GRASSI, Giovannino de'

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 58 (2002)

GRASSI, Giovannino de'

Marco Rossi

Non si ha alcuna notizia certa per stabilire la sua data di nascita; i documenti attestano che era figlio di Guglielmo e abitava a Milano, prima nella parrocchia di S. Tommaso in Terramara e poi di S. Giovanni sul Muro.

Si può ipotizzare che la sua nascita sia avvenuta fra il 1355 e il 1360, in quanto nel 1398 (anno della morte del G.) il figlio Salomone sembra non avere ancora raggiunto la maggiore età, poiché il G. risulta essere tutore dei lavori per la decorazione miniata del Beroldo (Milano, Biblioteca Trivulziana, cod. 2262: Annali della Fabbrica…, I, pp. 187 s.; App., I, p. 243).

Il primo documento finora conosciuto sul G. è conservato nell'Archivio della Fabbrica del duomo di Milano e riguarda l'acquisto di un pennello, avvenuto il 5 maggio 1389 (Annali…, App., I, p. 81). Mancano, invece, documenti che attestino lavori precedenti, certamente già legati alla corte viscontea, in quanto il primo dipinto eseguito dal G. per il duomo, un'immagine di S. Gallo su lino (ibid., p. 100), risulta essere stat0 commissionato direttamente da Gian Galeazzo e dalla moglie Caterina, per devozione verso il santo venerato nel giorno natale del signore di Milano.

La critica è ormai concorde nel ritenere difficilmente sostenibile la lettura 1370 della data a foglio 2r dell'Offiziolo Visconti (Firenze, Biblioteca nazionale, Banco rari 397), sulla quale si erano basate molte ricostruzioni della vita e della produzione del G., a partire da Toesca, che ebbe il grande merito di porre in evidenza la multiforme personalità dell'artista: pittore, miniatore, scultore e architetto.

Sulla base della ipotetica data di nascita, gli ambiti della sua formazione vanno ricercati tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta del XIV secolo, quando la cultura artistica viscontea è caratterizzata da grandi novità, favorite da Bernabò e da Galeazzo (II): si segnalano in modo particolare la decorazione del castello di Pavia, purtroppo in gran parte perduta, per la quale vengono chiamati anche pittori bolognesi e mantovani; la presenza di artisti francesi come Jean d'Arbois e gli scambi di codici miniati con la Francia, favoriti da Bianca di Savoia, moglie di Galeazzo (II); la costituzione della Biblioteca viscontea e l'allestimento d'importanti manoscritti miniati.

Tra questi emerge il Guiron le Courtois (Parigi, Bibliothèque nationale, Nouv. Acq. Fr. 5243), commissionato da Bernabò Visconti: la particolare connotazione naturalistica delle scene miniate nei bas-de-page e la loro tecnica esecutiva a leggere velature di colore stese sul disegno con tonalità attenuate e sottili e diversi riferimenti stilistici hanno permesso d'ipotizzare la presenza nella bottega del Guiron del giovane G., che si rivelò il più fedele interprete in chiave "internazionale" delle novità dell'ancora anonimo maestro lombardo, molto attento alla cultura figurativa veronese ed emiliana. Un altro codice miniato nel quale si possono individuare ulteriori riferimenti per le fonti stilistiche del G. è costituito dal Messale - Libro d'ore, sempre della Bibliothèque nationale di Parigi (Lat. 757), commissionato da Bertrando de Rossi nell'ambito della corte viscontea: la sua decorazione vide all'opera le più importanti botteghe di miniatori attive a Milano negli anni Ottanta, che si divisero la decorazione dei fascicoli, come per esempio quelle di Giovanni di Benedetto da Como, di Anovelo da Imbonate, del Maestro del Lancelot e dei Maestri della Passione, dello Smith-Lesoueff 22 e del Libro d'ore di Modena (Tomasino da Vimercate: Tassetto, 1999).

