BALBI, Girolamo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 5 (1963)

BALBI, Girolamo

Gerhard Rill

Nato a Venezia nel dicembre di un anno imprecisato verso la metà del sec. XV, appartenne alla oscura famiglia Accellini (Azalini), ma si chiamò sempre Balbi (nome di una rispettabile famiglia veneziana). Di suoi stretti parenti si conoscono solo un fratello e una sorella. Studiò umanità a Roma con Pomponio Leto e Luca Ripa e probabilmente giurisprudenza a Padova, dalla quale città, stando a dichiarazioni di suoi avversari, dovette fuggire per motivi non precisati. Contro la volontà dei genitori, da Padova si recò, passando per Lione, a Parigi, dove giunse nel 1484 o al più tardi all'inizio del 1485. Quivi s'inserì in una cerchia di umanisti: Robert Gaguin, Angelo Cato, arcivescovo di Vienne, Guy de Rochefort e i fratelli Jean e Charles Fernand. Con quest'ultimo approntò una edizione delle tragedie di Seneca. Sebbene in questo periodo venisse acquistando una sempre maggiore considerazione, il B. entrò presto in lite con i suoi colleghi.

Nello stesso 1485 si creò un pericoloso avversario in Guglielmo Tardif, che godeva di buone relazioni con la famiglia reale francese, criticandone aspramente e pubblicamente, nel marzo, la grammatica. La facoltà degli artisti dell'università di Parigi lo invitò a documentare le sue affermazioni e alla fine gli si pronunciò contro (1486). Nella Pasqua del 1487 il B. dovette scusarsi, davanti a testimoni, col Tardif, e assicurargli che non lo avrebbe più molestato. A quanto sembra però il B. non mantenne la promessa, dato che nell'estate dello stesso anno Tardif si vide costretto a replicare a ulteriori diffamazioni con la sua prima Antibalbica: in questo scritto, di soli quattordici fogli, investì il B. con un fiume di invettive, lo accusò a sua volta di errori di grammatica e lo mise alla gogna per la oscenità dei suoi epigrammi. Dopo un intervento dell'arcivescovo di Vienne il B. fu costretto a ripetere ancora una volta la promessa fatta a Pasqua. A dispetto di questo nuovo giuramento il B. scrisse, già alla fine dello stesso anno, il suo Rhetor gloriosus, un dialogo composto su ispirazione del Miles gloriosus di Plauto, nel quale Tardif' pur non essendo attaccato direttamente, era messo in ridicolo, sebbene l'autore affermasse nella conclusione di non avere avuto alcuna intenzione di fargli torto. Alla fine del 1487 o all'inizio del 1488 Tardif replicò con una seconda Antibalbica, una rielaborazione ampliata del primo scritto che intendeva contrapporsi al Rhetor gloriosus, fiacca e senza spirito in confronto al dialogo del Balbi.

Quando nel 1488 giunsero a Parigi due umanisti italiani, Cornelio Vitelli di Cortona e Publio Fausto Andrelini di Forlì, scoppiarono subito nuove scandalose liti col Balbi. Il Vitelli, che il B. aveva tentato di attirare dalla sua parte, si trasferì perciò in Inghilterra, sebbene l'università di Parigi avesse permesso nel settembre del 1489 a tutti e tre gli Italiani di tenere lezioni di un'ora in arte humanitatis. Ma anche il B., che si era alienato le simpatie dei colleghi per la sua intrattabilità e la sua ambizione (leggeva anche extraordinarie diritto romano e astrologia), entrò in contatto in questo periodo con Giovanni e Michele Vitéz e altri umanisti ungheresi per favorire il proprio trasferimento alla corte ungherese; a tal fine servì anche un panegirico, composto allora (1489?), per Mattia Corvino, il De laudibus bellicis regis Pannoniae. Ma la morte del re ungherese, avvenuta il 6 apr. 1490, lasciò questo tentativo senza seguito.

