FRACHETTA, Girolamo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 49 (1997)

FRACHETTA, Girolamo

Enzo Baldini

Nacque nel 1558 da Stefano e Marta Castelli a Rovigo, dove fu battezzato il 10 febbraio.

Abbiamo scarse notizie sui genitori del F., ma la sua famiglia doveva essere di agiate condizioni, come attestano la presenza di servitori e il fatto che, nonostante la morte prematura del padre, sia il F. sia il fratello Lodovico (1559-1639) poterono completare gli studi universitari.

A Rovigo, dove rimase fino all'adolescenza, il F. seguì presso la scuola pubblica l'insegnamento in "lettere umane" di A. Riccoboni almeno sino al 1571, quando questi, dopo essere stato coinvolto senza eccessivi danni nei processi per eresia legati alla chiusura dell'Accademia degli Addormentati, si addottorò a Padova e vi si trasferì come lettore dello Studio. Sempre in questi anni il F. strinse rapporti di amicizia con il conterraneo Giovanni Bonifacio, di un decennio più vecchio, col quale rimase sempre in contatto condividendo con lui una sterile passione verso la poesia.

Lo stesso F. ricorderà infatti di aver scritto versi negli anni giovanili ed è molto verosimile che fossero proprio suoi i madrigali attaccati nella primavera del 1577 con veemenza polemica da Luigi Groto per le loro carenze "in concetti e in lingua" (Groto, Lett. fam., Venezia 1626, p. 365).

Affascinato dall'insegnamento del Riccoboni, il F. si iscrisse alla facoltà di arti dello Studio patavino, quantunque la sua decisione di dedicarsi agli studi "liberali e filosofici" fosse stata osteggiata dal padre e dai parenti, che avevano forse programmato per lui una laurea in leggi ben altrimenti funzionale alle loro aspettative. In ogni caso partì per Padova "quasi ancora fanciullo", ma dopo la morte del padre. Grazie anche ai legami stabiliti, per il tramite di Vincenzo Querini, col raffinato e colto nobile veneziano Alvise Lollino, futuro vescovo di Belluno, poté frequentare i più elitari sodalizi culturali patavini - compresa forse l'Accademia degli Animosi, pervasa da fermenti ermetici e neoplatonici - e poté entrare nella stretta cerchia degli allievi privati di Francesco Piccolomini. Da quest'ultimo assimilò un aristotelismo platonizzante e soprattutto la concezione di una politica guidata dai principî etici e dal sommo bene (ma anche dai dettami tridentini), e fondata sulla prudenza.

L'insegnamento del Piccolomini peserà su gran parte della produzione del F. e non solo sul suo primo scritto: il Dialogo del furore poetico, composto verosimilmente nel 1579 e pubblicato nel 1581 (Padova, L. Pasquati) a coronamento degli studi universitari. Un'operetta ancora acerba, stesa in un italiano non certo forbito, nella quale tuttavia il F. riponeva le proprie ambizioni filosofiche e letterarie, come precisava ingenuamente nell'ampia dedica indirizzata al Lollino. Vi era ricostruita una disputa, forse dal F. realmente sostenuta, con tre compagni di studio (Giovan Battista Pona e Luigi Prato, entrambi veronesi, e Prospero Bernardo di Montagnana), nell'intento di definire che cosa fosse il furore poetico per Platone (e per Aristotele), e di spiegare come esso fosse compatibile con la concezione platonica della poesia.

Il 15 luglio 1581 il F. superò l'esame dottorale in arti, nel quale il Piccolomini fu suo primo promotore di laurea. Pochi mesi più tardi si era trasferito a Roma, dove nel 1582 entrò al servizio del card. Luigi d'Este, restandovi sino alla morte di questo nel 1586.

Nel 1583, pubblicava De universo assertiones octingentae (Roma, B. Bonfadino e T. Diano), un'enciclopedica raccolta di tesi sull'universo incorporeo e corporeo, che difese poi, in giugno, nel corso di una pubblica disputa in S. Maria sopra Minerva.

Traspariva dall'opera una buona conoscenza del mondo classico, ma anche una pericolosa dimestichezza con le dottrine platoniche, ermetiche e cabalistiche (oltre ovviamente a quelle di Aristotele, "sommo tra tutti i filosofi", e a quelle dei "teologi"), al punto che, nonostante la dedica al cardinale d'Este, la censura calò pesantemente su ben 112 delle 800 tesi, relative all'immortalità dell'anima intellettiva, alla cabala e ai "nomi di Dio". L'incidente dovette indurre il F. a maggior prudenza e a coltivare prevalentemente più innocui interessi letterari.

