CAMPAGNA, Girolamo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 17 (1974)

CAMPAGNA (Canpagna), Girolamo

Wladimir Timofiewitsch

Nacque a Verona nel 1549 (in una data collocabile tra l'11 gennaio e il 26 marzo) dal pellicciaio Mattia e da Maddalena. A Verona Mattia possedeva, in "contrà di Santo Marco", una bottega ereditata dal proprio padre Donato; poiché i suoi figli, il C. e Giuseppe, si dedicarono alla scultura, Mattia affittò, al più tardi nel 1584, la sua bottega ad un altro pellicciaio. La madre Maddalena, nel testamento datato 23 marzo 1579, dichiara di risiedere a Venezia (Arch. di Stato di Venezia, Notarile, G. B. Padavin, Testamenti, B 1224). In un documento dello stesso anno il C. è detto "abitante in Venezia nel confin di S. Vidal" e "padre di fameglia". Morta, nell'aprile del 1580, la prima moglie del C., Lucia, egli si risposò, non sappiamo quando, con Laura Buggieri. Documenti posteriori danno, a partire dal 1601, la residenza del C. ora "in contrà di s.to Aponal" ora "nella contrà di S. Silvestro", ma presumibilmente si tratta di due denominazioni diverse della stessa residenza. Non è noto se il C. avesse avuto altri figli oltre ad Angela, la sola che comunque gli sopravvisse e che nel 1627 sposò tale Anzolo Bertoleti.

In una scrittura del 17 dic. 1573 il C. si definisce allievo di Danese Cattaneo, e anche Cattaneo lo chiama suo allievo nel testamento stilato il 28 sett. 1572 (E. Rigoni, Testamenti di tre scultori..., in Arch.veneto, XXII [1938], pp. 11 s.); ma non sappiamo esattamente quando abbia avuto inizio questo apprendistato: documenti comprovano la presenza del C. nella bottega del Cattaneo a Venezia, con la qualifica di "garzone et lavorante", negli anni 1571-72. Il lunedì di Pentecoste del 1572 il C. si recò con il suo maestro a Padova per eseguirvi, su modello del Cattaneo, l'ultimo rilievo della serie dei miracoli di s. Antonio per la cappella dell'arca del Santo (Il santo richiama in vita un giovane). Il maestro, morto nell'autunno dello stesso anno, lasciò per testamento "tutti li miei giessi et dissegni" al C., il quale entrava così in possesso, all'inizio della sua carriera artistica, di una pregevole raccolta di modelli; è da tener presente inoltre che lo stesso Cattaneo aveva poco prima ereditato il materiale della bottega di Iacopo Sansovino. Ma soprattutto vediamo delinearsi, nel periodo di apprendistato del C., un ambiente culturale che non poteva non influenzare il suo ulteriore sviluppo: sono infatti ben note l'erudizione e le ambizioni poetiche del Cattaneo, come anche i suoi rapporti di amicizia con Pietro Aretino, Torquato Tasso, Iacopo Sansovino, Tiziano e Vasari. Il 17 dic. 1573 il C., in concorrenza con F. Segala e A. Gallini, avanzò per iscritto la sua candidatura a completare il rilievo abbozzato dal Cattaneo per il Santo. Nel maggio del 1574 il C. si recò, su invito di Hans Fugger, ad Augusta per restaurarvi i busti marmorei di imperatori romani che questi aveva acquistato a Venezia (v. le lettere del Fugger a David Ott pubblicate in succinto da G. Lill, H.Fugger und die Kunst, Leipzig 1909, pp. 149-153).

Nel luglio 1574 il C. ritornò a Padova, e nel corso dello stesso anno ottenne l'incarico di completare il rilievo del Santo. Collocato nella cappella dell'arca del Santo nel 1577, questo rilievo di grandi dimensioni è la sua prima opera firmata di cui si abbia conoscenza. Sempre nel 1577, il C. deve aver iniziato il rilievo raffigurante Cristo morto sostenuto da angeli per l'altare del Sacramento nella chiesa veneziana di S. Giuliano; per le nicchie laterali dello stesso altare Alessandro Vittoria eseguì le statue in terracotta patinata.