Nel frattempo il B. si trovò coinvolto in una furiosa lite con l'Andrelini che aveva attaccato con accuse infamanti sul piano morale e religioso, dichiarandone oscene le elegie per Livia, già premiate. L'Andrelini si ritirò per un certo tempo a Tolosa e a Poitiers, e il B. fece diffondere in Italia la voce che il suo avversario era stato bandito per eresia. Dopo il ritorno dell'Andrelini la situazione però si capovolse, dato che il cancelliere Rochefort, Gaguin e la maggior parte dei professori e degli studenti, con eccezione di Charles Fernand, presero posizione contro il Balbi. Accusato di plagio e di gravi dissolutezze, ma soprattutto di eresia, il B. dovette lasciare precipitosamente Parigi.

L'Andrelini celebrò il proprio trionfo nello scritto De fuga Balbi, ma fu attaccato di nuovo da un anonimo discepolo dei B., a quanto pare J[acques] M[erlin], in una Invectiva in Faustum Balbi calumniatorem, e si vide costretto ad una seconda redazione del suo libello polemico (De fuga Balbi), apparsa dopo il 1496. Da Parigi il B. si recò per breve tempo in Inghilterra e sembra poco dopo essersi fermato in Germania. Probabilmente per tramite di Giovanni Vitéz, vescovo di Veszprém e amministratore del vescovato di Vienna, fu chiamato dall'imperatore Massimiliano I, per il quale aveva rielaborato il panegirico scritto per Mattia Corvino, all'università di Vienna, dove appare per la prima volta nel gennaio del 1493, come "bonarum artium atque utriusque iuris interpres fundatissimus". Prima di iniziare le lezioni, però, il B. si trattenne parecchi mesi, ospite del vescovo, in Veszprém e nella contea di Somogy. Soltanto il 22 giugno 1494 tenne la sua prima lezione dalla cattedra, appositamente istituita, di diritto romano, e poco dopo anche come primo lettore in arte humanitatis.

Nonostante la protezione di personaggi altolocati (in particolare dei consiglieri imperiali Johann Fuchsmag e Johann Krachenberger), per i quali compose poesie encomiastiche, e l'entusiasmo degli studenti, il B. anche a Vienna entrò presto in lite con i colleghi, che accusò, ancor prima dell'inizio delle lezioni, di ignoranza nel campo della giurisprudenza; già nel luglio del 1494 fu escluso, per il suo comportamento sconveniente verso il rettore, dalle sedute della facoltà degli artisti. La sua proposta di obbligare gli studenti a seguire le lezioni "artistiche" fu respinta, dopo lunga esitazione, dalla facoltà.

Nella primavera del 1496 il B., che aveva iniziato nell'agosto del 1494 le sue lezioni su Virgilio, pensò di rinunciare alla cattedra di umanità, poiché in questo periodo invitò, insieme al Krachenberger, l'umanista Konrad Celtes ad assumere la sua successione a Vienna. Quando nell'autunno del 1497 il Celtes giunse a Vienna fu accolto da parecchi poeti, fra i quali il B., con versi celebrativi di benvenuto: l'istituzione della "Sodalitas litteraria danubiana", attestata per la prima volta in questa occasione, risale probabilmente ad una iniziativa del Balbi.

Mentre concludeva le sue lezioni umanistiche nel 1497, dopo una breve assenza il B., dal 1498, fu riassunto dalla facoltà giuridica. Nel settembre risulta ancora giudice istruttore della facoltà di medicina. Subito dopo, al più tardi all'inizio del 1499, abbandonò Vienna, col proposito di recarsi in Italia, passando per l'Ungheria. Ma, sorpreso dai banditi nelle montagne di Vértes, fu derubato e ferito, cosicché dovette tornare a Vienna, dove per breve tempo fu precettore del figlio del cancelliere boemo Johann von Schellenberg. Da questo e da altri influenti umanisti (Johann Schlechta, Bohuslaus Lobkowitz - von Hassenstein, il preposito Augustin di Olmütz) fu infine invitato ad insegnare diritto romano e ars humanitatis nell'università di Praga.

Le lezioni praghesi del B. ebbero lo stesso successo di quelle viennesi; lo stipendio era sufficiente. Sebbene il B. colmasse di lodi i suoi protettori e gli "Stati" boemi, anche a Praga però fu presto avversato: già nel settembre del 1500 corse voce che egli appartenesse ad una setta di eretici, mentre gli fu rimproverato ancora una volta il suo comportamento dissoluto. Per questo il B. lasciò Praga, probabilmente nel 1501.