Nel 1585 pubblicava a Venezia (I. Giolito) La spositione sopra la canzone di Guido Cavalcanti: Donna mi prega…, frutto anche dei contatti avuti con numerosi letterati in casa del cardinale d'Este, come precisava nella dedica al cardinale Scipione Gonzaga. I continui riferimenti ad Aristotele, nonostante la tematica tipicamente platonica, attestano come il F. avesse ormai imparato a muoversi con abilità nell'insidioso ambiente romano. Un mutamento che si faceva ancora più marcato nell'opera successiva, Breve spositione di tutta l'opera di Lucrezio (Venezia, P. Paganini, 1589): una raccolta di sei ampie lezioni tenute nell'accademia del cardinale d'Este, nelle quali il F. riassumeva e commentava gran parte dei versi contenuti nei sei libri del De rerum natura, con l'intento di mostrare dove erano conformi o lontani dalla "verità" e soprattutto da Aristotele.

Nel frattempo, con la morte del cardinale d'Este, il F. era diventato segretario e agente del cardinale Gonzaga, che già da un anno si avvaleva dei suoi servigi. Quando nel giugno 1592 il Gonzaga, lasciato in disparte dai successori di Sisto V, abbandonò Roma, il F. continuò a occuparsi degli affari lasciati in sospeso dal cardinale e soprattutto iniziò a informarlo sugli avvenimenti romani e in particolare sulle notizie provenienti dalla Francia, ormai da tempo al centro della sua attenzione. Determinato a farsi strada nella Curia romana, il F. non tardò a procurarsi nuove opportunità e a coltivare potenti amicizie. In data imprecisata, ma prima del 1595 aveva intanto ricevuto gli ordini minori; nel 1589 aveva inoltre deciso di mutare radicalmente l'ambito dei propri studi, dedicandosi ad argomenti politici: una risoluzione che fu assunta, come ricorderà egli stesso (Seminario, dedica), in concomitanza con quella di porsi al servizio della Spagna, ma verosimilmente anche sull'onda dei timori generati dal precipitare degli avvenimenti francesi, che sembravano spianare l'ascesa al trono dell'ugonotto Enrico di Navarra. La sua posizione fu subito favorevole alla Lega cattolica e allo stretto collegamento di questa con Madrid, come attestano alcuni suoi discorsi inediti.

Già a partire dal 1585 il F. aveva intrapreso la rischiosa attività di informatore con relazioni e discorsi, che in breve tempo divennero sempre meno episodici e assunsero una connotazione politica.

Il primo tra quelli pervenutici - complessivamente un centinaio, molti dei quali anonimi per ovvi motivi di prudenza e conservati in numerose copie, a conferma di una vasta circolazione italiana ed europea - era uno dei diffusi pronostici Sopra il futuro papa ed era stato scritto durante la sede vacante dopo la morte di Gregorio XIII (1585) con una sicura conoscenza dei membri del Collegio cardinalizio e degli intrighi di Curia (Bibl. ap. Vaticana, Vat. lat. 6558, II, cc. 199r-206v). Seguiva (6 giugno 1586) un'allocuzione volta a dimostrare la legittimità e l'opportunità dell'Impresa d'Inghilterra da farsi per il Re Cattolico (Ibid., Urb. lat. 854, I, cc. 225r-257v), poi inserita nel volume del 1600; mentre della fine del 1590 era una Difesa della designazione dei cardinali degni del trono pontificio fatta da Filippo II e giustificata dal F. come atto volto ad "assicurare" la Chiesa e la Cristianità dal pericolo del Navarra (Ibid., Vat. lat. 6883, cc. 377-378).

Gli altri discorsi, degli anni 1589-93, furono tutti dedicati alla situazione francese, in un crescendo che vide il F. sempre più schierato a favore della Lega cattolica e del suo capo, Charles de Lorraine, duca di Mayenne. Il F. stabilì anzi rapporti molto stretti col segretario del Mayenne, Thibault Desportes, che fu a Roma per due brevi missioni presso il pontefice nel 1590-91 e nel 1592-93, al termine delle quali il F. assunse il ruolo di informatore e uomo di fiducia del Mayenne, compito ricompensato con la nomina a responsabile dei servizi postali francesi a Roma: un incarico che gli garantiva la conoscenza immediata delle notizie d'Oltralpe, almeno quelle di parte leghista, e che gli imponeva nel contempo di agire su personaggi autorevoli e sull'opinione pubblica nell'intento di diffondere e sostenere i disegni politici del capo della Lega. Quando, all'inizio del 1590, Sisto V si scontrò duramente con Filippo II e col suo ambasciatore a Roma, E. Guzmán conte di Olivares, il F. fu in pericolo di vita per "controversie" sulla Francia e fu costretto a rifugiarsi in Monferrato al seguito del cardinale Gonzaga, che vi ricoprì per breve tempo la carica di governatore.

Da lì il F. inviò nel 1590 al signore del luogo, Vincenzo I Gonzaga duca di Mantova, il manoscritto della sua prima opera politica, L'idea del libro de' governi di Stato et di guerra. Nel 1592, rielaborata e con l'aggiunta di due discorsi - rispettivamente Sulla ragion di Stato e Sulla ragion di guerra - L'idea verrà poi pubblicata (Venezia, D. Zenaro), con una dedica sbrigativa (ma ormai obbligata) al duca di Mantova e Monferrato, destinatario originario dell'opera, anche se il F. stava stringendo legami ben più fruttuosi e decisivi col nuovo ambasciatore spagnolo a Roma, A. Fernández de Córdoba y Cardona, duca di Sessa.