Il G. maturò dunque la sua concezione naturalistica fra gli anni Settanta e Ottanta del Trecento, basandosi da una parte sulle morbide, velate stesure di colore del Guiron, e dall'altra sulle nervose, vibranti soluzioni grafiche di molte miniature del Messale - Libro d'ore (Lat. 757), d'ispirazione francesizzante. I disegni di animali presenti in questi codici, ai quali si possono aggiungere i Segni zodiacali del Liber iudiciorum et consiliorum di Alfodhol de Merengi (Parigi, Bibliothèque nationale, Lat. 7323), commissionato da Bernabò Visconti, costituiscono non solo le premesse, ma in alcuni casi già il frutto di scambi dei modelli circolanti tra le botteghe attive nella decorazione di tali manoscritti.

In quest'ottica si pone anche il Taccuino di disegni della Biblioteca civica Angelo Mai di Bergamo (cassaf. 1.21), pubblicato in prima edizione integrale nel 1961 (Taccuino di disegni, codice della Biblioteca civica di Bergamo, Bergamo), recentemente restaurato e ristampato in facsimile (Taccuino di disegni…, Modena 1998: commentario al codice con saggi di G.O. Bravi e M.G. Recanati, relazione di restauro a cura di M.G. Vaccari, L. Montalbano, C. Rossi Scarzanella). Esso è costituito da quattro fascicoli di bifogli di vario formato, eseguiti da miniatori diversi - in gran parte nell'ambito della bottega del G. - e rilegati insieme probabilmente in fasi successive. Il G., che si firma a foglio 4v "Johanninus de Grassis designavit", è autore della maggior parte dei disegni del primo fascicolo (a esclusione dell'ultimo foglio. 8v e del cervo nella metà inferiore del 7v), i quali costituiscono una delle più alte testimonianze del naturalismo tardogotico (Pächt, 1950).

Dopo il primo con un ghepardo accosciato, un unicorno e un orso bruno, i fogli 1v-2r spalancano alla vista un daino, due cervi e un leopardo, permettendo di cogliere a fondo la raffinata tecnica del G., nella quale la nitidezza del segno grafico convive con la morbidezza delle velature di colore acquerellato e delle lumeggiature a biacca degli incarnati, resi ancor più realistici dal fitto tratteggio del pelo a punta di pennello. Il G. mostra di possedere una profonda percezione dello spazio, suggerito dalla forma stessa degli animali, dai loro impercettibili movimenti e dalla collocazione dei disegni nella pagina. Seguono a foglio 2v uno struzzo, ripreso nell'Historia plantarum della Biblioteca Casanatense di Roma (253v) e nel Tacuinum sanitatis della Bibliothèque de l'Université di Liegi (42r), e un mastino; i fogli 3v e 4r presentano, invece, quattro Dame, connotate da eleganti panneggi ammorbiditi dal colore steso non solo a velature, ma anche con sottili tocchi a punta di pennello. Mentre i fogli 4v e 5r radunano una fitta serie di animali, dominati dai tre falconiformi, a foglio 5v si trovano i cantori e, dopo due pagine con altri animali, a foglio 7r compare l'Homo selvaticus, ripreso in una statua di Gigante del duomo di Milano.

Il Taccuino di Bergamo non costituisce dunque un astratto repertorio di modelli, ma un insieme di disegni dal vero, connotati da una loro autonomia figurativa e capaci al tempo stesso di rinnovare ogni tipo di forma artistica, qualora applicati alle diverse tecniche alle quali il G. e la sua bottega si dedicavano: dai codici miniati agli affreschi, dalla scultura decorativa all'oreficeria. La multiforme attività del maestro trova il suo fattore unificante proprio nel disegno, che permette il controllo e l'attività dei più disparati campi figurativi. Infatti i disegni del Taccuino di Bergamo sono ripresi nelle pagine dell'Offiziolo Visconti e di altri importanti codici miniati nei quali si trova attiva la bottega del G., come l'Historia plantarum (Roma, Biblioteca Casanatense, ms. 459), ma anche nella decorazione a fresco di dimore nobiliari: sono andati purtroppo perduti i cicli del castello di Pavia, dove si potevano ammirare "sale da leopardi, camere da li cinegli [conigli], camere cum li lioni, […] roxe e damisele, animali fatti d'oro come leoni, leopardi, tigri, levrieri, bracchi, cervi, cinghiali et altri, caccie e pescagioni et giostre" (Welch, 1989).

