GIROLAMO di Benvenuto di Giovanni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 56 (2001)

GIROLAMO di Benvenuto di Giovanni

Maria Giovanna Sarti

Nacque a Siena, da Benvenuto di Giovanni e da Iacopa di Tommaso da Cetona, prima del 23 sett. 1470, data del suo atto di battesimo (Schmidt, p. 220).

Il padre era titolare di una delle botteghe di pittura più importanti a Siena, all'interno della quale si perpetuavano i fortunati moduli della tradizione locale di primo Quattrocento, fondata principalmente sull'arte di Lorenzo di Pietro (il Vecchietta) e di Giovanni di Paolo. Una bottega che, soprattutto a seguito del trasferimento di Francesco di Giorgio a Urbino (prima del maggio 1477), si trovò a svolgere un ruolo primario, condiviso soltanto con quella di Matteo di Giovanni.

G. si formò dunque nell'impresa paterna, nell'arco di un periodo nel quale molte realtà a Siena subirono una decisa trasformazione.

Nel 1487 Pandolfo Petrucci, il Magnifico, assumeva il potere, comportando il decadimento del ruolo privilegiato di patrocinio delle opere svolto dalle istituzioni pubbliche e il conseguente ricambio della committenza, che si fece essenzialmente privata, o legata a realtà di contado. Inoltre, la presenza in città di artisti provenienti da altre regioni italiane, costrinse i maestri locali a dialogare con le diverse esperienze introdotte ex novo nel panorama artistico senese. Dovettero confrontarsi con le novità derivate dalla presenza di Luca Signorelli, impegnato a Siena ai lavori della cappella Bichi in S. Agostino, terminati nel 1494; o dalla frequentazione di alcuni cantieri senesi dell'urbinate Gerolamo Genga. Ma sarebbero stati i primi anni del nuovo secolo a porre le premesse di un vero rinnovamento della pittura locale. Se Signorelli continuava a lavorare in città, ma soprattutto a Monteoliveto, tra il 1502 e il 1503 si affacciava sulla scena senese il Pinturicchio (Bernardino di Betto), chiamato a lavorare alla decorazione della libreria Piccolomini nel duomo di Siena. Nello stesso momento faceva la sua comparsa nel Senese anche il Sodoma (Giovanni Antonio Bazzi); e i Chigi stipulavano un contratto con il Perugino (Pietro Vannucci) per la Crocifissione, posta sul loro altare in S. Agostino nel 1506.

Tra tradizione e novità, tra moduli e schemi derivati dai cartoni del padre ed elaborazione delle esperienze portate a Siena dai pittori forestieri, in particolare dagli umbri, G. formò il proprio linguaggio, crescendo e lavorando all'interno della bottega paterna, almeno fin dall'inizio dell'ultimo decennio del secolo.

Il 30 ag. 1491 Benvenuto di Giovanni affermava nella dichiarazione di accertamento della Lira di avere "solo da un anno" presso di sé "poco d'aiuto" (Borghesi - Banchi, p. 350): si è potuto dunque lecitamente supporre che a partire dal 1490 G. avesse cominciato a lavorare accanto al padre.