Nel breve Discorso sulla ragion di Stato il F. distingueva la "vera" ragion di Stato, che identificava con la "prudenza civile" congiunta con le virtù morali e la religione, dalla "falsa", che era quella di Machiavelli e che stava imperversando nel "bel regno di Francia". Più interessante l'Idea, vale a dire l'esemplificazione del trattato ancora incompiuto, al quale stava lavorando da "alcuni anni" (Il seminario de' governi di Stato et di guerra), che avrebbe dovuto consistere in una raccolta di tremila massime sull'"universo" politico e militare, tratte prevalentemente da autori classici (soprattutto da Tacito), ma anche dai "moderni" Commynes, Guicciardini e Du Ballay: ne anticipava 124 (una per ciascuno dei "capi" progettati), facendole precedere da una presentazione e dallo schema dell'opera. Una sorta di enciclopedia con ambizioni esaustive, dalla quale i principi e i loro ministri avrebbero potuto finalmente trarre "tutte le materie" utili "per ben governarsi". In questo periodo il F. era riuscito a conquistare apprezzamenti e credibilità, ma nel settembre 1593, reputando rovinosa per la causa della Lega cattolica e per la Cristianità l'interessata avversione del Mayenne alla proposta spagnola di nominare sovrani di Francia il duca di Guisa e l'infanta Isabella, il F. consegnò (tramite il card. A. Sauli) la propria corrispondenza col Mayenne e col Desportes all'ambasciatore spagnolo a Roma, che si affrettò a trasmetterla a Madrid (Arch. gen. de Simancas, Estado, 961 e 963). Contribuendo in tal modo a rivelare le reali intenzioni del capo della Lega cattolica, il F. si era guadagnato notevoli benemerenze presso gli Spagnoli, ma anche feroci inimicizie a Roma, dove il suo gesto, divenuto ben presto noto, mise nuovamente a repentaglio la sua vita e gli creò rilevanti problemi.

Nell'estate 1594 divenne infatti bersaglio di un falso tanto beffardo quanto eloquente: una lettera che il F. avrebbe scritto da Parigi a G. Botero il 22 marzo 1594, proprio il giorno dell'ingresso di Enrico IV nella capitale francese, e firmata "Yo el Fracchetta", scimmiottando cioè la firma del re di Spagna.

Nell'estate del 1594 il F. aveva intanto terminato i suoi Commentari delle cose successe nel Regno di Francia, che prendevano le mosse dalla ricostituzione della Lega cattolica nel 1585 e che in una prima versione si arrestavano all'ingresso di Enrico IV in Parigi.

L'opera giunse poi agli avvenimenti del 1598, ma rimase inedita a causa dei giudizi sull'"eretico" Enrico di Navarra, divenuto nel frattempo re di Francia e ribenedetto dal papa. Le numerose copie pervenuteci permettono di seguirne le varie fasi di stesura e ne attestano la fortuna goduta tra i contemporanei.

Ma ormai l'attenzione del F. era soprattutto attirata dalla guerra contro il Turco, alla quale dedicherà per un quindicennio, a partire dal marzo 1594, quasi tutti i suoi discorsi politici e militari (il primo di essi venne inviato in copia il 16 aprile alle corti di Torino e di Ferrara da Anastasio Germonio e dal Gilioli). Sullo stesso argomento pubblicherà tra il 1595 e il 1597 (Roma, B. Beccari) quattro orazioni a Sigismondo Bathori, principe di Transilvania (le prime tre saranno ripubblicate congiuntamente a Verona nel 1596 da G. Discepolo), e una a Filippo II.

Nel settembre 1597 la sua notorietà come esperto del più temibile avversario della Cristianità era attestata ancora una volta da un falso; il F. era infatti costretto a dare alle stampe (Vicenza, Perin Libraro) una Lettera al s.or Antonio Riccobuono per ricusare un resoconto "falsamente appostogli": si trattava del Ragguaglio delle meravigliose pompe con le quali Mehemet Settergi… è uscito di Costantinopoli per guidare il proprio esercito alla guerra d'Ungheria, pubblicato per l'appunto nell'agosto sotto il nome del F. (Venezia, G. Martini). La Lettera al Riccoboni attestava tuttavia come ormai egli fosse stabilmente e con piena soddisfazione al servizio degli Spagnoli.