Se si considera quali furono gli esempi tenuti presenti dal C. per questo suo rilievo, e quanto egli si distanzia sia nel contenuto sia nella resa formale dalla routine della bottega dei Vittoria, apparirà chiaro che qui ci si trova di fronte a un rapporto di emulazione di cui egli era certamente consapevole. In questa sua prima opera autonoma si avverte l'eredità del Sansovino e del Cattaneo, ma anche l'influenza della pittura veneziana, e in primo luogo del Veronese. Nello stesso tempo il C. ricorre anche a modelli antichi, primo fra tutti il gruppo del Laocoonte, il cui influsso è percepibile non solo nell'anatomia e nell'atteggiamento del corpo di Cristo, ma anche nella struttura del rilievo. Un'altra componente è l'arte medievale veneziana, le cui tracce si avvertono in singoli motivi iconografici e nel carattere notevolmente ieratico del gruppo. Potremmo dire che questo rilievo presenta tutte le caratteristiche di un'opera giovanile: l'artista vi ha inserito e messo in mostra tutto il suo bagaglio di conoscenze e capacità. Ma le contraddizioni insite in questa sua prima opera autonoma svaniscono di fronte alla preponderanza dell'eredità veneziana.

Le suaccennate componenti culturali sono ancora determinanti nella concezione della successiva opera del C., la colossale statua di S. Giustina, collocata nel 1578 sul fastigio del portale dell'Arsenale in memoria della battaglia di Lepanto.

Da un confronto con tutte le statue similari, come per esempio quelle quasi coeve del Vittoria per il coronamento del palazzo ducale, risulta evidente in qual misura la statua del C. sia concepita in funzione di punti di vista decorativi calcolati prospetticamente e quanto essa sia strettamente legata alla pittura veneziana nel trattamento del panneggio, dei fuggevoli riflessi di luce e dei vari gradi di profondità delle ombre.

Nel 1579 il C. partecipò, con A. Vittoria, F. Segala e F. Franco, al concorso per la costruzione del nuovo altare maggiore del Santo a Padova. Venne prescelto fra tutti il suo progetto benché il suo preventivo di spese fosse il più elevato. Per realizzarlo, il C. dovette ricorrere all'aiuto di un architetto, Cesare Franco. L'altare, eretto negli anni 1580-84, fu rimosso nel Seicento e scomposto nel 1895 (se ne conservano due rilievi con Angeli e due statue semisdraiate di Profeti nel chiostro del generale, e il fastoso tabernacolo nella parrocchiale di Ponte San Nicolò presso Padova). Nel periodo in cui a Padova veniva posto in opera l'altare del Santo, il C. era attivo anche a Venezia. Nel maggio del 1582 eseguì per la chiesa veneziana di S. Sebastiano le statue in stucco, più grandi del naturale, di una Annunciazione e di due Sibille, collocate sui parapetti del coro pensile. Anche in queste opere, presumibilmente create per una determinata festività, sono manifeste le tracce dei maestri del C., ma oltre a ciò è possibile riconoscere in esse la disponibilità dell'artista a trarre suggerimenti formali dal Veronese che aveva decorato tutta la chiesa con le sue pitture. Nella raffigurazione dell'Annunciata si avverte inoltre per la prima volta l'influenza di un altro grande pittore veneziano, Iacopo Tintoretto.

