CALOSSO, Giovanni Timoteo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 16 (1973)

CALOSSO, Giovanni Timoteo (Rustem bey)

Enrico De Leone

Conosciuto anche come Rustem bey, nome assunto nel periodo in cui fu al servizio dell'Inipero ottomano, nacque a Chivasso (Torino) il 24 genn. 1789 da genitori di umili condizioni, le cui generalità tace nelle sue memorie. Appena diciassettenne si arruolò volontario nell'esercito francese, nel 240 reggimento dei cacciatori a cavallo di guarnigione a Bassano del Brenta. Dopo aver partecipato a diversi fatti d'arme durante i quali riportò anche delle ferite, nel 1809 fu promosso brigadiere e, l'anno seguente, maresciallo d'alloggio. Alla fine della campagna di Russia si guadagnò le spalline da ufficiale: combatté ancora a Lipsia come aiutante maggiore del generale Orazio Sebastiani. Dimessosi dall'esercito francese il 20 ag. 1814, tentò invano di entrare come ufficiale nell'esercito sardo: poiché il reclutamento avveniva soltanto tra i nobili, ritornò furiere nei cavalleggeri del re fino al marzo del 1815 quando ebbe la promozione a cornetta, grado col quale partecipò ai moti del 1821. Costretto ad abbandonare il Piemonte e la moglie - Secondina Tarino Imperiali, che morì poi a Torino il 23 sett. 1858 - peregrinò esule in Francia, in Svizzera, in Spagna, nel Belgio e in Inghilterra: da qui, con altri italiani guidati dal colonnello Pisa, si imbarcò per la Grecia, raggiungendo Nauplia nel luglio 1826.

Disgustato - come altri connazionali - per il trattamento e per l'ingratitudine dei Greci, decise di passare in Turchia avendo avuto sentore che il sultano Maḥmūd II cercava ufficiali europei per riorganizzare l'esercito dopo lo scioglimento del corpo dei giannizzeri.

Dopo aver toccato Smime, proseguì per Costantinopoli, dove riuscì a farsi assumere col modesto compito di insegnante di equitazione di un gruppo di giovani. Verso la metà del 1827, in concorrenza con un ufficiale austriaco dei dragoni, fu prescelto dal sultano come capo-istruttore della cavalleria col nome di Rustem āghā fino al dicembre dell'anno successivo quando fu elevato alla dignità di bey.

La sua attività militare non può essere disgiunta da quella politica e diplomatica non solo per la sua qualità di consigliere del sultano ma anche per l'influenza che egli ebbe sulla formazione intellettuale e ideologica di molti suoi allievi divenuti, col tempo, personaggi di rilievo nella corte e nella vita pubblica. Nell'arco di poco più di un decennio, può dirsi che egli abbia avuto una parte di grande rilievo nella convulsa vita di Costantinopoli contrassegnata da grandi e delicati eventi. Tanto elevato era il suo prestigio che anche il ministro sardo - marchese Vincenzo Gropallo - pur figurando egli condannato in contumacia, non poté a lungo ignorarlo e fu costretto ad avere con lui frequenti contatti non diversamente da quanto faceva, nello stesso periodo, anche il console generale di Sardegna, Gaetano Truqui. Sia questi sia il Gropallo, anche in considerazione dell'attaccamento dimostrato verso la madrepatria, non tardarono a sollecitare a Torino qualche atto di benevolenza sovrana che Carlo Felice non tardò a concedere, mentre il C. durante il grande Bairām (qurbān bairām)del 1829 veniva dal sultano decorato con le insegne del nuovo Ordine del "nishān-iftikhar", insegne da lui stesso ideate e disegnate con l'ausilio di due altri italiani, Giuseppe Baratta e Luigi Gobbi.

Scoppiato il conflitto con l'Egitto nel 1831, il sultano - esasperato per l'abulia e per l'inerzia degli alti comandi - incaricò il C. - partito con altri europei al seguito del comandante in capo, nusain pascià - di vegliare e di riferire sul trattamento e sulle condizioni delle truppe e, in particolare, dei reparti di cavalleria. Arrivato al campo di Conia e constatato quanto fosse decisamente contrastata la sua delicata missione, decise, fingendosi malato, di riprendere la strada di Costantinopoli. Un rapporto, redatto in francese, e poi manipolato nella traduzione turca dallo stesso gran vizir, Moḥammed Khusrew pascià, lo fece cadere in disgrazia sol perché non aveva fatto mistero del suo modo di pensare circa la corruzione regnante tra le file dell'alta ufficialità turca e circa il trattamento a cui erano sottoposti i soldati. Poco gradito, ormai, alla maggioranza delle gerarchie di cui aveva denunciato il malcostume e le incapacità professionali, cominciò lentamente a entrare nell'ombra pur rimanendo nel rango dei dignitari.