Nel 1594-95 era stata avviata, con l'appoggio del duca di Sessa, la complessa e lenta procedura per far ottenere al F. pensioni dalla Spagna, motivate soprattutto dal comportamento tenuto nei confronti del Mayenne, oltre che dai suoi contatti con la Francia e dalla preziosa opera di informatore: lo attestano la corrispondenza tra Roma e Madrid a partire dal maggio 1595, e le ripetute consulte del Consiglio di Stato spagnolo favorevoli al F. dal febbraio 1596. Il 28 maggio 1597 gli fu finalmente concessa una pensione di 200 ducati annui sopra la mensa vescovile di Cassano Jonio in Calabria; il breve di investitura papale del 3 settembre attestava che il F. era chierico e che veniva autorizzato a indossare l'abito secolare (Arch. segr. Vaticano, Secr. Brev. 262, c. 19r). Il Sessa continuò tuttavia a insistere perché gli fosse concessa una seconda pensione a Roma e nel novembre 1596 gli commissionò addirittura un'opera sull'azione di governo del sovrano e sulla sua effettiva conoscenza dei problemi del suo Stato. Nasceva così Ilprencipe, scritto in soli sette mesi - come precisava l'ampia dedica al Sessa - e pubblicato a Roma (B. Beccari) sul finire del 1597. Il F. vi riproduceva lo schema già proposto nell'Idea del Seminario de' governi, dividendo il trattato in due libri, dedicati rispettivamente al "governo dello Stato" e al "maneggio della guerra", contrapponendosi sin dalle prime battute a Machiavelli e teorizzando un modello di principe prudente, guidato dall'utile coniugato con l'onesto, ma sempre nel pieno ossequio della morale e della religione. L'opera consacrò il F. come scrittore politico di prestigio agli occhi degli Spagnoli, ai quali saranno dedicate tutte le sue pubblicazioni successive.

Nel 1599 fu stampata a Venezia (G.B. Ciotti) una seconda edizione riveduta e ampliata del Prencipe, ma nel frattempo il F. aveva dato alle stampe Il primo libro delle orazioni nel genere deliberativo (Roma, B. Beccari, 1598), dedicandolo a Juan de Idiáquez: una raccolta di undici orazioni (comprese le cinque al Bathori e a Filippo II già edite), indirizzate a partire dal 1595 a diversi principi per esortarli alla guerra contro il Turco. Nel 1600, col titolo Il primo libro dei discorsi di Stato et di guerra (Roma, B. Beccari), pubblicava poi dieci discorsi scritti nel 1594-99 sulla guerra turca, facendoli precedere da quello del 1586 sull'impresa d'Inghilterra.

L'opera era dedicata (Roma, 31 genn. 1600) al viceré di Napoli F. Ruiz de Castro, conte di Lemos (che il F. elogiava per aver stroncato la rivolta calabrese di Tommaso Campanella, peraltro non citato), ed era completata da un'appendice con tre orazioni "nel genere deliberativo" (due sul Turco e una sull'Inghilterra), con dedica ad Alonso Manrique de Lara.

Il 13 dic. 1601 gli veniva concessa una nuova pensione annua di 200 scudi sulle spese dell'ambasciata spagnola a Roma. Aveva così raggiunto una posizione invidiabile: godeva di ampio prestigio all'interno della potente fazione spagnola e viveva agiatamente con un servitore (il rodigiano Maurizio Milani) in un appartamento posto nel palazzo del card. A. Sauli, che provvedeva anche ai suoi alimenti. Nel novembre 1603, in sostituzione del prudente duca di Sessa, giunse però a Roma come ambasciatore spagnolo il focoso marchese J. Fernández Pacheco de Villena, che con ostinati puntigli si rese immediatamente responsabile di infrazioni all'etichetta di corte e causò numerosi incidenti con nobili, prelati e cardinali. Per evitargli ulteriori errori il F. si affrettò a consegnargli una relazione riservata sui singoli cardinali, con informazioni relative a carriera, incarichi, protezioni, preparazione culturale, tendenza politica, rendita e pensioni ricevute dalla Spagna. L'inopinata diffusione dell'incauta relazione (che circolò insieme con un'altra anonima ancor più spregiudicata, erroneamente attribuita al F., e con una Risposta di Villena) determinò la reazione dei cardinali filofrancesi e del papa; questi decise di intervenire con mano pesante, come monito sia per gli informatori (la cui attività era rigorosamente proibita, quantunque estremamente diffusa), sia per gli Spagnoli, dei quali non intendeva più tollerare l'incontrastato predominio e le prepotenze.

Fu immediatamente spiccato un ordine di cattura nei confronti del F., la cui abitazione fu perquisita il 31 genn. 1604; tempestivamente avvisato, egli era riuscito a fuggire nel Regno di Napoli, lasciando a Roma gran parte dei propri averi e molte scritture, tutte sequestrate dal governatore di Roma, ma non più conservate tra le sue carte (Arch. di Stato di Roma, Trib. crimin. del governatore, Processi del XVII sec., 34, cc. 982r-985v).