Probabilmente ancora nel corso dello stesso anno il C. partecipò, con due piccole statue di marmo rappresentanti Ercole e Mercurio sul camino della sala del Collegio, alla grande impresa collettiva dell'arredo del palazzo ducale. Non più tardi del 1583 il C. ricevette l'incarico di eseguire sei statue allegoriche per il monumento funebre del doge Nicolò da Ponte, nella chiesa di S. Maria della Carità, mentre il Vittoria scolpì il busto del doge. Dato che a quell'epoca il C. non si era ancora impegnato nella ritrattistica, l'assegnazione dell'incarico per il busto al Vittoria appare ovvia; al contrario appare sorprendente, per l'esecuzione delle Allegorie, il ricorso al C. e non alla bottega del Vittoria che a quell'epoca disponeva di tutto un gruppo di ottimi giovani scultori. Ciò comprova che a Venezia, all'inizio del nono decennio del secolo, il C. era già riconosciuto maestro nel campo della grande statuaria, e in grado di affermarsi con successo accanto al Vittoria. Il monumento funebre venne scomposto in seguito alla secolarizzazione della chiesa nel primo Ottocento e le statue del C. sono andate perdute: ne fornisce una vaga idea un'incisione di D. Valesi. Il 20 dic. 1584 il C. accettò l'incarico per tre statue marmoree (Pallade e le allegorie della Pace e della Guerra)per il coronamento della porta al Senato nella sala delle Quattro Porte nel palazzo ducale. Sono all'incirca contemporanei o immediatamente successivi due Telamoni del camino nella sala dell'Anticollegio: benché la lettera del 19 giugno 1604 al duca di Urbino, in cui il C. esplicitamente indica come sue queste statue, sia stata pubblicata da G. Gronau sin dal 1932 (vedi anche 1936, pp. 244 s.), la maggior parte degli studiosi mantiene ancora l'antica attribuzione, priva di fondamento e scarsamente convincente, a Tiziano Aspetti (vedi fra l'altro la voce Aspetti, Tiziano in questo Diz. Biogr. degli Italiani, IV, p. 419).

Negli anni 1585-90 c. il C. eseguì la statua di Cristo risorto per l'altare del Sacramento in S. Moisè e la Madonna dell'altare Dolfin nella chiesa di S. Salvatore; questa ultima introduce alla fase decisiva della sua carriera artistica, in cui il C. tende chiaramente a sottrarsi all'influenza del Sansovino e del Cattaneo. Più che ai modelli dell'antichità, egli rivolge la sua attenzione ai suggerimenti dell'arte medievale veneziana; ma soprattutto appaiono evidenti i rapporti del C. con la cerchia del Tintoretto, e nella complessa struttura dell'immagine è percepibile anche l'influenza di Michelangelo mediata sempre dal Tintoretto. Tra l'autunno 1588 e l'inizio del 1591 il C. fornì sette statue marmoree rappresentanti divinità per la balaustrata del tetto della Libreria Sansoviniana (in connessione con queste appare per la prima volta documentata la collaborazione del fratello del C., Giuseppe). Del 3 nov. 1590 è l'incarico per una statua colossale di Davide per l'atrio della Zecca; lo stesso giorno Tiziano Aspetti ebbe l'incarico per l'altra statua destinata al medesimo ambiente. I due si erano già incontrati poco prima quando lavoravano per il camino nella sala dell'Anticollegio, e palesemente, come si deduce da certe espressioni del C. in alcune sue lettere, i loro rapporti non erano molto cordiali. È probabile che il C., che ormai non ravvisava più nell'anziano Vittoria una seria minaccia, vedesse nel giovane scultore padovano, protetto dal patriarca di Aquileia Giovanni Grimani, un nuovo temibile concorrente. Ma a quest'epoca diffidenze e gelosie erano fuori luogo, poiché a Venezia, alla fine del Cinquecento, le commissioni veramente importanti nel campo della plastica monumentale andavano tutte al Campagna. Nel 1589-90 eseguì statue di bronzo più grandi del naturale per l'altar maggiore della chiesa del Redentore, il tempio votivo della Serenissima: il Crocefisso, S. Marco e S. Francesco.

È presumibile che il Crocefisso dell'altar maggiore del Redentore abbia destato grande ammirazione tra i contemporanei se lo stesso C. nella lettera citata del 19 giugno 1604 al duca d'Urbino (Gronau, 1936, p. 244) lo definisce "quel famosissimo Crocifisso di Bronzo". La composizione di questa figura, come già il Cristo del rilievo della Pietà di S. Giuliano, segue in parte il modello del Laocoonte, "exemplum doloris" della teoria artistica postridentina; anche nel modo di concepire la struttura corporea è percepibile l'influsso del gruppo antico in questione.

D'altronde le variazioni apportate al modello non lasciano dubbi circa gli influssi del tipo iconografico medievale del "Christus patiens"; mentre il trattamento "pittorico" delle superfici, la tendenza, cioè, a esporle alla luce mediante un multiforme modellato, deriva dalla tradizione artistica veneziana. Nelle figure degli assistenti il C. ottiene con la contrazione e la dilatazione dello schema compositivo una intensificazione dell'espressività che contribuisce a rendere più eroicamente drammatica l'immagine del santo.