Maggiormente lo colpì l'esonero dall'educazione e dall'istruzione dei giovani avviati alla carriera delle armi o a quella amministrativa. Molti di quei giovani, infatti, furono poi debitori al C. di quelle idee liberali che divennero il lievito di tutto il movimento riformatore turco che egli, più degli altri esuli europei, era riuscito, bene o male, a far penetrare nel chiuso e retrivo ambiente del palazzo imperiale. Anche il nazionalismo turco - per dirla con Ettore Rossi - derivò da impulsi esterni che "vennero dall'Europa e soprattutto nel periodo che seguì la caduta di Napoleone". Di tali impulsi furono certamente promotori, insieme col C., quegli italiani che le vicissitudini politiche spinsero ad approdare sulle sponde del Bosforo per esercitarvi professioni e attività che li misero a diretto contatto sia con le classi più elevate sia con le masse.

Negli anni successivi al 1832 il C. si ridusse a fare soltanto l'istruttore della cavalleria fino a che il 4 luglio 1839, durante la rassegna delle truppe compiuta dal nuovo sultano 'Abd ul-Magīd, figlio di Maḥmūd II, una brutta caduta da cavallo gli impedì di dedicarsi alla sua atvità preferita. Onori e atti di deferenza non gli furono lesinati, ma ormai la sua carriera nell'esercito ottomano poteva considerarsi chiusa. Egli non volle mai abiurare la sua fede anche se più volte sollecitato a farlo con allettanti promesse o con non larvate minacce.

Il C., che in patria aveva conseguito la promozione a capitano nelle file dei rivoltosi il 3 aprile del 1821, cioè appena cinque giorni prima dello scioglimento delle forze costituzionali, ed era stato condannato in contumacia a dieci anni di galera, al servizio del governo di Costantinopoli conseguì il brevetto di colonnello della guardia imperiale a cavallo. Ottenuto dal sultano un congedo di sei mesi a stipendio intero per meglio curare i postumi dell'infortunio subito, il 17 genn. 1840 si imbarcò alla volta dell'Italia giungendo a Torino alla fine di febbraio. Nella capitale il C. munito anche di passaporto sardo rilasciatogli a condizione "di far quando in Piemonte un atto di sottomissione con l'impegno di comportarsi come leale e fedele suddito" - fu dovunque bene accolto e ricevuto in udienza da Carlo Alberto.

Rientrato a Costantinopoli il 5 giugno dello stesso anno, vi visse ancora un triennio godendo la pensione annua di 30.000 piastre elargitagli da 'Abd ul-Megīd con facoltà di usufruirne anche in patria. Decorato della Legion d'onore, citato cm una lusinghiera motivazione sul Moniteur Ottoman dell'agosto del 1843, il 17 settembre con il figlio Emilio - entrato nella carriera consolare - partì alla volta di Trieste rimpatriando definitivamente.

Per quante ricerche siano state fatte, non è stato possibile accertare né la data né il luogo della morte del Calosso. Da una lettera inviata alla legazione di Sardegna tramite il ministero degli Affari Esteri e nella quale lamentava il mancato invio della pensione, risulta che era ancora in vita ai primi del 1859 e cioè all'età di circa settant'anni.

Il C. scrisse dei Mémoires d'un vieux soldat, pubblicati a Torino nel 1857.

Fonti e Bibl.: L. Calligaris, Mie memorie e miei scritti, ms., presso famiglia Calligaris in Barbania; A. de Lamartine, Voyage en Orient, Paris 1913, II, p. 228; A. Baratta, Costantinopoli effigiata e descritta con una notizia su le celebri Chiese dell'Asia Minore ed altri siti osservabili nel Levante, Torino 1840, pp. 324 s.; A. Segre, I profughi sardi del '21 in Ispagna - Appunti e documenti (1821-23), in Rassegna storica del Risorgimento, VIII (1921), pp. 179-224; E. de Leone, L'Impero ottomano nel primo periodo delle riforme (tanzīmāt) secondo fonti italiane, Milano 1967, pp. 15, 52-58, 66 ss., 75 s., 85 ss., 102-107, 109 s., 138, 147 ss.; qualche cenno al C. in E. Rossi, Dall'Impero ottomano alla Repubblica turca. Origini e sviluppo del nazionalismo turco sotto l'aspetto politico-culturale, in Oriente moderno, XXII (1943), 9, pp. 359-388.

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