A causa della contumacia del F. il procedimento giudiziario si concluse immediatamente con il bando dallo Stato pontificio: un duro provvedimento che numerosi interventi in suo favore, ripetuti per oltre un decennio, e presso ben tre pontefici da parte degli Spagnoli e del duca d'Urbino, non riusciranno a rimuovere. In tal modo il F. vedeva pregiudicata la carriera di Curia fino ad allora spianata davanti a lui, insieme con i privilegi e i contatti pazientemente tessuti con i più disparati ambienti europei.

A Napoli, dove fu inizialmente nascosto nel Castel dell'Ovo per sottrarlo al nunzio pontificio, il F. ottenne ben presto ulteriori vantaggi economici (altri 400 ducati annui), che si aggiunsero alle pensioni già assegnategli a Roma. La sua vena di "teorico" politico sembrava però sopraffatta dagli eventi. L'unica opera a stampa di questo periodo fu la traduzione italiana degli inediti Commentari delle cose successe in Frisia, scritti dal comandante e governatore spagnolo Francesco Verdugo; il F. vi premise una biografia di Verdugo e dedicò l'opera al viceré J. A. Pimentel de Herrera, conte di Benavente (Napoli, F. Stigliola, 1605).

Le richieste presentate in suo favore al Consiglio di Stato spagnolo dal 1604 al 1606 avevano ottenuto esito positivo; nonostante ciò il F. - forse non ritenendosi adeguatamente utilizzato dal viceré negli affari di governo in conformità con le disposizioni impartite da Filippo III - decise di recarsi a Madrid, verosimilmente con l'intento di perorare la propria causa e tentare per l'ultima volta di tornare a Roma.

Il 14 maggio 1607 annunciò al duca d'Urbino Francesco Maria II Della Rovere - col quale era da tempo in stretto contatto - la sua prossima partenza al seguito del duca di Feria G. Suárez de Figueroa e, dopo una sosta a Barcellona, alla fine di agosto giunse a Madrid, dove fu colto da un attacco di febbre quartana. L'8 novembre, il Consiglio di Stato, in considerazione dei suoi meriti come servitore della Spagna, decideva di elevare a 600 i ducati di pensione annua già assegnati a Napoli: un trattamento di riguardo, che peraltro, con un'ulteriore delibera del 15 dicembre, veniva fatto decorrere dalla partenza del F. da Napoli e soprattutto si aggiungeva alle già consistenti pensioni romane. Il viaggio a corte sortì quindi gli effetti sperati, e il F. ottenne un nuovo intervento di Filippo III presso il papa.

Il 16 marzo 1608 il F. partiva alla volta dell'Italia, ma ancora una volta senza possibilità di entrare nello Stato pontificio. La visita al duca d'Urbino avveniva dopo un difficile viaggio per mare, che lo fece approdare a Pesaro l'11 agosto duramente provato. All'inizio di ottobre era già a Napoli, sicuro di poter finalmente ottenere il breve pontificio di "liberazione". Resistenze sorte all'interno dell'ambasciata spagnola a Roma, dove un suo ritorno era temuto e avversato, gli consigliarono però di desistere definitivamente dal suo obiettivo (febbraio 1610). Nell'agosto 1609 aveva del resto accettato la carica di agente del duca di Urbino a Napoli, dove aveva quindi deciso di ricostruire la propria esistenza; le sue scelte furono forse condizionate anche dall'ormai prossimo arrivo di un viceré che sapeva ben disposto nei suoi confronti, il conte di Lemos, accompagnato dal segretario Lupercio Leonardo de Argensola, col quale era entrato in amicizia a Madrid.

Nel 1609 aveva ripreso di buona lena a lavorare alla stesura del Seminario de' governi di Stato et di guerra, sospendendo quasi completamente l'attività di informatore e di scrittore politico: il 16 genn. 1610 poteva così annunciare al duca d'Urbino che metà dell'opera era ormai terminata. L'ampio trattato enciclopedico sarà ultimato due anni più tardi e pubblicato a Venezia (E. Deuchino) nell'ottobre 1613.

Le massime erano ormai diventate "intorno a" 8.000, frutto di un minuzioso lavoro di accumulazione teso a investire ogni aspetto della vita politica e militare; esse erano state divise per argomento in 110 capi, ciascuno dei quali si chiudeva con un ampio discorso. La letteratura tacitiana e quella sulla ragion di Stato vi trovavano una sistemazione decisamente articolata e soprattutto fortunata, a giudicare almeno dal successo editoriale dell'opera, che si propose come modello ben presto imitato.

Il Seminario fu in ogni caso l'ultima opera data alle stampe del F.; i suoi interessi teorici sembravano infatti essersi esauriti se ancora il 15 dic. 1610 auspicava di terminare la sua fatica prima di invecchiare, per poter poi spendere qualche anno "in scriver istorie" (Arch. di Stato di Firenze, Urbino, I.G. 215, c. 221r).

Assorbito dall'attività di agente del duca d'Urbino, il F. fu costretto a misurarsi con problemi a lui insoliti e non sempre fu all'altezza della situazione; del resto gli affari del duca nel Regno di Napoli attraversavano un difficile momento.