Accanto ai modelli del Sansovino e agli stimoli provenienti dalla cerchia del Tintoretto, acquistano ora rilievo gli influssi di opere michelangiolesche, avvertibili soprattutto nella concezione della statua di S. Marco, evidentemente influenzata, per quanto riguarda la struttura, dal S. Matteo di Michelangelo all'Accademia di Firenze.Il 20 genn. 1592 il C. firmava insieme con il fratello Giuseppe, presente l'amico pittore Antonio Aliense, il contratto relativo al gruppo bronzeo per l'altar maggiore della chiesa veneziana dei benedettini, S. Giorgio Maggiore. Anche il monumento sepolcrale del Doge Pasquale Cicogna, morto nel 1595 (ora nella chiesa dei gesuiti, S. Maria Assunta), è opera della bottega del Campagna.

Secondo C. Ridolfi (Le meraviglie dell'arte, a cura di D. von Hadeln, Roma 1965, II, p. 213), il gruppo di statue destinato all'altar maggiore di S. Giorgio Maggiore, I quattro evangelisti inginocchiati che sorreggono il mondo su cui sta il Padre Eterno, risale ad un "disegno" dell'Aliense. Il soggetto che vi è rappresentato - la Maiestas Domini, come figurazione abbreviata del giudizio finale - e la composizione del gruppo fanno intendere che il termine "tabernaculo" usato nel contratto (E. A. Cicogna, Delle Inserizioni venez., Venezia 1834, IV, p. 342) va preso alla lettera: le figure, cioè, formano un ciborio al di sopra della "custodia dell'eucarestia". Il disegno dell'Aliense suggerì probabilmente al C. l'idea di unire in un unico gruppo figure inginocchiate, ovvero sospese e contemporaneamente portanti, il globo e l'immagine del Padre Eterno, e di attingere, nell'espressione, i termini di una visione dell'Apocalisse. Ma la realizzazione del gruppo di statue in bronzo si deve tutta al C. e alla sua bottega, ed è opera degna di nota e di ammirazione. Il momento più interessante nel processo creativo di questo gruppo, processo caratterizzato in primo luogo dagli influssi del Tintoretto e della pittura ovvero dei mosaici veneziani del Medioevo, è senza dubbio la rielaborazione del tipo degli Schiavi michelangioleschi dell'Accademia di Firenze nelle figure dei Quattro evangelisti che sorreggono il globo.

I due Angeli reggicandelabro in bronzo della chiesa di S. Maria del Carmelo vanno certamente interpretati in relazione a ben precisi problemi di costruzione dell'immagine che il C. dovette affrontare in relazione alle statue di assistenti nel gruppo per il Redentore. La loro esecuzione è databile tra l'altare del Redentore e quello di S. Giorgio Maggiore. Nel 1595 fu commissionata al C. una Madonna in marmo (più grande del naturale) per uno degli altari laterali di S. Giorgio Maggiore. Questa statua, che nel portamento e nella concezione risale al tipo della Venere Medici, rivela forti influssi del Tintoretto e della sua fantasia visionaria.