Il fortunato rinvenimento di un ciclo di affreschi nella Rocchetta della famiglia Mantegazza a Campomorto presso Siziano, tra Milano e Pavia (Mazzilli Savini; Rossi, 1991), offre la testimonianza di una delle più dirette traduzioni figurative dei disegni di Bergamo: entro una serie di finte inquadrature prospettiche intercomunicanti, che corrono lungo le pareti di una stanza, sormontate da una fascia con gli stemmi dei Visconti e dei Mantegazza, sono dipinte immagini di animali direttamente derivate dal Taccuino e una Madonna che cuce con il Bambino che le porge il filo ispirata alle Dame.

Altre applicazioni dei disegni del Taccuino si possono trovare nella complessa decorazione scultorea del duomo di Milano, a partire dal già citato Homo selvaticus fino a molte mensole del primo ordine di statue, come, per esempio, quella con l'aquila nel transetto meridionale (n. 133) e quella con una figura mitologica e conigli nella zona absidale (n. 269).

Prima di procedere nella scansione documentaria dell'attività del G., occorre soffermarsi ancora sull'Offiziolo Visconti (Firenze, Biblioteca nazionale, Banco rari 397 e Landau Finaly 22): essendo venuta meno come termine di riferimento la data 1370 a foglio 2r, probabilmente da leggersi 1320 in relazione a qualche importante avvenimento visconteo (Meiss - Kirsch), si può ipotizzare che la realizzazione del codice miniato sia stata avviata nel 1388, in occasione della nascita del tanto agognato figlio maschio di Gian Galeazzo, avvenuta il 7 settembre, vigilia della festa della Natività della Vergine, particolarmente celebrata nell'elaborato impianto iconografico.

Il manoscritto Banco rari 397, con il salterio feriale eccezionalmente illustrato da un ciclo mariano, presenta una straordinaria serie di miniature a piena pagina del G., caratterizzate dalle ricche bordure con l'emblematica viscontea accompagnata al vastissimo repertorio decorativo e animalistico del maestro. Il libro d'ore Landau Finaly 22, avviato dal G., proseguito dal figlio Salomone e da altri miniatori e concluso da Luchino Belbello da Pavia, vede invece le Storie della Vergine intrecciate a quelle della Genesi.

La ricchezza di soluzioni stilistiche e compositive ideate dal G. nelle pagine dell'Offiziolo Visconti permette di conoscere a fondo non solo il vasto repertorio decorativo e iconografico dell'artista, che oltrepassa ampiamente i modelli conservati dal Taccuino di Bergamo, ma anche di cogliere le varianti dello stile del miniatore: si passa infatti dalle cadenze lombarde delle prime pagine, rese vive dal morbido naturalismo ispirato al Guiron e dalle nervose, eleganti sollecitazioni della cultura figurativa francese, alla stesura quasi "pulviscolare" del colore, già visibile in alcune figure del Banco rari 397 e manifesta in Landau Finaly 22, nelle carte attribuibili al maestro, come per esempio 30r e 51r.

L'attività architettonica del G., secondo quanto attestano i documenti, iniziò a profilarsi nel gennaio 1390 (Annali della Fabbrica…, I, p. 29), quando il maestro, ancora qualificato come "pictor", si offriva di fare disegni per la Fabbrica del duomo, probabilmente relativi alla forma dei piloni, intorno ai quali si stava dibattendo. La proposta non ebbe successo; e infatti al G. vennero affidati ancora interventi pittorici: il 19 febbraio era pagato per due piccole Maestà su tela per le bussole della raccolta delle offerte (Annali…, App., I, p. 122); e a ottobre ridipingeva lo stendardo di S. Gallo dell'anno precedente, con le insegne signorili e comunali (ibid., p. 142).

