GHILINI, Girolamo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 53 (2000)

GHILINI, Girolamo

Andrea Merlotti

Figlio terzogenito del patrizio di Alessandria Gian Giacomo (III), signore di Movarone, e della gentildonna monzese Vittoria Omati (sposatisi il 13 nov. 1573), nacque a Monza il 19 maggio 1589.

Gian Giacomo, decurione di Alessandria nel 1552, intorno al 1570 si era trasferito a Milano, ottenendo diversi incarichi. Nel 1582 era divenuto podestà di Tortona e nel 1588 ricoprì la stessa carica a Monza; infine, dal 1593 alla morte (1612), fu segretario del Senato di Milano, città in cui fu seppellito nella chiesa di S. Ambrogio. È lo stesso G., nella sua Origine, geneologia ed huomini illustri della fameglia de' Ghilini (Alessandria, Bibl. civica, ms. 236), a testimoniare che il padre "avea studiato con profitto le umane lettere" (c. 41r). Suo fratello Ottaviano, "di belle lettere latine ed italiane intendentissimo, e nelle scienze morali e politiche molto erudito" (ibid., c. 41v), rimasto senza eredi, lasciò i suoi averi ai nipoti, e fra essi il Ghilini. Nel 1585 Ottaviano era stato ammesso nel Consiglio dei giureconsulti di Alessandria; l'anno dopo era stato nominato oratore della città presso il governatorato e il Senato di Milano. Tornato ad Alessandria, dopo la riforma comunale del 1589 divenne primo dei dodici Priori di provvisione.

Dal matrimonio di Gian Giacomo con la Omati erano nati dieci figli, di cui quattro maschi. Il primogenito Tommaso (1576-post 1630), giureconsulto, auditore generale dello Stato di Piombino e protonotario apostolico, avrebbe deciso di trascorrere gli ultimi trent'anni di vita a Roma, senza fare più ritorno ad Alessandria. Di lui resta l'elogio che il G. gli dedicò nella redazione manoscritta del Teatro d'huomini letterati (Venezia, Bibl. nazionale Marciana, Mss. Ital., cl. X.132-134 [=6609-6611]). Giovanni Ambrogio (1577-1630) e Lodovico (1592-1660) scelsero la carriera delle armi, divenendo capitani di fanteria nell'esercito spagnolo. Il maggiore morì in seguito alla pestilenza del 1630, mentre il secondo scese in campo durante la guerra civile piemontese (1637-42) dalla parte dei principi cognati, il cardinale Maurizio e Tommaso di Carignano, contro Madama Reale, cioè la vedova di Vittorio Amedeo I Cristina di Francia, fino ad assumere la carica di governatore di Nizza Monferrato dal 1640 al 1642.

Compiuti gli studi preliminari di "lettere umane, retorica e filosofia" a Milano, dove era giunto ad appena quattro anni, nel collegio dei gesuiti di Brera, il G. si trasferì a Parma per seguire il corso di diritto civile e canonico, interrotto prima della laurea a causa di una grave malattia che lo costrinse a ritirarsi ad Alessandria. Si stava riprendendo, quando gli giunse la notizia della morte del padre (1612), in seguito alla quale, piuttosto che riprendere gli studi a Parma, decise di trattenersi ad Alessandria per badare al patrimonio familiare. Il 16 giugno 1614 il G. sposò la gentildonna alessandrina Giacinta Bagliani, figlia di Domenico Bartolomeo, e nel 1615 entrò nel corpo dei decurioni di Alessandria. Poco si sa del successivo quindicennio, se non quanto il G. stesso dice di sé e della propria famiglia nelle sue opere. In quegli anni ebbe sette figli: quattro femmine, Bianca, Vittoria, Giulia e Lucrezia, tutte destinate al convento tranne la primogenita Bianca, morta comunque nubile nel 1640; e tre maschi: Francesco Ottaviano, Giovanni Giacomo e Giovanni Battista. A segnare un'improvvisa, dolorosa svolta nella vita del G. fu la pestilenza del 1630, in seguito alla quale morirono il fratello Giovanni Ambrogio e, il 16 novembre, la moglie (alcuni sostengono per il contagio della peste, altri per un nuovo parto).