Per il decennio successivo mancano quasi del tutto notizie del Balbi. È certo soltanto che il B., che aveva abbracciato lo stato ecclesiastico, fece in questo torno di tempo carriera in Ungheria: nel 1510 risulta canonico, dalla fine del 1513 preposito di Waizen (Vác) e segretario reale, nel 1514 canonico di Erlau (Eger) e dall'inizio del 1515 preposito di Pressburg (Pozsony). Contemporaneamente acquistò grande influenza alla corte reale, come precettore del principe Ludovico (II, re dal 1516) e della principessa Anna e come favorito del potente cancelliere Georg Szakmáry. Sebbene il B. fosse accusato di non risiedere nella sua prepositura e di circondarsi di stranieri che non conoscevano bene la lingua del paese anziché di Ungheresi, il capitolo di Presburgo tuttavia profittò delle buone relazioni del B. con la corte nel corso delle sue controversie con i conti di S. Giorgio e Bösing (Szent György-Bazin), allorché lo stesso re intervenne a favore del preposito. Il B. fu adoperato allora soprattutto in missioni diplomatiche. Nel giugno del 1515 andò incontro all'imperatore fino a Rattenberg, per incarico dei re di Ungheria e di Polonia che attendevano Massimiliano a Presburgo.

Quando nell'anno successivo Ludovico II salì al trono, il B. cercò di ottenere con l'aiuto di lui e del Szakmáry la prepositura del duomo di Vienna (cui era collegata la dignità di cancelliere dell'università), ma senza successo. Nell'aprile del 1518 intervenne come rappresentante del "Palatino" ungherese al matrimonio di Sigismondo I di Polonia a Cracovia; in questa occasione sembra essere entrato in possesso della prepositura di Sztonicza. Nell'autunno tenne alla dieta di Augusta un grande discorso, nel quale sollecitò l'aiuto dell'imperatore contro i Turchi. Nel 1519 andò in Polonia, per procurare appoggi alla candidatura di Carlo (V) a re dei Romani. Dall'inizio del 1520 appare ripetutamente come plenipotenziario ungherese nelle trattative per il doppio matrimonio asburgico-jagellonico. Nell'ottobre dello stesso anno assistette all'incoronazione di Carlo in Aquisgrana, recandosi quindi a Innsbruck presso Ferdinando (I). Il 3 apr. 1521 tenne alla dieta di Worms un discorso, ammirato come un capolavoro di retorica, contro Lutero e i Turchi, e nell'autunno dello stesso anno lo troviamo ambasciatore ungherese in Inghilterra.

In questo periodo tuttavia il B., preoccupato del pericolo turco, aveva già deciso di abbandonare l'Ungheria. Appaltò così le entrate della prepositura di Presburgo ed entrò al servizio di Ferdinando, che gli concesse il vescovato di Gurk (fu consacrato nel 1523). Nell'estate del 1522 era assessore nella corte di giustizia di Wiener Neustadt che giudicava i ribelli austriaci contro Ferdinando. Nel febbraio del 1523 andò insieme con Pedro de Cordova a Roma come ambasciatore al papa Adriano VI (nelle lettere credenziali del 14 ott. 1522 il B. era indicato come consigliere imperiale e protonotario apostolico), davanti al quale tenne, il 9 febb. 1523, un clamoroso discorso in cui sollecitò il papa a prendere misure contro i Turchi. Se il B. dapprincipio lodò entusiasticamente il papa, subito dopo lo biasimò aspramente, per non aver mantenuto le sue promesse e non aver preso parte apertamente per Carlo V nel conflitto contro la Francia. Nell'ottobre del 1523 il B. ritornò in Ungheria, ma come ambasciatore austriaco.