Punti fermi per ricostruire questi anni iniziali dell'attività di G. non ce ne sono. Bisognerà attendere il 1508 per avere la prima tavola firmata e datata dall'artista. Per il periodo precedente a quest'opera, a parte alcuni lavori documentati tra il 1499 e il 1500 per le compagnie di S. Girolamo (Milanesi, p. 80) e di S. Caterina della notte (Gallavotti Cavallero), che avevano sede sotto le volte dello spedale della Scala, entro i termini di quel rapporto continuato di committenza con le confraternite senesi nel quale è stata posta l'esecuzione dei tre pannelli (forse una spalliera), conservati a Francoforte (Städelsches Kunstinstitut) e rappresentanti la Salita al Calvario, la Crocifissione, il Compianto di Cristo (Schmidt, p. 220), si sono potute solo avanzare alcune ipotesi. La critica si è a lungo interrogata sui dipinti che negli anni Novanta uscirono dalla bottega di Benvenuto, poiché la presenza al suo interno di G., il quale ancora nel 1501 risultava avere un ruolo subalterno (Bandera, 1999, p. 208 n. 127), dovette avere un peso sul prodotto finito. Si è giunti così a riconoscere la mano di G. non solo in opere considerate di collaborazione (dall'Assunzione della Vergine con i ss. Tommaso, Sebastiano e Agata, realizzata a fresco nell'oratorio dei Ss. Fabiano e Sebastiano ad Asciano, a quella, ancora ad affresco, nell'oratorio della Madonna delle Nevi a Torrita), ma anche in dipinti firmati da Benvenuto (quali l'Ascensione del 1491 conservata nella Pinacoteca nazionale di Siena, la Madonna e i ss. Giovanni Evangelista e Andrea del 1497 nella chiesa delle Ss. Flora e Lucilla a Torrita, l'Assunzione della Vergine del 1498 già al Metropolitan Museum di New York e ora in collezione privata). D'altro canto, si è tentato di ricostruire un catalogo di dipinti autografi, riferibili a questi primi anni dell'attività di G., che si trovò a utilizzare, anche con minime, ma significative varianti, alcuni fortunati schemi della bottega.

È il caso delle tavole con l'Adorazione del Bambino - di Montalcino (Museo civico e diocesano d'arte sacra), databile fra gli ultimi anni del Quattrocento e i primi del secolo successivo, proveniente dalla locale chiesa di S. Francesco; di Tulsa, Oklahoma (Philbrook Art Center), appartenuta alla collezione Kress; della Pinacoteca nazionale e della collezione Chigi-Saracini di Siena (Angelini, 1986); di Digione (Musée Magnin) - nelle quali al di là del gruppo centrale in primo piano si estende un paesaggio che, in forme più o meno elaborate, si ispira liberamente a modelli umbri e finanche fiamminghi, patrimonio quest'ultimo già riconosciuto come proprio della cultura artistica della bottega e in particolare di Benvenuto (Bologna, 1954). Queste sono le componenti proprie anche delle diverse pale con l'Assunzione della Vergine prodotte dalla bottega, delle quali viene anzitutto ricondotta alla paternità di G. l'Assunzione della Vergine con i ss. Francesco e Antonio da Padova (Montalcino, Museo civico e diocesano), proveniente dalla chiesa della Natività di Maria all'Osservanza presso Montalcino, ma non datata 1498, come si è erroneamente ritenuto fino a tempi piuttosto recenti, anche se si continua a riferire prevalentemente alla fine dell'ultimo decennio del secolo, sulla scorta della stretta contiguità tipologica con la tavola di Benvenuto già a New York (Bandera, 1999, pp. 184-186).

Attorno all'Assunzione di Montalcino sono state collocate altre tavole, quali l'Assunzione della Vergine tra i ss. Girolamo e Francesco della chiesa del convento della Ss. Trinità di Selva, nei pressi di Santa Fiora (monte Amiata), il S. Girolamo penitente del Musée du Petit Palais di Avignone e l'Annunciazione del Museo d'arte sacra della Val d'Arbia di Buonconvento, proveniente dall'oratorio non più esistente di S. Antonio, una di quelle opere da sempre considerate di attribuzione incerta, riferita prevalentemente a Benvenuto (Padovani), ma anche, e più di recente, a G. (Guiducci, p. 134).

Intorno alla metà del primo decennio del XV secolo si dovrebbe porre l'esecuzione della pala destinata alla chiesa, restaurata proprio in quegli anni, di S. Agostino ad Acquapendente, costituita da uno scomparto centrale riconosciuto da Zeri (1951) nel dipinto trasportato su tela raffigurante la Madonna con Bambino e i ss. Agostino, Nicola da Tolentino, Monica e Giovanni Evangelista, ora al Fogg Art Museum di Cambridge nel Massachusetts, e da una lunetta con la Pietà, ancora conservata nella cittadina del Viterbese, ma pervenuta, in seguito a successivi spostamenti, nella chiesa di S. Lorenzo.