Colpito da una profonda crisi interiore, il G. decise di abbracciare lo stato ecclesiastico, cosa che fece il giorno di Natale del 1630. Celebrò la prima messa il 17 giugno 1631 e riprese gli studi, riuscendo finalmente ad addottorarsi in diritto canonico e teologia. Pur rimanendo un semplice sacerdote, negli anni immediatamente successivi all'ordinazione ricoprì alcuni incarichi. Forse anche grazie all'aiuto del fratello Tommaso, ottenne la nomina a protonotario apostolico e l'abbazia di S. Giacomo di Cantalupo in Abruzzo, nella diocesi di Boiano (dove probabilmente egli non si stabilì mai, nominando un sostituto e continuando a godere parte della rendita).

Fu nel corso di questi anni che il G. cominciò a dedicarsi con grande slancio agli studi letterari, che le vicissitudini di casa gli avevano sino ad allora impedito di coltivare con continuità. In una sua villa nell'Alessandrino stese, per esempio, le Practicabiles casuum conscientiae resolutiones (Milano 1636), che lo avviarono a una buona affermazione nel mondo delle lettere, come sembrano dimostrare le quattro edizioni che l'opera ebbe nel volgere di breve tempo. Nel 1637 rientrò a Milano dove, per volontà del cardinale Cesare Monti, divenne canonico (con prebenda dottorale) della collegiata di S. Ambrogio, incarico che resse sino al 1642, quando fece definitivamente ritorno ad Alessandria. Nel 1647 pubblicò a Venezia, per la tipografia Guerigli, una raccolta di biografie di uomini illustri, il Teatro d'huomini letterati, che era già apparsa a Milano senza data (probabilmente del 1635). Questa edizione, in un solo volume rispetto ai due dell'edizione veneziana, fu riproposta invariata in un'ulteriore edizione milanese, senza data e tipografo, forse del 1684.

La tipografia veneziana Guerigli era la stessa che aveva impresso in precedenza diversi scritti del dedicatario dell'opera del G.: il grafomane, poliedrico mecenate della veneziana Accademia degli Incogniti Giovan Francesco Loredano. La coincidenza (o fortunata occasione) giovò sicuramente al successo del saggio del G., che non solo incontrò presto vasta eco in ambiente italiano (tanto da risultare ancora sunteggiato dall'editore veneziano G. Cecchini nel 1880), ma gli valse l'onore di essere ammesso tra gli Incogniti.

Composto di sei parti edite, e di altre tre rimaste manoscritte, con un tipico gioco barocco il Teatro incastona fra una rosa di uomini di "varia dottrina" alcune note autobiografiche (come quegli "architetti delle fabbriche segnalate" che usano "intagliare il nome, cognome, la patria et altre simili qualità" sugli edifici da loro stessi costruiti) e soprattutto l'elenco nutrito delle opere dell'autore, puntualmente distinte tra italiane e latine, pubblicate e in attesa di stampa. A Venezia doveva esistere più di un esemplare del manoscritto. Oltre a un esemplare con le parti escluse dalle edizioni a stampa posseduto da Pietro Gradenigo, grazie a una copia del 1782 commissionata dal barone Giuseppe Vernazza di Freney all'amico abate Giovanni Battista Schioppalalba (Torino, Accademia delle scienze, ms. 331) si sa che a fine Settecento sempre a Venezia un altro manoscritto era nelle mani dell'abate Jacopo Morelli, custode della Ducal Biblioteca di S. Marco. Nella copia voluta da Vernazza ci si compiaceva di trascrivere, isolandoli con gusto tipicamente tardosettecentesco, tutti i medaglioni dedicati ai piemontesi esclusi dalle edizioni a stampa, quasi a cogliere nel G. una sorta di orgoglio regionale, a dispetto dei suoi frequenti spostamenti e della sua articolata e non lineare esperienza umana. Sicuramente nella città paterna il G. attese alla redazione degli Annali di Alessandria, l'opera alla quale il suo nome sarebbe rimasto legato, apparsa a Milano nel 1666 e ripubblicata ad Alessandria tra il 1903 e il 1915 in quattro volumi a cura di A. Bossola e G. Jachino.