L'8 marzo 1524 il B., che come diplomatico al servizio dell'Ungheria e poi dell'Austria aveva mantenuto rapporti con gli ambasciatori veneziani, fu nominato dal Consiglio dei Dieci conservatore dello Studio di Padova. All'inizio di settembre dello stesso anno si trattenne alcuni giorni a Venezia, come ambasciatore dell'arciduca Ferdinando, proseguendo per Roma, dove restò parecchi anni come prelato domestico alla corte di Clemente VII in una posizione di grande influenza.

Nel 1527-28 si adoperò per procurare a suo nipote, il veneziano Giovanni Barozzi, il vescovato di Belluno, ma proprio in questo periodo entrò in violento conflitto con la sua città natale per questioni patrimoniali, nel corso del quale si sentì minacciato addirittura di avvelenamento.

Nel frattempo il B., che come vescovo di Gurk aveva tentato inizialmente una riforma del clero (sinodo diocesano del 1524), resignò il vescovato, dove nel 1529 fu nominato un coadiutore.

In questo periodo il B. sfruttò il proprio ascendente presso il papa in favore degli Asburgo, collaborando strettamente con l'ambasciatore di Ferdinando I, Andrea de Burgo. Il 2 agosto 1529 tenne in Curia un'altra grande orazione sul pericolo turco e sulla necessità di una pace universale all'interno della cristianità. Nel febbraio del 1530, al seguito del papa, assistette all'incoronazione imperiale di Carlo V a Bologna. Nel giugno risulta presente per l'ultima volta a Innsbruck e nel luglio successivo fu a Roma, dove si adoperò invano per il ritorno degli Utraquisti di Boemia nella Chiesa cattolica. A partire da questo momento manca ogni notizia sicura sulla biografia del B. ed è ignota la data della sua morte.

Nella produzione letteraria del B. hanno rilevante importanza solo gli scritti della prima fase (fino al 1500 circa), cioè la sua opera lirica. Gli epigrammi furono stampati prima del 1500 in diverse edizioni, complessivamente sei volte, a Parigi, Lipsia e Vienna, e sembrano essere stati molto apprezzati. Un largo posto vi hanno le poesie di circostanza e le invettive; predomina però, per quantità e qualità, la poesia erotica, nella quale il B. mostra ricchezza di fantasia, padronanza della lingua e felicità di espressione. Le vicende personali sono riferite con sorprendente franchezza, la qual cosa lo fece qualche volta scivolare, nonostante la grazia dell'espressione, nel cinismo e nell'oscenità.

A dispetto dell'ammonimento di Erasmo da Rotterdam, che mise in guardia da una sopravvalutazione dell'arte del B., i suoi epigrammi e in particolare il suo Hodoeporicon (del 1500 circa) esercitarono grande influsso sulla poesia umanistica a nord delle Alpi.

A questo periodo risalgono i già menzionati scritti polemici, nei quali il B. superò ampiamente per talento i suoi avversari, e l'unica sua opera filologica, il Commentarius in somnium Scipionis.

A partire dal suo ingresso nelle corti e nel servizio diplomatico il B. si dedicò soprattutto all'elaborazione delle sue varie orazioni, la cui brillante retorica fece molta impressione anche presso ambienti politici ostili. Sullo stesso tono sono mantenuti i trattati composti per Clemente VII (De civili et bellica fortitudine, Turcarum origines, mores etc., De virtutibus).

Più noto fu il suo Liber de coronatione, composto in occasione dell'incoronazione imperiale del 1530, nel quale il B. dichiarò inutile l'incoronazione dell'imperatore per mano del papa e specialmente che essa si compisse a Roma. Con quest'opera sembra che il B. perdesse il favore del papa: è certo che il libro fu messo all'Indice.

Il Libellus de obitu Iulii P. M., uno scritto satirico molto diffuso su Giulio II in forma di dialogo, attribuito spesso al B., in base a una diceria ripresa da Erasmo, con tutta probabilità non gli appartiene.

Opere: le opere del B. furono raccolte e pubblicate nel sec. XVIII da J. de Retzer, Opera poetica, oratoria ac politico-moralia, Vindobonae 1791-92, 2 voll. Varie edizioni degli epigrammi sono indicate e descritte nel Gesamtkatalog der Wiegendrucke, III, Leipzig 1928, nn. 3175-3181.

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