Sempre in questi anni G. dovrebbe aver eseguito il Giudizio finale, affresco oggi staccato, trasportato su tela e conservato nel Museo Aurelio Castelli di Siena, ma realizzato per la parete di fondo della cripta della chiesa dell'Osservanza, destinata all'ufficio dei morti e a luogo di sepoltura, ciò che giustifica anche il soggetto dell'opera, fortemente permeata di richiami agli affreschi orvietani di Signorelli, avviati nel 1499.

Nel 1508 G. firmava ("opus Iheronimi Benvenuti de Senis") la pala con la Madonna e i ss. Domenico, Caterina d'Alessandria, Girolamo e Caterina da Siena, nota anche come Madonna delle Nevi, destinata all'altare della cappella patrocinata dalla famiglia Sozzini nella chiesa senese di S. Domenico e ora nella Pinacoteca nazionale.

G. recupera in quest'opera una tipologia largamente frequentata all'interno della sua bottega, e utilizzata da Benvenuto nel 1478 in una pala destinata alla cappella Borghesi, posta in una posizione quasi simmetrica a quella Sozzini, nel transetto ai lati dell'altare maggiore della stessa chiesa di S. Domenico. Disposti in maniera quasi speculare rispetto al trono, circondato da angeli, i santi presentano volti standardizzati, piuttosto ricorrenti nella produzione di G., fatta eccezione per Caterina d'Alessandria, che si ritiene perciò un ritratto, avvicinabile al Ritratto di donna di Washington (National Gallery, Kress Collection).

La pala era completata in alto da una lunetta raffigurante la Pietà - dispersa nell'Ottocento e oggi, grazie alla segnalazione di Zeri (1979), riunita alla tavola centrale nella stessa pinacoteca - e da una predella con episodi del miracolo della neve. Degli scomparti ricordati da Della Valle si ha ancora notizia oggi della Nevicata sull'Esquilino (Firenze, collezione Longhi), e del Sogno del patrizio Giovanni (Firenze-Settignano, collezione Berenson); mentre la Visione del papa Liberio (già a Londra, nella collezione Drey: Berenson, II, fig. 855) e il Papa Liberio traccia la pianta di S. Maria Maggiore (già Detroit nella collezione Graham) risultano oggi sul mercato antiquario (Berenson, I, p. 188). Il quinto pannello di predella ricordato da Della Valle, la Resurrezione di Cristo, non è mai stato rintracciato.

La Madonna delle Nevi dovette costituire un importante banco di prova per G., che, appena due anni dopo, a testimonianza dell'importanza raggiunta, fu chiamato con Giacomo Pacchiarotti, Gerolamo Genga e Girolamo Pacchia di Giovanni a stimare "la tavola fatta alla cappella dei Vieri in S. Francesco di Siena da Pietro Perugino": il lodo arbitrale del 5 sett. 1510 si riferiva alla tavola con la Natività della Vergine, distrutta nell'incendio della chiesa nel 1655 (Milanesi, pp. 47 s.).

Al di là dell'attività, piuttosto marginale come si desume dall'entità dei pagamenti, svolta nella chiesa della Scala nel corso del 1513 (durante la quale G. affiancò Domenico Beccafumi e Giacomo Pacchiarotti nell'esecuzione di un fregio, perduto, per il nuovo baldacchino: Gallavotti Cavallero, p. 270), l'unica opera di G. documentata ed esistente riferibile al secondo decennio del Cinquecento è l'Assunzione della Vergine, realizzata a fresco sulla parete dell'altare maggiore nella chiesa della Madonna di Fontegiusta. L'11 ag. 1515 il lavoro, che comprendeva anche la perduta decorazione della volta sopra l'altare, era già completato e poteva essere giudicato da Girolamo di Giovanni e da Domenico Beccafumi (Milanesi, p. 70). L'Assunzione di Fontegiusta segna un punto di svolta nella produzione di G. che, a eccezione della notizia di un baldacchino dipinto per la visita di Leone X nel 1517 (ibid.), non sarà più ancorata a dati certi.