Nel campo della ritrattistica la prima opera nota del C. è un busto (Bassano, Museo civico) eseguito nel 1595 circa per la tomba dell'amico Francesco Bassano morto tragicamente nel 1592: è un ritratto idealizzante dall'espressione sorprendentemente vivace e criticamente, vigile. Nel 1593 s'impegnò a eseguire delle statue per l'altare della cappella del Rosario nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo. Qui incontrò di nuovo il Vittoria, la cui bottega era impegnata nella decorazione della cappella. Le due statue marmoree di S. Rosa e S.Tommaso d'Aquino - che peraltro il C. consegnò soltanto agli inizi del Seicento - subirono, nell'incendio della cappella nel 1867, tali mutilazioni da diventare irriconoscibili. Anche le coppie di putti intorno al trono della Madonna sono opera della bottega del Campagna. Nell'ultimo quinquennio del sec. XVI il C. scolpì il grande gruppo marmoreo con Ercole e Anteo per il giardino della villa "Il Boschetto" già di proprietà del conte Girolamo Verità, a San Pietro di Lavagno presso Verona. È riconoscibile, in questo gruppo come anche in altri di tema affine, il disinteresse del C. per il mondo mitologico e la tematica allegorica, incapaci di ispirargli opere eccezionali. In quel medesimo torno di tempo eseguì coppie di statue semigiacenti per i frontoni di due finestre al piano superiore delle Procuratie Nuove, ed eseguì una gigantesca statua di Nettuno - certamente in legno o gesso - (tramandataci da un'incisione di G. Franco) per la nave di parata "Odeo" in occasione delle feste per l'incoronazione della dogaressa Morosina Grimani (4 maggio 1597: vedi L. Padoan-Urban, Teatri e "teatri del Mondo" nella Venezia del Cinquecento, in Arte veneta, XX [1966], p. 141).

Agli inizi del Seicento la bottega del C. era impegnata nella esecuzione delle sculture per il monumento funebre del Doge Marino Grimani nella chiesa di S. Giuseppe di Castello: dalla documentazione integralmente conservata si desume che in sostanza egli cedette al fratello Giuseppe l'esecuzione (tra il 1601 e il 1604) del complesso scultoreo. Nel 1603 il C. eseguì per l'altare della Scuola degli orefici nella chiesa di S. Giacometto di Rialto due Angeli a rilievo in marmo. Nel 1603-04 scolpì i busti marmorei di Andrea Dolfin e della moglie Benedetta Pisani per il monumento funebre nella chiesa di S. Salvatore, nei quali rivela buone capacità di osservazione, anche se, soprattutto nel ritratto femminile, vi è qualche richiamo a teste romane. Contemporaneamente il C. dovette ancora una volta lavorare a un'opera ideata dal suo maestro Cattaneo, la statua seduta del Doge Leonardo Loredan (per il relativo monumento sepolcrale nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo), per la quale infatti esisteva sicuramente un modello, se non addirittura un abbozzo in marmo. Nella succitata lettera del 19 giugno 1604 il C. menziona questa statua come non ancora compiuta.

Nel 1604 il C. si trovò di fronte a un'impresa per la quale non esistevano esempi nella sua cerchia più immediata: il duca d'Urbino Francesco Maria II gli commissionò una statua di Federico da Montefeltro per il palazzo ducale di Urbino. Questo incarico diede luogo a una prolungata corrispondenza (Gronau, 1936), di cui fa parte anche la già citata lettera del C. del 19 giugno 1604 definita una breve autobiografia dell'artista. Le lettere dell'agente del duca a Venezia contengono osservazioni estremamente interessanti sull'artista. Vi si riferisce più volte che il C. è il migliore scultore attivo a Venezia, secondo l'opinione espressa da varie persone, tra cui i pittori Palma il Giovane e Federico Zuccari, e confermata persino dal vecchio Vittoria ("il quale per vecchiezza et indispositione non lavora più"). Si avverte inoltre che occorre molta pazienza con il C., poiché, non avendo concorrenti a Venezia, può permettersi di dilazionare le consegne oltre i termini convenuti. Degna di nota è la caratterizzazione che del C. viene data in un'altra lettera, in cui si informa che con lui si può trattare soltanto "con maniera dolce, sapendo che gli scultori corrono anco loro il medemo humore peccante de' poeti et pittori, et il Campagna in questo non inferiore ad alcun'altro". Ne viene fuori il ritratto di uno scultore affermato, che ha assunto certi atteggiamenti propri di artisti famosi. È probabile che nella concezione della statua urbinate lo scultore si sia ispirato ad opere dell'arte fiorentina tematicamente simili. Ma il suo bozzetto gli procurò l'unica aspra critica tramandataci dalle fonti; sicché egli fu costretto ad operare in base al disegno di un pittore, Federico Barocci, estraneo alla cerchia artistica veneziana e la scultura, portata a termine nel 1606, non può certo definirsi un capolavoro.