Nel marzo 1391 la Fabbrica del duomo acquistò per il G., ancora definito pittore, gli attrezzi necessari per "laborare in figuris unum lapidem marmoreum" (ibid., p. 166): probabilmente egli cercava di dimostrare, attraverso interventi in qualità di scultore, oltre all'abilità nel disegno, la capacità di operare in settori ritenuti di maggior rilevanza nell'ambito della tradizione campionese, al fine di un'assunzione nel più prestigioso cantiere di Milano. L'occasione era favorita pure dalla partenza dello scultore tedesco Hans Fernach alla volta di Colonia per cercare un ingegnere, preferibilmente Ulrich von Ensingen: garanti della missione erano un certo Hermann di Colonia e proprio il G. (Welch, 1995, pp. 85 s., 288 s.).

I pagamenti al G. per il lavoro di scultura proseguono nei mesi successivi, con l'importante precisazione che si trattava di figure "eximie subtilitatis" (Annali…, App., I, p. 170). Nebbia (p. 9) riferisce tali lavori all'architrave del portale della sacrestia meridionale del duomo; Toesca (1912), invece, al lavabo con la Samaritana nella stessa sacrestia: quest'ultima ipotesi risulta molto plausibile, in quanto l'8 agosto il G. è esplicitamente pagato per tale opera (Annali…, App., I, pp. 184 s.), che venne dorata nel 1396 (ibid., p. 238). La rigorosa struttura architettonica triangolare, dilatata alla base da un arco inflesso, percorsa da ricchi motivi decorativi con angeli che cavalcano fronde portando le lettere della parola "PAX" e slanciata da alti pinnacoli, racchiude il bassorilievo polilobato con Cristo e la samaritana al pozzo, connotato da un particolare ritmo avvolgente, che sottende il grande senso spaziale del Grassi. La morbidezza di linee della Samaritana, soprattutto nel volto, suggerisce rapporti con il ciclo parleriano di busti imperiali nel triforio della cattedrale di Praga, evidenti espressioni del cosiddetto "bello stile", conosciuto a Milano probabilmente attraverso la mediazione di Hans Fernach e Heinrich Parler.

Un analogo coronamento scultoreo era stato realizzato per il lavabo della sacrestia settentrionale e decorato nel 1396 (Annali della Fabbrica…, I, p. 161); ma di esso si conservano solo scarsi resti dietro gli armadi barocchi (Ferrari da Passano).

Nel frattempo, il 12 luglio 1391, il G. venne finalmente proposto come ingegnere della Fabbrica del duomo di Milano e il 16 luglio assunto in prova per quattro mesi, con il rilevante salario di 12 fiorini d'oro mensili (Annali della Fabbrica…, I, pp. 50 s.). Il momento era particolarmente importante per il cantiere, in quanto si dovevano stabilire con esattezza le caratteristiche dell'alzato della cattedrale. Subito risalta l'importanza dei suoi disegni, in quanto il 17 luglio veniva rinforzata la porta della stanza nella quale il G. "stare debet ad designandum" e il 19 luglio si predisponeva una cassa per conservare i suoi lavori (Rossi, 1995, p. 150, docc. 14, 16, 17). Il 16 agosto risulta esplicitamente che il G. "designari debet ecclesiam" (ibid., p. 151 n. 20).

Il G. continuò comunque a svolgere l'attività di scultore, lavorando al bassorilievo con Cristo e la samaritana (Annali…, App., I, pp. 184 s.), e di pittore, come documentano i pagamenti di settembre per lo stendardo di Bonifacio IX, dipinto con due aiuti e portato in processione per le vie di Milano, in occasione dello speciale giubileo concesso per il duomo (ibid., pp. 188, 191).