A questo momento sono riconducibili alcune tavole che, se furono concepite ancora secondo schemi tradizionalmente frequentati dalla bottega, mostrano di elaborare nuove suggestioni, provenienti in particolare dall'osservazione dell'opera del Sodoma dimostrata nell'affresco di Fontegiusta (Bagnoli, pp. 49 s.), che condussero G. ad abbandonare progressivamente il rigore grafico tipico della cultura tardoquattrocentesca del padre, per avvicinarsi a forme più sciolte e a volumi più dilatati. Un tale cambiamento si rileva in dipinti di piccolo e medio formato - le due tavolette in collezione privata raffiguranti S. Ludovico da Tolosa e S. Elisabetta d'Ungheria (Moro, pp. 34 s.), o i due dipinti con S. Leonardo e S. Antonio da Padova del Museo di Montalcino - e nella Crocifissione affrescata nell'oratorio dei Ss. Gherardo e Ludovico all'Osservanza di Siena, oltre che nella tavola, ora ridotta a forma di lunetta, con S. Caterina convince papa Gregorio XV a tornare da Avignone, conservata presso la sede a porta Romana della Società di esecutori di pie disposizioni. Tale è la denominazione, assunta dal 1785, della Confraternita dei Disciplinati di Maria Santissima, la più antica tra le compagnie laicali insediatesi nei secoli nei sotterranei dello spedale di S. Maria della Scala.

È probabile che la pala di porta Romana fosse completata da una predella, plausibilmente con episodi della vita di s. Caterina. Dispersi in vari musei si conservano alcuni dipinti da sempre riconosciuti quali pannelli di un'unica predella, da riferire, poiché raffigurano storie di s. Caterina da Siena, a una pala, forse legata a un luogo cateriniano, ma di certo dedicata alla santa. Così, la Morte di s. Caterina (Avignone, Musée du Petit Palais), una scena assai raramente rappresentata in questi termini, con l'aggiunta dell'episodio della vedova romana Senia che al momento della morte della santa vede la sua anima entrare in cielo coronata di tre diademi, e gli episodi con S. Caterina libera un'indemoniata (Denver Art Museum), S. Caterina intercede per la salvezza dell'anima di suor Palmerina (Cambridge, MA, Fogg Art Museum) e l'Assunta e s. Tommaso appaiono a s. Caterina (Berlin, Gemäldegalerie) sono stati in un primo tempo pensati in relazione al santuario cateriniano: un'interpretazione non del tutto accettata, alla quale, più recentemente, si è sostituita la convinzione che i dipinti costituissero la predella pertinente alla pala della Società di esecutori di pie disposizioni, con la quale condividono un simile gusto per la descrizione degli ambienti e per il paesaggio.

Intorno al 1518 morì Benvenuto, lasciando la completa responsabilità della bottega a G., la cui attività, da questo momento in poi, risulta sempre più difficile da ricostruire, anche per mancanza di documenti: l'unico, un lodo arbitrale del 1518, non riguarda un'opera di G., ma una stima da lui effettuata insieme con Iacopo di Bartolomeo su un "festone" realizzato da Bartolomeo di David per lo spedale della Scala (Schmidt, p. 222).

