SCHIAPARELLI, Giovanni Virginio

Enciclopedia Italiana (1936)

SCHIAPARELLI, Giovanni Virginio

Emilio BIANCHI

Astronomo, nato a Savigliano il 14 marzo 1835, morto a Milano il 4 luglio 1910. Compiuti gli studî elementari sotto l'insegnamento del padre, dal 1841 al 1850 seguiva quelli secondarî al ginnasio-liceo di Savigliano, per poi passare all'università di Torino, dove si laureò ingegnere idraulico e architetto nel 1854. E, se a Savigliano, durante gli studî secondarî, ebbe i primi insegnamenti astronomici dal teologo Paolo Dovo, all'università seguì i corsi di G. Plana, di Q. Sella, e d'altri, con tanto plauso e dimostrando, anche dopo la laurea, tanta passione per la scienza astronomica, che, dietro raccomandazione di Q. Sella e di L. Menabrea, poteva ottenere dal governo sardo una borsa per continuare all'estero i suoi studî prediletti.

Nel 1857 si recava, così, a Berlino, dove studiò astronomia sotto J. F. Encke e contemporaneamente geografia antica e moderna, meteorologia, storia della fisica, magnetismo terrestre, matematica, ecc., sotto i grandi maestri che tali discipline professavano allora colà: H. W. Dove, G. A. Erman, J. Ch. Poggendorff, C. Weierstrass, ecc.

Da Berlino, nel 1859, passava all'osservatorio di Pulkovo, dove fece pratica astronomica sotto O. Struve e F. A. T. Winnecke; nel luglio 1860 rientrava in Italia ed era nominato secondo astronomo a Brera, essendo direttore F. Carlini; alla morte di questo, nell'agosto 1862, gli succedeva nella direzione dell'osservatorio. A Brera lo S. stette quarant'anni; perché non lasciò la specola che sulla fine del 1900, per ritirarsi a vita privata; ma non già in riposo, ché dedicò gli ultimi 10 anni di vita a ultimare molte ricerche già avviate, che particolarmente attrassero la sua mente rimasta limpida e forte fino alla morte. Fu membro di numerose accademie italiane ed estere; medaglia d'oro della Società italiana dei XL; premio Lalande dell'Académie des Sciences dell'Institut de France nel 1868 per i suoi lavori sulle stelle cadenti e poi nel 1890 per le sue osservazioni sulla rotazione di Mercurio e Venere; medaglia d'oro della Royal Astronomical Society di Londra e della Imperiale Accademia tedesca leopoldina carolina dei naturalisti, ecc. Cittadino esemplare, rivendicò la gloria di sommi italiani quando gli parve (come per Galileo) che essa fosse oggetto di critica parziale e non serena.

L'opera scientifica dello S. fu immane. È tuttora dibattuta la questione se le conclusioni tratte dallo S. circa la rotazione e la costituzione dei pianeti Mercurio e Venere possano essere accettate oppure no. La verità è che nessuna prova definitiva è fino a oggi stata data in contraddizione alle vedute dello S., che fissò per ambedue i pianeti una rotazione della stessa durata della loro rivoluzione attorno al Sole, così che essi conserverebbero sempre rivolta al Sole la stessa faccia.

A tutti è giunta l'eco delle ricerche fatte dallo S. sul pianeta Marte. Il significato essenziale di tali indagini sta in ciò: che con esse lo studio delle apparenze superficiali del rosso pianeta fu trasportato dal campo della disegnazione capricciosa di esse secondo le impressioni visuali dell'osservatore in quello di una rigorosa misurazione micrometrica, con la conseguente possibilità di tracciare della superficie planetaria una rappresentazione per quanto possibile corrispondente alla realtà delle cose, almeno nelle linee generali. Molte delle conclusioni dello S. circa le apparenze superficiali di Marte, quelle specialmente della geminazione dei canali marziani, furono poi oggetto di critica. F. Cerulli ebbe ad opporre alla visione schiaparelliana quella della cosiddetta "teoria ottica", per la quale canali e geminazione di essi sono soltanto il frutto d'integrazioni ottiche di particolarità minute della superficie planetaria (v. marte). Ma è indubitato che, se lo stesso S. considerò sempre con precisa riserva le sue conclusioni in merito, d'altra parte nessuna prova visuale o fotografica è fino ad oggi apparsa capace di risolvere la questione in opposizione alle sue vedute.