Il C. si mostra invece all'apice della sua capacità creativa nella statua di bronzo di S. Antonio abate, consegnata nel 1605 per l'altare della Scuola degli orefici in S. Giacometto di Rialto. Nella concezione di questa statua e dei bronzi eseguiti dal C. nel 1606-07 per la cimasa dello stesso altare, si avvertono rapporti con opere del Giambologna. Influssi del Giambologna sono percepibili anche nella concezione delle figure di una Annunciazione in bronzo del 1609-10 per la facciata della loggia del Consiglio a Verona (ora nel Museo di Castelvecchio), dove la composizione del gruppo risale visibilmente a modelli del Tintoretto. Poco prima era stata commissionata, al C. una statua marmorea della Madonna, che venne collocata nell'agosto del 1607 in una nicchia della facciata della Casa dei mercanti a Verona. Le statuette in bronzo raffiguranti S.Agnese e S.Antonio da Padova, eseguite alla fine del primo decennio del sec. XVII per le pile dell'acqua santa della chiesa dei Frari, si collocano su una linea evolutiva che va dal S.Antonio abate alle opere tarde del C. in S. Petronio a Bologna. Risalgono probabilmente a questi anni il busto di Vincenzo Cappello per la facciata del transetto di S. Maria Formosa (sul campo omonimo), e le statue marmoree di S. Francesco e di S.Chiara nella chiesa di S. Maria dei Miracoli. Le sculture conservateci degli ultimi anni del C. rivelano quale fosse la sfera di competenza che egli considerava più propriamente sua. Ormai egli non lavorava che in marmo, ed eseguiva quasi unicamente statue più grandi del naturale, e quasi esclusivamente coppie di statue che in un modo o nell'altro risultavano legate all'architettura di altari. Di scarso rilievo i pochi busti eseguiti in questo periodo (come per esempio quello, posteriore al 1615, di Lorenzo Bragadin, nel seminario patriarcale di Venezia). Il 12 febbr. 1607 il C. si impegnò ad eseguire tutta la decorazione scultorea per il nuovo altare nella sala superiore della Scuola grande di S. Rocco. la statua di S.Sebastiano fu compiuta prima del 3 apr. 1613; seguirono poi, fino al 18 ag. 1614, il S. Rocco (ora sull'altare a pianterreno) e il S.Giovanni Battista. Il C. dovette poi sospendere o rinviare i lavori per la Scuola, poiché nel 1615 assunse l'incarico di costruire l'altar maggiore nella chiesa di S. Lorenzo, che doveva essere nelle parti essenziali compiuto nel 1617. Sono sicuramente opere autografe del C. le statue marmoree - più grandi del naturale - di S. Lorenzo e S. Sebastiano, nelle nicchie laterali dell'altare, mentre le quattro statue di Santi nell'attico sono opere della sua bottega. Lo stato attuale delle ricerche non permette di stabilire se i piccoli bronzi del tabernacolo (conservati ora nel Museo Correr: vedi Mariacher) siano di mano del C. o eseguiti su suoi modelli. Probabilmente si deve in sostanza alla sua bottega anche l'esecuzione delle statue, datate 1616, degli apostoli Pietro e Paolo per l'altar maggiore di S. Tomà. Sono invece opere tarde, ma sicuramente autografe, le statue marmoree di S. Francesco e di S. Antonio da Padova, originariamente destinate alla chiesa dei francescani a Bologna, e oggi collocate all'ingresso del coro di S. Petronio.