La Vertova aveva avanzato l'ipotesi che la produzione tarda di G. potesse coincidere con quella di un pittore noto come Maestro della Pala Bagatti Valsecchi, dal nome della collezione privata milanese presso la quale si trovava il dipinto, una Madonna e santi, attorno al quale furono collocate altre opere sulla base di una presunta coerenza stilistica. L'Assunzione di Fontegiusta di G. avrebbe costituito il trait d'union con quella serie; se l'ipotesi ha goduto di un certo favore, la critica tende oggi a non considerarla, per la discontinua qualità di quei dipinti, riconducibili forse all'ambito senese e alla prima metà del Cinquecento, ma sostanzialmente estranei ai modi di Girolamo.

Non sono noti né il luogo (con tutta probabilità Siena) né la data di morte di G.; ma questa dovette avvenire entro il 28 giugno 1524, quando fu stilato l'inventario dei beni "olim Ieronimi Benvenuti pictoris existentium in eius domo sita Senis in contrata Realti" (Milanesi, pp. 78 s.). Dai documenti non si desume neanche se ebbe una discendenza, e se gli sopravvisse la moglie, Alessandra di Bernardino di ser Stefano de Cesari (in Schmidt, p. 220, il contratto matrimoniale redatto nel gennaio del 1501).

Di un certo interesse è la produzione di G. a soggetto profano, all'interno della quale non mancano tuttavia episodi di incertezza attributiva. A G. vengono ormai concordemente assegnati alcuni deschi da parto: La punizione di Amore della Yale University Art Gallery a New Haven, il Giudizio di Paride del Louvre, Venere e Amore proveniente dalla collezione Kress e oggi al Denver Art Museum, l'Ercole al bivio della Ca' d'oro di Venezia.

Con qualche dubbio si riconduce a G. una serie di dipinti raffiguranti ciascuno un eroe o un'eroina dell'antichità. Si tratta delle tavole, ora tutte in collezione privata, con Giugurta e Ottaviano Augusto (Longhi, pp. 6 s.), con Cleopatra e una Vestale (già nella collezione Chigi-Saracini), nonché del pannello con la Vestale Tuccia (Pujmanova, p. 547). Essi facevano plausibilmente parte di un unico ciclo di uomini e donne illustri, un genere di decorazione, fondata sul recupero dell'antico, che a Siena, specialmente durante gli anni di governo di Pandolfo Petrucci, fu ampiamente diffusa e generalmente destinata a ornare un ambiente, spesso di natura domestica e non di rappresentanza, di una residenza signorile. Si è in tempi passati sostenuto che i dipinti attribuiti a G. facessero parte del ciclo eroico noto come Ciclo Piccolomini, costituito da almeno dodici pannelli realizzati dai pittori più importanti del momento, da Neroccio di Bartolomeo dei Landi al cosiddetto Maestro di Griselda, a Francesco di Giorgio. Ma, rispetto alle opere sicuramente riconducibili a tale ciclo, quelle realizzate da G. presentano caratteristiche diverse, a cominciare dalla posa dei personaggi e dalla loro collocazione nel paesaggio, ancora di tipo umbro, che ha fatto pensare a un'esecuzione della serie nel primo decennio del Cinquecento (Pujmanova; Bartalini).

Per affinità stilistica, e per una simile raffinatezza esecutiva, Zeri (1979, p. 50) avvicinava a questo ciclo eseguito da G. una serie di disegni conservata al British Museum di Londra, con due profeti e dieci sibille: è questa l'unica nota critica relativa alla produzione grafica di G., che potrebbe anche vantare, ma l'ipotesi non è concordemente accreditata, i cartoni, perduti, per le vetrate di due bifore della navata destra della cattedrale di S. Lorenzo a Grosseto, riconosciuti, sulla base dell'opera esistente, piuttosto a Benvenuto e ascrivibili agli ultimi anni del Quattrocento.

Infine, va ricordata l'attività di G. quale restauratore degli affreschi di Ambrogio Lorenzetti nella sala della pace in palazzo pubblico, in particolare sul Buon governo, un intervento del quale non si conosce l'entità, anche se è noto che fu eseguito nel 1518 (Angelini, 1982).

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