Nel 1610 Francesco Pallavicini, esattore delle entrate ducali nel Regno, fu infatti dichiarato insolvente e imprigionato per debiti, e il F. ebbe un ruolo determinante (e non disinteressato) nella sua sostituzione con Giacomo Lagomarsino, che non tarderà a dare pessima prova di sé. Anche a causa della rigorosa politica economica del Lemos, il F. non riuscì a conservare al duca alcuni privilegi e a incassare pagamenti per i quali lo stesso viceré gli aveva ripetutamente fornito assicurazioni. In compenso continuò a informare minuziosamente Francesco Maria II coi suoi dispacci e a inviargli copia dei discorsi che aveva ripreso a scrivere. Pur con crescente insoddisfazione, specie nei mesi che precedettero e seguirono la partenza del Lemos (giugno 1616), il duca continuò a conservargli l'incarico, almeno sino a quando l'insolvenza del Lagomarsino (che pure il F. continuava a difendere con determinazione) fu ormai chiara e l'arrivo di P. Alcántara Girón duca di Osuna come successore del Lemos relegò il F. sempre più in disparte.

Già nel 1610-11 l'Osuna si era trattenuto a Napoli prima di passare al governo di Sicilia e il F. aveva avuto modo di stigmatizzare a più riprese le sue bravate e i suoi modi da "soldataccio di Fiandra", scrivendone forse anche a Madrid. Quando il 30 luglio 1616 l'Osuna tornò a Napoli come viceré fu subito chiaro che il F. avrebbe pagato la sua imprudenza. Ben lo capì il duca d'Urbino, che il 23 dic. 1616 sostituì il F. come suo agente, continuando però a indirizzargli espressioni non formali di stima e disponibilità; questo almeno fino alla primavera del 1617, quando iniziò a prendere con decisione le distanze nei suoi confronti: l'arresto del Lagomarsino e la scoperta che questi aveva compensato il F. con 600 ducati per avergli procurato l'incarico di esattore avevano del resto contribuito a screditarlo ulteriormente agli occhi del suo protettore.

All'inizio del 1617 il F. pubblicò una nuova edizione del Seminario, riveduta e corretta. Nell'estate dello stesso anno, pose nuovamente mano alle opere giovanili che corresse e ampliò in vista di un'edizione in un unico volume da dedicare all'amico G. Bonifacio. Per quanto il lavoro fosse ultimato e molto verosimilmente inviato allo stesso Bonifacio, la pubblicazione non ebbe luogo.

Il 20 giugno 1617 il fratello Lodovico gli cedeva il beneficio di S. Maria Oliveto, chiara conferma delle crescenti ristrettezze del F., dovute probabilmente anche al mancato pagamento delle pensioni spagnole. Dopo che il 23 apr. 1617 gli aveva fatto seccamente capire di non voler essere più informato da lui sui maneggi dell'Osuna contro Venezia, il duca evitò di intervenire presso il viceré in favore del F., che chiedeva licenza di lasciare Napoli per mettersi al riparo a Urbino: Francesco Maria II non intendeva inimicarsi il rancoroso viceré, nei confronti del quale riteneva che il F. avesse ecceduto con la lingua e con la penna.

Il 16 sett. 1618 il duca d'Urbino scriveva al F. per informarlo di aver ottenuto da Madrid l'Ordine cavalleresco di Calatrava per Fabio Frezza, nei confronti del quale il F. si atteggiava a maestro e protettore. La breve missiva non poté però essere recapitata perché il F. era da qualche giorno rinchiuso nel più totale isolamento nelle carceri del Castel dell'Ovo, senza che ne conoscesse il motivo. Il 16 novembre Orazio Billi, nuovo agente napoletano del duca d'Urbino, elencava la ridda di voci sulle sue possibili colpe: vizio contro natura, stesura di ragguagli contro gli Spagnoli, invio di relazioni ai Veneziani (il F. era originario della Terraferma veneziana) e ad altri principi sui maneggi del viceré; le voci più insistenti parlano di una relazione sull'Osuna mandata dal F. al Lemos e subito rimbalzata a Napoli dopo essere stata letta nella corte spagnola. Ormai abbandonato da tutti, il F. poteva fare affidamento solo sul Frezza, che però viveva ritirato per il medesimo sospetto, come scriveva l'agente d'Urbino.

Il F. restò in carcere fino all'agosto del 1619, quando fu liberato su ordine del viceré, senza processo. Duramente provato, povero e ammalato, morì a Napoli, probabilmente il 30 dic. 1619.

