, Galleria d’arte moderna), Il dolore confortato dalla fede (1896, Hamburger Kunsthalle), Il frutto dell’amore (1889, Leipzig, Museum der Bildenden Künste) e i due sgraffiti del ciclo delle Cattive madri (Zürich, Kunsthaus). Nel 1897 ricevette lo scrittore Carlo Placci e il celebre Robert de la Sizeranne, autore di Le peintre de l’Engadine: Giovanni Segantini (in Revue des deux mondes, 1898, n. 146, pp. 359-379).

Lo chalet Kuoni nel 1896 venne posto sotto sigilli per mancato pagamento di due anni di canone di affitto e delle tasse cantonali. Ma Segantini reagì affittando il castello Belvedere con ambiziosi progetti di ristrutturazione.

Nell’estate del 1897 l’artista concepì la sua impresa più grandiosa: un Panorama dell’Engadina da presentare all’Esposizione universale di Parigi del 1900 quale forma di promozione turistica della regione, nella tradizione dei panorami allora in voga, ma con una complessità senza precedenti.

Un’esperienza sinestetica da opera d’arte totale doveva coinvolgere pittura, natura e moderne tecnologie: una vera e propria collina con cascatelle, piante e animali veri, figuranti nel ruolo di pastori e contadini, luci e suoni riprodotti, il tutto circondato da colossali dipinti che dovevano ritrarre le catene montuose dell’Engadina, per i quali si sarebbe avvalso dell’aiuto di Giacometti e Longoni. Il progetto trovò inizialmente il sostegno degli albergatori svizzeri, ma naufragò sotto il peso dei costi crescenti, lasciando Segantini in preda a una cocente delusione.

Ciò che ne rimane sono alcuni studi e i tre spettacolari pannelli del Trittico oggi al Segantini Museum di St. Moritz, solo parzialmente finiti (La Vita, La Natura, La Morte).

A seguito di contatti con Gustav Klimt, Segantini fu l’invitato d’onore alla prima esposizione della Secessione viennese con 29 opere (1898), e pubblicò Che cosa è l’arte in Ver Sacrum, l’organo della Secessione (Betrachtungen über die Kunst, in Ver Sacrum, II (1899), 5, pp. 1-6). Mentre il successo internazionale cresceva e Segantini trattava per esporre a Parigi, Bruxelles, Berlino o Praga, in Italia la critica era divisa tra chi lo considerava il vate del nuovo verbo divisionista e simbolista e chi lo riteneva un imbroglio del mercato, un fasullo eremita della montagna. Segantini era amareggiato da queste critiche ingiuste, anche perché di fatto si sentiva confinato nel dorato ritiro dell’Engadina.

Il 18 settembre 1899 salì con il figlio Mario e Baba in una baita sul ghiacciaio dello Schafberg per dipingere la parte centrale del Trittico. Colto da un violento attacco di peritonite, rifiutò il pronto intervento del medico e, dopo giorni di febbre alta e dolori, morì la notte del 28 settembre. Fu sepolto a Maloja.

La morte lo colse al culmine della sua notorietà, lasciando incredulo il mondo dell’arte e il pubblico che lo seguiva (stampe dell’Ave Maria a trasbordo facevano bella mostra di sé nelle case di tutta Europa): a Milano un comitato per le onoranze funebri organizzò una commemorazione il 20 novembre; a Parigi all’Exposition décennale al Grand Palais (1900) fu proposta una retrospettiva, come l’anno dopo alla Secessione viennese. Nel 1902 uscì la lussuosa edizione della biografia di Segantini scritta da Franz Servaes e curata da Koloman Moser. Per una vera retrospettiva in Italia si dovette aspettare la XV Biennale di Venezia del 1926.

Fonti e Bibl.: Neera (Anna Radius Zuccari), Artisti contemporanei: G. S., in Emporium, III (1896), 15, pp. 162-178; F. Servaes, G. S.: sein Leben und sein Werk, Wien 1902 (trad. it. a cura di A. Tiddia, Riva del Garda 2015); G. S. Schriften und Briefe, a cura di B. Segantini, Leipzig 1909 (trad. it. Scritti e lettere di G. S., Torino 1910); A.-P. Quinsac, S.: catalogo generale, Milano 1982; S.: trent’anni di vita artistica europea nei carteggi inediti dell’artista e dei suoi mecenati, a cura di A.-P. Quinsac, Oggiono 1985; G. S. (catal. St. Gallen-St. Moritz), a cura di B. Stutzer - R. Wäspe, Ostfildern 1999; S., la vita, la natura, la morte. Disegni e dipinti (catal. Trento), a cura di G. Belli - A.-P. Quinsec, Milano 1999; S.: ritorno a Milano (catal.), a cura di A.-P. Quinsac, Milano 2014; S. Petalo di rosa. Indagini e scoperte (catal.), a cura di A.-P. Quinsac, Milano 2015; S. Scritture d’alta quota. Atti della Giornata di studio, Arco..., 2015, Riva del Garda 2015; Segantiniana. Studi e ricerche, a cura di A. Tiddia, I-II, Riva del Garda 2015-2016; G. S. e i pittori della montagna (catal.), a cura di D. Magnetti - F. Timo, Milano 2017.

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