Il 30 nov. 1391 il G. venne confermato ingegnere della Fabbrica (Annali della Fabbrica…, I, p. 57), mentre si stava elaborando il progetto geometrico dell'alzato del duomo, grazie anche alla consulenza del matematico piacentino Gabriele Stornaloco (o Scovaloca), che fornì un accurato disegno, basato sul metodo progettuale ad triangulum e ricco di valenze simboliche, del quale si conosce una copia, conservata presso la Biblioteca Trivulziana di Milano (Raccolta Bianconi, II, 4).

Il dibattito si fece serrato con l'arrivo a Milano da Ulm, verso la fine di novembre, di Heinrich Parler di Gmünd e culminò con la fondamentale riunione del 1° maggio 1392, dalla quale il G. e gli architetti lombardi uscirono vincitori (Annali della Fabbrica…, I, pp. 68 s.). Risulta questa la più documentata occasione di un confronto da parte del G. con la grande architettura parleriana mitteleuropea; ma non si possono escludere altri contatti con la cultura boema, ritenuta rilevante nella sua formazione (Romanini, 1973; Cadei, 1970 e 1984).

Il dibattito con Parler avvenne sulla base di disegni e modelli lignei elaborati dai due architetti e da altri, anche in relazione a singole parti, quali i finestroni (Annali della Fabbrica…, I, p. 64; App., I, p. 229; Rossi, 1995, pp. 152-154, nn. 34-36, 38, 42). Parler prevedeva una slanciata soluzione ad quadratum, basata sul ribaltamento in alzato del modulo geometrico della pianta, mentre la Fabbrica optava per quella ad triangulum, sancita da Stornaloco e presentata attraverso il modello di Simone Cavagnera e Simone da Piacenza, probabilmente elaborata dal G. quale armonico sviluppo delle navate e "modulazione pittorica dello spazio basata sulla salita dei pilastri e sul loro snodarsi" (Romanini, 1973, p. 176).

Nel mese di dicembre fu effettuata una ritenuta dallo stipendio mensile del G. per un'assenza di quattro giorni, durante i quali "stetit Papiam" (Rossi, 1995, p. 154 n. 54): si tratta della prima testimonianza che attesta la presenza a Pavia dell'artista, certamente a servizio dei Visconti, per lavori al castello o a codici miniati. Infatti il 12 ag. 1393 un importante documento rivela che nei mesi passati il maestro era stato diversi giorni al servizio di Caterina Visconti, moglie di Gian Galeazzo, "occaxione certorum operum" (ibid., pp. 155 s., n. 66).

Frattanto, nell'ambito dell'attività per il duomo, dove ormai portava la piena responsabilità architettonica del cantiere, seppur coadiuvato da abili ingegneri come Giacomo da Campione, il G. non tralasciava diretti interventi di carattere decorativo. Una registrazione contabile del 5 febbr. 1393 documenta che il maestro aveva ricevuto, nel novembre precedente, 84 foglie d'oro per la doratura di una statua di S. Caterina, di un finestrone del transetto settentrionale, e nel dicembre oro, argento e azzurro oltremarino per una Maestà da collocare sul portale della Fabbrica, posti in opera dai pittori Stefano "de Camenago" e Antonio da Siena (ibid., p. 155 n. 56). Ancora il 14 aprile seguente vennero consegnate al G. 30 foglie d'oro "pro ponendo ad librum unum regis David", scolpito in un finestrone settentrionale (Annali…, App., I, p. 231): si tratta certamente di una delle mensole del primo ordine di statue attribuite già da Nebbia al maestro (pp. 13 s.) e caratterizzate da cartigli in marmo con incise raffinate iscrizioni, che trovarono la loro massima espressione avvolgendosi intorno alle grandi efflorescenze negli sguanci dei finestroni.