Per queste mancano del tutto fonti coeve: la datazione agli ultimi anni di vita del C., circa 1620, si fonda sulla considerazione che esse sarebbero inspiegabili, senza il precedente delle due statue d'altare nella sala superiore della Scuola di S. Rocco dal punto di vista stilistico, e quello delle statue di S. Lorenzo per la concezione della figura del santo. Soltanto dopo la morte del C., e dopo un lungo processo contro i suoi eredi, furono requisite nel 1644 due statue marmoree di Profeti, seduti, che, secondo una dichiarazione del "guardiano" della Scuola di S. Rocco, appartenevano al gruppo di statue commissionate al Campagna. La loro odierna collocazione, su alti piedistalli dinanzi all'altare della Scuola di S. Rocco, risale all'anno 1741. Nelle statue dell'altare della Scuola di S. Rocco il C. rivela una tendenza ad accostarsi allo spirito di Michelangelo, a conferire cioè ai suoi santi espressioni di energia, dignità e trascendenza, pur continuando a servirsi del vocabolario formale dell'arte medievale. L'adattamento di modelli michelangioleschi è ancora più evidente nelle statue di S. Lorenzo e S. Sebastiano della chiesa di S. Lorenzo, benché in esse si avverta un nuovo sentimento religioso, l'espressione di una dedizione, dolorosa ma passiva, impersonale. In quelle che evidentemente sono le sue ultime opere, le statue in S. Petronio, a un'osservazione realistica e un po' esteriore si accompagna un accento sentimentale o addirittura un'ombra di fanatismo religioso; con queste statue, le cui forme corporee vengono assorbite e trasferite in un altro contesto, sì da muoversi libere nello spazio, il C. ha trovato il punto di contatto con il barocco.

Nel 1623 il C. deve aver avuto dal Senato l'incarico di eseguire un busto per il monumento funebre di fra' Paolo Sarpi. Non si sa se questo busto fu poi compiuto; certo è che un monumento al Sarpi non fu mai eretto.

Non si conosce la data esatta della morte del C., da collocarsi sicuramente prima del 18 giugno 1625, quando in uno scritto del capomastro Tommaso Contin, indirizzato alla Scuola di S. Rocco, si parla già del "quondam Domino Geronimo Campagna". Non è noto il luogo di sepoltura.

Fonti e Bibl.: Sono relativamente numerose le fonti intorno alla vita e alle opere del Campagna. Documenti come commissioni, conti, atti giudiziari, ecc. sono conservati nell'Arch. di Stato di Venezia sotto le seguenti collocazioni: Procuratia di Supra, Chiesa, R. 135; S. Giorgio Maggiore, B. 21; Scuola di S. Rocco, N. 414 (sec. consegna); Arte degli orefici e gioiell., F. 420; Archivio Grimani, B. 25. In particolare, i documenti riguardanti l'attività del C. a Padova sono pubblicati da B. Gonzati, La basilica di S. Antonio di Padova, Padova 1852, ad Indicem. Il testamento del fratello del C., Giuseppe, è pubblicato da W. Bode-G. Gronau-F. von Hadeln, in Archivalische Beiträge zur Geschichte der venezianischen Kunst. Aus dem Nachlass Gustav Ludwigs, Berlin 1911, pp. 30-32. Fonte tra le più importanti per l'opera del C. è F. Sansovino, Venezia città nobilissima et singolare, Venetia 1581 (in particolare nelle edizioni di G. Stringa, Venezia 1604, e di Giustiniano Martinioni, ibid. 1664), mentre la vita di T. Temanza (Vite dei più celebri architetti e scultori veneziani..., Venezia 1778, pp. 519-528) non costituisce una fonte sicura.