Se, proseguendo nel rapido esame dell'opera dello S., basta accennare alla scoperta di un nuovo pianetino da lui battezzato col nome di Esperia, e alle interessanti osservazioni su Saturno ed Urano, importa dare il maggiore rilievo alle sue ricerche cometarie - teoriche e d'osservazione - dalle quali scaturì direttamente la famosa scoperta circa il cammino e la genesi delle stelle cadenti.

Delle comete lo S. si occupò sino dai primi anni della sua carriera astronomica, e molto vi sarebbe da ricordare degli studî suoi sulle caratteristiche fisiche di questi astri, caratteristiche indagate da lui quando la spettroscopia fotografica delle comete era presso che del tutto inesistente. Basti dire qui della sua indagine massima in questo campo: quella fatta sulla cometa del 1862, che pubblicò in extenso solo nel 1873; perché in essa sono descritte le sue concezioni circa le misteriose forze che governano il regime fisico dei nuclei cometarî. La diligente constatazione che egli fece allora dei misteriosi mutamenti di aspetto presentati dalla coda principale della cometa, l'apparizione improvvisa di una coda secondaria prodotta da un violento getto di materia cometaria emessa dal nucleo ed altre peculiarità minori lo indussero ad enunciare quella teoria della forza divellente nucleolare per la quale i nuclei cometarî (anche all'infuori delle violente azioni che su di essi deve esercitare il calore solare, specie quando la cometa è alla minima distanza dall'astro massimo), per sola causa della forza attrattiva del Sole su materia tanto rara, da questa forza traggono appunto la possibilità di grandiosi sconvolgimenti di struttura, sino alla loro disintegrazione in minutissimi corpuscoli, i quali iniziano il loro moto orbitale lungo la stessa orbita della cometa madre, dando così origine a quelle fiumane di materia cosmica che provocano poi il fenomeno delle stelle cadenti. È questo il germe delle idee fondamentali che guidarono lo S. nell'indagine risolutiva circa l'origine e il corso delle stelle cadenti.

Gli astronomi che lo avevano preceduto nello studio del problema avevano, per verità, già accertato che, per dare ragione dei diversi fatti osservati, era necessario pensare che nello spazio esistessero anelli di materia cosmica, chiusi ed avvolgentisi attorno al Sole; anelli che, incontrati dalla Terra, producono il fenomeno delle cadenti. Ciò aveva concluso G. A. Erman di Berlino fino dal 1839. Ma nulla si sapeva né della grandezza, né tanto meno dell'origine di questi numerosissimi anelli cosmici; e per 25 anni lo studio del fenomeno restò senza progresso, anzi andò a mano a mano complicandosi causa delle mille fantasticherie da taluni suoi cultori perseguite. Nel 1864 l'astronomo A. Newton, di New Haven (S. U. A.), fissò in 33 anni il periodo d'intensità delle Leonidi (cadenti del novembre, che paiono sgorgare dalla regione del cielo occupata dalla costellazione del Leone); e nel 1865 per primo ripudiò il concetto che gli anelli meteorici fossero di forma circolare, assegnando invece ad essi forma analoga a quella delle orbite delle comete. Molti autori, infine, non avevano mancato di far cenno, in proposito, alle comete; principalmente D. Kirkwood che, nel 1861 (e lo S. lo seppe solo nel 1867, un anno dopo la sua scoperta), fece allusione esplicita alla probabile natura cometaria delle orbite delle stelle cadenti e alla probabile loro origine da vecchie comete disfatte, la cui materia continuasse il cammino della cometa madre.