Fra il 1392 e il 1393 era in corso d'opera anche il primo capitello, che Cadei (1969) ha individuato sul pilone 83, all'imbocco del coro di fronte alla sacrestia settentrionale, e attribuito al G.: esso scandisce il ritmo ascensionale del pilone assecondando le sue membrature attraverso le ghimberghe delle nicchie che s'insinuano morbidamente, senza soluzione di continuità, nelle aperture della volta. Il modello ad tabernaculos elaborato dal G. venne definitivamente sancito il 17 apr. 1396, con la possibilità anche di adottare le varianti di Giacomo da Campione (Annali della Fabbrica…, I, p. 162).

Un atto notarile del 17 ag. 1393 (Shell, 1991) documenta il nome di un allievo preso a bottega dal G., Giovannino "de Parloteriis", probabilmente uno di quei pittori e miniatori ancora anonimi che popolarono l'arte lombarda fra la fine del XIV e l'inizio XV secolo.

Tra il 1394 e il 1395 un nuovo dibattito architettonico animò la Fabbrica del duomo, questa volta con Ulrich von Ensingen, con particolare riferimento ai finestroni absidali e ai capitelli; ma venne ribadita la fedeltà a quanto stabilito il 1° maggio 1392 (Annali della Fabbrica…, I, p. 133). Il 22 nov. 1394 il G. e Giacomo da Campione furono incaricati di disegnare una sezione trasversale del duomo all'altezza delle sacrestie (ibid., p. 120), fatto che attesta il ruolo anche progettuale del G., naturalmente nel contesto dell'articolata distribuzione dei compiti nel cantiere tardogotico (Cadei, 1995).

La definitiva sanzione dell'assetto architettonico e decorativo della cattedrale, in applicazione di quanto deliberato nella riunione del 1° maggio 1392, oltre che nei disegni del G., trova espressione nel modello in legno da lui realizzato nella primavera del 1395 (Rossi, 1995, p. 159, nn. 97, 99-103, 106).

A partire da luglio è ancora documentata l'attività decorativa del G., con l'aiuto del fratello Porrino, in una delle imprese che hanno recentemente restituito rare testimonianze pittoriche del maestro (Rossi, 1994): si tratta delle figure di Santi ritrovate sui pilastrini della sovrapporta della sacrestia settentrionale, purtroppo in parte compromesse dal cattivo stato di conservazione.

Particolarmente significativi sono il S. Giorgio che uccide il drago e il S. Cristoforo, inseriti con grande naturalezza entro lo strettissimo spazio a disposizione e qualificati da morbidi trapassi chiaroscurali che conferiscono eleganza, tridimensionalità e profonda verità umana alle figure. La qualità inferiore del S. Sigismondo e della S. Caterina induce a individuare in essi la mano di Porrino, che aveva pure dipinto nel 1395 tre tavolette per una Pace e una Maestà per una cassa per le offerte (Annali…, App., I, p. 234) e nel 1399 avrebbe miniato un privilegio d'indulgenze papali da apporre all'ingresso del duomo (ibid., p. 245), dopo aver probabilmente collaborato alla decorazione del Beroldo.

Frattanto proseguivano gli impegni del G. a Pavia al servizio di Gian Galeazzo Visconti, come attesta un documento dell'ottobre 1395 (Rossi, 1995, p. 161 n. 117), quasi ritagliati nella fitta trama dell'attività richiesta dal cantiere del duomo, comprendente anche le decorazioni delle sovrapporte delle sacrestie e dei relativi lavabi; ancora il 31 ott. 1396 il maestro venne pagato per le miniature di una Grammatica per il primogenito Giovanni Maria (ibid., p. 166 n. 158).

Il G. era impegnato anche nella preparazione di disegni per lavori di oreficeria, come attesta l'incarico del 4 giugno 1396 per un paliotto d'oro per l'altare maggiore del duomo, in cui incastonare gioielli donati dalla duchessa (Annali della Fabbrica…, I, pp. 163 s.): altre probabili opere di oreficeria derivate da suoi disegni sembrano essere l'ostensorio di Voghera, conservato ai Musei civici di Milano, e il calice di Gian Galeazzo del Tesoro del duomo di Monza.