Ricca bibl. in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, pp. 445-448, e in A. Venturi, Storia dell'arte italiana, X, 3, Milano 1937, pp. 207-264; ma si veda anche: L. Planiscig, Venezianische Bildhauer der Renaissance, Wien 1921, pp. 527-549; M. Benacchio, Vita e opere di T. Aspetti, in Bollettino del Museo civico di Padova, VI (1930), pp. 196 ss.; VII (1931), p. 144; G. Gronau, Die Statue des Federigo di Montefeltro im herzoglichen Palast von Urbino, in Mitteil. des kunsthistor. Inst. in Florenz, III (1919-1932), pp. 254-267; L. Guidaldi, Ric. sull'altare di Donatello, in Il Santo, IV (1931-1932), pp. 285 s.; O. Ronchi, Una scultura perduta di G. C., in Rivista d'arte, XV (1933), pp. 487-492; R. Cessi, L'altare degli Orefici in S. Giacomo di Rialto, in Rivista della città di Venezia, XIII (1934), pp. 251-254; G. Gronau, Docc. artistici urbinati, Firenze 1936, pp. 241-249; I. B. Supino, L'arte nelle chiese di Bologna, II, Bologna 1938, p. 276; A. Da Mosto, I dogi di Venezia con particolare riguardo alle loro tombe, Venezia 1939, pp. 203 s.; G. Liberali, Originali ined. di Paolo Veronese..., G. C., A. Zucchi e altri minori nella chiesa di S. Teonisto a Treviso, in Rivista d'arte, XXII (1940), pp. 261, 269; A. Sartori, Guida storico-artistica della basilica di S. Maria Gloriosa dei Frari in Venezia, Padova 1941, pp. 42, 194; H. Decker, Venedig, Wien 1952, p. 58; T. Lenotti, Piazza delle Erbe, Verona 1954, p. 53; F. Cessi, A. Vittoria architetto e stuccatore, I, Trento 1961, pp. 46, 61, 64; Id., A. Vittoria..., II, ibid. 1962, pp. 14-15; H. Hüttinger, Die Bilderzyklen Tintorettos in der Scuola di S. Rocco zu Venedig, Zürich 1962, p. 36; N. Ivanoff, Ilcoronamento statuario della Marciana, in Ateneo veneto, n.s., II (1964), pp. 1-12; W. Timofiewitsch, Ein Beitrag zur Baugeschichte der "Procuratie Nuove", in Arte veneta, XVIII (1964), pp. 149 s.; Id., Quellen und Forschungen zum Prunkgrab des Dogen Marino Grimani in S. Giuseppe di Castello zu Venedig, in Mitteil. des kunsthistor. Institutes in Florenz, XI (1963-1965), pp. 33-54; Id., Der Altar der "Scuola degli Orefici" in S. Giacometto di Rialto in Venedig, ibid., pp. 287-291; E. Hubala, in Reclams Kunstführer. Oberitalien Ost, Stuttgart 1965, pp. 848, 932; A. Niero, La chiesa dei Carmini, Venezia 1965, pp. 39 s.; F. Zava Boccazzi, La basilica dei SS. Giovanni e Paolo in Venezia, Venezia 1965, pp. 263-265, 280; W. Wolters, Der Programmentwurf zur Dekoration des Dogenpalastes nach dem Brand vom 20.Dezember 1577, in Mitteil. des kunsthistor. Istitutes in Florenz, XII (1965-1966), pp. 273, 315 s.; D. L. Gardani, La chiesa di S. Giacomo di Rialto..., Venezia 1966, pp. 33 s.; F. Cessi, Su di un bronzetto cinquecentesco del Museo Civico di Padova e le sue derivazioni da G. C., in Padova e la sua provincia, XII (1966), 6, pp. 10-12; J. Pope-Hennessy, La scultura ital. Il Cinquecento..., Milano 1966, ad Indicem;G.Mariacher, Bronzetti del Rinascimento al Museo Correr, in Boll. dei Musei civ. veneziani, XI (1966), 1, pp. 12, 25, 26 s.; P. Rossi, Vicende biografiche di G. C., in Vita veronese, XIX (1966), pp. 90-99; C. Semenzato, La scultura veneta del Seicento e del Settecento, Venezia 1966, pp. 16 s.; V. Meneghin, Iconografia del b. Bernardino Tomitano da Feltre, Venezia 1967, p. 49; H. R. Weihrauch, Europäische Bronzestatuetten 15.-18. Jahrhundert, Braunschweig 1967, pp. 70, 150, 154, 156-158, 165, 480, 484, 504, 510; G. Zorzi, Le chiese e i ponti di Andrea Palladio, Vicenza 1967, pp. 51, 73 s.; P. Rossi, G. C., Verona 1968 (rec. di J. Schulz, in The Art Bulletin, LIII [1971], pp. 250-253); W. Timofiewitsch, Ein Entwurf für den Altar der Scuola di S. Rocco in Venedig, in Festschrift Ulrich Middeldorf, Berlin 1968, pp. 343, 345, 348 s.; C. M. Mancini, Due bronzetti del C. al Museo Correr, in Boll. dei Musei civ. venez., XIII (1968), 3, pp. 23-30; J. Pope-Hennessy, Italian High Renaissance and Baroque Sculpture, London-New York 1970, ad Indicem;W. Timofiewitsch, G. C. Studien zur venezianischen Plastik um das Jahr 1600, München 1972.

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