Con l'eccezione del Dialogo, riprodotto in ed. anast. (München 1969), le opere del F. possono essere lette solo nelle edizioni originali o nelle ristampe del '600. Gli esemplari delle opere giovanili (Dialogo, De universo, l'Idea e le due Spositioni della canzone di Cavalcanti e del poema di Lucrezio) con correzioni e aggiunte autografe sono conservati a Rovigo, Bibl. dell'Accademia dei Concordi. Il Seminario, oltre alle edizioni del 1613 e 1617, ebbe un'edizione "rivista" dal F. nel 1624 (anch'essa: Venezia); insieme col Prencipe (ma con frontespizio e numerazione autonomi) fu poi ristampato nel 1647 (ibid.) e nel 1648 (Ginevra, Parigi); copie invariate, forse invendute, dell'edizione di Ginevra portano la data del 1658 (in queste ristampe le due opere sono legate insieme o in volumi separati). Il discorso del cap. IX del Seminario ("Sopra la religione del principe") fu ripubblicato in italiano, con traduzione latina e annotazioni, da C. Hardesheim (Antiquitatum Puteolanarum… synopsis, Francofurti 1619). Una traduzione spagnola a stampa di parte del discorso sul capitolo primo del Seminario, con correzioni manoscritte, è nella Bibl. nationale di Parigi (Rés. fol. Oa. 198bis, 94, pp. 3 n.n.). La traduzione francese dei due discorsi Sulla ragion di Stato e Sulla ragion di guerra è stata inserita (anonima) da L. Melliet, col titolo Curieux examen des raisons d'Estat et de guerre, nella 2ª ed. della sua traduzione di S. Ammirato (Discours politiques et militaires sur C. Tacite, Lyon 1628). Il Prencipe fu tradotto in tedesco con dichiarato intento antimachiavellico da G. Marzi da Copenhagen (Festgesetzter Printzen- oder Regenten-Staat, Frankfurt, 1681).

Nella Bibl. nacional di Madrid (Gayangos 470, 2) è conservata una traduzione spagnola ms. dell'Idea (e dei due discorsi sulla ragion di Stato e di guerra); una traduzione spagnola ms. del Prencipe per opera di J. López del Valle è nella Bibl. della Real Academia de la historia di Madrid (B. 73; 9/5158). Un ms. parziale del Seminario (Proemio, Indici prelim. e cap. I) con aggiunte autografe, forse un saggio dell'opera, è nella Bibl. nacional di Madrid (ms. 1053, cc. 29 n.n.). Le copie mss. dei Commentari di Francia sono prevalentemente anonime: Bibl. ap. Vaticana, Urb. lat. 816, cc. 166r-260v; Arch. segr. Vaticano, Arm. I, vol. 20, cc. 257r-296r; Madrid, Bibl. nacional, Mss. 2886, cc. 1r-101r; Arch. di Stato di Modena, ms. 47, cc. 1r-43r; Napoli, Bibl. d. Soc. nap. di storia patria, Mss. XXII.D.12, p. 255; Arch. di Stato di Torino, Bibl. antica, J.a. VIII.12(6), cc. 34 n.n.; Torino, Bibl. reale, Varia, 347 (8), cc. 182r-246v.

Fonti e Bibl.: Lettere autografe del F. al duca d'Urbino sono in Arch. di Stato di Firenze, Urbino I.G.128, cc. 445-446, 456-462; I.G.182, cc. 1603-1607; I.G.262, c. 799; I.G.215 (intera filza di lett. da Napoli, 1604-1619; brani di alcune di esse pubblicate in Arch. stor. ital., IX [1846], pp. 222-229); Pesaro, Bibl. Oliveriana, Mss. 375, t. XI., c. 227r. Altre lett. del F. a vari: Arch. di Stato di Mantova, Gonzaga, 955, 960; Arch. gen. de Simancas, Estado, 969; Arch. di Stato di Modena, Letterati, 20; Ibid., Ambasc. Roma, 152-156; Pesaro, Bibl. Oliveriana, Mss. 1605; Rovigo, Bibl. d. Acc. dei Concordi, Conc. 375-383 (una lett. al Lollino e una in copia a G. Bonifacio, entrambe in Dodici lettere d'illustri rodigini, Rovigo 1845, pp. 23-26, 51-57); F. Chabod, Giovanni Botero, Roma 1934 (ora in Scritti sul Rinascimento, Torino 1967, pp. 447-458), pubblica una lett. del F. al Botero (1594), in realtà falsa (cfr. A.E. Baldini, Le guerre di religione francesi nella trattatistica ital. della ragion di Stato: Botero e F., in Il Pensiero politico, XXII [1989], pp. 301-324).