È a questo punto che interviene nella ricerca lo S., riuscendo non solo ad intuire ma a dimostrare che le orbite descritte dalle stelle cadenti coincidono per tipo, forma e dimensioni con le orbite cometarie; che la velocità intrinseca delle stelle cadenti alla loro apparizione corrisponde a quella del moto parabolico intorno al Sole; che certi sciami hanno orbite identiche a quelle di talune comete ben note; e che con molta probabilità le cadenti null'altro sono che materia cometaria dispersa dalla cometa della quale esse percorrono l'orbita. Così, e nel senso ora specificato, le Leonidi sono intimamente legate alla cometa Tempel del 1866; le Perseidi alla cometa del 1862; la pioggia del 27 novembre infine è derivata dalla frantumazione della cometa di Biela.

Tutto ciò è già magistralmente esposto nelle famose 5 lettere del 1866 dirette dallo S. al padre Secchi. Ma è nella memoria del 1867 dal titolo: Note e riflessioni intorno alla teoria astronomica delle stelle cadenti, che la questione è sviscerata esaurientemente da tutti i punti di vista, riuscendo (ecco il vero significato della scoperta dello S.) non solo a documentare e dimostrare quello che avevano intuito i suoi predecessori circa la forma delle orbite meteoriche e la connessione di esse con le orbite cometarie, ma anche a dare la più plausibile teoria circa l'origine materiale delle meteore stesse dalle masse delle comete. Dopo avere, infatti, demolito la teoria atmosferica delle cadenti, secondo la quale si tratterebbe di fenomeni non cosmici, ma della nostra atmosfera; dopo avere rigorosamente ricostruito il vero cammino delle stelle cadenti dall'analisi delle loro apparenze per un osservatore terrestre; dopo aver calcolato, perturbazioni comprese, le orbite di talune meteore, affronta il problema, per tutti ancora oscuro, dell'eventuale connessione fra materia meteorica e materia cometaria, dimostrando appunto come si debba ascrivere alla attrazione del Sole su di una massa tanto rada, come quella dei nuclei cometarî, la trasformazione di essi nuclei in correnti di materia, a corpuscoli minutissimi, con orbita sensibilmente parabolica.

Osservatore principe, lo S. non trascurò il campo delle misure di stelle doppie, e all'osservazione dei sistemi binarî attese per ben 25 anni, dal 1875 al 1900, raccogliendo risultati che hanno segnato a lettere d'oro il nome suo accanto a quello dei massimi cultori di questo campo della astronomia osservativa, sia per il grande numero delle stelle doppie misurate, sia per l'altissimo grado di precisione delle misure.

Né può essere dimenticato il contributo dallo S. dato alla ricerca sulla distribuzione apparente delle stelle in cielo; perché esso, appunto per la grande circospezione usata nel commentare le sue indagini, sta a dimostrare quanto egli avesse esattamente capito l'immaturità dell'astronomia stellare dei tempi suoi per assurgere a qualche cosa di concreto circa l'organamento del cosmo stellare, causa la grande deficienza allora dominante le nozioni di distanza, di moto e di massa delle stelle; così che deve darsi l'adesione più esplicita alla sentenza definitiva dallo S. emessa nel 1889 sulla grave questione, là dove egli proclama la necessità di abbandonare, in un problema così squisitamente geometrico ed insieme dinamico, le ipotesi che non possono essere comunque giustificate, per dirigere invece tutti gli sforzi alla conclusione di quei dati che ovviamente stanno alla base del problema stesso: i moti proprî, cioè, le velocità radiali, le parallassi e le masse delle stelle nel più grande numero possibile. È proprio ciò che sta facendo da tempo l'astronomia moderna.