Gli ambiti figurativi coinvolti dall'attività del G. presentano quindi un'ampiezza sempre maggiore, secondo le caratteristiche proprie dell'arte tardogotica internazionale, comprendendo pure le vetrate, com'è documentato tra il 1396 e il 1397 per i finestroni delle sacrestie del duomo (Rossi, 1995, pp. 164-167, nn. 151, 155, 167). Inoltre nell'agosto e nel settembre 1396 il maestro dipinse anche un Mappamondo nella sacrestia settentrionale (ibid., p. 164 n. 147; Annali della Fabbrica…, I, p. 168).

Un documento del 22 ott. 1396 attesta rapporti intercorsi tra il G., allora residente nella parrocchia di S. Giovanni sul Muro, e il convento di S. Eustorgio, che ha permesso a Gatti Perer (1988) di riferire al suo ambito un lacerto di affresco staccato con la Comunione mistica di s. Caterina.

Nel frattempo il G. compare tra gli architetti consultati per la costruzione della certosa di Pavia, insieme con Giacomo da Campione, Marco da Carona, Bernardo da Venezia e altri (R. Maiocchi, Codice diplomatico artistico di Pavia…, I, Pavia 1937, pp. 18 s.).

Tra il 1397 e il 1398 il G. lavorò con il figlio Salomone alla decorazione miniata della nuova copia del manoscritto del Beroldo (Milano, Biblioteca Trivulziana, cod. 2262), il manuale liturgico della Chiesa ambrosiana (Annali della Fabbrica…, I, pp. 187 s.; App., I, p. 243; Rossi, 1995, pp. 168 s., nn. 182, 194 s.).

L'aspetto più rilevante dell'impresa, affidata in massima parte a Salomone, probabilmente sulla base di disegni del padre, è dato dal rapporto delle miniature con molte soluzioni decorative ideate dal G. per il duomo, a partire dalla ricca guglia del frontespizio, nella quale è stato visto il riflesso dei progetti per la guglia Carelli e per il tiburio, alle iniziali con capitelli, ghimberghe, cartigli attorcigliati intorno a pinnacoli e fregi fitomorfi.

Al G. è stata pure attribuita la decorazione delle prime carte del Tacuinum sanitatis di Gian Galeazzo Visconti conservato nella Bibliothèque de l'Université di Liegi (Cogliati Arano, 1973), caratterizzata da morbidi disegni di figure inseriti in affascinanti contesti naturalistici, oltre ad altri codici, più facilmente assegnabili alla vasta bottega (Rossi, 1995, pp. 136-138), che ancora necessita di molte precisazioni filologiche. Emerge fra questi manoscritti il Codex Astensis o Cronaca Malabajla (Asti, Archivio storico del Comune), con gli statuti della città dopo l'atto di dedizione a Gian Galeazzo nel 1379, opera di un'interessante personalità di miniatore, recentemente indagata (Quazza - Castronovo; Avezza).

Gli ultimi documenti noti attestano una nuova presenza del G. a Pavia dall'11 al 13 marzo 1398 e sculture realizzate con Zambonino da Campione e Nicolino Bozardi: una Maddalena per Giovannolo da Trezzo e un Leone per porta Orientale.

Il 5 luglio 1398 il G. morì a Milano; e due giorni dopo la stessa Fabbrica del duomo pagò le esequie, a testimonianza della sua prestigiosa attività decennale (Annali della Fabbrica…, I, p. 187) e del prestigio assunto dal maestro, "legalis homo et amicus dicte fabrice" (Rossi, 1995, p. 169 n. 194). Inoltre questa richiese di terminare il suo modello in legno del duomo, purtroppo bruciato all'inizio del Cinquecento, "ut in exemplum remaneat semper", e di conservare i suoi disegni, poi andati dispersi, quali autorevoli e vincolanti punti di riferimenti per la costruzione della cattedrale (Annali della Fabbrica…, I, pp. 200, 202).

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