Per motivi di spazio, non si possono qui elencare le numerose relazioni mss. del F., per la maggior parte in copie anonime: l'attribuzione è possibile grazie ad aggiornamenti e correzioni autografi del F. (alcune sono interamente autografe), a indicazioni fornite dalle sue lettere e agli indici secenteschi dei mss. della Bibl. del duca d'Urbino (Arch. segr. Vaticano, Borghese, IV, 177, cc. 77r-78v, 83). Molte relazioni sono conservate nei codd. Urb. lat. della Bibl. ap. Vaticana (821, III, cc. 252r-379v; 821, IV, cc. 403r-406v, 413r-422r, 426r-433v, 442r-446v, 451r-489v, 531r-570v; 854, I, cc. 225r-257v; 859, cc. 433r-439v, 453r-456r; 860, cc. 157r-165v, 192r-202v, 235r-238v, 276r-279v, 300r-306r; 861, cc. 91r-92r, 386r-414v, 424r-427r; 1028, II, cc. 433r-490r; 1492, cc. 47r-93v). Altre sono Ibid., Ottob. lat. 3140, I, cc. 209r-211v; Vat. Lat. 6558, II, cc. 193r-222r, 278r-288v; Vat. Lat. 6883, cc. 377r-378r; Arch. di Stato di Firenze, Carte Strozz., s.1, 294, cc. 383r-387v; Ibid., Mss. 11055, pp. 95-101 (trad. spagn.); Madrid, Bibl. nacional, Mss. 1750, cc. 383r-387v; Mss. 11055, pp. 95-101 (trad. spagn.); Milano, Bibl. naz. Braidense, Mss. A E XXII.32, cc. 66r-68v (trad. spagn.), 69v-73v; Arch. di Stato di Modena, Ambasc. Roma 153, col dispaccio del 16 apr. 1594; Pesaro, Bibl. Oliveriana, Mss. 1748, vol. IV-II, cc. 177r-180r; vol. IV-III, cc. 199r-206r; vol. V-VIII, cc. 133r-138r; vol. VI-VII, cc. 286r-297r; vol. VII-X, cc. 213r-216v; vol. VIII-XXI, cc. 562r-565r; vol. VIII-XXII, cc. 566r-567r; Arch. di Stato di Torino, Lett. ministri Roma 12, n. 73; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. Ital., cl. XI, 28, n. 23. Per le numerose copie della relaz. del 1603 sul Collegio cardinalizio cfr. Baldini, Puntigli spagnoleschi, pp. 81-89.

A.E. Baldini, Per la biografia di G. F. La famiglia e gli anni di Rovigo e di Padova (1558-1581), in Atti e mem. dell'Acc. patavina di scienze, lett. ed arti, XCII (1979-80), 3, pp. 17-45. Sulla sua vita cfr., tra l'altro, A. Soman, De Thou and the Index, Genève 1972, pp. 30 s., 35, 38; A.E. Baldini, Puntigli spagnoleschi e intrighi politici nella Roma di Clemente VIII. G. F. e la sua relaz. del 1603 sui cardinali, Milano 1981; Id., Un sistema "usitatissimo in tutto il mondo". Denaro e favori in una lettera di F. del 1617, in Il Pensiero politico, XXVI (1993), pp. 243-253. Sulla lapide posta dal fratello di F. in Rovigo cfr. Le "iscrizioni" di Rovigo delineate da M.A. Campagnella, Trieste 1986, pp. 227, 367. Sui legami del F. con Rovigo cfr. anche G. Bonifacio, Il F., Padova 1624 (dialogo tra il F. e A. Riccoboni "intorno alle dedicationi dell'opera letteraria"); Id., Lettere familiari, Rovigo 1627, pp. 14-22, 121-124, 155 s., 209 s., 251 ss. (una lettera al F., erroneamente datata 7 luglio 1620, e una di cordoglio per la sua morte indirizzata al fratello Lodovico in data 7 maggio 1620 hanno indotto alcuni studiosi a collocare la morte del F. in tale anno). Per il suo testamento cfr. Arch. di Stato di Rovigo, Congr. rel. soppresse S. Maria dei Battuti, b. 1, fasc. 9; b. 7, fasc. 21. Per i contatti del F. con la Spagna e per i numerosi documenti relativi alle sue pensioni cfr. Id., G. F. informatore politico al servizio della Spagna, in corso di stampa. Su F. Piccolomini e i suoi allievi cfr. A.E. Baldini, Per la biografia di F. Piccolomini, in Rinascimento, s. 2, XX (1980), pp. 389-420.

Sulle opere e sul pensiero politico del F. cfr. B. Weinberg, A history of literary criticism in the Italian Renaissance, I-II, Chicago 1961, ad Ind.; F. Meinecke, L'idea della ragion di Stato…, Firenze 1970, pp. 120, 126, 193; W.F. Church, Richelieu and reason of State, Princeton 1972, pp. 64 ss.; V.I. Comparato, Uffici e società a Napoli (1600-1647), Firenze 1974, ad Ind.; M. Stolleis, Staat und Staatsräson in der frühen Neuzeit, Frankfurt a. M. 1990, ad Ind.; Botero e la "Ragion di Stato", a cura di A.E. Baldini, Firenze 1992, ad Ind.; D. Taranto, Studi sulla protostoria del concetto di interesse, Napoli 1992, pp. 82 ss.; G. Borrelli, Ragion di Stato e Leviatano, Bologna 1993, pp. 102-109; A.E. Baldini, G. F. e l'enciclopedia della politica, in corso di stampa.

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