In materia di studî matematici, geodetici, meteorologici e geofisici, basti accennare alla trattazione che lo S. fece del problema del movimento dei poli di rotazione sulla superficie della Terra; alla sua memoria sul modo di ricavare la vera espressione delle leggi della natura dalle curve empiriche; alla partecipazione sua a grandi operazioni astronomicogeodetiche, e alla discussione e critica dei relativi risultati; alle molte sue indagini, infine, sulle caratteristiche climatiche e meteorologiche, ecc.

Notevolissima l'opera dello S. come storico della scienza astronomica. Come di quasi tutte le altre importanti indagini dello S., concepite tutte quando egli era ancora giovanissimo, così accadde di quelle che hanno relazione con la storia dell'astronomia. E, come non abbandonò mai le ricerche sulle stelle cadenti, sulle comete e sulle stelle, rinnovandone lo studio in successive memorie e poi divulgandone i risultati in magistrali saggi di astronomia popolare, altrettanto fece per le indagini storiche, sino agli ultimi anni della sua vita.

L'astronomia dell'antico Oriente e del mondo ellenico; quella dei Babilonesi e dell'Antico Testamento; quella degli Egiziani e degl'Indiani; tutto quanto insomma fu prodotto dalla speculazione umana prima di Copernico, fino dalle prime rozze elucubrazioni dirette a strappare al cielo le prime verità del suo organamento, divenne oggetto di continuate ricerche che lo condussero ad originali e, per quanto possibile, definitivi accertamenti. È stato detto che "nessuno prima di lui era così profondamente penetrato nell'astronomia dei Greci"; si può aggiungere e completare dicendo che nessuno prima di lui aveva così esattamente precisato il valore ed il significato costruttivo delle fatiche che le menti del mondo intero avevano compiute nel tentativo di sviscerare l'essenza vera geometrica del cosmo. Tutto ciò balza nettamente dalle sue memorie che concernono Le opinioni e ricerche degli antichi sulle distanze e sulle grandezze dei corpi celesti e loro idee sull'estensione dell'Universo (1865); I precursori di Copernico nell'antichità (1873); Le sfere omocentriche di Eudosso di Callippo e di Aristotele (1874); I calendarii astro-meteorologici degli antichi (1892); L'origine del sistema eliocentrico presso i Greci (1898); Come i Greci arrivarono al primo concetto del sistema planetario eliocentrico, oggi detto copernicano (1898); L'astronomia nell'Antico Testamento (1903); e in molti altri scritti di carattere strettamente scientifico gli uni, di scopo divulgativo gli altri. Del complesso delle ricerche storiche dello S. può ben dirsi che in esse resta documentata la gloria massima sua. Perché, se le indagini cui accennammo sulle comete, sulle cadenti, su Marte, ecc., stanno a dimostrare il grande astronomo, quelle di carattere storico ce lo testimoniano non solo astronomo sommo, ma anche poderoso critico della scienza. La morte gl'impedì di coronare la sua attività con un'opera che da tempo andava preparando: la Storia dell'astronomia, della quale lasciò chiare indicazioni di elaborazione come ben si può rilevare dal vol. III degli Scritti sulla storia dell'astronomia antica, editi da suo figlio Attilio e da L. Gabba (Bologna 1927).

Delle sue Opere, curate dalla R. Specola di Brera, sono stati finora pubblicati i tomi I-VII (Milano 1929-35).

All'astronomo G. S. Omaggio degli astronomi it., a cura di G. Celoria, Milano 1900 (con bibl.); G. Celoria, in Atti Accademia Lincei, Rend. cl. scienze fisiche, s. V, XIX, ii (1910), pp. 528-555; id., G. S. e l'opera sua, in Rend. Istituto lomb., s. II, L (1917), pp. 536-549; L. Gabba, G. S. e la storia dell'astronomia, in Rend. Seminario matem. e fis. di Milano, II, Milano 1929; E. Bianchi, G. S. e il problema delle parallassi stellari, in Atti soc. it. progresso scienze, XVIII riunione, I, Roma 1930.