Si tratta di un tipico lavoro annalistico, diviso in quattro "epoche" (dalla fondazione di Alessandria ai Visconti: 1168-1315; dai Visconti agli Sforza: 1316-1450; dagli Sforza alla pace di Cateau-Cambrésis: 1451-1559; dalla pace di Cateau-Cambrésis a quella dei Pirenei: 1560-1659), costruito in parte sul Libro della Croce, ma assai più sui precedenti Annales Alexandrini compilati da Guglielmo Schiavina (furono pubblicati solo nel 1867 a Torino). L'opera uscì con una dedica del primo editore (il milanese G. Martelli) a G.B. Dal Pozzo, senatore di Milano, podestà di Pavia e dottore collegiato di Alessandria. Per quanto narratore diligente, il G. non giunge a una puntuale critica delle fonti, incorrendo in inesattezze e fraintendimenti, specialmente nelle digressioni dedicate a vicende italiane ed europee. Dove gli Annali assumono un rilievo notevole è, piuttosto, nel restituire notizie sull'ordinamento amministrativo della città, sulle magistrature civili e militari, sulla gestione della giustizia, sul governo spagnolo. Gli incendi, i furti, le uccisioni perpetrate dagli Spagnoli ad Alessandria sono descritti con toni tragici, in un crescendo che tocca il registro dell'epopea nella descrizione dell'assedio del 1657. Senza rivelare le fonti da cui deriva gran parte del materiale esposto (nonostante i debiti ampiamente contratti con G. Schiavina), il G. giustappone i fatti senza apparente organicità, insistendo spesso su singoli dettagli anche minuti, quali i fenomeni meteorologici e gli episodi salienti della propria vita.

Per quanto risultino assai scarse le notizie sui suoi ultimi anni, si sa che il G. continuò a condurre vita ritirata accanto al figlio Giovan Giacomo, l'unico dei maschi che non scelse la carriera militare. A quegli anni risale la stesura definitiva del Ristretto della civile, politica, statistica e militare scienza (Alessandria, Bibl. civica, ms. 7, di cc. 701), una sorta di enciclopedia di oltre 800 voci costruite sulla base d'una cinquantina d'autori, nonché di precedenti opere del G. stesso (fra cui gli Annali, cosa che permette di collocarne la redazione finale tra il 1666 e il 1668). I modelli erano Sabba da Castiglione ed E. Tesauro (in particolare l'Ivrea assediata), F. Guicciardini e F. Sansovino, Philippe de Commynes e G. Gualdo Priorato, ma soprattutto i principali storici della classicità. Riservando un notevole rilievo alla "scienza civile" (le voci relative al "principe" sono da sole un centinaio), l'opera si caratterizza per la centralità data alla nobiltà (tanto a corte quanto nell'esercito) e per il tentativo di dare una definizione sostenuta dall'idea di "valore".

Il G. morì nel 1668 ad Alessandria, dove fu sepolto nella chiesa (oggi demolita) di S. Bernardino.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Alessandria, Comune, Archivio Ghilini, mazzi 580, cc. 8-10; 584, cc. 14-16; 613, c. 38; 614, cc. 12-15, 27; L. Madaro, G. G. accademico degli Incogniti e la bibliografia dei suoi scritti editi ed inediti, in Riv. di storia, arte, archeologia per la provincia di Alessandria ed Asti, XXXVI (1927), pp. 99-106; M.E. Viora, Per una biografia di G. G., ibid., LVI (1947), pp. 115 s.; G. Barbieri, Statistica e "scienza economica" in alcuni scrittori del XVI e XVII secolo, in Economia e storia, VI (1959), pp. 450-458; F. Predari, Bibl. enciclopedica milanese, Milano 1857, p. 316.

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